Piccoli borghesi

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PICCOLI BORGHESI

Commedia in quattro atti

di MASSIMO GORKI

a cura di Igilio Ripamonti

                                   

PERSONAGGI

VASILI VASILEVIC BEZSEMENOV, borghese agiato; 58 anni.

AKULINA IVANOVNA, moglie di Vasili; 52 anni.

PIETRO, studente escluso dall'Università, figlio di Vasili e Akulina; 26 anni.

TATIANA, maestra elementare, sorella di Pietro; 28 anni.

NILO, figlio adottivo di Bezsemenov, operaio; 27 anni.

PERCISKIN, parente di Bezsemenov, venditore di uccelli; 50 anni.

PAOLINA, cucitrice che lavora, a giornata, figlia di Perciskin; 21 anni.

ELENA NICOLAEVNA KRIVZOV, inquilina di Bezsemenov, vedova di un Direttore di carceri; 24 anni.

TETEREV, cantante lavorante di Bezsemenov

SCISKIN, studente lavorante di Bezsemenov

MARIA ZVETAEVA, maestra elementare, collega di Tatiana; 25 anni.

STEFANIA, cuoca.

UNADONNA DEL POPOLO.

UN IMBIANCHINO APPRENDISTA..

UN MEDICO.

L'azione si svolge in una piccola città di provincia.

Commedia formattata da

QUADRO UNICO

Una stanza di piccoli borghesi benestanti. A de­stra, una stanzetta, separata dalla stanza princi­pale da un arco a volta provvisto di una serie di tendine. In fondo alla stanza principale, una porta che dà nei locali dove alloggiano i lavoranti, e nella cucina. Alla sinistra della porta è una grossa credenza. Neil'angolo, una cassaforte. A destra, un orologio a muro il cui pendolo, rotondo e gran­de, oscilla lento dietro il vetro e nei momenti di silenzio fa udire il suo monotono tic tao. A sinistra, due porte, una delle quali conduce nella camera dei vecchi Bezsemenov, l'altra in quella di Pietro. Tra le due porte, una stufa di mattoni bianchi olandesi, accanto alla, quale è un vecchio divano rivestito di tela cerata. Nel mezzo, un tavolo su cui si mangia e si prende il tè. Infine, alcune ordinarie sedie viennesi, disposte lungo il muro con sconfortante simmetria. Ancora a sinistra, in fondo, un grande scrigno di cristallo che chiude moltissime scatole colorate, uova di Pasqua, due candelabri di bronzo, dei cucchiai per tè e per ta­vola, piccoli calici d'argento... Nella stanzetta chiusa dall'arco e dalle tendine, sono un piano­forte, uno scaffale carico di carte di musica. Nell'angolo, un vaso di legno, contenente un filo­dendro. A destra, due finestre, una sedia a sdraio vicino a un tavolino.

PRIMO ATTO

(Autunno. Crepuscolo, verso le cinque del pome­riggio. Nella cameretta è quasi buio, nonostante le finestre siano aperte. Tatiana è sdraiata sulla pol­trona e legge un libro. Paolina, vicino a lei, cuce e ascolta).

Tatiana                             - (legge). « La luna apparve. Pareva strano che essa, cosi piccina e triste, mandasse la vasta luce alla terra: luce tenera, inargentata... » (Lascia cadere il libro sulle ginocchia). L'aria è scura.

Paolina                             - Accendiamo il lume?

Tatiana                             - Lascia andare. Fon ho più voglia di leggere.

Paolina                             - Come è scritto bene questo libro! Triste... ma di una semplicità che commuove... (Pausa). Mi piacerebbe sapere come finirà il fatto, se si spose­ranno...

Tatiana                             - (seccata). Non è questo che importa.

Paolina                             - Io, per dire la verità, non amerei mai un uomo cosi, mai... mai.

Tatiana                             - E perché?

Paolina                             - Perché è noioso, si lamenta sempre, non è sicuro di sé. Un uomo deve sapere che cosa è e che cosa si propone di fare nella vita.

Tatiana                             - (a bassa voce). Nilo lo sa?

Paolina                             - Certo che lo sa.

Tatiana                             - E che cosa sa?

Paolina                             - Non saprei dirtelo con precisione... ma, da quanto dice egli stesso, si arguisce che la gentaglia, i cat­tivi, gli avidi, avranno filo da torcere con lui. Egli li detesta.

Tatiana                             - E quali sono i cattivi? Quali i buoni?

Paolina                             - Egli lo sa. (Tatiana tace. Paolina sorride, prende il libro e lo posa sulle sue ginocchia). E' proprio scritto bene. Come mi piace la figura di lei! Onesta, semplice, cordiale... Quando si ammira un tipo cosi attraente, ci sembra di diventare migliori noi stesse.

Tatiana                             - Come sei ingenua... e anche un po' sciocca, Pao­lina! A me, questa storia, mi irrita. Una fanciulla mai esistita... e un castello, una sponda, una luna, tutto parto della fantasia... Sempre, in ogni libro, la vita non è descritta nella sua realtà, come la nostra, come la mia, la tua...

Paolina                             - Si scrive ciò che può interessare. La nostra vita non presenta alcun interesse...

Tatiana                             - (irritata, senza ascoltare). Ho l'impressione che i libri siano scritti per quegli uomini non capaci di amare, che discutono su tutto. Mi sembra di sen­tirli sputar sentenze e scegliere fra il cattivo, il pessimo, e categorizzare.

Paolina                             - Io penso che tutti gli scrittori siano buoni. Mi piacerebbe conoscerne uno!

Tatiana                             - (come parlando fra sé). Essi descrivono la parte cattiva e triste della vita; non come la vedo io, ma in un modo tutto particolare, in proporzioni gigan­tesche, tragicamente... e la parte buona... la inventano. Nessuno ha fatto mai dichiarazioni di amore come è scritto sui libri. La vita in realtà non è poi tanto tragica. La vita fluisce dolce, monotona come un immenso fiume-ondoso... Quando guardiamo le acque del fiume l'occhio si stanca, la mente si annoia, si annebbia, e concepisce il desiderio di chiedersi: «Perché corre il fiume?».

Paolina                             - (pensosa, guardando fissamente davanti a sé). Mi piacerebbe conoscere l'autore di questo libro. Men­tre leggevi, pensavo: «Sarà giovane, vecchio, bru­no, biondo? ».

Tatiana                             - Chi?

Paolina                             - L'autore del libro.

Tatiana                             - E' morto.

Paolina                             - Peccato! E' molto tempo che è morto? Giovane?

Tatiana                             - Di mezza età. Era un alcoolizzato.

Paolina                             - Poverino! (Pausa). Perché mai anche gli uomini intelligenti e istruiti diventano alcoolizzati? Anche il nostro inquilino, il cantante, è un uomo intel­ligente, eppure beve. Perché?

Tatiana                             - Perché è preso dalla noia di vivere.

Pietro                               - (esce, appena desto, dalla sua camera). Come mai è cosi buio qui? Chi c'è?

Paolina                             - Io, e Tatiana Vasilevna.

Pietro                               - Potreste accendere il lume.

Paolina                             - Ci piace la penombra.

Pietro                               - Dalla stanza dei vecchi giunge nella mia il sen­tore dell'olio bruciato della lampada. Per questo, forse, ho sognato di annegare in un fiume dall'ac­qua densa come catrame. Era difficile navigare, e, inoltre, non sapevo dove dirigermi, non riuscivo a vedere né rive né argini; vedevo tavole di salva­taggio, ma quando ero sul punto di afferrarle, si dissolvevano in polvere... come materia putrefatta. Strano! (Passeggia in lungo e in largo fischiettando). Sarebbe ormai tempo di prendere il tè.

Paolina                             - (accende il lume). Vado a prepararlo. (Esce).

Pietro                               - La sera, qui a casa, tutto è cupo, silenzioso. Questi mobili preistorici sembrano ingigantire, di­ventare più pesanti, e, ingombrando lo spazio, ci soffocano. (Batte con la mano l'armadio). Da diciotto anni, diciotto anni! questo armadio sta allo stesso posto... Si dice che la vita corre veloce... Eppure, durante diciotto anni questo armadio non si è mosso di un passo, nemmeno di un centimetro... Da bam­bino, battei più di una volta contro la sua massa, che ora, chi sa perché, mi ripugna. Stupida inven­zione! Più che un armadio, è un simbolo.

Tatiana                             - Come sei noioso, Pietro! Questa vita ti fa male.

Pietro                               - Quale vita

Tatiana                             - La tua. Non frequenti nessuno. Non vai in nessun luogo, se non in casa di Elena, e questa tua visita serale inquieta i vecchi. (Pietro passeggia e fischia). E della mia vita, d'altra parte, che dirti? Noia... noia... e noia, aspri passaggi da una noia all'altra; dal chiasso, dal disordine della scuola, al silenzio e all'ordine, qui. E' vero che la nostra casa è meno monotona dacché Elena è venuta ad abitare al piano di sopra; ma è sempre una casa non troppo allegra. La scuola mi stanca e le feste sono ancora troppo lontane... (L'orologio suona le sei).

Bezsemenov                    - (facendo capolino dalla porta della sua camera). Ecco che i piccoli cosacchi cominciano a cantare! Dimmi, Pietro, non hai scritto la petizione nem­meno oggi?

Pietro                               - Si, si, l'ho scritta.

Bezsemenov                    - Finalmente! Dio sia lodato! (Rientra). Al solito.

Tatiana                             - Che petizione!

Pietro                               - Per vedere di riscuotere dal mercante Sizov di­ciassette rubli e cinquanta copechi. Li deve a papà che gli ha fatto tingere il tetto della rimessa.

Akulina Ivanovna            - (entra con un lume). Ricomincia a piovere! (Si avvicina alla credenza, mette fuori le tazze e appa­recchia la tavola). Fa freddo anche qui in casa, nonostante la stufa. La casa non è troppo in buono stato e il vento penetra attraverso le fessure delle finestre... Ahi, ahi!... piccoli miei, papà torna di cattivo umore, come al solito. Dice che ha male alle reni, poverino! La vecchiaia, i dispiaceri, il disordine, le seccature, le spese...

Tatiana                             - (al fratello). Ieri sei stato da Elena?

Pietro                               - Si.

Tatiana                             - Ti sei divertito?

Pietro                               - Come al solito: abbiamo preso il tè; poi abbiamo cantato. Ci sono state discussioni.

Tatiana                             - Con chi?

Pietro                               - Con Nilo e con Siskin.

Tatiana                             - Al solito.

Pietro                               - Si. Nilo parlava enfatico dell'evoluzione dell'esi­stenza umana... Come mi stizzisce il suo modo di ragionare! Parla su tutto; ma non dice neanche una parola circa il coraggio o l'amore nella vita. Come è ridicolo! Il suo ragionamento ci mostra una vita che nessuno conosce, simile a una zia d'America che debba giungere all'improvviso a co­prirci d'oro e di gioia. Siskin, poi, non faceva che predicare sull'utilità dell'arte e sui danni del ta­bacco. Naturalmente non ha dimenticato di accu­sarmi di mentalità borghese...

Tatiana                             - Sempre la stessa musica.

Pietro                               - Si, come al solito.

Tatiana                             - Ti piace S Elena?

Pietro                               - A dir la verità, si. E' buona, sempre sorridente...

Akulina Ivanovna            - Una banderuola che fa la vita più vuota e sciocca che si possa immaginare. Tutti i giorni che Dio ha messo al mondo li passa a fare e a ricevere visite, a prendere il tè, a cantare e a ballare. Di questo passo si capisce benissimo che non può com­prare neanche un catino, e si lava il viso nella tinozza. Inutile dire che poi la vuota sul pavi­mento, che ormai è diventato mezzo fradicio.

Tatiana                             - Ieri sera sono stata al Circolo. C'era la festa. Il consigliere comunale Somov, che è l'ispettore della mia scuola, mi salutò appena con un cenno della testa. Ma quando giunse l'amante del giudice Romanov, il consigliere Somov le si fece incontro con un profondo inchino, la salutò e le baciò la mano come se fosse la moglie di un governatore.

Akulina Ivanovna            - Sfrontato! Piuttosto che offrire il braccio a una ragazza per bene e sentirsi onorato di presentarla agli altri...

Tatiana                             - (al fratello). Si, mio caro, una maestra di scuola elementare per quella gente merita meno attenzione di una prostituta tutta dipinta in viso.

Pietro                               - Bah! Non occuparti troppo di queste banalità. E' necessario essere superiori, e l'amante di Romanov, ammesso che sia una prostituta, non è poi delle più depravate.

Akulina Ivanovna            - Che cosa ne sai? Le hai leccato il viso qualche volta, forse? Che coraggio! Hanno offeso tua so­rella e tu, invece di esserne indignato, ti metti a difendere chi ne è stato la causa.

Pietro                               - Ti prego, mamma.

Tatiana                             - Non è assolutamente possibile parlare dinanzi a mamma. (Dall'anticamera si ode il rumore di passi pesanti).

Akulina Ivanovna            - Ecco che cominciate a inquietarvi con me. Tu, Pietro, faresti meglio ad andare a prendere il samovar in cucina, invece di startene a passeg­giare senza far niente. Stefania si lagna sempre che è pesante...

Stefania                           - (entra con il grosso samovar che posa in terra, vicino alla tavola, sbuffando). Continuate pure a fare come vi piace! Ve l'ho già detto chi sa quante volte che il samovar pesa e che mi è faticoso por­tarlo. Ho le gambe che mi tremano. Non ne posso più.

Akulina Ivanovna            - Be', e dovrei pagare una donna per questo?

Stefania                           - Perché no? Altrimenti, potreste dirlo al signor cantante che ve lo porti. Per lui non sarebbe un grande sforzo. Pietro Vasilevic, per favore, met­tete voi il samovar sulla tavola. Io non ce la farei.

Pietro                               - Stefania Via, dà qui. Grazie! (Esce).

Akulina Ivanovna            - Però, Pietro, in fondo sarebbe giusto che dicessi al cantante di portare il samovar a tavola.

Tatiana                             - (contrariata). Mio Dio!

Pietro                               - Devo dirgli anche di prendere l'acqua dal pozzo, di lavare in terra, pulire il camino e fare il bucato?

Akulina Ivanovna            - (gesticola come se volesse battere qualcuno). Per­ché ti diverti a contraddirmi sempre? Sta' tran­quillo, io dicevo soltanto per il samovar... So pen­sare alla casa lo stesso, anche senza di lui.

Pietro                               - Mamma, ogni sera non ci risparmi mai il discorso su questo noioso argomento: chi porta il samovar! E Stefania non si darà pace fino a quando non l'avrete liberata dalla enorme fatica del samovar e non avrete trovato un portinaio.

Akulina Ivanovna            - E che cosa starebbe a fare qui un portinaio? Sai bene che il babbo lo ripulisce lui il cortile.

Pietro                               - Lo so, e so anche che ciò non sta bene. Segno di avarizia. E essere avari quando si ha in banca...

Akulina Ivanovna            - Sta' zitto, il babbo potrebbe sentire, e allora! Dimmi, sei stato tu a depositare il denaro in banca?

Pietro                               - No, è... Ma senti...

Tatiana                             - (irritata). Pietro, vuoi finirla, per favore? Sto perdendo la pazienza.

Pietro                               - (le si fa incontro). Non inquietarti. Spesso, senza volere, mi trovo ingolfato in queste discussioni.

Akulina Ivanovna            - Eccoli, i ribelli! Neppure la madre può fare un'osservazione!

Pietro                               - La solita storia! Questi battibecchi mi avvili­scono, mi empiono l'anima di ruggine.

Akulina Ivanovna            - (si fa alla porta della sua camera e grida). Babbo, vieni a prendere il tè!

Pietro                               - Appena sarà terminato il mio periodo di esclu­sione dall'Università, partirò per Mosca e non tor­nerò in casa che per un mese all'anno, come prima. I tre scorsi anni di vita universitaria mi avevano fatto dimenticare il regime di questa casa gover­nata dalla sciocca vanità borghese e dove si fa un lutto per ogni inezia. Come è bello vivere soli, lontano dal paradiso domestico!

Tatiana                             - Beato te che puoi farlo. Io, invece, non saprei dove andare.

Pietro                               - Te l'ho detto chi sa quante volte; potresti en­trare anche tu all'Università.

Tatiana                             - Per che fare? Io voglio vivere, vivere, non stu­diare... Non l'hai ancora capito?

Akulina Ivanovna            - (tentando di toglier di tavola il samovar si scotta le mani. Manda un grido). Ahi! Che brutta sorte è la mia!

Tatiana                             - (a Pietro). Dio mio! Non riesco a concepire l'idea della vita. Che significa vivere? Come potrei, come dovrei vivere?

Pietro                               - (pensoso). Occorre saper vivere... Occorre saper vivere prudentemente...

Bezsemenov                    - (esce dalla sua camera e siede a tavola dopo aver guardato i figli). Avete chiamato gli altri?

Akulina Ivanovna            - Pietro, chiamali tu (Pietro esce, Tatiana si avvi­cina alla tavola).

Bezsemenov                    - Ancora lo zucchero a zolle! Vi ho detto tante volte...

Tatiana                             - Ma è lo stesso, papà.

Bezsemenov                    - Non sto parlando a te, ma a tua madre. Lo so che per te è la stessa cosa.

Akulina Ivanovna            - Babbo, non inquietarti; ne ho comperato una libbra sola. Ho ancora un pane di zucchero, ma non ho fatto in tempo a tagliarlo.

Bezsemenov                    - Io non m'inquieto, ma ancora una volta ti ripeto che lo zucchero a zolle è pesante e di cattiva qua­lità; perciò non è conveniente. Lo zucchero si deve tagliare in casa, anche perché cosi non si sprecano le briciole. E poi lo zucchero a pani è leggero e dolce. (A Tatiana). Perché fai tutte quelle smorfie? Che hai dà sospirare?

Tatiana                             - Ma io non ho nulla!

Bezsemenov                    - Non sì sospira senza motivo. Si sospira... volete saperlo? Si sospira perché ci si annoia ad ascoltare le parole del padre. Non riuscite a capire che io non parlo per me, ma per voi giovani. Noi ab­biamo fatto la nostra vita; ora sta a voi vivere la vostra, e più ci penso e più non riesco a capire le vostre intenzioni. Quali sono le vostre intenzioni? Quali sono, di grazia? Il nostro modo di vivere, naturalmente, non vi piace e non lo imiterete. Dunque, che cosa pensate di fare? I genitori non debbono sapere mai nulla!...

Tatiana                             - Ancora! Sempre le stesse cose, sempre le stesse questioni!

Bezsemenov                    - Sempre le stesse cose... fino a che avrò vita... Se sapeste che cosa ho nel cuore, quando penso a voi! Sono stato stupido, mille volte sciocco... Non do­vevo farvi istruire... Ecco le conseguenze della mia stupidaggine: Pietro è espulso dall'Università e tu... tu non vuoi prendere marito.

Tatiana                             - Io lavoro.

Bezsemenov                    - Lavori? Certo! Ma che utilità porta il tuo lavoro? I venticinque rubli al mese del tuo stipendio non servono a nessuno... non ne ha bisogno nessuno. Sposati, vivi contenta e te ne darò io di rubli.

Akulina Ivanovna            - (mentre 'padre e figlia discutono, smania, sta sulle spine. Più volte fa l’atto di parlare. Infine, do­manda, umile e carezzevole). Babbo, ti andrebbe una fetta di dolce? Oggi a pranzo ne è avanzato un bel pezzo.

Bezsemenov                    - (volge lo sguardo a Akulina, quindi si guarda in giro infastidito, sorride sotto i baffi). E va bene, dammi una fetta di dolce. Ne è rimasto parecchio, eh? (Akulina Ivanovna corre verso la credenza, e Bezsemenov torna a rivolgersi a Tatiana). Tua ma­dre sembra una cagna elle difenda i cuccioli contro il cane. Naturalmente il cane sarei io. Ha sempre paura che vi offenda quando parlo. Oh, ecco che l'uccello del malaugurio viene!

Perciskin                          - (appare sulla soglia. Dietro di lui, silenziosa, è Paolina). Pace a voi! Pace al canuto padrone, pace alla padrona sempre bella, ai loro cari figlioli, nei secoli dei secoli.

Bezsemenov                    - Sei ubbriaco? Sempre ubbriaco, eh?

Perciskin                          - No. E' il dolore a darmi il delirio.

Bezsemenov                    - . Che dolore? Che ti è successo?

Perciskin                          - (la mano nella mano comincia). Oggi ho venduto un fringuello che avevo da tre anni. Come cantava bene, caro! Eppure l'ho dovuto vendere! Mi son sentito un vile per quel che ho fatto, un buono a niente. Mi ero talmente abituato a quel canto! Oh, gli volevo bene! (Paolina sorride e"fa segno al padre col capo).

Bezsemenov                    - Ma allora, perché lo hai venduto?

Perciskin                          - (passeggia intorno alla tavola, appoggiandosi alle spalliere delle sedie). E' che me lo hanno pagato piuttosto bene, a onor del vero!

Akulina Ivanovna            - Il denaro non è al posto giusto nelle tue mani: non ci rimane mezz'ora.

Perciskin                          - (sorride). Verissimo. Il denaro non è fatto per me. Ciò è indiscutibile!

Bezsemenov                    - Dunque, una ragione di più per non vendere il fringuello.

Perciskin                          - Una ragione c'è, veramente. L'uccello stava per diventare cieco e sarebbe morto fra non molto.

Bezsemenov                    - Gratta gratta, e sotto lo stupido trovi il furbo No?

Perciskin                          - Ti sbagli. Non sono affatto intelligente; anzi sono di indole volgare. (Entrano Pietro e Teterev).

Tatiana                             - E Nilo?

Pietro                               - E' andato per le prove.

Bezsemenov                    - Dove reciteranno?

Pietro                               - In casa. Si tratta di una recita per i soldati.

Perciskin                          - (rivolto a Teterev). Salute al divino cantore. Vuoi accompagnarmi a caccia?

Teterev                            - Con piacere. Quando?

Perciskin                          - Domani stesso, se non hai nulla in contrario.

Teterev                            - Domani non posso; debbo cantare un requiem per un funerale.

Perciskin                          - Andremo prima della messa.

Teterev                            - D'accordo. Akulina Ivanovna, per favore, non ci sarebbe qualche buon boccone avanzato a pranzo?

Akulina Ivanovna            - Si, adesso te lo do. Paolina, guarda un po' che c'è rimasto. (Paolina esce).

Teterev                            - Gradite i sensi della mia profonda e assoluta rico­noscenza. Naturalmente oggi sono digiuno. Infatti il funerale prima, la festa di nozze dopo, non mi hanno lasciato neanche il tempo di mangiare.

Akulina Ivanovna            - Certo, certo! (Pietro, con in mano un bicchiere pieno, va dietro l’arco della piccola stanza. Il padre lo segue con lo sguardo scrutandolo. Anche Te­terev lo osserva e non con simpatia. C'è un mo­mento di silenzio. Chi mangia e chi beve).

Bezsemenov                    - Mio caro Teterev, questo mese dovresti guada­gnare molto. Non c'è giorno che non muore qual­cuno.

Teterev                            - Si, fortunatamente.

Bezsemenov                    - Né i matrimoni si fanno desiderare.

Teterev                            - Si, ci sono anche parecchi matrimoni.

Bezsemenov                    - Fa' risparmi, cosi potrai sposarti anche tu.

Teterev                            - Veramente, non ci terrei molto. (Tatiana si fa vicina al fratello. I due prendono a conversare sot­tovoce).

Perciskin                          - Non sposarti, meglio cosi. Non siamo fatti per il matrimonio, noi altri uomini eletti. Siamo fatti per andare a caccia di fringuelli.

Teterev                            - Parole sante!

Perciskin                          - Che piacevole professione quella del cacciatore di fringuelli! Quando la neve è caduta, la terra sembra vestita a festa, che abbia indossato la veste del giorno di Pasqua. Ovunque candore, lindore, soave silenzio; e specialmente quando c'è sole, l'ani­ma sembra innalzare un canto alla gioia. Se invece è l'autunno, le foglie ancora attaccate agli alberi si ricoprono di uno strato sottile di neve sul quale si riflette la luce dorata del sole. E fra tanta morbida bellezza segna l'azzurro immacolato del cielo uno stormo di piccoli uccelli scarlatti che paiono papaveri. Essi volano, e cinguettano e gemono fino a commuoverti. Ci assale un vasto desiderio di essere anche noi, per un poco, fringuelli...

Bezsemenov                    - Il fringuello è un uccello balordo.

Perciskin                          - Pure io lo sono.

Teterev                            - E' vero, dici abbastanza bene.

Akulina Ivanovna            - (rivolta a Perciskin). Sei un vecchio bambino.

Perciskin                          - Mi piace prendere gli uccellini. Vi pare che ci sia qualche cosa di più bello al mondo?

Bezsemenov                    - Non sai che si commette un peccato a togliere la libertà a un uccello?

Perciskin                          - Si, lo so; ma a me piace far cosi perché non saprei fare altro. Del resto, penso che ogni bisogno non sia che una manifestazione dell'amore.

Bezsemenov                    - Proprio ogni bisogno?

Perciskin                          - Si, senza eccezioni.

Bezsemenov                    - Anche il bisogno che può sentire qualcuno d'ap­propriarsi della roba degli altri?

Perciskin                          - Be', qui non si tratta di un bisogno, ma di un furto.

Bezsemenov                    - . Già!... esatto!...

Akulina Ivanovna            - (sbadigliando). Oh-o, oh... quanta noia! Appena giunta la sera si muore dalla noia. Teterev, non potresti, invece, prendere la chitarra e suonare?

Teterev                            - (calmo). Quando mi deste in affitto la camera, o nobile Akulina Ivanovna, non c'era nel contratto che dovessi anche procurarvi lo spettacolo.

Akulina Ivanovna            - (non capendo). Come?

Teterev                            - Mi sembra di aver parlato con estrema chiarezza.

Bezsemenov                    - (meravigliato e indispettito). Quando ti osservo, Teterev, mi sorprendi sempre più. Sei un uomo, ti prego di scusarmi, che non vale assolutamente nul­la; tuttavia ti permetti d'avere lo spirito e la di­gnità di un vero signore. Da dove ti arrivano cotesti pregi?

Teterev                            - Ti dirò: dalla nascita.   

Bezsemenov                    - No, davvero, spiegami dove hai imparato cotesto tuo orgoglio?

Akulina Ivanovna            - Tu, babbo, prendi per orgoglio ciò che è stoltezza.

Tatiana                             - Mamma, ti prego.

Akulina Ivanovna            - (rendendosi conto). Che cosa vuoi? (Tatiana scuote il capo in atto di rimprovero). Oh, era tanto per dire! Non intendevo offendere. Sta' tranquilla, lo so che io non debbo parlare mai.

Bezsemenov                    - (piccato). T'ho detto tante volte di esprimerti nei limiti della buona creanza. Lo sai che viviamo fra persone colte che esaminano ogni parola da un punto di vista critico e scientifico, con il sussidio delle più eccelse doti e dell'intelligenza. Noi non siamo che due vecchi ignoranti...

Akulina Ivanovna            - Ma io...

Perciskin                          - Nonostante scherzassi, hai parlato molto appro­priatamente, amico mio.

Bezsemenov                    - Non è del tutto esatto dire che scherzavo...

Perciskin                          - Intendevo dire che i vecchi sono senza dubbio sciocchi e ignoranti.

Bezsemenov                    - Specialmente quando sono contagiati dalla tua presenza.

Perciskin                          - Non prendertela con me. In sostanza volevo in­tendere che senza i vecchi si fanno molte stupidag­gini. I vecchi riflettono e pensano, cosi come il legno fresco brucia, fa molto fumo e non dà fuoco.

Teterev                            - (sorridendo). Molto bene. (Paolina osserva silen­ziosa il padre, carezzandogli una spalla).

Bezsemenov                    - (cupamente). Dai, dai, fa pure il tuo comodo. (Pietro e Tatiana, per interrompere la conversa­zione, intervengono e guardano sorridendo Perciskin).

Perciskin                          - (sbadigliando). Innanzi tutto, i vecchi sono coc­ciuti. Ammetto che un vecchio possa riconoscere di avere torto, di non capire niente; però è assurdo che lo confessi... E' l'orgoglio che non consente ai vecchi di ammettere il proprio torto. E' logico: hanno vissuto, loro, tanti anni! Sono giunti a con­sumare magari una quarantina di calzoni. Poi, all'improvviso, si vedono incapaci di comprendere. Questo rappresenta un'ingiuria per il pover'uomo che, allora, vi dice in faccia: «Sono vecchio. Ho ragione io! ». E' che lo spirito si fa pesante quando si diventa vecchi; la ragione s'indebolisce. Nei gio­vani, invece, sono la perspicacia e l'agilità dell'ingegno.

Bezsemenov                    - (rude). Vai troppo in là, mio caro. Se siamo cre­tini, perché non c'insegni tu a essere intelligenti?

Perciskin                          - E che utilità ne verrebbe? A sparare sulle pietre si sprecano le cartucce.

Bezsemenov                    - Non interrompermi, ti prego. Lascia parlare me che son più vecchio. Ti domando solo questo: « Per quale ragione mai gli spiriti svegli, i giovani, gli intelligenti sfuggono i vecchi per rifugiarsi nei cantucci a mostrare nei volti il disprezzo, l'insoffe­renza della nostra compagnia? ». Pensaci su. Io rifletto su tutto, unicamente, perché la venerabile società che ci circonda non si degna di annove­rarmi fra i suoi individui. (Nello spostare la sedia dalla tavola provoca rumore. Si alza e se ne va. Sulla soglia della camera, si volge). Riveriti, miei istruiti figlioli. (Un momento di silenzio).

Perciskin                          - (rivolto a Pietro e a Tatiana). Piccoli, ci trovate tanto gusto a fare inquietare il vecchio?

Paolina                             - (sorridendo). Veramente hai cominciato tu, se non sbaglio.

Perciskin                          - Io? Parola, che in tutta la mia vita, neanche una sola persona...

Akulina Ivanovna            - Amici, mi sembra che le cose non vadano bene in questa casa... Perché mi avete offeso il vecchio? Vi mostrate tutti scontenti, tutti brontolate, e non vi preoccupate del padrone di casa che è vecchio e ha bisogno di riposo e di rispetto. Dovete met­tervi in testa che è il padrone di casa, che è padre... Ma è meglio che lo raggiunga e che gli faccia compagnia. Paolina, aiuta Stefania a ri­pulire le tazze.

Tatiana                             - (si avvicina alla tavola). E perché poi il babbo è in collera con noi?

Akulina Ivanovna            - (dalla porta della camera). Continua, tu, a sfug­girlo come la peste! Tu, l'intelligente. (Paolina sta asciugando le tazze. Teterev, appoggiato alla tavola, la guarda con occhio languido. Perciskin si avvicina a Pietro e con lui siede a tavola. Ta­tiana lentamente si ritira nella sua camera).

Paolina                             - (a Teterev). Che avete da guardarmi?

Teterev                            - Appunto.

Perciskin                          - A che stai pensando, Pietro?

Pietro                               - A dove potrei andarmene.

Perciskin                          - E' molto tempo che volevo chiederti che cosa vuol dire la parola incanalamento.

Pietro                               - Perché t'interessa saperlo? Che vantaggio po­tresti trarne? A parte il fatto che per me, spie­gartelo in termini adatti alle tue possibilità intel­lettive, sarebbe una noia non indifferente.

Perciskin                          - Ma sai che cosa vuol dire?

Pietro                               - Naturalmente.

Perciskin                          - (incredulo, imitando l'espressione di Pietro) Uhm!...

Paolina                             - Mio ritarda.

Teterev                            - (a Paolina). Che begli occhi avete!

Paolina                             - Me l'avete detto anche ieri. L'avete dimenticato?

Teterev                            - No. Domani ve lo ripeterò.

Paolina                                        - Perché?

Teterev                            - Non so davvero. Pensate sia innamorato di voi?

Paolina                             - No. Perché?

Teterev                            - Ecco, vi prego di non crederlo. Tuttavia, la mia insistenza nell'importunarvi vi farà certo pensare a qualche cosa. Volete dirmi a che cosa?

Paolina                             - E a che potrei pensare?

Teterev                            - Al motivo che mi spinge ad annoiarvi. Se non ci avete ancora pensato, provateci adesso.

Paolina                             - Come siete sciocco!

Teterev                            - Senza dubbio! Non è la prima volta che me lo dite; e io vi rispondo: andate via da questa casa; sarà meglio per voi... ascoltatemi, andate via.

Pietro                               - Ehi, voi due, per caso sareste in colloquio amo­roso? Se è cosi, me ne vado subito e vi lascio in libertà.

Teterev                            - Vi prego di non disturbarvi, poiché non vi con­sidero un essere animato.

Pietro                               - Non siete riuscito a essere molto spiritoso.

Paolina                             - (a Teterev). Troppo aggressivo, amico mio. (Teterev si allontana per ascoltare la conversazione di Pietro e Perciskin).

Tatiana                             - (esce dalla camera avvolta nello scialle, siede al pianoforte e prende a sfogliare le carte di musica). E' venuto Nilo?

Paolina                             - No...

Perciskin                          - Che noia!... A proposito, Pietro, l'altro giorno ho letto in un giornale che in Inghilterra è stata costruita una nave aerea. E' simile a una nave comune, costruita appunto per navigare; poi, quan­do si è dentro, si preme un bottone... e via! La nave si eleva nell'aria e vola come un uccello, fino alle nuvole. Vi trasporta non si sa dove. Pare che parecchi inglesi siano scomparsi in queste navi aeree. E' vero, Pietro?

Pietro                               - Sciocchezze!

Perciskin                          - Eppure i giornali ne hanno parlato!

Pietro                               - E che cosa si pubblica nei giornali, se non le sciocchezze?

Perciskin                          - Credi davvero che nei giornali si stampino scioc­chezze? (Tatiana esegue al piano un'aria triste e dolce).

Pietro                               - (seccato). Ma certo, moltissime!

Perciskin                          - Non inquietarti! A voi giovani piace osservare dall'alto in basso i poveri vecchi come me; quando addirittura non disdegnate rivolgerci la parola. Questo non è bello.

Pietro                               - Che cos'altro hai da dire?

Perciskin                          - Nulla. Non mi rimane che andarmene via. La mia compagnia vi dà noia. Paolina, mi raggiungi presto?

Paolina                             - Si. Ho solo da pulire le tazze. (Esce mentre Teterev la segue con lo sguardo).

Perciskin                          - Pietro, ti ricordi di quando, molto tempo fa, venivi con me a caccia di uccellini?

Pietro                               - Ci andiamo spesso anche ora.

Perciskin                          - Eppure noto che sei del tutto un altro da allora.

Pietro                               - E' probabile; oggi non potrei gustare confetti e pan pepato con lo stesso piacere di una volta.

Perciskin                          - Caro Teterev, vuoi venire a bere un bicchiere di birra con me?

Teterev                            - Non ne ho voglia.

Perciskin                          - Andrò solo. Come mi piace stare in cantina. Vi regnano la semplicità e l'allegria. Qui, ci logora la noia, vogliatemi scusare la sincerità. Voi non fate nulla, non preferite nulla, non amate il gioco delle carte. Giochiamo? Via, facciamo uno strappo alle nostre austere regole. Siamo in quattro, si gioca? (Teterev guarda Pietro sorridente). Non vi va? Bene, bene... come vi pare. Arrivederci. (Si avvicina a Teterev e gli dà un buffetto sulla gola). Non vuoi proprio venire?

Teterev                            - No. (Perciskin andando via apre le braccia in segno di desolazione. Segue una pausa nel corso della quale s'intende il motivo della melodia che Tatiana esegue indolente; l’accompagna il fischio di Pietro che è seduto nella poltrona. Teterev, alza­tosi, passeggia per la stanza. Dall' anticamera si sente cadere rumorosamente qualche cosa, forse il coperchio o il tubo del samovar, e la voce di Ste­fania) .

Stefania                           - Ma che sta succedendo?

Tatiana                             - (senza smettere di suonare). Come mai Nilo tarda tanto?

Pietro                               - Mi sembra che tardino un po' tutti questa sera.

Tatiana                             - Stai aspettando Elena?

Pietro                               - Chiunque sia. Che importa se sia Elena o un altro?

Teterev                            - Nessuno viene troppo volentieri in casa vostra.

Tatiana                             - Il solito uccello di malaugurio, il nostro Teterev.

Teterev                            - In casa vostra non ci verrà mai molta gente perché dalla vostra amicizia non c'è nulla di buono da ricavare.

Pietro                               - Adesso abbiamo l'opinione di Teterev il teologo.

Teterev                            - (insistente). Vedete, voi non riuscite a notare che il venditore di uccelli, ubbriaco e vecchio, ha spirito gaio e anima semplice. Voi due invece, ap­pena sulla soglia della vita, siete solo cadaveri che camminano.

Pietro                               - Va bene, ora sappiamo che cosa siamo. Adesso vi sarei grato se voleste dirmi quale è l'opinione che avete su voi stesso..

Tatiana                             - (alzandosi). Be', vogliamo finirla, signori? D'ac­cordo, d'accordo... l'argomento è stato esaurito. Adesso finitela.

Pietro                               - I vostri mezzi di espressione, Teterev, il compito che vi siete assunto di fare il giudice qui in casa nostra, mi piacciono davvero; mi piacerebbe anche sapere, però, perché vi siete scelto questo lavoro. Tutte le volte che parlate con noi e di noi avete l'aria di recitare un salmo di penitenza.

Teterev                            - Vi dirò: i salmi che recito non figurano nella Bibbia.

Pietro                               - Il che mi sembra che importi pochissimo. In­ tendevo dire che mostrate di odiarci.

Teterev                            - Ciò corrisponde perfettamente alla verità.

Pietro                               - Obbligatissimo per la franchezza. (Entra Pao­lina).

Teterev                            - Buon appetito!

Paolina                             - Mi offrite forse qualche cosa?

Tatiana                             - Si, impertinenze.

Teterev                            - Vale a dire: delle verità.

Paolina                             - Vado a teatro. Viene nessuno con me?

Teterev                            - Io.

Pietro                               - Che fanno al teatro?

Paolina                             - La seconda gioventù. Tatiana Vasilevna, vuoi ve­nire anche tu?

Tatiana                             - No. Credo che la stagione invernale passerà senza che io vada a teatro una volta. Mi annoio da mo­rire. Questi lavori teatrali imperniati su pistolet­tate, singhiozzi e lagrime mi stizziscono, scuotono il mio sistema nervoso. (Teterev battendo col dito sul piano provoca un suono profondo e triste che si spande per la stanza).

Tatiana                             - (continuando il suo discorso). Il Teatro ha dege­nerato nel grottesco e nell'assurdo. Non ha più alcun punto di contatto con la vita. La vita col­pisce i cuori, stronca le esistenze senza rumore, senza urli e lacrime, con lentezza: e non ci si accorge di nulla.

Pietro                               - (cupo). In questi drammi si parla d'amore e non ci si accorge che ormai l'amore è dominato dal con­flitto di un altro dramma, dal problema tra il voglio e il devo. (Teterev sogghigna, continuando a bat­tere a intermittenza sui tasti dei toni più bassi).

Paolina                             - (un po' smarrita, sorride anche lei). A me invece piace il Teatro, specie quando si rappresenta Don Cesare Bazan, gentiluomo spagnolo. Quello si che è un eroe!

Teterev                            - Io gli somiglio, vero?

Paolina                             - Se vi fa piacere crederlo... Ma, datemi retta: assolutamente per nulla.

Teterev                            - (sorridendo). Peccato!

Tatiana                             - Le scene d'amore a teatro mi stizziscono estre­mamente: cosi false, cosi astratte, rispetto a quelle che avvengono nella vita!...

Paolina                             - Va bene, andrò sola. Teterev, volete accompa­gnarmi?

Teterev                            - (smette di battere sui tasti). Non prima che ab­biate trovato in me una somiglianza col genti­luomo spagnolo. (Paolina esce, ridendo).

Pietro                               - (seguendola con lo sguardo). Chi sa mai da dove le viene tutto quell'entusiasmo per il gentiluomo spagnolo!

Teterev                            - Dal fatto, immagino, che vede in lui l'uomo perfetto.

Tatiana                             - Un raffinato...

Teterev                            - Un uomo di spirito; continuamente gaio. L'al­legria è manifestazione di bontà. Un criminale non è mai allegro.

Pietro                               - In tal caso voi sareste il più grande criminale del mondo.

Teterev                            - (riprende a provocare suoni profondi e lugubri). Quanto a me... io non sono che un illustre bevi­tore. Volete sapere perché la Russia è piena di ubbriachi? Perché ubbriacarsi fa molto comodo. Gli alcoolizzati sono ben voluti qui in Russia; mentre gli uomini coraggiosi, che sanno quel che vogliono, gli uomini arditi, sono detestati. E' sempre più comodo e meno imbarazzante amare la nullità, la vanità, anziché le grandi e generose doti dell'animo.

Pietro                               - (passeggia nervoso per la stanza). In Russia, in Russia... Strane parole! E' forse nostra la Russia? Mia? Vostra? Che cosa siamo noi? Che cosa?

Teterev                            - (canticchia). Uccelli liberi...

Tatiana                             - Teterev, per favore, smettetela con codesto ac­compagnamento funebre.

Teterev                            - (continua, accompagnandosi con la voce). Pro­prio come il nostro stato d'animo... (Tatiana stiz­zita esce verso l’anticamera).

Pietro                               - Seriamente, vi prego di smetterla con codesti suoni snervanti. Io penso che un inglese, un fran­cese, quando dice Francia o Inghilterra, si figuri qualcosa di concreto, esistente, comprensibile. Ma quando io pronunzio la parola Russia, non sento che un suono vuoto: una parola che non ha una consistenza esatta, chiara. (Pausa. Teterev continua, a battere sui tasti). Ci sono molte parole che si pro­nunziano per abitudine, ignorandone il vero signi­ficato. La vita, la mia vita... Quale è il significato di questa parola? (Tace per un momento, conti­nuando a passeggiare per la stanza. Teterev batte sempre sui tasti con lentezza e insistenza, riem­piendo Varia di note ossessionanti. Sorride impas­sibile, seguendo con lo sguardo Pietro). E' stato il demonio a farmi entrare nel tumulto rivoluzio­nario. Mi ero iscritto all'Università per studiare. Studiavo veramente. Ma ve ne scongiuro, smette­tela di suonare! Non mi ero accorto che si trattava di un regime che proibiva di apprendere il diritto romano. No, questo non lo sapevo proprio. Mi av­vinse l'armonia della collettività, e cedetti. La ri­compensa fu due anni della mia vita annullati, can­cellati dall'esistenza! Cercai, di vincere me stes­so! Pensavo: devo terminare gli studi, diventerò magistrato, lavorerò, leggerò, esaminerò cose nuo­ve, in una parola: vivrò.

Teterev                            - (ironico, completando la frase). Per essere la con­solazione di papà e mamma, in nome della reli­gione e della patria, da servo zelante della società.

Pietro                               - La società? Odiosa parola! La società accresce sempre i suoi diritti nei riguardi dell'individuo, negandogli la possibilità di sviluppare regolar­mente e pacificamente le proprie attitudini. La so­cietà rappresentata dai miei compagni non faceva che dirmi: « L'uomo appartiene innanzi tutto allo Stato ». Cosi ho servito lo Stato; ebbi la disgraziata idea di servire lo Stato, ma non voglio, non sento affatto il dovere di sottomettermi ai capricci della società, sono un individuo, un nomo; e l'uomo ha la libertà del pensiero... Ascoltate... ma smettetela con quella musica dannata.

Teterev                            - Ma vi sto facendo l'accompagnamento, o borghese che foste cittadino per mezz'ora. (Si odono rumori dall'anticamera).

Pietro                               - (inquietandosi). E senza ironia, intesi? (Teterev pianta lo sguardo su Pietro insistente e provocante, non tralasciando il ben noto suono. Intanto entrano Nilo, Elena, Sishin, Maria Svetaeva e Tatiana).

Elena                               - Ma chi è che suona questa marcia da morto? Buona sera, tremendo lupo mannaro! Buona sera, signor procuratore, o quasi. Che state facendo?

Pietro                               - (cupamente). Stupidaggini.

Teterev                            - Io... stavo suonando la preghiera dei moribondi, per l'uomo prematuramente morto.

Nilo                                 - (a Teterev). Dovrei chiederti un favore. (Sussur­ra all'orecchio di Teterev che annuisce col capo).

Maria Zvetaeva               - Signori, la prova! come è stata divertente e interessante

Elena                               - Signor procuratore, dovevate vedere con che te­nacia il sottotenente Bicov mi corteggiava!

Siskin                               - Il nostro caro Bicov, sacerdote della bellezza!

Pietro                               - Credete che possa causarmi un qualche inte­resse il fatto che vi corteggiano?

Elena                               - C'è qualche cosa che non vi va bene questa sera?

Maria Zvetaeva               - Pietro ha sempre qualcosa che non gli va bene.

Siskin                               - Non cambia mai.

Elena                               - Tu pure, Tatania, non cambi mai: triste come una notte autunnale!

Tatiana                             - Si, non c'è nulla di cambiato.

Elena                               - Invece, io non trovo parole che potrebbero esprimere la mia allegria! Sapreste dirmi, amici cari, perché sono sempre cosi allegra?

Nilo                                 - Non potrei rispondere, perché anche io sono sempre allegro.

Maria Zvetaeva               - Io pure.

Siskin                               - Io, invece, mai.

Tatiana                             - Non è il caso che ti dia questa posa!

Elena                               - Hai intenzione di fare dello spirito, mia cara Tatiana? Ma bene! Voi dunque, lupo mannaro, ditemi, per quale ragione sono sempre allegra?

Teterev                            - Oh, umana vanità!

Elena                               - Va bene, vi perdonerò l'insulto, purché mi fac­ciate una dichiarazione d'amore.

Nilo                                 - Che appetito! Mi piacerebbe proprio mangiare qualche cosa. Tanto più che devo andarmene im­mediatamente essendo di servizio stanotte.

Maria Zvetaeva               - E starete tutta la notte in piedi? Poverino!

Nilo                                 - Già. Per ventiquattro ore di seguito. Vado in cucina a supplicare Stefania che mi faccia da mangiare.

Tatiana                             - Glielo dico io. (Esce, seguita da Nilo).

Teterev                            - (rivolto a Elena). Scusatemi... è dunque un mio intrascurabile dovere farvi la corte?

Elena                               - Si, essere insolente. Si, uomo nero. Si, si.

Teterev                            - (indietreggia). Allora devo obbedire, dato che non mi riesce affatto difficile l'obbedienza. Sono stato l'amante di due fanciulle e di una signora sposata.

Elena                               - (avvicinandoglisi). Allora ?

Teterev                            - Allora, niente.

Elena                               - (sottovoce, indicando con gli occhi Pietro). Avete avuto un alterco? (Teterev sogghigna, e parla sottovoce a Elena).

Siskin                               - (rivolto a Pietro). Ascoltami, amico mio dol­cissimo, vorresti avere la bontà di prestarmi un rublo? Te lo restituirò fra tre giorni. Vedi: è che ho le scarpe rotte.

Pietro                               - Tieni, e rammenta che con questo sono sette.

Siskin                               - Non penserò ad altro.

Maria Zvetaeva               - , Perché non partecipate alla nostra recita, Pietro?

Pietro                               - Perché non so recitare.

Siskin                               - E che? Noi sappiamo?

Maria Zvetaeva               - Almeno, venite ad assistere alle prove. I nostri soldatini sono proprio interessanti. Ce n'è uno, Sirkov, divertentissimo, buono, un po' sciocco, sor­ride sempre, è impacciato e non capisce mai una sillaba.

Pietro                               - (guarda Elena con la coda dell'occhio). Vi dirò, che non riesco a comprendere che cosa vi sia d'interessante nelle persone che non capiscono niente.

Siskin                               - Ma tra noi soltanto Sirkov è un asino.

Pietro                               - Credo che di asini ve ne siano a bizzeffe.

Maria Zvetaeva               - Come potete affermare simili cose? Che diavolo avete stasera?

Teterev                            - (alzando la voce). Io non posso compatire...

Elena                               - Sst...

Pietro                               - Voi lo sapete, io non sono che un piccolo bor­ghese.

Siskin                               - Una ragione di più perché il tuo atteggiamento verso gli umili appaia incomprensibile.

Teterev                            - Di me non ha mai avuto compassione nessuno.

Elena                               - (sottovoce). Forse avete dimenticato che è neces­sario ricambiare il bene per il male.

Teterev                            - Io non ho nulla da rendere, né in vistose somme né in moneta spicciola. Ahi. Elena

Pietro                               - (intervenendo nella conversazione di Elena e Teterev). Io non riesco a capire la vostra benevolenza verso gli umili.

Maria Zvetaeva               - Nessuna benevolenza. Dividiamo con essi quel che abbiamo, ecco tutto.

Siskin                               - Non direi che sia esattamente cosi. In sostanza è che ci piace stare fra di loro, perché cosi ci è pos­sibile di respirare liberamente come nelle foreste dove l'aria è pura. Essi sono gente semplice e noi divoratori di libri sentiamo la necessità di ristorare i polmoni.

Pietro                               - (insiste con malcelata stizza). Vale a dire che vi piacciono le illusioni. Andate in cerca della com­pagnia dei soldati con lo scopo nascosto di ristorarvi. Vi ristorate insieme a gente del genere. Ma, fatemi il piacere! ...

Maria Zvetaeva               - Veramente non ricerchiamo la compagnia dei soli soldati. Sapete molto bene che le nostre recite...

Pietro                               - Certo, certo. Volevo dirvi soltanto che conferendo il nome di interessi vitali a questa sorta di agita­zione e di movimento, non fate che ingannare voi stessi. Voi siete persuasi? non vi pare? di giovare all'evoluzione del sentimento della personalità? Da­temi retta: codesta è un'autentica illusione. Do­mani interverrà fra i vostri soldati un ufficiale o un sergente e darà uno scappellotto a questa personalità, rompendole la testa e scacciando via tutto quel che siete riusciti a ficcarci dentro, ammesso che ci siate riusciti.

Maria Zvetaeva               - Tra le vostre parole e una doccia fredda c'è po­chissima differenza.

Siskin                               - (riflettendo). Si, non li ascolto per la prima volta simili discorsi, e ogni volta mi suonano sempre più sgradevoli. Un giorno, caro Pietro, voglio battermi con te su questo argomento, per farla finita per sempre.

Pietro                               - (con freddezza e indifferenza). Attendo con impa­zienza tale discussione benché ammetto che non mi riesca troppo gradita.

Elena                               - (grida). Ma insomma, che utilità c'è a prendere atteggiamenti del genere? Ma perché dovete cre­dere malvagi quei poveretti?

Pietro                               - Per originalità.

Maria Zvetaeva               - Non c'è dubbio che Pietro posi. A tutti gli uomi­ni piace una posa, quando si trovano di fronte a donne: uno fa lo scettico, l'altro il demoniaco... in definitiva poi, sono tutti dei bonaccioni.

Teterev                            - Breve, succinto e compendioso.

Maria Zvetaeva               - Dovrei forse farvi dei complimenti? No davvero. Potete aspettare un bel po'. Vi conosco, caro mio!

Teterev                            - Conoscete troppe cose, voi. Conoscete per caso anche il proverbio Bisogna ricambiare il bene per il male? No? Vi prego, ditemi: secondo voi il bene e il male sono due cose distinte?

Maria Zvetaeva               - Ecco in campo una delle vostre assurdità che si reggono su ruote cigolanti.

Siskin                               - Fatemi ascoltare, vi prego. Il tema è interessan­tissimo. Poi, io adoro ascoltare le parole di Teterev. Talvolta avviene che una briciola del suo spirito cada nel nostro cervello che continua a produrre pensieri vecchi quanto la terra, banali, consunti come...

Pietro                               - Ammiro la tua generosità nel riferire a noi tutti le tue tipiche qualità.

Siskin                               - Mio caro, è necessario essere sinceri a ogni costo, anche per le cose più insignificanti. Devo dirti con tutta franchezza che io non ho mai concepito un pensiero davvero originale, pur avendo desiderato ciò moltissimo.

Teterev                            - Non si riuscirà mai ad essere originali per pro­posito. Date retta a me.

Elena                               - Su dunque, carnefice, decidetevi a parlarci del bene e del male.

Siskin                               - Allora, amico mio, fate funzionare la macchina della vostra filosofia.

Teterev                            - (col gesto del conferenziere). Rispettabili bipedi! Considerato che mi dite che bisogna ricambiare il bene per il male, io vi dichiaro che sbagliate. Il male è una qualità che l'uomo possiede innata, per­ciò ha un valore scarsissimo. Il bene, al contrario, fu inventato dall'uomo che lo pagò a caro prezzo; di conseguenza lo si ritiene prezioso, come un og­getto raro di cui sia difficile trovarne esemplari. Ne risulta che il paragone fra bene e male è estre­mamente svantaggioso, a parte il fatto che è del tutto inutile. Io vi do il consiglio di ricambiare il bene per il bene, in misura uguale alla quantità che avete ricevuta; questo per non incrementare nell'animo umano il sentimento dell'usura. L'uomo è per natura avido e se una volta gli tocca di rice­vere più di quanto gli spetta, s'abituerà a preten­dere come un diritto ciò che gli fu dato solo per generosità. Altresì dovete stare attenti a non ricam­biare in misura minore a quella che dovete: infatti se trufferete una sola volta, nessuno poi vi darà più affidamento. Se continuerete a truffare, nessuno vi farà del bene: tutto quel che riceverete non sarà che elemosina. Fratelli, siate completamente scru­polosi nel ricambiare il bene che ricevete, perché al mondo non c'è nulla di più misero e ripugnante che l'elemosina. In quanto al male, invece, ripa­gatelo generosamente. Siate crudelmente larghi nel ricambiare al prossimo il male che vi ha causato, E se, chiestogli del pane, vi scaglierà un sasso, rove­sciategli addosso un'intera montagna. (Teterev, che aveva iniziato scherzando, assume gradatamente un tono sempre più serio e conclude il discorso con vio­lenza e convinzione. Terminato, prende a passeg­giare lentamente, assorto nei suoi pensieri. Segue un generale silenzio. Ognuno si sente in imbarazzo a causa delle parole ascoltate, sincere ma crudeli).

Elena                               - (sottovoce). Si direbbe che abbiate ricevuto molte amarezze da parte degli uomini. Sbaglio?

Teterev                            - (sogghignando). Almeno, potrò nutrire, per que­sto, la speranza che anch'essi possano soffrire a causa mia. Vi pare?

Nilo                                 - (entra con in mano una fetta di pane e una sco­della, preoccupato perché non cada il contenuto. Lo segue Tatiana). Questa si che è filosofia. Sen­tito, Tatiana, tu che hai il brutto vizio di filoso­fare su tutto? Piove? Questo si che è un tema per un dottore di filosofia. Ti duole il dito? Splendida oc­casione per filosofare. Il cibo puzza di fumo? Ma­gnifico! E quando osservo che alle inezie s'attac­cano argomenti seri, penso, pur non desiderandolo, che l'essere sapienti è una virtù perfettamente inutile.

Tatiana                             - Sei davvero volgare, Nilo(siede a tavola, e comincia a mangiare). Volgare? Forse ti annoi? prova a occuparti di qualcosa. Il lavoro non sempre annoia. Ti annoia restartene a casa? Ma vai, vai dunque in campagna, dove potrai fissare la tua residenza e insegnare; oppure vattene a Mosca a completare gli studi all'Università.

Elena                               - Ma certo, perfettamente d'accordo! Adesso, però, vogliate avere la bontà di dare addosso a costui. (Addita Teterev).

Nilo                                 - (dà a Teterev uno sguardo di sbieco). Ecco un uomo che vuole sembrare un eraclide!

Teterev                            - Ma puoi anche chiamarmi Swift, se non ti dà troppo fastidio...

Nilo                                 - Sarebbe troppo!

Pietro                               - Infatti, sarebbe troppo.

Teterev                            - Però, mi piacerebbe.

Maria Zvetaeva               - (rivolta a Nilo). Ingordo!

Nilo                                 - (guarda la scodella languidamente). Non preoc­cuparti per questo. Paolina è tornata? O meglio: dove è andata?

Tatiana                             - E' andata a teatro. Che volevi?

Nilo                                 - Proprio nulla. Era tanto per dire qualcosa.

Tatiana                             - Ti è indispensabile la sua presenza?

Nilo                                 - No del tutto, in questo momento; ma in gene­rale si. Be', sto scherzando, intendiamoci! (Sorri­dono tutti, eccetto Tatiana).

Tatiana                             - (insistendo). Perché, perché dunque ti è indi­spensabile? (Nilo continua a mangiare senza rispon­dere).

Elena                               - (volgendosi vivacemente a Tatiana). Ma non vedi che parla per scherzo?

Maria Zvetaeva               - Carina!

Siskin                               - Quando Nilo fa della morale, io me la spasso pazzamente ad ascoltarlo.

Pietro                               - Io invece a guardarlo quando mangia.

Nilo                                 - Infatti so fare molto bene l'una e l'altra cosa.

Elena                               - Be', non dici niente, Tatiana?

Tatiana                             - Non mi va di parlare.

Maria Zvetaeva               - Tatiana non ha mai voglia di far nulla.

Tatiana                             - Ma che cosa ne sai? Perché, non potrei anche avere una voglia matta di morire?

Elena                               - Uh, che freddo! Non mi piace parlare di morte!

Nilo                                 - (a bocca piena). Che cosa si può dire della morte, prima del momento in cui si muore?

Teterev                            - Lui si che è un vero filosofo.

Elena                               - Andiamo a casa mia. E' tardi, e certamente il sa­movar ci attende da un pezzo.

Siskin                               - Berrei proprio volentieri una bella tazza di tè in questo istante.

Elena                               - Come?

Siskin                               - (rivolto a Nilo). Devo confessarti, elle più ti guardo e più t'invidio.

Nilo                                 - Non invidiare, ormai ho mangiato tutto. Ho an­cora un'ora di libertà e voglio trascorrerla insieme a voi.

Tatiana                             - Sarebbe meglio che riposassi un po', prima d'ini­ziare il servizio.

Nilo                                 - No, non mi va.

Elena                               - Ci accompagnate, Pietro?

Pietro                               - Se non sono di troppo.

Elena                               - Anzi, vi autorizzo con piacere a seguirmi. Vor­reste offrirmi il braccio?

Maria Zvetaeva               - Mettiamoci in fila per due. Nilo, a me il vostro braccio.

Siskin                               - (a Tatiana). E il mio braccio è per te.

Teterev                            - Di solito si crede che nel mondo le donne siano più numerose degli uomini; nonostante ciò, pur essendo stato in molte città, in nessun luogo ho tro­vato una donna disponibile per me.

Elena                               - (ride e canta). Figli della patria...

Siskin                               - (spingendo Pietro). Svelto, muoviti, figlio della patria. (Escono facendo chiasso, cantano e ridono. La camera resta vuota per alcuni istanti. Entra Akulina Ivanovna; sbadiglia e spegne i lumi. Intanto si sente la voce senza alcuna inflessione del vec­chio che recita ì salmi. Akulina rientra in camera, al buio, urtando fra le sedie).

CALA IL SIPARIO

SECONDO ATTO

Autunno. Pomeriggio. Il vecchio Bezsemenov siede a tavola. Tatiana passeggia lenta, silenziosa per la stanza. Pietro, in piedi, guarda attraverso la finestra.

Bezsemenov                    - Vi sto parlando da oltre un'ora, figli miei; ma evidentemente la mia bocca non sa proferir parole atte a toccarvi il cuore... L'uno mi ascolta con la schiena, l'altra gironzola come una cornacchia sull'aia.

Tatiana                             - Adesso sono seduta. Contento? (Siede).

Pietro                               - (rivolto al padre). Dimmi chiaro e tondo che cosa desideri da noi.

Bezsemenov                    - Ecco, mi piacerebbe sapere a che specie di gente appartenete. Sapere a quale razza di uomini appar­tieni tu.

Pietro                               - Fa' che finisca gli studi e lo saprai.

Bezsemenov                    - Oh, ma guarda! gli studi, gli studi! Quali? Non prendermi in giro, per favore. E' un po' di tempo che hai preso l'abitudine di disprezzare tutto ciò che ti circonda; e agisci senza riflettere bene sulle cose. Le conseguenze di questo modo di vivere, d'al­tra parte, mi sembra parlino da sole e lascino ben prevedere il tuo avvenire. Sei stato espulso dalia Università, ingiustamente, d'accordo, come dici tu; con ragione, come dico io. Lo studente è un allievo, non un maestro della vita e se ogni giovanotto ventenne si desse le arie di maestro, addio disciplina! Il genere umano precipiterebbe nel caos, e sulla terra non ci sarebbe più posto per gli uomini seri. Vedi di farti un'istruzione, prima; vedi di diven­tare padrone della scienza in cui ti sei versato; poi, se lo desideri, potrai riflettere su ogni cosa e di­chiarare pubblicamente il tuo punto di vista. Fin­ché non sarai un uomo nel senso vero della parola, dovrai frenare in te le opinioni e lo spirito di parte. Voglio sperare che tu non prenda tutto quel che ti dico per malvagità. E' il cuore a suggerirmi sia pur la più piccola parola che ti rivolgo. Dammi retta, e tieni a mente che sei mio figlio, mio san­gue, e che non potrei essere proprio io a ingannarti. A Nilo, per esempio, non faccio di questi discorsi, benché confesso che mi sono occupato fin troppo Ji lui, considerato che è soltanto mio figlio adottivo. Nelle sue vene scorre il sangue di altri, e via via che passa il tempo sento che egli si fa sempre più estraneo al mio cuore. Intuisco che diverrà un fara­butto: un attore, magari, o un socialista. Le sue tendenze infatti sono ben chiare. Stia tranquillo, però, che gli sarà reso pan per focaccia.

Akulina Ivanovna            - (facendo capolino dalla porta, dice timidamente e con voce lamentevole). Babbo, non ti sembra che sia ora di mangiare?

Bezsemenov                    - (arcigno). Va', va'! Non seccarmi. (Akulina Ivanovna scompare immediatamente senza dire una, parola. Tatiana guarda il padre con aria di bia­simo e riprende a passeggiare per la stanza). Visto? Vostra madre non si dà pace un momento. Sta sem­pre a sorvegliarvi, e ha paura di continuo che io vi offenda. Credetemi, figli miei, io vi voglio bene, lo sapete. E’ che il maltrattato -  duramente mal­trattato -  sono io. Qui in casa mia no paura per­fino di far rumore quando cammino, come se il pa­vimento fosse ricoperto di vetri. Sono padrone e servo, messo da parte persino dagli amici più cari che mi hanno detto chiaro e tondo: « I tuoi figli sono troppo istruiti e non eviterebbero di disprez­zare noi altri, gente semplice ». Infatti più di una volta li avete sfacciatamente presi in giro, e io ho sentito avvamparmi per la vergogna. Mi hanno ab­bandonato, gli amici, sfuggendo come la peste i miei figli colti che, sia detto fra noi, non si curano di loro padre più di quanto si curino della polvere della strada. Perché non siete mai voi i primi a parlarmi? Parlarmi dei vostri propositi per l'av­venire! Io che vi amo tanto! Voi invece mi trat­tate come un estraneo. Ma lo sapete che cosa vuol dire, amare? Tu, Pietro, sei stato espulso dall'Uni­versità, e tu, Tatiana, rimani zitella. Sapete bene che ciò mi rattrista e mi fa vergognare di fronte alla società. Io vorrei vederti uomo, Pietro mio, e non studente; e Tatiana, donna sposata. Né si può dire che lei abbia niente di meno delle altre ragazze che si sposano. Per esempio, il fi­glio di Filippo Nazarov si è laureato e ha spo­sato una ragazza carina e con soldi; ha uno stipen­dio di duemila rubli all'anno e fra non molto sarà membro del Consiglio Municipale.

Pietro                               - Un po' di pazienza: poi sposerò anch'io.

Bezsemenov                    - Certo, certo: quanto a sposarti, saresti pronto pure domani. Ma ti sposeresti una donna senza cervello, una sfacciata e magari vedova.

Pietro                               - (con un sussulto). Perché dici queste cose?

Bezsemenov                    - Perché? In che ho sbagliato? Nel parlarti di una donna vedova o nel parlarti di una donna sfac­ciata?

Tatiana                             - Papà, per favore, finiscila! E tu, Pietro, se non puoi fare a meno di stare zitto, esci dalla stanza. Io non parlo più perché trovo che infine papà non ha tutti i torti. Ti prego di credermi, papà, io vedo l'assennatezza delle tue parole, ma non posso fare a meno di riconoscere che il tuo punto di vista è estraneo al nostro modo di pensare. La verità mia e di Pietro è un'altra. Su, non inquietarti. Ascol­tami. La nostra verità è differente dalla tua.

Bezsemenov                    - Sciocchezze. La verità è una sola e, nel caso par­ticolare, è quella mia. E la vostra quale sarebbe? Sentiamo. Dimostratemela.

Pietro                               - Ma non gridare, papà. Lo so anch'io che hai ra­gione e riconosco l'opportunità delle tue parole; tuttavia sostengo che codesta tua verità è ristretta per noi, e il volerla ossequiare sarebbe come se vo­lessimo indossare i nostri abiti da bambini. Il tuo modo di vivere, i tuoi punti di vista non sono adatti a noi.

Bezsemenov                    - Infatti! Voi... voi... Come spiegarmi? Voi siete persone colte e io sono un cretino.

Tatiana                             - Non abbiamo detto questo, papà.   

Bezsemenov                    - E invece è cosi. Voi ricevete visite tutto il giorno, e anche di notte fate un chiasso del diavolo... Tu, Pietro, vivi romanzetti sentimentali con la mia inquilina, proprio sotto i miei sguardi e tu, Tatiana, hai sempre il muso; e noi poveri vecchi ci ritiriamo in un cantuccio a farci compagnia reciproca.

Akulina Ivanovna            - (entra precipitosamente nella stanza piagnucolan­do). Figli miei... io... io... Marito mio... io non mi lamento mai, anche se sono in un cantuccio. Non aprirei bocca neanche se dovessi restarmene nella stalla. Allora, perché state a tormentarvi? Perché v'insultate? Miei cari.

Bezsemenov                    - Non l'hai capita che non servi a nulla per loro? No, noi non serviamo più a nulla, perché essi sono intelligenti e colti. Non siamo che estranei, per loro.

Tatiana                             - Che tortura! Che strazio!

Pietro                               - (pallido, quasi disperato). Ma non ti accorgi, papà, quanto è sciocco tutto ciò? Sciocchissimo. All'im­provviso, senza nessuna ragione...

Bezsemenov                    - All'improvviso? Menti pure, adesso! Non sai che è questa la pena che ho nel cuore da anni e anni?

Akulina Ivanovna            - Pietro, non rispondere. Smettila, Tatiana... Tigli miei, abbiate un po' di pietà per vostro padre.

Bezsemenov                    - Ma ciò è stupido, è idiota! Tutto quello che accade in casa mia è raccapricciante anzi, non stupido. Si vive tutti d'amore e d'accordo, e poi all'improvviso ti saltano fuori due verità... Siete dei barbari, dei barbari! ...

Tatiana                             - Vattene, Pietro! Cerca di calmarti, papà.

Bezsemenov                    - Figli snaturati che ci avete messi da parte, in un cantuccio, si può sapere quale è il motivo della vo­stra superbia? Ma che cosa avete fatto per credervi tanto superiori? Noi si, che abbiamo lavorato per tutta una vita! Noi abbiamo fatto costruire una casa per voi. Noi abbiamo peccato -  magari peccato molto! -  per voi.

Pietro                               - (gridando). E chi te l'ha fatto fare?

Akulina Ivanovna            - Pietro, per l'amor di Dio...

Tatiana                             - Va' via, Pietro. Io me ne vado perché non re­sisto più.

Bezsemenov                    - Scappate, eh? Sfuggite la verità come il diavolo sfugge l'incenso. La coscienza vi rimorde!

Nilo                                 - (spalanca la porta dell' anticamera, ma s'arresta sulla soglia. Torna dal lavoro e ha la faccia e le 'inani nere di fumo. Veste una giubba corta e unta, stretta alla cintola da un cordone di cuoio; ha stivali alti fino al ginocchio. Tende la mano). Chi ha venti copechi? Devo pagare il cocchiere. (La comparsa 08 improvvisa di Nilo e la voce calma, di lui fanno ces­sare d'un tratto il baccano. Tutti lo guardano silen­ziosi per qualche istante. Egli si rende conto su­bito di che cosa si tratta, e sorride dolcemente). Avete ancora litigato?

Bezsemenov                    - (grida brutalmente). Dove credi di essere, miscre­dente?

Nilo                                 - Dove?

Bezsemenov                    - Perché non ti togli il cappello? Il cappello!

Akulina Ivanovna            - Veramente, perché entri in quello stato? Sei cosi sporco! Potevi ripulirti, prima.

Nilo                                 - Ma su, me li date i venti copechi?

Pietro                               - (gli dà le monete, e dice sottovoce). Torna pre­sto...

Nilo                                 - (sorridendo). Al soccorso? Non sarà facile...

Bezsemenov                    - Il nostro galantuomo! Se ne viene sporco da far paura, senza il minimo rispetto.

Akulina Ivanovna            - (sul tono di voce di Bezsemenov). Ma dico io, che ragazzaccio! Tatiana, va', va' in cucina ad avver­tire Stefania per il pranzo. (Tatiana esce).

Bezsemenov                    - (con un sorriso amaro). E Pietro dove lo mande­rai? Come sei sciocca, vecchia mia, come sei scioc­ca! Diamine, non sono una bestia feroce io! Eppure lo sai che voglio loro bene e che ho paura per loro. Ho un dolore dentro di me che mi costringe a gridare. Sai che non sono cattivo, non c'è quindi ragione che tu li allontani sempre da me.

Akulina Ivanovna            - Lo so, lo so, tesoro mio, lo so; ma mi fanno-tanta pena quei ragazzi! Noi siamo vecchi, eh si, vecchi! Quanto potremo vivere ancora? Essi invece hanno tutta una vita innanzi a loro e avranno tutto il tempo per soffrire. Vedi di non rendere ancora più tormentosa la loro esistenza.

Pietro                               - Vedi, papà, tu t'inquieti proprio senza ragione. Tu immagini quello che magari non ci passa nean­che per la testa.

Bezsemenov                    - Temo, temo per voi. Corriamo brutti momenti, terribili... Il mondo -è in tumulto, e io ho paura che da un momento all'altro sopravvenga chi sa quale disastro! E a noi chi penserà quando saremo vecchi? Tu sei il nostro sostegno. Quanto a Nilo, non ti accorgi pure tu che testa fra le nuvole ha? E gli altri... Teterev... cerca di non frequentarlo. En­trambi non ci possono vedere.

Pietro                               - Be', per questo non ti preoccupare; non mi suc­cederà nulla. Era poco farò la domanda di riam­missione all'Università.

Akulina Ivanovna            - Si, al più presto, Pietro caro, falla al più presto. Cosi tuo padre si tranquillizzerà.

Bezsemenov                    - Vedi, figlio mio diletto, quando parli in codesto modo, mi riempi il cuore di fiducia; sento che ra­gioni e spero che potrai vivere non più infelice di me; ma, certe volte...

Pietro                               - Su, lasciamo andare. Smettiamola una buona vol­ta, augurandoci che questi odiosi bisticci non si ri­petano in casa nostra.

Akulina Ivanovna            - Miei cari!

Bezsemenov                    - Ma Tatiana... Mi sai dire che cosa ci fa con quella sua scuola? Non capisco! Non sa che strapazzarsi ed esaurirsi.

Pietro                               - Si, dovrebbe riposare un po'.

Akulina Ivanovna            - Proprio cosi!

Nilo                                 - E’ alle prese con una locomotiva decrepita che casca da tutte le parti. Si, sono stanco, non ho più tanto cosi di forza. Mi sarebbe piaciuto farlo fare al no­stro signor capo della trazione, un viaggio cosi!

Bezsemenov                    - Il solito indisciplinato! Troppo presto per par­lare, in codesto tono, dei superiori. Purché non perdano la pazienza e...

Nilo                                 - I superiori non la perdono mai la pazienza.

Akulina Ivanovna            - Non sarebbe meglio che ti limitassi a parlare di Nilo Bezsemenov

Nilo                                 - Di te stesso? Proprio, di te. Ah ah

Bezsemenov                    - Invece di ridere faresti meglio a seguire i consigli, ad ascoltare. (rientra, ha una camiciola celeste ed è ancora su­dicio). Si mangia? (Pietro esce verso l’anticamera).

Bezsemenov                    - Potresti lavarti la faccia, prima di chiedere da mangiare.

Nilo                                 - Oh, questo ci vuol poco a farlo! Ma, per vendetta, dichiaro che ho una fame spaventosa. Per venti­quattro ore di seguito ho patito pioggia, gelo, vento, Nilo Ascolto.

Bezsemenov                    - E' da un pezzo a questa parte che ti credi un tipo interessante.

Nilo                                 - Da molto tempo?

Bezsemenov                    - E non parlarmi in tale linguaggio.

Nilo                                 - E' l'unico che conosco. (Mostra la lingua). E lo parlo con tutti.

Akulina Ivanovna            - (batte le mani in segno di ammonimento). Sfac­ciato, a chi osi fare le boccacce?

Bezsemenov                    - Sta' zitta, mamma, zitta. (Akulina Ivanovna esce scuotendo la testa).

Bezsemenov                    - Mi piacerebbe ragionare un po' con te; con l'in­telligentone.

Nilo                                 - Si, ma dopo pranzo.

Bezsemenov                    - , Subito.

Nilo                                 - Oh, per favore, riparliamone dopo pranzo! Ho fame, sono stanco... Non potreste farmi il piacere di rimandare a più tardi la discussione? E, poi, che cosa potreste dirmi più che insulti, insulti e insulti? Credetemi, mi annoia tanto bisticciare con voi. Non sarebbe meglio che mi diceste in due parole che non potete soffrirmi e che...

Bezsemenov                    - Va' all'inferno! (Esce sbattendo con fracasso la porta).;

Nilo                                 - (borbotta). Senza dubbio il diavolo è una persona migliore di te. (Si mette a passeggiare nervosamente per la stanza. Entra Tatiana).

Nilo                                 - Ancora nuove battaglie?

Tatiana                             - E come! Avessi visto!

Nilo                                 - Immagino perfettamente. Be', avete recitato una scena drammatica dell'interminabile commedia Né su né giù.

Tatiana                             - Come è facile dare giudizi standosene in disparte!

Nilo                                 - Me ne sto in disparte per lasciare che passi questa ondata ossessionante; poi me ne allontanerò per sempre. Quanto prima chiederò un altro genere di lavoro: o al deposito, o all'officina. Sono stanco di manovrare treni-merce nella notte, né la cosa cam-bierebbe se fossero treni-passeggeri. Per esempio, il diretto non ti permette di respirare, con la sua corsa a tutto vapore. No no, a me piace di più vivere nel mondo.

Tatiana                             - Ma se cerchi di sfuggirci!...

Nilo                                 - Scusami la sincerità: Come sarebbe possibile che non vi sfuggissi? A me piace vivere rumorosamente, mi piace il lavoro, la gente semplice e allegra. Voi, avete questi requisiti? Voi non fate che piagnuco­lare e lamentarvi di tutto. Perché vi lamentate? Con chi ve la prendete? Non riesco a capire.

Tatiana                             - Non capisci?

Nilo                                 - Assolutamente nulla. Quando un uomo sdraiato su un lato si sente stanco, si posa sull'altro lato. Ma quando la vita non lo soddisfa o non gli sembra adatta per lui non sa fare altro che lamentarsi. Per­ché non provi invece a volgerti dall'altro lato?

Tatiana                             - Un filosofo diceva che soltanto agli stupidi è pos­sibile vivere felici.

Nilo                                 - I filosofi sulla sciocchezza sanno tutto. Quanto a me, che non mi giudico un intellettuale, trovo che la vostra compagnia è assolutamente noiosa e insop­portabile. Non sapete fare che lamentarvi di tutto e di tutti. Ma perché? Da chi sperate aiuto? Nes­suno vi aiuterà, mettetevelo in testa... E poi... per­ché dovrebbero aiutarvi? Ne vale la pena?

Tatiana                             - Come sei aspro, Nilo!

Nilo                                 - Ma no! Sono aspro?

Tatiana                             - E crudele. Non hai per caso appreso a essere cru­dele da Teterev, che non si sa di preciso per quale ragione odia tutto il genere umano?

Nilo                                 - Non esattamente tutto... (sorride). Dimmi, non trovi che Teterev somigli in un certo modo alla scure?

Tatiana                             - Alla scure? Che scure?

Nilo                                 - Quella comune, di ferro, con il manico di legno.

Tatiana                             - Che spirito! Smettila! Sai, a me piace la conver­sazione con te. Hai la virtù di avvincere, quando discorri; però non sei cauto.

Nilo                                 - In che senso?

Tatiana                             - Non sei cauto con le persone che avvicini. Con me stessa, per fare un esempio.

Nilo                                 - Be', non posso stare attento a tutti.

Tatiana                             - Ma io mi riferivo a me, adesso.

Nilo                                 - Be', non posso stare sempre attento neanche a te. (Pausa. Nilo osserva i suoi stivali. Anche Tatiana li osserva, in attesa che egli riprenda la conversa­zione). Non che io... Si, insomma, ti stimo, molto, e... ti amo, anche... Pertanto, mi dispiace non poco che tu debba fare la maestra. Il troppo lavoro ti esaurisce: la professione di maestra, d'altra parte, richiede moltissimo lavoro e moltissima pazienza. I bimbi sono gli uomini futuri: per questo li si deve amare, li si deve stimare; essi hanno bisogno di un completo sacrificio da parte di chi s'incarica di far loro da guida. La maestra si trova, per cosi dire, di fronte a un blocco di ferro grezzo incandescente, vivido, che vuole essere malleato nella forma adatta. Bisognerà che la maestra picchi col martello sul blocco di ferro; e le scintille sprizzeranno pioven­dole addosso quasi vogliano bruciarle gli occhi o respingerla lontano. Ma la maestra deve continuare a battere, giulivamente, e sempre con maggiore energia, fino a foggiare a suo gusto il ferro informe dell'infanzia.

Tatiana                             - E' necessaria molta forza per fare tutto questo.

Nilo                                 - E anche l'opportuna capacità.

Tatiana                             - Io vorrei sapere, Nilo, come mai tu non ti la­menti...

Elena                               - (entra). Già mangiato? Non ancora? Perché non venite su da me? Davvero: ho uno squisito dolce, delizioso. Ma dov'è il procuratore?...

Nilo                                 - (va incontro a Elena). Ma io vi seguirò con gran­dissimo piacere! Il dolce, tanto per parlarci chiaro, me lo mangerò tutto io; infatti sto morendo dalla fame, e il fatto di poter mangiare prima degli altri rimane un irraggiungibile sogno, per me. Chi sa perché non mi possono vedere in questa casa, un po' tutti.

Elena                               - Credo d'intuirla la ragione: la vostra lingua. Al­lora andiamo, Tatiana?

Tatiana                             - Vado ad avvertire mamma, e venero subito.

Nilo                                 - Da chi avete saputo che ho fatto le boccacce a papà?

Elena                               - Che cosa? Io non ne so proprio nulla. Che è avvenuto?

Nilo                                 - Oh, nulla! Parliamo invece del buon dolce che sto pregustando.

Elena                               - Eppure riuscirò a sapere, state tranquillo. Quanto al dolce, vi dirò che m'insegnò a prepararlo un con­dannato ai lavori forzati che mio marito prese in casa perché mi aiutasse nella cucina. Faceva tanta pena, poverino. Pelle e ossa.

Nilo                                 - Vostro marito?

Elena                               - Ma signore! Mio marito era alto due metri e due centimetri!

Nilo                                 - Che cara cosina!

Elena                               - E smettetela dunque, buffone! Mio marito aveva due baffi lunghi cosi. (Indica, con le mani la lun­ghezza dei baffi). Ogni baffo quindici centimetri.

Nilo                                 - Ma guarda! Non avevo mai sentito parlare di un uomo le cui virtù si misurino a centimetri di bario.

Elena                               - Ahimé! Egli non aveva altra qualità che i baffi!

Nilo                                 - Tristissimo! Ma, vi prego, parlatemi ancora del dolce.  

Elena                               - Quel detenuto era un bravissimo cuoco. L'avevano messo in prigione perché aveva ucciso la moglie. Ma era un uomo simpaticissimo... Diceva di averla uccisa cosi... senza una ragione precisa...

Nilo                                 - E si, capisco. Parliamo d'altro.

Elena                               - Ma lasciatemi stare! Io non voglio più parlare con voi. (Tatiana torna, si ferma sulla soglia guardando i due. Pietro anche entra, dall'altra 'porta). Procu­ratore, volete accomodarvi in casa mia a mangiare il dolce?

Pietro                               - Molto volentieri.

Nilo                                 - Oggi papà l'ha rimproverato perché non è stato abbastanza rispettoso.

Pietro                               - Finiscila!

Nilo                                 - E francamente mi sorprende moltissimo che ardi­sca venire in casa vostra senza chiedere prima il permesso.

Pietro                               - (guarda la porta della camera dei vecchi. E' sulle spine). Su, se dobbiamo andare sbrighiamoci.

Tatiana                             - Cominciate ad andare. Io venero subito. (Nilo, Pietro e Elena escono. Dalla camera si sente la voce di Akulina Ivanovna).

Akulina Ivanovna            - Tatiana!

Tatiana                             - (sì ferma e scuote le spalle spazientita). Che cosa vuoi?

Akulina Ivanovna            - (comparendo sulla soglia). Vieni un po'. (Quasi sottovoce). Di', è andato anche Pietro a casa di quella...

Tatiana                             - Si, anche Pietro. E adesso ci vado pure io.

Akulina Ivanovna            - Oh, che guaio! Che dannato guaio ci capita. La furba matricolata saprà come accalappiarlo! Di­glielo, almeno tu, a Pietro: « Fratello mio, sta' attento ai casi tuoi, cerca di capirla che una donna di quel tipo non può andare d'accordo con te... ». Diglielo! Fammi un piacere, diglielo... Quanto a soldi, lei non ha che tremila rubli oltre alla pen­sione del marito...

Tatiana                             - Ma smettila, mamma. Elena se ne infischia di Pietro.

Akulina Ivanovna            - Ma io non dico che tu devi parlargli adesso. Ades­so riposati, invece, va' a letto, dormi un po'.

Tatiana                             - (spazientita). Ma che riposare! Io sono stanca de­finitivamente... per tutta la mia vita. Stanca di voi... di voi... (Esce a veloci passi nervosi dalla porta, dell' anticamera. La 'madre le corre dietro come per fermarla; ma non riuscendole, resta a bocca-aperta)

Bezsemenov                    - (fa' capolino). Si litiga di nuovo?

Akulina Ivanovna            - (di soprassalto). Niente, niente. Non è stato niente

Bezsemenov                    - Proprio niente? Come sarebbe a dire? Ti ha mancato di rispetto?

Akulina Ivanovna            - (in fretta). Ti ho detto: nulla... nulla. Che vuoi, adesso? Le ho detto soltanto: « E' ora di pranzo ». E lei: « Non ho voglia ». E io: «Perché non vuoi? Come sarebbe? ». E lei...

Bezsemenov                    - Ma tu mi stai prendendo in giro,-mamma.

Akulina Ivanovna            - Ma neanche per sogno.

Bezsemenov                    - E dire che per loro devi anche dirmi bugie. Guar­dami negli occhi. Ah, hai visto? Non sei capace. Non puoi. Eh, si, vecchia mia! (Akulina Ivanovna tace, con il capo chino innanzi a Bezsemenov che tace anche e si carezza intento la barba). Non ab­biamo proprio nessuna ragione d'inorgoglirci per averne fatto dei giovani colti.

Akulina Ivanovna            - (con dolcezza). No, babbo, ti prego, no. Vedi, ai giorni nostri la gente alla buona non vale gran che. Non è più come una volta...

Bezsemenov                    - Bisognerebbe non dare mai pili di quello che si ha ai figli. Non bisognerebbe istruirli più dei ge­nitori. Sai da che proviene la mia pena? Dal fatto che non riesco a scoprire un vero carattere in loro. Niente... Come spiegarmi... Niente forza. Ogni uomo, infatti, dovrebbe avere qualcosa di suo, nel suo intimo. Qualche cosa di proprio, che sia suo soltanto. Ma i nostri figli, nulla di tutto ciò. Man­cano di carattere, ecco. Nilo è uno sfrontato, mal­vagio; però ha un carattere. Un uomo che può farsi temere. Guarda me! Quando ero giovane c'era qualcosa che amavo: cantare in chiesa, girare per il bosco a cogliere i funghi. Ma Pietro che cosa ha amato. Che cosa ama?

Akulina Ivanovna            - (timida, sospirando). Sta dall'inquilina, adesso.

Bezsemenov                    - Che? Dall'inquilina? Adesso, adesso ti faccio ve­dere, io... io... l'acchiappo... (Entra Teterev, mezza cadente dal sonno. Ha con sé una bottiglia di acquavite e un bicchierino). Teterev, ricominci con l'acquavite?

Teterev                            - Ieri... durante il servizio notturno.

Bezsemenov                    - E per quale circostanza?

Teterev                            - Nessuna. Nessuna circostanza. Cosi... Si mangia?

Akulina Ivanovna            - Sto preparando. (Comincia ad apparecchiare la tavola).

Bezsemenov                    - Vedi, tu, Teterev, sei pieno d'intelligenza, ed ecco che ti stai rovinando con l'acquavite.

Teterev                            - Tu non dici il vero, o rispettabile borghese! Non si tratta di acquavite. E' la mia forza a portarmi alla rovina, l'eccesso di forza, ecco!

Bezsemenov                    - Eh? Come sarebbe a dire? Di forza non ce n'è mai abbastanza.

Teterev                            - Continui a non dire il vero. Ai giorni nostri, non è necessaria la forza. Occorre solo la furberia, la astuzia e la pieghevolezza delle serpi. (Si rimbocca la manica mostrando il polso). Vedi? Se do un pu­gno sulla tavola, la riduco in frantumi. Ma nella vita non servono a nessuno mani simili. Posso spez­zare un pezzo di legno; però mi è difficile, assai difficile scrivere; e se ci provassi sarei buffo. La mia forza non posso applicarla. Potrei sfruttarla per un giorno, forse, in una baracca a una fiera, spez­zando una catena di ferro, sollevando grossi pesi, eccetera eccetera... Ma io ho studiato. E non con cattivo profitto. Per questo fui espulso dal Semi­nario. Ho studiato, io, e non voglio dar spettacolo. Io non voglio che tu, venendo alla fiera, ti diverta per un po' di tempo a guardarmi con tutta tran­quillità. Voglio essere guardato con un certo timore.

Bezsemenov                    - Sei un malvagio.

Teterev                            - Come si vede che non sai nulla di zoologia! Le bestie con una forza pari alla mia non sono mal­vagie. Malvagia è la natura. Se alla mia forza, in­fatti, si unisse la malvagità, dove potresti scap­pare?

Bezsemenov                    - Non ho bisogno di scappare. Io sono in casa mia.

Akulina Ivanovna            - Ma finiscila, basta, babbo!

Teterev                            - Giustissimo! Sei incasa tua. Ma tutta la vita è come la tua casa. Per questo non saprei dove vi­vere; per questo nel mondo non c'è posto per me, o borghese!

Bezsemenov                    - Quale tua vita? Niente affatto. La tua vita non ha motivo di essere. Se tu volessi, invece...   

Teterev                            - La volontà non fa per me. Non mi piace volere... Mi pare che sia più generoso ubbriacarmi, e rovi­narmi, piuttosto che vivere crepando, su quel la­voro, per te e per i tuoi pari. Mi hai mai visto, o borghese, non ubbriaco, vestito elegantemente, parlare la lingua degli schiavi, dei tuoi servi? Ah, no, non riuscirai a vedermi (Paolina entra; ma visto Teterev fa un passo indietro. Teterev) scuote il capo, sorride e le tende la mano). Buon giorno, non temete, non dirò più nulla. Infatti so tutto.

Paolina                             - (impacciata). Che? Che cosa sapete?

Akulina Ivanovna            - Ah, sei qui! Allora, di' a Stefania di portare la minestra in tavola.

Bezsemenov                    - Sarebbe ora. (Rivolto a Teterev). Ti dirò che mi piace sentirti parlare, su ogni cosa; specie quando parli su te stesso. Hai un aspetto fiero; ma quando cominci a parlare s'intuisce subito la tua debolezza. (Ride soddisfatto).

Teterev                            - E tu pure mi piaci. Sei intelligente e stupido, nello stesso tempo. E parimenti sei buono e cat­tivo, ora onesto, ora disonesto. Talvolta un cial­trone, talaltra sei energico. Per farla breve: il bor­ghese perfetto. Sei l'ideale della banalità, quella forza che abbatte anche gii eroi, trionfa sempre. Ma potremmo prendere un bicchierino prima della minestra, rispettabile talpa?

Bezsemenov                    - Lo prenderemo appena sarà pronto in tavola. In­tanto, potresti dirmi perché insulti senza motivo le persone. Ti par giusto insultare solo per diverti­mento? Bisogna discutere con calma, con discipli­na, cosi da interessare gli interlocutori. Ma se dici soltanto insulti, non ti ascolterà più nessuno, o chi ti ascolta non può essere che un cretino.

Nilo                                 - (entrando). C'è Paolina?

Teterev                            - (sorridendo). Si, c'è,

Akulina Ivanovna            - Perché, che volevi?

Nilo                                 - (rivolto a Teterev). Ancora ubbriaco? Non ti sem­bra che sia troppo presto, amico?

Teterev                            - Meglio bere acquavite che sangue umano. Tanto più pensando che il sangue, degli uomini d'oggi è fiacco, sgradevole. Di sangue puro, del sangue del Salvatore ne è rimasto assai poco, perché fu suc­chiato... (Entrano Stefania e Paolina-, rispettiva­mente con la zuppiera e un piatto con la carne).

Nilo                                 - (avvicinandosi a Paolina). Buon giorno. Puoi darmi subito la risposta?

Paolina                             - (quasi sottovoce). Non davvero adesso, dinanzi a tutti.

Nilo                                 - Perché? Che cosa abbiamo da temere?

Bezsemenov                    - Chi è che dovrebbe temere?

Nilo                                 - Io e lei.

Akulina Ivanovna            - Riuscissi a capirci qualcosa.

Teterev                            - (ridendo). Ma io capisco. (Si empie un bicchiere di acquavite e lo beve).

Bezsemenov                    - Ma di che state parlando? Che c'è, Paolina?

Paolina                             - (impacciata a voce bassa). Niente...

Nilo                                 - (sedendo a tavola). Un segreto: un mistero!

Bezsemenov                    - Se si tratta di un segreto, allora mettetevi da parte e parlate a vostro agio; non in presenza di tutti. Ma a me sembra che vogliate prenderci in giro e che, fatti i conti, non ci resti che andarcene via da questa casa. Non vedo che segni d'intesa. Parole a metà, reticenze, e quando vi guardo spa­lancando gli occhi, ci faccio la figura del cretino. Dimmi un po', Nilo, io chi sono per te?

Akulina Ivanovna            - Veramente Nilo….

Nilo                                 - Chi siete? Mio padre adottivo. Ma perché volete dare inizio a una chiacchierata non troppo a propo­sito? Non mi sembra sia accaduto niente di strano.

Paolina                             - (alzandosi improvvisamente). Nilo mi ha fatto... ieri sera mi ha detto... ha chiesto...

Bezsemenov                    - Dunque, avanti! Che cosa?

Nilo                                 - (tranquillo). Ma non la fate spaventare. Le ho chiesto solo se voleva sposarmi. (Bezsemenov guarda meravigliato ora Nilo ora Paolina e rimane nell’atto di 'portarsi il cucchiaio alla bocca. Akulina Ivanovna rimane come 'paralizzata sulla sedia. Teterev fissa lo sguardo nel vuoto innanzi a sé e batte peno­samente le labbra; il pugno sinistro poggiato sul ginocchio è scosso da un tremito nervoso. Paolina ha il capo chino).

Nilo                                 - (continuando). Lei mi ha detto che oggi mi avreb­be dato una risposta. E' tutto qui.

Teterev                            - (agita la mano). Tanto semplice! Nulla di più semplice!

Bezsemenov                    - (con amarezza). Semplicissimo, infatti. Oggi si usa cosi. Che c'è da meravigliarsi?

Akulina Ivanovna            - (a Nilo). Miscredente, testa matta. Non sapevi che il tuo dovere era di rivolgerti innanzi tutto a noi?

Nilo                                 - (con disappunto). Cosi andava tutto a rotoli.

Bezsemenov                    - Sta' zitta, Akulina. Questi fatti non devono ri­guardarci. Mangia, e zitta. Vedi come faccio io? Mangio e non dico più una parola.

Teterev                            - (scaldandosi). E io invece voglio parlare! Se non fosse che, pensandoci, stimo più opportuno atten­dere gli eventi tacendo.

Bezsemenov                    - Certo, meglio stare zitti. Tuttavia desidero dirti, Nilo, che non mi sembra troppo generoso ricambiare in maniera cosi poco giusta chi ti allevò con il suo denaro. Tu sei uno scaltro, un gran furbo.

Nilo                                 - Il vostro denaro ve lo restituisco oggi con il mio lavoro e continuerò a pagarvi nell'avvenire. Ma non posso sottomettermi alla vostra volontà. Vi dichiaro, perché lo sappiate bene, che ciò non mi sarà mai possibile. Lo so che voi desideravate che sposassi quella sciocca ragazza di Sedov che ha una dote di diecimila rubli. Ma che cosa ne avrei fatto? Amo da molto tempo Paolina, né ve ne ho fatto mai un segreto. Sono certo che sposandola sarò felice. Mi è sempre piaciuto vivere lealmente, e continuerò cosi. Di conseguenza nessuno ha diritto di rimpro­verarmi.

Bezsemenov                    - (facendo sforzo su stesso). Bene, bene, come vuoi tu. Sposatevi, niente di male. Nessuno vi ostacola. Permettetemi solo una domanda: chi ve lo darà il denaro necessario per vivere?

Nilo                                 - Il mio lavoro. Fra poco sarò promosso impie­gato, al Deposito; e a voi darò trenta rubli al mese.

Bezsemenov                    - A promettere non. ci vuol nulla. Staremo a vedere.

Nilo                                 - Vi farò una dichiarazione scritta.

Teterev                            - Non lasciarti sfuggire l'occasione, o borghese, fa­gliela firmare subito.

Bezsemenov                    - Sei pregato di occuparti soltanto dei fatti tuoi.

Akulina Ivanovna            - Quanti consiglieri!

Teterev                            - Ma no, ti dico dì fargliela firmare! Se non adesso, non gliela farai firmare più. In quanto è noto che non sei un uomo di carattere. Nilo, fagli la dichia­razione; ecco, scrivi cosi: « Mi obbligo a dare ogni mese... ».

Bezsemenov                    - Non ci sarebbe proprio niente di male se la accet­tassi. Mi sembra di averne il diritto. Nilo è stato allevato, sfamato, vestito, calzato da me, da quando aveva dieci anni fino ad ora che ne ha ventisette.

Nilo                                 - Azzarderei di proporvi di rimandare questi conti a più tardi.

Bezsemenov                    - E va bene. (Infuriandosi). Mettiti in testa, però, che da oggi saremo nemici, perché so che non riu­scirò a perdonarti l'offesa che mi hai fatto. Metti­telo in testa.

Nilo                                 - Quale offesa? Dov'è l'offesa? Forse perché desi­deravate che sposassi voi?

Bezsemenov                    - (non gli dà ascolto). Ricordati che prenderti gioco di chi ti ha dato da mangiare e da bere, non chie­dergli un consiglio, non metterlo a parte... Quanto a te, la soave fanciulla, l'umile ancella, abbassi la testa, eh? Non dici niente? Non lo sai che se vo­lessi...

Nilo                                 - (alzandosi). Non potreste far nulla. E smettetela di gridare. Anch'io sono il padrone, qui. Lavoro da quando avevo dieci anni e do il mio guadagno. (Pesta il pavimento col piede, facendo un largo gesto intorno). E non ho dato poco, perché il lavoro mi rende parecchio. Padrone è chi lavora. (Paolina si alza ed esce. Vicino alla porta incontra Pietro e Tatiana. Pietro, dato uno sguardo nella stanza, subito si ritira. Tatiana, sulla soglia, sì appoggia allo stipite).

Bezsemenov                    - (sbalordito, spalancando gli occhi). Che dici? Tu il padrone...

Akulina Ivanovna            - Su, babbo, andiamo! Andiamo, ti prego! (Fa a Nilo un gesto di minaccia col dito). Va bene, Nilo. Vedrai, vedrai quello che succederà. (Con le la­crime agli occhi). Vedrai...

Nilo                                 - (insistendo). Si, padrone è chi lavora. Proprio cosi.

Akulina Ivanovna            - (tirandosi dietro il marito). Vieni, vecchio mio! Vieni! Lasciamoli stare! Non gridare, non gridare: chi vuoi che ci ascolti?

Bezsemenov                    - (cedendo alla moglie). Va bene, rimani, rimani, signor padrone! La vedremo chi è il padrone; si, la vedremo. (Si rinchiude nella sua camera. Nilo, eccitato, passeggia per la stanza. Dalla via si ode il suono di un pianino).

Nilo                                 - Eccone un'altra! E' stato il demonio a tirarmi la lingua. Cretino che sono! Non so tenermi niente in gola e tutto mi va male.

Teterev                            - (a Nilo). Niente, niente! Scena interessantissima, credimi. Solo, bada a non inquietarti troppo, amico mio. Hai una certa tendenza al teatro, specie per la parte di eroe. E in questo momento ci vuole un eroe. Davvero. Siamo nell'epoca degli imbecilli che devono vestirsi da eroi e degli intelligenti che de­vono vestirsi da mascalzoni.

Nilo                                 - Non so perché io abbia dovuto fare inghiottire a Paolina una villania simile. E si è impaurita... o meglio, no: non è paurosa. Si è sentita offesa. (Ta­tiana, ancora appoggiata allo stipite della porta, al nome di Paolina ha un sussulto).

Teterev                            - Trovo che sia veramente opportuno dividere il genere umano in due categorie: i cretini e i ma­scalzoni. I mascalzoni sono i più; vivono come i barbari e non credono che alla legge della forza. Ma non si tratta di quella forza che è nei miei mu­scoli; ma della forza dell'astuzia. L'astuzia è la forza del barbaro.

Nilo                                 - (fra sé). Adesso bisognerà fare il matrimonio al pili presto. Va bene, lo faremo quanto prima. Ella non mi ha ancora dato una risposta, ma io la cono­sco la sua risposta. Ho un odio mortale per questa casa, per quell'uomo, per tutta questa esistenza sta­gnante. Non ci sono che mostri a circondarmi. Vo­tati con perfetta consapevolezza a una perenne clau­sura, a un bagno... Come si può giungere a questo? Io non riesco a capirlo. Detesto gli uomini che gua­stano il senso della vita. (Tatiana avanza di un pas­so, ma poi si ferma e, silenziosa, si dirige vicino la cassaforte e si siede nell'angolo, curva, rimpiccio­lita).

Teterev                            - E che, non lo sai che sono gl'imbecilli a ostaco­lare la via? Per fortuna di imbecilli non ce ne sono troppi. Essi cercano sempre quello di cui nes­suno ha bisogno. Amano architettare prospettive per il comune benessere, e frottole del genere. Vor­rebbero fissare il principio e la fine di ogni cosa esistente e, nella maggioranza dei casi, fanno un sacco di stupidaggini.

Nilo                                 - (perplesso). Stupidaggini, si... Io sto per essere capo di famiglia. Ebbene, ella è più pratica di me in casa, ama la vita come me, ma di un amore cauto e cheto. Sono convinto che vivremo assai bene; entrambi siamo tranquilli e buoni e riusci­remo a ottenere tutto ciò che ci va. Ma certo ella è una ragazza... (Ride). Vivremo davvero molto bene insieme.

Teterev                            - Un cretino spende tutti gli anni della sua vita a cercare la causa per cui il vetro è trasparente; un mascalzone, invece, prende il vetro e ci fa una bottiglia. (Il pianino ha ripreso a suonare; e il suono ora si sente vicinissimo).

Nilo                                 - E tu che stai facendo? Sei stato sempre a par­lare delle bottiglie?

Teterev                            - Ho, degl'imbecilli. Si domanda, il cretino: « Co­me si provoca il fuoco? », quando il fuoco non è an­cora acceso; e quando si è spento si domanda: e Co­me avviene che si spegne? ». Il mascalzone siede accanto al fuoco e si scalda.

Nilo                                 - (perplesso). Si scalda!

Teterev                            - In fondo sono stupidi entrambi. Ma l'uno è stu­pido in una maniera eroica; l'altro in un modo sciocco, da accattone. Entrambi - : sia pure per vie diverse -  arrivano alla stessa meta che è la tomba. Nient'altro che la tomba, amico mio. (Sghignazza fragorosamente. Tatiana scuote tenuemente il capo).

Nilo                                 - (rivolto a Teterev). Che ti prende?

Teterev                            - Rido! I cretini che rimangono in vita guardano il cretino morto e si domandano: « Dove è andato a finire? ». I mascalzoni rimasti in vita succhiano l'eredità del morto e vivono comodamente al caldo, con agi. (Ride).

Nilo                                 - Sei ubbriaco, amico mio. Di', perché non te ne vai in camera tua?

Teterev                            - Sai spiegarmi tutto questo?

Nilo                                 - Stai dicendo delle stupidaggini. Vuoi che ti ac­compagni in camera?

Teterev                            - Sta' tranquillo, non sarai tu a condurmici. Non sono l'imputato, e neppure la vittima, bensì il corpo del reato. La vita è guasta? Si vede che non la si conosce bene; si vede che non si sa che non è adatta per la gente per bene. E' stata rimpicciolita dai borghesi, spezzata, immiserita: fatto che si dimo­stra qualora tu pensi che l'uomo non ha né dove né come vivere, né ha un motivo per vivere.

Nilo                                 - camera tua. Va bene. Adesso vattene in

Teterev                            - Ma io voglio parlare. Forse, tu credi che io possa perdermi? Il fatto è che io, caro mio, mi sono già perduto da molto tempo. Una volta pensai di risor­gere; ma passasti tu, non ti accorgesti di me e mi desti un urtone che mi fece tornare a rotolare in terra. Niente di male: tutto passa! Passa! lo non mi lamento di nulla: lo scopo che ti sei fissato ò giusto e onesto. Io, in qualità di uomo rovinato, ti accompagno cosi come posso con uno sguardo di ap­provazione. Va'...

Nilo                                 - Che vogliono significare codeste chiacchiere? Mi sembra che dici cose interessanti, ma non riesco a capirle.

Teterev                            - Non importa che non le capisca. Meglio cosi. D'al­tra parte sarebbe inutile. Vai, vai...

Nilo                                 - Sta bene, obbedisco. Arrivederci. (Se ne va attra­verso la porta dell'anticamera e non si accorge di Tatiana rannicchiata nel cantuccio).

Teterev                            - Sii felice, o ladro! Senza saperlo hai rubato la mia ultima speranza e... al diavolo ogni cosa! (Si alza e va a riempirsi un bicchiere di acquavite. Scorge Tatiana nella penombra). Tanto per parlare pulito, si può sapere chi c'è là?

Tatiana                             - (quietamente). Io. (Il pianino cessa improvvisa­mente di suonare).

Teterev                            - Voi? Ah! Credevo, mi sembrava...

Tatiana                             - No, sono io.

Teterev                            - Si. Ma perché state qui?

Tatiana                             - (con voce squillante, scandendo esattamente le pa­role). Perché non ho dove né come vivere, né ho alcun motivo di vivere. (Teterev le si avvicina con dolcezza, silenzioso). Non capisco: sono costante­mente stanca, avvilita dal dolore, un dolore sempre più opprimente. Ho ventotto anni, e mi vergognodi sentirmi cosi fragile, cosi isolata. Ho un abisso nel cuore, e mi sembra che il sangue non vi af­fluisca più: sembra essersi disseccato; e soffro, soffro smisuratamente. E tutto ciò è avvenuto nel mio inconscio. Un vuoto s'è formato nella mia ani-Ima, a mia insaputa, e non potrà colmarsi mai più. Ma che cosa vi sto a raccontare! ...

Teterev                            - Non vi capisco, non riesco a capire un accidente: sono ubbriaco.

Tatiana                             - Nessuno mi dice le cose che mi piacerebbero, nes­suno parla come vorrei. Avevo sperato che lui avesse potuto. Cosi attesi: tanto tempo! Mi lasciai vincere dalla banalità, dalla miserabile mediocrità della vita. Fui oppressa con dolcezza, essendone inconsapevole, e l'enorme peso dell'esistenza m'illanguidi completamente, fino a fiaccare la mia stessa dispe­razione. Ho paura, tanta paura, anche adesso.

Teterev                            - , (scuote il capo, si fa alla porta, la apre e dice con lentezza). Maledetta casa, e basta!... (Tatiana si ritira lentamente in camera sua. Silenzio e attesa. Entra rapida e circospetta Paolina. Nilo la segue. Entrambi si fanno alla finestra). «E’ vero? La vita è bella!

Nilo                                 - (prende nelle sue le mani di Paolina e dice sot­tovoce). Non avermene per quello che è accaduto. Lo sai che non son capace di stare zitto quando sento di avere ragione.

Paolina                             - Nulla, nulla. Cosa vuoi che m'importi di loro? Non preoccuparti.

Nilo                                 - Lo so che mi vuoi bene, lo capisco, tanto che non sento neanche il bisogno di domandartelo. Sciocchina, ieri mi avevi detto che una risposta me l'avre­sti data oggi; che avevi bisogno di pensarci su. Sciocchina, a che serve pensarci, se mi vuoi bene?

Paolina                             - Sì, ti voglio bene, davvero, e da molto tempo (Tatiana compare di nuovo e, camminando in punta di piedi, va a nascondersi dietro le tendine).

Nilo                                 - Saremo tanto felici, Paolina cara! Tu sei una bella ragazza e sarai una buona compagna. Le privazioni non ti fanno paura. Non ti lasceresti sopraffare dal dolore.

Paolina                             - (dolcemente). Sentendomi amata da te, non ci sa­rebbe cosa sulla quale non vincerei. Io, per natura, non sono paurosa, e non desidero che starmene sola...

Nilo                                 - Tu sai lottare e non ti arrenderai. E io mi sento felice, straordinariamente felice.

Paolina                             - Lo sapevo che dicessi. Che eri felice, anche prima che me lo dicessi.

Nilo                                 - Sì, vero? La vita è bella!  Non è vero che è bella?

Paolina                             - Certo, mio caro, si...

Nilo                                 - Come hai detto? Oh, che dolcezza mi danno le tue parole!

Paolina                             - Non ti lasciar prender la mano dalla gioia,.. Ades­so bisogna andare. Potrebbe venire qualcuno.

Nilo                                 - E che importa?

Paolina                             - Davvero, andiamo via; ma abbracciami ancora una volta. (Nilo la stringe fra le braccia. Ella si libera dalla stretta e fugge; passa davanti a Tatiana e non la scorge. Nilo la segue sorridendo ; ma il suo sguardo cade su Tatiana, per cui si arresta sorpreso e turbato. Tatiana volge verso di lui gli occhi stan­chi, mentre le sue labbra si increspano a uno scialbo sorriso).

Nilo                                 - Hai ascoltato? Ci stavi spiando? (Volta brusca­mente le spalle a Tatiana. Tatiana rimane come di pietra. Nilo nell’uscire ha lasciato aperta la porta dell'anticamera e attraverso essa s'intende la voce burbera di Bezsemenov).

Bezsemenov                    - Stefania! Chi è stato a far cadere in terra il carbone? Che  aspetti a raccoglierlo?

CALA IL SIPARIO

TERZO ATTO

Mattino. Stefania è intenta a spolverare i mobili.

Akulina Ivanovna            - (asciugando le tazze del tè). Oggi mi sembra trop­po magra la carne. Sarà meglio prendere quel grasso che è rimasto dall'arrosto di ieri e metterlo nella minestra di cavoli; altrimenti diranno che non è ben condito. Hai capito?

Stefania                           - Si.

Akulina Ivanovna            - E bada a non mettere troppo burro nell'arrosto di vitello. Ne ho comprato cinque libbre mercoledì e ieri non ce n'era neanche una libbra.

Stefania                           - In casa la roba se ne va.

Akulina Ivanovna            - Lo so, lo so, e me ne rendo tanto più conto se guardo i tuoi capelli che sembrano impiastricciati di grasso per macchine.

Stefania                           - Dall'odore non vi siete accorta che io mi servo dell'olio per la lampada della madonna, e non dei burro?

Akulina Ivanovna            - Certo, certo: hai sempre ragione tu. (Pausa). Tan­to per cambiare discorso: dov'è che ti ha mandato Tatiana stamattina?

Stefania                           - A comprare venti copechi di ammoniaca.

Akulina Ivanovna            - Poverina, le farà male la testa. (Sospirando). Non sta mai bene, quella ragazza.

Stefania                           - Dovrebbe maritarsi: le andrebbe tutto a posto e diventerebbe florida e robusta.

Akulina Ivanovna            - E ti sembra facile, di questi tempi, trovare ma­rito a una ragazza, a una ragazza istruita come Ta­tiana? Ti sembra proprio tanto facile?

Stefania                           - Neanche tanto difficile. Con una buona dote non si farebbe aspettare molto un giovanotto istruito come lei pronto a sposarla. (Pietro fa capolino dalla porta della sua camera e si ritira subito).

Akulina Ivanovna            - Non arriverò ad avere tale gioia. Tatiana si ostina a rimanere zitella.

Stefania                           - Ma non fatevelo sentir dire! All'età sua: sarebbe pur ora!

Akulina Ivanovna            - Eh!... Hai saputo chi c'era ieri sera dalla nostra inquilina del piano di sopra?

Stefania                           - L'istitutore: quello rosso di capelli.

Akulina Ivanovna            - Quello la cui moglie è partita poco tempo fa?

Stefania                           - Si, ecco. Poi c'era l'impiegato della Corte d'As­sise, quel giovanotto magro come uno stuzzicadenti, con la faccia gialla.

Akulina Ivanovna            - Ah, si, si!... elle ha sposato poco tempo fa la figlia di Pimenov, il mercante. Dicono che sia ti­sico, però.

Stefania                           - Si? Infatti, si vede...

Akulina Ivanovna            - E il nostro cantante, c'era pure lui?

Stefania                           - Lui, e anche Pietro. Teterev ha strillato da rom­pere i timpani fino alle due del mattino: muggiva come un bove.

Akulina Ivanovna            - A che ora è tornato, Pietro?

Stefania                           - Era giàl'alba.

Akulina Ivanovna            - Dio mio, Dio mio!...

Pietro                               - (entrando). Stefania, per favore sbrigatevi a fi­nire quello che state facendo, e andate via.

Stefania                           - Certo, anch'io ho fretta d'andarmene.

Pietro                               - Benissimo. Lavorate di più e chiacchierate di meno. (Stefania esce, facendo rumore e brontolando). Mamma, ti ho detto tante volte di far meno chiacchiere con la serva. Vuoi o non vuoi capirla che non sta bene intavolare discorsi intimi con la cuoca? Farle tante domande? Non sta bene!

Akulina Ivanovna            - (piccata). Devo chiedere il permesso a te se ho voglia di parlare con qualcuno? Se non vuoi par­larci tu, con i tuoi genitori, lasciali parlare almeno con la serva.

Pietro                               - Ma non vuoi capire che tra la serva e voi esiste una differenza sociale? Non avete problemi in co­mune. Non potete parlare quindi se non di stupi­daggini.

Akulina Ivanovna            - E allora parlami tu. Sono sei mesi che sei a casa e non hai mai dedicato neanche un'ora interamente a me o a tuo padre. Non ci hai nemmeno tolto la curiosità di sapere come è Mosca.

Pietro                               - Via, mamma...

Akulina Ivanovna            - Ci hai rivolto la parola soltanto per rimprove­rarci, dirci che questo non sta bene, che quello non si deve fare, che quest'altro non ti piaceva: tutto questo, è chiaro; per dar degli stupidi ai tuoi genitori, umiliarli, canzonarli. (Pietro fa un gesto bru­sco con la mano, ed esce attraverso la porta dell’an­ticamera, spazientito).

Akulina Ivanovna            - (a voce alta, continuando). Non cambi mai! (Si porta il grembiule agli occhi e comincia a piangere),

Perciskin                          - (fa ingresso, tutto stracciato indosso. Dagli strap­pi dei panni escono fuori ciuffi di sporco cascame. Ha per cintura uno spago, porta scarpe di pezza e, in testa, un cappello di pelo). Piangi? Che c'è? Pietruccio, no? Mi è passato sotto il naso; filava come un rondone. Non mi ha neanche detto buon giorno. Dove è Paolina?

Akulina Ivanovna            - In cucina, sta pulendo i cavoli.

Perciskin                          - In questo caso dobbiamo trarre ammaestramento dagli uccelli, i quali lasciano volare in santa pace i figlioli, appena cominciano a esserne capaci. Non stanno a far proibizioni. Non li annoiano... Di', non avresti una tazzetta di tè?

Akulina Ivanovna            - E tu segui le abitudini degli uccelli?

Perciskin                          - Ma naturalmente. E me ne trovo proprio soddi­sfatto. Non mi preoccupo e non mi metto fra i piedi di nessuno. Io vivo nell'aria come gli uccelli, e non su questo misero mondo.

Akulina Ivanovna            - (con tono di disprezzo). Perciò tutti ti stimano cosi poco. Prendi, prenditi il tè. Non farci caso se è un po' freddo e un po' leggero.

Perciskin                          - Guarda il bicchiere contro luce. Non si può dire che sia molto carico, è vero. Ma è sempre tè. Molte grazie! Anzi, cosi non fa male. Quanto alla stima, ti prego di volermela risparmiare del tutto. Vedi, ti dirò: io per gli altri non ne ho affatto.

Akulina Ivanovna            - Cosa vuoi che importi agli altri della tua stima?

Perciskin                          - Proprio cosi! Vedi, più studio la gente e più mi convinco che per guadagnare un morso di pane è assolutamente necessario strapparlo con lotte dalla bocca del nostro prossimo. Ma io, vedi, io no: io mi nutro dell'aria; infatti sono gli uccelli la fonte del mio guadagno. Essi che non appartengono a nessuno.

Akulina Ivanovna            - E a quando il matrimonio?

Perciskin                          - Uh, chi è che va a nozze? Io? Parola mia, no. La donna capace d'innamorarsi di me non credo sia nata ancora, e nutro vivaci dubbi che essa possa nascere. D'altra parte è evidente che nascendo giun­gerebbe in ritardo. Ed è altrettanto evidente che nell'attesa morirei.

Akulina Ivanovna            - Be', non fare lo spiritoso, e sbottonati. Quando intendi di maritarla?

Perciskin                          - Chi?

Akulina Ivanovna            - Su, non fare il finto tonto.

Peecisckin                        - Alludi a mia figlia? Oh, quando vorrà lei, se riesce a trovarsi un fidanzato.

Akulina Ivanovna            - Era molto che se la intendevano?

Peecisckin                        - Ma lui, se la intendeva?

Akulina Ivanovna            - Per favore, smettila di prendermi in giro. Ma in­somma, te ne ha parlato, o no?

Peecisckin                        - Di che?

Akulina Ivanovna            - Del matrimonio.

Peecisckin                        - Quale?

Akulina Ivanovna            - Senti, ma non ti vergogni di essere cosi stordito alla tua età?

Peecisckin                        - Non inquietarti, sii buona. Dimmi di che si tratta, piuttosto.

Akulina Ivanovna            - Non ho voglia di parlare...

Peecisckin                        - Eppure stai parlando da ore; ma non mi fai ca­pire niente.

Akulina Ivanovna            - (in cagnesco, seccamente). Uff!... quand'è che darai Paolina, a Nilo?

Peecisckin                        - (meravigliato). Come? Nilo? Davvero?

Akulina Ivanovna            - Guarda, le ragazze moderne! Ma non ti ha detto, niente? Santo Dio, al padre!

Peecisckin                        - (con gioia). Ma davvero? Non stai scherzando? Dunque, Paolina sposerà Nilo? Brava, bravissima la mia Paolina. Ma posso contarci? Non mi stai prendendo in giro? Oh, allora sono arcicontento! E pensare che io ero convinto che Nilo avrebbe spo­sato Tatiana. Tutto me lo faceva credere.

Akulina Ivanovna            - (livida e sdegnosa). Ti pare che potevamo abbas­sarci con quel buono a niente?

Peecisckin                        - Ma di chi stai parlando? Naturalmente non di Nilo. Sarebbe un grossissimo errore! Avendo dieci figlie da maritare non esiterei un momento a dar­gliele tutte e dieci. Nilo! Ma tu lo sai chi è Nilo? Egli è capacissimo di fare da centro di sussistenza ad alcune centinaia di persone. E brava la nostra Akulina! Mi hai dato una notizia veramente gra­devole.

Akulina Ivanovna            - (ironica). Che bel nonno sarai! Si vede! Un nonno con i fiocchi.

Peecisckin                        - Nonno? Si, un nonno che non avrà voglia di crearsi grattacapi. Oh, non potrei assolutamente evi­tare di eseguire alcune danze di gioia. Che bellezza! Fra poco tornerò a essere libero come uno scapolo, a vivere come pili mi farà comodo. Oh, che pacchia! Abbiate la più assoluta certezza che nessuno avrà d'ora in avanti la possibilità di vedermi o di sen­tire la minima notizia sul mio conto. Io andrò nella foresta. E, addio Perciskin! Brava Paolina, bravo il mio diavoletto! Spesso mi sono torturato il cer­vello pensando alla sua vita. Sentivo che era neces­sario vergognarmi dinanzi a lei, in quanto oltre ad avere il torto di averla messa al mondo, a parte la vita, non avevo altri doni da farle. Adesso me ne andrò per il mondo: lontano, lontanissimo; in capo al mondo.

Akulina Ivanovna            - Va' là, che non te ne andrai. Non è comodo sfug­gire la felicità.

Perciskin                          - La questione è che la mia felicità sta precisamente nel poter correre per il mondo. Quanto a Paolina, sono convinto che sarà felice, è logico: si capisce subito che si sarà felici con un marito come Nilo. Nilo è un ragazzo stracarico di ardimento; ha l'ani­ma bellissima. E' leale. Oh, la gioia minaccia di farmi scoppiare il cervello nella testa! Quanto al cuore è evidente che si tratta di allodole che vi cantano dentro. Oh, gioia inaudita, suprema feli­cità! (Si accinge a ballare). Paolina ha trovato il marito! E quale marito! Un gentiluomo autentico, Oh, umana gioia, o perfetta felicità!

Bezsemenov                    - (entra. Ha ancora il soprabito e, in mano, il ber­retto. Ubbriaco, come al solito!

Perciskin                          - Infatti sono realmente ubbriaco: di gioia, vec­chio mio! La sai la novità? Paolina. (Ride esilarato). Paolina si sposa con Nilo. Quale enorme consola­zione, per un padre, quale gioia smisurata!

Bezsemenov                    - (aspro e pungente). Che cosa vuoi che c'importi di codesti fatti? Noi continueremo ad avere quanto ci spetta, e questo è l'essenziale.

Perciskin                          - Uh, io che ero convintissimo che Nilo volesse spo­sare Tatiana! ...

Bezsemenov                    - Che dici?

Perciskin                          - Parola! Ed è piuttosto evidente che Tatiana non avrebbe posto la minima obiezione. Questo ti dico, a giudicare da come lo guardava. Che sguardi! Come dirti... tu sai quando le donne... Poi...

Bezsemenov                    - (calmo, ma punto sul vivo). Voglio dirti una cosa, mio caro: naturalmente tu sei un cretino e molte cose ti vanno perdonate per questo; tuttavia ti con­verrebbe non parlare di una signorina con tanta leg­gerezza. (Con voce eccitata). Io, per esempio, non mi sono mai occupato di osservare chi tenesse gli occhi addosso a tua figlia, e tanto meno mi sono curato di osservare chi ella guardasse. Né mi sono mai preso la briga di domandarmi che specie di donna sia. Del resto è giusto che si prenda Nilo, non avrebbe potuto ambire a di più. Dio li fa e poi li accoppia. Quanto a me, nonostante mi siano de­bitori di molto, non vorrò più sentire parlare di loro. Su questo punto sarò inflessibile! E adesso ve­niamo a te. Che feccia d'uomo sei? Un accattone, disonesto. Tu lo sai quanta vergogna mi costi l'es­serti parente alla lontana! E come ti permetti di venire a casa mia ricoperto di panni cosi misera­bili, con le scarpe di un pezzente, con un aspetto vergognoso che ispira unicamente pena?

Perciskin                          - Ma che cos'hai, amico mio? Non inquietarti, vec­chio. Perché mi parli in tal modo? Eppure non 103 vengo per la prima volta a casa tua'ornato di que­sti costumi!

Bezsemenov                    - Non mi sono mai preso la briga di fare il conto delle tue visite, né voglio prendermela adesso. Sappi, però che presentandoti vestito in codesta misera­bile maniera, tu compi un atto di mancanza di os­sequio a me, padrone di casa. Ma insomma si può sapere chi sei? Un accattone? Uno straccione diso­nesto, un buono a niente? Ecco che sei, capito? E adesso vattene via.

Perciskin                          - (sbalordito). Ma Vasili Bezsemenov, che diavolo stai dicendo?

Bezsemenov                    - No, non venirmi a fare storie. Vattene via!

Perciskin                          - Rifletti su quello che fai, o fratello. Potresti ama­ramente pentirtene nella tua coscienza. Io non ho colpe verso di te.

Bezsemenov                    - Fuori!

Perciskin                          - (uscendo dice, in tono di profonda compassione). Povero vecchio mio, come ti comprendo. Mi fai sinceramente pietà! Addio! (Bezsemenov, alzatosi, prende a -passeggiare pesantemente per la stanza. Akulina Ivanovna è sempre intenta ad asciugare i bicchieri ; ma ha un tremito nelle mani e nelle lab­bra che borbottano qualcosa).

Bezsemenov                    - Si può, si può sapere che hai? Vuoi smetterla di biascicar parole come una strega?

Akulina Ivanovna            - Ma stavo dicendo le preghiere! Le preghiere!

Bezsemenov                    - Come suppongo che ti sia noto, la mia nomina a presidente della corporazione è andata in fumo... Ormai ne sono sicuro. Cialtroni!

Akulina Ivanovna            - No! Che dici?... Oh, Dio! E per quale ragione, poi? No, no, vedrai, non è possibile...

Bezsemenov                    - E invece è cosi. Teodoro Dossekin sarà il nuovo presidente della corporazione dei fabbri.

Akulina Ivanovna            - Ma no, vedrai che non nomineranno lui. Non prendertela... Vedrai che non sarà...

Bezsemenov                    - E invece sono convinto che sarà lui il presidente. C'è da aspettarsi tutto nella vita. Stamattina se ne stava li davanti all'ufficio a cianciare: le sue solite buffonate. Dice che non si può più tirare avanti, che è necessario decidere e stabilire un'or­ganizzazione nella società che permetta a tutti di vivere d'amore e d'accordo, che gli stabilimenti industriali si accaparrano tutte le possibilità di lavoro e che di conseguenza gli operai che non vo­gliono morire di fame devono organizzarsi in coo­perative. E io che seguitavo a ribattere che gli ebrei sono la causa di questo stato di cose: « Met­tete con le spalle al muro gli ebrei, fate una peti­zione al governatore chiedendo di escluderli dai paese, perché questi maledetti costituiscono l'osta­colo al progresso russo ». (Tatiana compare silenziosa e vacillante; in punta di piedi si ritira nella sua camera).

Bezsemenov                    - Ma lui sorrideva maligno e mi chiedeva: « Cac­ciamo gli ebrei? e che ne facciamo dei nostri russi che sono peggio degli ebrei? ». E cosi, sotto a buttar fuori allusioni e sarcasmi a mio riguardo. Natural­mente, sai come sono fatto io, non me ne sono dato per inteso: fingevo di non capire allo scopo di poter saggiare cosi le sue intenzioni. Per un po' di tempo sono restato ad ascoltare il mascalzone, poi me ne sono andato. Però me la deve pagare... Michele Erucov, un muratore mi ha detto che Dossekin era la causa di tutto, e io avevo una voglia pazza di gridargli in faccia: «Miserabile di un ebreo! ».

Elena                               - (entrando). Buon giorno, Vasili Bezsemenov. Buon giorno, Akulina Ivanovna.

Bezsemenov                    - Ah, voi! Benvenuta! Che cosa desiderate?

Elena                               - Vengo per la pigione.

Bezsemenov                    - Ah, bene! Volete sapere quant'è? Dunque: ven­ticinque copechi, più quaranta copechi per i due vetri rotti nella finestra del corridoio, più venti copechi per il quadro della porta della rimessa ro­vinato dalla vostra cuoca.

Elena                               - (con un sorriso eloquente). Veramente esatto! In questo momento non ho spiccioli con me. Prendete questo biglietto da tre rubli. Ili

Akulina Ivanovna            - Avete da pagare anche un sacco di carbone che la vostra cuoca ha preso da noi.

Bezsemenov                    - E sarebbe a dire?

Akulina Ivanovna            - Trentacinque copechi.

Bezsemenov                    - Quindi, totale: un rublo e venti copechi. Vi devo un rublo e ottanta copechi. A voi. Quanto alla mia esattezza, cara signora, vi siete espressa in maniera davvero ineccepibile. Voi sapete che il sole sorge e tramonta con esattezza nelle ore stabilite da quando fu fatto il mondo. Se l'ordine perciò vige nell'universo, tanto più deve essere sulla terra. Anche voi, vedete, venite sempre a portarmi la pi­gione nel giorno preciso.

Elena                               - Non mi piace aver pensieri; per questo non mi piacciono i debiti.

Bezsemenov                    - Parole d'oro. Se sarete sempre esatta, vi merite­rete la fiducia di tutti.

Elena                               - Benissimo. Arrivederci: devo andare.

Bezsemenov                    - Ossequi, signora. (& accompagna con lo sguardo). A onor del vero è proprio bella; bella per lo meno quanto furba. Nonostante ciò la caccerei di casa con molto piacere.

Akulina Ivanovna            - Sarebbe anche ora...

Bezsemenov                    - No, no, cara mia. Se sta qui, potremo sorve­gliarla; ma se va via chi lo tiene più Pietruccio nostro? Puoi star sicura che starebbe a casa di lei tutto il giorno. Lei ha di che attirarlo. D'altra parte bisogna riconoscere che nei suoi impegni con noi è un'inquilina puntualissima, e non fa mai discussioni sui guasti che provoca. L'unico incon­veniente è che cerca di prender Pietro alla rete.

Akulina Ivanovna            - Ma chi sa? Magari Pietro non pensa neanche lon­tanamente di sposarla. Può darsi che la corteggi solo per...

Bezsemenov                    - Be', se si fosse certi di questo non me la pren­derei tanto. Paschi non ce ne sarebbero, e poi ti ripeto che è sempre meglio tenerla qui, sotto i nostri occhi, che lasciar correre Pietro da una parte all'altra. (Si ode dalla camera di Tatiana un fioco lamento).

Akulina Ivanovna            - (sottovoce). Chi è?

Bezsemenov                    - (anch’egli sommessamente). Chi sarà?

Akulina Ivanovna            - (mormorando dà uno sguardo in giro inquieta, scrutando da per tutto). E' venuto dall'anticamera. Non ti pare?

Bezsemenov                    - (aumentando il tono della voce). Forse è il gatto.

Akulina Ivanovna            - Vedi, babbo, volevo dirti...

Bezsemenov                    - Di', avanti.

Akulina Ivanovna            - Mi sembra che tu sia stato un po' troppo duro con Perciskin. In fondo non fa male a nessuno.

Bezsemenov                    - Non farà male a nessuno, d'accordo. Tanto me­glio: cosi non si sentirà offeso. Se poi si è offeso, sta' tranquilla che con lui non perderemo gran che. Non si può dire che la sua amicizia ci confe­riva troppo decoro. (Si ode ancora un lamento più forte, questa volta, e più straziante).

Bezsemenov                    - Ma chi sarà?

Akulina Ivanovna            - (agitata). Non so, non riesco a capire..

Bezsemenov                    - (corre nella camera di Pietro). Pietro?

Akulina Ivanovna            - (in preda allo spavento, corre dietro al marito). Pietro! Pietro! Pietro!

Tatiana                             - (con voce soffocata). Aiuto, mamma, aiuto! (Bezsemenov e Akulina Ivanovna dalla camera di Pietro si precipitano verso quella di Tatiana. Indugiano silenziosi sulla soglia, quasi timorosi di entrare, poi entrano decisamente, mentre si odono senza in­terruzione gli strazianti lamenti).  

Tatiana                             - Brucio... Oh, oh, brucio! Datemi da bere... Ac­qua... salvatemi...

Akulina Ivanovna            - (esce dalla camera, corre nell’anticamera, gri­dando). Gente! Aiuto! Accorrete! Pietro, Pietro!

Bezsemenov                    - (la sua voce si ode dalla camera di Tatiana). Che hai fatto figlia mia? Che è accaduto?

Tatiana                             - Acqua, acqua... Muoio! Mi sento ardere. Dio mio, aiutami!

Akulina Ivanovna            - Accorrete tutti. Venite qui!...

Bezsemenov                    - (la sua voce si ode ancora dalla camera di Ta­tiana). Un medico, presto, un medico!

Pietro                               - (accorrendo). Che succede? Che c'è?

Akulina Ivanovna            - (si aggrappa al braccio di lui e stride). Tatiana... sta morendo...

Pietro                               - (dando uno strappone alla madre). Lasciami! E lasciami!...

Teterev                            - (infilandosi di corsa la giacca). C'è il fuoco? Ma che è avvenuto?

Bezsemenov                    - Un medico! Ho detto di andare a cercare un medico! Presto! Do venticinque rubli a chi va.

Pietro                               - (uscendo dalla camera della sorella, va di corsa verso Teterev). Un medico, vi prego, un medico. Si tratta di un avvelenamento... Ditelo al dottore. Una donna... Presto... Una ragazza... Avvelenata... L'ammoniaca... Presto! Presto!... (Teterev si pre­cipita attraverso la porta dell'anticamera).

Stefania                           - (arrivando affannata). Oh mio Dio, mio Dio!

Tatiana                             - Pietro, sono divorata nelle viscere. Muoio. Oh, dammi l'acqua! Io non voglio morire! Non voglio morire!

Pietro                               - Quanta ne hai bevuta? Quanta? ti dico! Rispondi!

Bezsemenov                    - Figlia, figlia mia! Tatiana mia!

Akulina Ivanovna            - Ho perduto la mia piccola colomba!...

Pietro                               - Via' via, mamma, va'. Stefania, portatela via. Ti dico di andartene! (Elena giunge e di corsa, s'introduce nella camera di Tatiana).

Pietro                               - (rivolto a Elena). Portate via mia madre... (En­tra una donna del popolo, si ferma sull'uscio guar­dando in giro e mormorando).

Elena                               - (sostiene Akulina Ivanovna, conducendola via). Non agitatevi, state tranquilla, vedrete...

Akulina Ivanovna            - Figlia mia cara, figlia mia buona! Io non ti ho fatto niente. In che cosa ho peccato verso di te?

Elena                               - Fatevi animo. Adesso viene il medico e tutto si metterà a posto. State tranquilla! Tatiana guarirà sicuramente. Oh, che disgrazia!

La donna del popolo       - (sostiene Akulina Ivanovna per l'altro braccio). Non disperatevi, signora! Eh, eh, le sventure arri­vano fra capo e collo! Ah, povera signora. Pen­sate, ieri, anche in casa di Sitanov, il mercante, il cavallo con un calcio ha fracassato una costola all'uomo...

Akulina Ivanovna            - Figlia mia! Figlia mia! Come potrò vivere senza di te? Senza di te, la figlia unica! (Mentre Akulina Ivanovna viene condotta nella sua camera, si odono i lamenti di Tatiana, la voce gemente del padre, e la voce febbrile di Pietro. Rumore di tazze rotte, di una sedia rovesciata, tintinnio del letto di ferro, cigolio di molle, di un cuscino da canapé caduto in terra. Stefania è in ' faccende, scalmanata, con la bocca aperta, gli occhi stralunati; prende dalla credenza dei piatti, rompendo delle tazze, e spa­risce. Una folla di curiosi che non ardisce farsi avanti è nell'anticamera. Un ragazzo, apprendista imbianchino, sgattaiola nella stanza dando uno sguardo fuggevole nella camera di Tatiana e torna subito in anticamera).

Ragazzo                           - Muore! (Si ode dal cortile il suono del pianino che però s'interrompe subito).

Voci                                 - (dall'anticamera). « E' stato il padre ad ammaz­zarla », « Il padre? », « Proprio cosi. Con un colpo alla testa », « Con che? Con che? » «Non so. Sem­bra... », « E se non lo sai, che diavolo ti metti a raccontare? », « Ma smettila! », « Io si che lo so come è stata, posso garantirti che si è uccisa da sé. S'è tagliata la gola ».

Una voce femminile        - (sempre dall'anticamera). Era sposata? (Si ode un bisbiglio ciarliero).

La donna del popolo       - (uscendo dalla camera di Akulina Ivanovna, passa innanzi alla tavola, e visto un pane lo prende e se lo nasconde sotto lo scialle. Poi si rivolge a quelli dell'anticamera). Silenzio! Sta spirando!...

Una voce d’uomo            - Com'è che si chiama?

La donna del popolo       - Elisabetta.

Una voce di donna          - Ma come è stato?

La donna del popolo       - La Festa dell'Assunzione. Le avevano detto: « Elisabetta » dicevano... (La gente si agita con rumore facendo largo. Arrivano il medico e Teterev. Il medico è in soprabito e cappello. Si dirige deci­samente nella camera di Tatiana. Teterev getta uno sguardo nell'interno, fermo sulla soglia, poi si ritira sgomento. Gemiti e parole represse ven­gono in folla dalla camera di Tatiana. Dall'altra camera si odono le grida e i lamenti di Akulina Ivanovna).

Akulina Ivanovna            - Lasciatemi! Vi dico di lasciarmi! Voglio andare da lei. voci (dall'anticamera). «Eppure è un uomo serio», «Ottimo cantante». «Davvero?». « Certo. L'ho sentito io nella Chiesa di S. Giovanni Battista ».

Teterev                            - (rivolto a quelli dell'anticamera). Che cosa state facendo? Andate, su, andate via!

La donna del popolo       - (nello stesso tono di Teterev). Si, andate, tornate a casa, brava gente! Questi fatti non devono inte­ressarvi.

Teterev                            - Ma chi sei tu? Ma che cosa vuoi?

La donna del popolo       - Faccio la fruttaiola: cipolle e cetrioli.

Teterev                            - E adesso che vuoi?

La donna del popolo       - Andavo dalla Semagin... quando un'amica...

Teterev                            - Ma, insomma, si può sapere che stai a fare adesso qui in questa casa?

La donna del popolo       - Passavo davanti al portone... e... sento grida, rumori. « Un incendio», penso.

Teterev                            - E con questo?

La donna del popolo       - Entro. Volevo rassicurarmi...

Teterev                            - Be', adesso va' via. E voi pure, andatevene via tutti. Via, su.

Stefania                           - Acqua, presto, portate acqua! (Dall'uscio s'in­travede la testa dì un vecchio con i capelli bianchi; ammicca con gli occhi).

Vecchio                           - (rivolto a Teterev). Quella li vi ha rubato un pane... (Teterev respinge la gente nell'anticamera. Si sente uno scalpicciar di suole sul pavimento, in­fittirsi di voci).

Un monello                      - Miaoooo! (Risate).

Teterev                            - (respingendo la gente). Op! Op!

Una voce                         - (in tono di rimprovero). Ma fate un po' di si­lenzio!

Teterev                            - (si sente la sua voce mentr' egli è immerso nella folla). Al diavolo tutti quanti!

Pietro                               - (compare sulla soglia della camera di Tatiana). Non fate rumore!... (Volgendosi a Bezsemenov che è nella camera di Tatiana). Papà, per favore, vai da mamma... (Di nuovo rivolto a quelli dell'anti­camera , con voce alta). Non lasciate entrare nes­suno! (Bezsemenov esce dalla camera di Tatiana traballando e siede accanto alla tavola guardando imbambolato nel vuoto. Alzatosi, si dirige alla sua camera da dove vengono le grida di Akulina Ivanovna).

Akulina Ivanovna            - Non le volevo abbastanza bene, forse? Non la coccolavo abbastanza?

Elena                               - State calma, suvvia, cara...

Akulina Ivanovna            - Ali, babbo, babbo! Cile cosa sarà di noi?... (Bezsemenov entra e chiude la porta. Le ultime pa­role di Akulina Ivanovna rimangono soffocate. Più nessuno. Rumori da destra e da sinistra. Dalla ca­mera di Bezsemenov una sommessa conversazione; dall''anticamera, parole troncate, bisbigli, scalpiccii. Teterev compare con un secchio d'acqua che depone in terra. Spinge leggermente la porta della camera di Tatiana. Stefania apre, prende il secchio e si ritira nella camera, poi ricompare asciugan­dosi il sudore sulla fronte).

Teterev                            - Be', come sta?

Stefania                           - Pare che non sia grave.

Teterev                            - Cosi dice il medico?

Stefania                           - Già, il medico. Ma i medici ne dicono tante!... (Fa un gesto evasivo con la mano). Non permettere di entrare neanche al padre e alla madre!...

Teterev                            - Ma sta meglio?

Stefania                           - Dio solo lo sa! Non si lamenta pili... è diventata tutta verde, con gli ocelli spalancati. Si è irrigidita (abbassa la voce, continuando in tono di biasimo). E gliel'ho detto chi sa quante volte ai genitori di farla sposare, presto, presto! Ma non mi hanno dato retta, e adesso ecco le conseguenze. Ma Dio mio, vi sembra possibile che una ragazza se ne resti senza marito alla sua età? Fosse almeno una di quelle ragazze che credono in Dio, che si confortano con la religione... Lei, a dir la verità, mai una pre­ghiera, mai un segno della croce. C'era da aspet­tarselo.

Teterev                            - Ammutolisciti, cornacchia! ...

Elena                               - (entrando). E allora, come sta?

Teterev                            - Non so di preciso. Sembra che il medico abbia detto che non ci sia nessun pericolo.

Elena                               - Quei due poveri vecchi sono accasciati. Fanno davvero pena. (Teterev scrolla le spalle).

Stefania                           - (uscendo). Oh Dio, ho lasciato le pentole sul fuoco!

Elena                               - Ma perché? Perché? Non riesco a capire che cosa la abbia spinta a un atto simile. Ah, povera Ta­tiana! Deve soffrire atrocemente, povera ragazza! (Scossa da un brivido ha una smorfia di raccapriccio sul volto). Chi sa come soffrirà, no?

Teterev                            - Ne sono perfettamente ignaro, non avendo mai avuto occasione di bere ammoniaca.

Elena                               - Ironico anche in questa circostanza?

Teterev                            - Sono tutt'altro che ironico.

Elena                               - (facendo capolino alla porta della camera di Pie­tro, vi dà un'occhiata). Dove sarà Pietro? Sempre con Tatiana?

Teterev                            - Se non è mai uscito dalla camera di Tatiana è piuttosto probabile che si trovi in essa.

Elena                               - (soprapensiero). Anche lui, che terribile colpo! (Pausa). Innanzi a simili disgrazie sento in me na­scere un odio profondo per la sventura in genere.

Teterev                            - (sorride). Ciò è meritevole del massimo apprez­zamento.

Elena                               - Comprendete quel che voglio dire? Sono afferrato da un desiderio quasi furioso di calpestarle, schiac­ciarle una volta per sempre.

Teterev                            - Suppongo che alludiate alle sventure!

Elena                               - Si, si. Non che io le tema; piuttosto le odio. A me piace la vita allegra e senza pensieri, vedermi circondata da amici ai quali m'ingegno di far di­menticare le amarezze della loro vita.

Teterev                            - Codesto è degno di apprezzamento ancora di più.

Elena                               - Ebbene, voglio parlare a voi come al confessore. Vi dirò, io sono veramente dura di cuore, pressoché insensibile. Non so nutrire la pietà -  oserei dire -  per gl'infelici. Penso che non si possa avere pietà di tutti una volta che nel mondo esistono esseri che per quanto si possa fare per loro restano sempre degli infelici. Per esempio, provate a mettere in testa un cappello a uno di costoro -  si potrebbe d'altra parte fare di pili? - : State pure certo che continuerebbe a piagnucolare e a lamentarsi: a Uh, come sono disgraziato! Mi abbandonano tutti. Nes­suno si dà pena per me. Uh, come è amara e noiosa la mia vita! ». Quando mi trovo di fronte uno di questi tipi sono presa da una pazza voglia di ren­derlo ancora più infelice.

Teterev                            - Adorabile signora, anch'io adesso voglio confes­sarmi a voi. E per prima cosa denunzierò questo mio peccato: detesto mortalmente le donne che vo­gliono fare le intelligentissime. Però, a onor del vero, quando un tale atteggiamento lo prendete voi, l'unico desiderio che mi viene è quello di carbo­nizzarvi le mani.

Elena                               - (vezzosa e schiva). Tutto qui? Codesti desideri vi prendono solo quando ragiono? (Riprendendo do­minio di sé). Mio Dio: sto a scherzare mentre li dentro c'è una poveretta che soffre.

Teterev                            - (indicando la camera dei Bezsemenov). Anche là c'è chi soffre. Guardatevi intorno nel mondo: ovunque incontrerete gente che soffre. Ormai il dolore non è che un'abitudine dell'uomo.

Elena                               - Non sono d'accordo. In tal caso l'uomo dovrebbe rimanere indifferente al dolore.

Teterev                            - Se si tratta di dolore è inevitabile che soffra.

Elena                               - Di qui la necessità di essere pietosi.

Teterev                            - Si e no, anzi credo che, veramente, non bisogna avere la minima pietà per l'uomo. L'essenziale è aiutarlo.

Elena                               - Ma non è possibile aiutare tutti. E non si può aiutare un uomo se non si sente pietà di lui.

Teterev                            - Ma mia cara signora, vi prego: io ragiono cosi. Le sofferenze provengono da due tipi di desideri: il desiderio che si deve rispettare e il desiderio malato. I desideri che meritano rispetto sono quelli che aiutano a mantenere sano e forte il corpo e che nello stesso tempo nobilitano lo spirito essendo gli stessi desideri che elevarono l'uomo dal livello del bruto.

Elena                               - (non ha prestato attenzione e risponde vaga­mente). Si... si, forse avete ragione voi. Dio mio, ma che sta succedendo li dentro? Può darsi che Tatiana dorma. C'è tanto silenzio! Si sente solo un leggerissimo bisbiglio. Neanche i genitori possono entrare a vederla. Poverini! Si sono chiusi nella loro camera, senza obiettare una parola. Come è strano! D'un tratto grida, chiasso, lamenti, tu­multo; poi di colpo silenzio e immobilità.

Teterev                            - E' la vita, cara signora: gli uomini gridano, lavorano; poi fanno silenzio, riposano, e poi gridano ancora; ma in questa casa in modo particolare tutto si esaurisce e muore con una spaventosa tempesti­vità: grida di dolore e risate. Qualsiasi emozione qui è come una bastonata in un ruscello fangoso. L'ultimo grido è sempre quello della banalità: dea di questa casa. Trionfante o avvilita è sempre lei a dire l'ultima parola.

Elena                               - (pensosa). Quando con mio marito vivevo nello stesso edificio delle prigioni, la vita era davvero molto più interessante. Mio marito era un arrab­biato giocatore, beveva molto e andava di frequente a caccia. Eravamo in un piccolo villaggio con po­chissimi abitanti, tutti, per cosi dire, a nostra di­sposizione. Ero libera, completamente libera da qualsiasi stucchevole convenzione. Non facevo né ricevevo visite. Trascorrevo le giornate a parlare con i detenuti, che mi volevano molto bene. D'al­tra parte anch'io ero cortese con loro. Erano bra­vissime persone, infine  miti e semplici, davvero. Talvolta li studiavo con attenzione e non riuscivo a capacitarmi che avessero potuto commettere de­litti, magari ucciso un uomo. E chiedevo a qual­cuno: «E' vero che hai commesso un delitto?». E lui: « Verissimo, mia buona signora, verissimo: ho ucciso un uomo ». Che cosa volete? Arrivavo perfino a congetturare che quell'uomo avesse deciso di accollarsi il delitto di un altro; oppure che fosse come una pietra precipitata dalla vetta per opera di una forza soprannaturale, occulta. Amavo acqui­stare libri; e li regalavo ora a questo ora a quest'altro. Davo loro giochi, come quello della dama, quello delle carte, regalavo tabacco e perfino, ogni tanto, un po' di acquavite. Per loro era una gran­dissima gioia andare in cortile. Si davano come i bimbi a giocare con la palla, con la corda, coi birilli. A volte leggevo loro racconti umoristici che li facevano sbellicare dalle risa. Io volli che fosse assegnata una gabbia di uccellini per ogni cella; ed essi amavano le bestiole e le governavano scrupo­losamente, né più né meno che come facevo io. Mi esprimevano poi il desiderio che vestissi abiti con colori vistosi: corpetti rossi o gialli. Io li accon­tentavo e usavo le stoffe dai colori più chiassosi. (Sospira). Come mi piaceva stare con loro! Trascor­sero tre anni, quasi senza che mi accorgessi. Poi quando mio marito mori ucciso dal proprio cavallo, devo dire la verità, non piansi tanto per lui, quanto perché ero costretta ad abbandonare le carceri. Come mi dispiacque! Non riuscivo proprio a darmi pace al pensiero che dovevo lasciare quei bravi detenuti. E anche essi si addolorarono con tutto il cuore. (Dà uno sguardo in giro). In questa città la vita è tanto più varia, eppure mi è tanto più penosa, specie in questa casa. C'è un'aria di mal­vagità, direi. Non dico che siano cattive le persone, anzi! Ma non riesco a capire il senso di uggia che m'invade quando oltrepasso la soglia di questa casa. L'anima mi va in pena. Ob, mio Dio, e noi che stiamo qui a discutere tranquilli mentre pro­prio alle nostre spalle un essere umano forse sta morendo!

Teterev                            - (placidamente). Ma noi non ne sentiamo alcuna pietà.

Elena                               - (parlando precipitosamente). Come, non la rim­piangereste?

Teterev                            - Voi neanche.

Elena                               - (sottovoce). Si, è vero. Non è bello tutto ciò; lo capisco; ma non è questa una buona ragione per vergognarsi di ammetterlo. Si dà spesso il caso, vedete, di rendersi conto che un sentimento è ingiusto. Però non si trova mai il coraggio per con­fessarlo. Ebbene, io vi confesso che nutro più com­passione per Pietro che per Tatiana. Mi fa vera­mente pena, Pietro. Già di per sé la vita non dà molte gioie a quel giovane.

Teterev                            - Ma, come è noto, la vita non dà gioia a nessuno.

Paolina                             - (entrando). Buon giorn...

Elena                               - (correndo verso di lei). Sst... parlate piano. Non sapete che Tatiana... si è... avvelenata?

Paolina                             - No!

Elena                               - Proprio cosi. Il medico e Pietro la stanno ve­gliando.

Paolina                             - Ma è in pericolo grave? Può morire?

Elena                               - Non si può dire.

Paolina                             - Ma come è avvenuto? Ha detto per quale motivo ha fatto una cosa simile?

Elena                               - Non ne so nulla. Ma credo di no.

Pietro                               - (si presenta affranto sulla soglia della camera). Elena, vi prego. (Elena segue Pietro nella camera oli Tatiana).

Paolina                             - (rivolta a Teterev). Che cosa avete da guardarmi cosi?

Teterev                            - Fino a quando seguiterete a farmi la stessa do­manda?

Paolina                             - Non cambiate mai, voi. Sempre con quello sguar­do. Che cos'altro dovrei chiedervi? (Facendoglisi vicina con una certa apprensione). Suvvia, ditelo pure: voi mi rimproverate di essere la causa di tutto questo, no?

Teterev                            - (Affettando un comico sorriso). E voi, magari, vi sentite rimordere.

Paolina                             - Io sento solo... che vi detesto sempre più. Avanti, raccontatemi come è accaduto, invece.

Teterev                            - Ieri ha avuto un urto, come una piccola spinta, e oggi, poiché è di costituzione gracile, è crollata. E' accaduto cosi.

Paolina                             - Ma decidetevi a parlare seriamente.

Teterev                            - Sono estremamente serio. Vi ho detto la verità.

Paolina                             - Io non so che cosa volete intendere. Ma non è vero. Nilo...

Teterev                            - E chi ha parlato di Nilo? Che cosa avrebbe a fare Nilo in questa faccenda?

Paolina                             - Non ci entriamo né io né Nilo. Però intuisco che secondo voi i colpevoli siamo noi due. Ci amia­mo, è vero, ci amiamo. C'è niente di male? E' molto tempo che ci amiamo.

Teterev                            - (gravemente). Io non vi ho accusato. Siete voi ad accusarvi di non so che cosa, e prendete a giustificarvi davanti al primo venuto. Perché? Sa­pete che io ho molta ammirazione per voi. E, do­vete ammetterlo, non ho fatto che ripetervi co­stantemente, quasi petulantemente, di allontanarvi da questa casa malsana che tormenta il vostro spirito.

Paolina                             - Dove volete arrivare?

Teterev                            - Sono già arrivato. E’ tutto qui. Volevo solo farvi rilevare che seguendo i miei consigli adesso non provereste quello che provate.

Paolina                             - Ma parlatemi di Tatiana. E' proprio in peri­colo? Con che cosa si è avvelenata?

Teterev                            - Non so. (Pietro e il medico escono dalla cartiera di Tatiana).

Pietro                               - Paolina, per favore, tieniti pronta se Elena ti chiama in aiuto.

Teterev                            - (rivolto al medico). Voi sarete stanco, dottore, vi prego, sedetevi.

Il medico                         - Ah, grazie! Fra otto giorni potrà alzarsi. Mi sono incontrato in un caso analogo pochi giorni fa. Un imbianchino ubbriaco aveva bevuto un bicchiere di vernice scambiandola per birra. (Entra Bezsetnenov e taciturno si ferma di fronte al medico in­terrogandolo ansiosamente con lo sguardo).

Pietro                               - Tranquillizzati, papà. Tatiana è fuori pericolo.

Il medico                         - Si. Non preoccupatevi. Vostra figlia guarirà com­pletamente in due o tre giorni.

Bezsemenov                    -  Dite davvero?

Il medico                         - Ma certo!

Bezsemenov                    - Oh! grazie, grazie! E' proprio vero? Tatiana non corre più pericolo? Siate benedetto!... Pietro, vieni, occorre... (Pietro segue il padre nella camera di lui. Poco dopo si ode un tintinnio di monete).

Teterev                            - (rivolto al medico). Raccontatemi il fatto dell'im­bianchino.

Il medico                         - V'interessa?

Teterev                            - Come sta adesso l'imbianchino?

Il medico                         - Oh, sta bene! Ma, sbaglio, o noi ci siamo già in­contrati.

Teterev                            - Tutto può darsi.

Il medico                         - Voi siete stato ammalato di tifo?

Teterev                            - Esatto.

Il medico                         - Avete visto? Ero certo di avervi già incontrato. Funella primavera scorsa, vero? Forse ricordo per­fino il vostro nome.

Teterev                            - D'altronde anch'io vi riconosco.

Il medico                         - Si?

Teterev                            - Ma naturalmente. Ricordo con molta esattezza che vi chiesi di aumentarmi la razione di cibo e voi, con una smorfia assolutamente atroce, mi ri­spondeste: « Contentati e sta' zitto. Li conosciamo bene i vagabondi alcoolizzati come te ».

Il medico                         - (confuso). Ma, scusate... Il fatto è... scusate.... il vostro nome... Permettete: io sono il dottor Ni­cola Troerukov.

Teterev                            - (andandogli incontro). Io sono l'alcoolizzato per vizio ereditario e cavaliere del serpente verde... In altre parole: Teterev Bogoslovskij. (Il medico fa alcuni 'passi indietro).

Teterev                            - Ma di che avete paura? Io sono buonissimo. (Passeggia davanti al medico che sta sulle spine e che non sapendo dove mettere le mani, si ven­taglia con il cappello. Pietro entra, uscendo dalla camera di Bezsemenov).

Il medico                         - (segue con lo sguardo Teterev che esce attraverso l’uscio dell'anticamera). Be', io vado, fuori mi aspettano. Se la ragazza dovesse avere dei dolori, datele una soluzione di poche gocce, della medi­cina che vi ho dato, in mezzo bicchiere d'acqua. Ma vedrete che starà bene. Ditemi... per favore: prima c'era qui un signore. Un tipo direi origi­nale. E' vostro parente?

Pietro                               - -E' un nostro pensionante.

Il medico                         - Oh, oh! Capisco. Tipo originale! Arrivederci e grazie. (Si avvia verso l'uscio. Pietro lo accom­pagno.. Bezsemenov e Akulina Ivanovna uscendo dalla loro camera si dirigono in punta di piedi verso quella di Tatiana).

Bezsemenov                    - No, non entrare. Non si può. Non si sente nessun rumore. Forse dorme. Non vorrei che la svegliassi. (Prende per un braccio la 'moglie conducendola nell'angolo vicino alla cassaforte). Vedi, questa è la nostra posizione. Sentirai, quanti pettegolezzi! Chi sa quante male lingue intorno a noi!

Akulina Ivanovna            - Ma che cosa dici? Che cosa potrà importarcene? L'importante è che ci resti la nostra figliola. Poi la gente dica quel che le pare. Possono strombaz­zare ai quattro venti.

Bezsemenov                    - Solo una che non capisce niente come te può dire cose simili. Ma non ti rendi conto che saremo sver­gognati da questa faccenda?

Akulina Ivanovna            - Perché svergognati?

Bezsemenov                    - Ma lo vuoi capire che nostra figlia si è avvele­nata? E perché? Che male le abbiamo fatto? L'ab­biamo addolorata in qualche modo? Siamo stati cattivi con lei? Delle male lingue non me ne im­porta. Sopporterei anche queste per amore dei miei figli. Ma mi domando: o Perché arrivare a un punto simile? ». Me lo dica, almeno, e sarò soddi­sfatto. Cosa nascondono nella loro anima? Viviamo in pace nella stessa casa; ma essi non si confidano e a me non è possibile conoscere le loro pene, le loro idee... E il mio cuore si gonfia da scoppiare.

Akulina Ivanovna            - Ti capisco, vecchio mio, ti capisco perché io an­che soffro per le tue stesse ragioni. Non abbiamo altro pensiero che loro, non altro scopo nella vita. È per ricompensa, neanche la più piccola attenzione affettuosa. Ti capisco; ma che dirti? L'essenziale è che vivano in buona salute, il resto non importa.

Paolina                             - (uscendo dalla camera di Tatiana). Fate silenzio, sta dormendo.

Bezsemenov                    - (alzandosi). Allora, come sta? Possiamo entrare?

Akulina Ivanovna            - Entreremo pian pianino... volete?

Paolina                             - No, il medico ha dato il preciso ordine di non lasciar entrare nessuno.

Bezsemenov                    - (incredulo). E come lo sai, tu? Non eri ancora arrivata, quando è venuto il dottore!...

Paolina                             - Me lo ha detto Elena.

Bezsemenov                    - Elena sta con lei? Come! Una donna che non ha niente a che vedere con la mia famiglia deve rima­nere al capezzale di Tatiana, mentre la madre, dico la madre, ne è allontanata? Questo è raccapric­ciante!

Akulina Ivanovna            - Sarà meglio prendere il tè in cucina, stasera; cosi non la disturberemo. Figlia mia cara, nean­che vederti possiamo.... (Si avvia in cucina, con un gesto di disappunto. Paolina resta appoggiata alla credenza, guardando nella camera di Tatiana con le sopracciglia aggrottate, la bocca serrata in un atteggiamento nervoso. Bezsemenov, seduto alla ta­vola, sembra come in attesa di qualche cosa).

Paolina                             - (sottovoce). Non è venuto mio padre, oggi?

Bezsemenov                    - Perché chiedi di lui? Che cosa rappresenta per te tuo padre? Credo che tu vorresti chiedere di qualcun altro. (Paolina gli volge uno sguardo stu­pito). Tuo padre era venuto, si: sudicio da fare schifo, un vero pezzente... Nonostante ciò non posso ammettere la tua mancanza di rispetto verso di lui.

Paolina                             - Ma chi vi ha detto che io non lo rispetti? Perché dite questo?

Bezsemenov                    - Tuo padre, naturalmente, è un vagabondo; tutta­via non è bene che tu gli manchi di rispetto. Ma lo capisci che cosa è un padre? Non si direbbe, dai sen­timenti che hai. Tu sei una ragazza povera, senza una casa; perciò dovresti essere umile, gentile verso tutti. Invece ti piace ragionare e scimmiottare le persone colte. Nonostante ciò, ti sposi. E un'altra creatura umana, accanto a te, per poco non muore.

Paolina                             - Non capisco le vostre parole. Che volete in­tendere?

Bezsemenov                    - (evidentemente non sa che cosa dire e prorompe esasperato). Cerca di capire: ho parlato appunto perché mi comprendessi. Insomma, in fondo tu chi sei? Ti sembra giusto che ti sposi, mentre mia figlia... E adesso che stai a fare qui? Ma vattene in cucina. Ci starò io a sorvegliare la porta. (Pao­lina lo guarda sorpresa e si avvia verso la cucina).

Bezsemenov                    - Prima, ho insultato tuo padre.

Paolina                             - Perché questo?

Bezsemenov                    - Non impicciarti. Vattene! (Paolina esce scon­volta. Bezsemenov si avvia con cautela verso la ca­mera di Tatiana, socchiude la porta e dà uno sguardo dentro, ma E lena lo respinge con una mano).

Elena                               - No, no. Mi sembra che sia addormentata. Non entrate, è meglio non disturbarla.

Bezsemenov                    - E noi? Tutti ci disturbano. Nessuno si preoc­cupa di noi. Nessuno.

Elena                               - Ma che cosa dite? Non sapete che Tatiana sta male?

Bezsemenov                    - Lo so, lo so... (Esce attraverso la porta dell'anti­camera, mentre Elena, seguendolo con lo sguardo, scrolla le spalle; quindi, fattasi, alla finestra, siede sul divano, incrocia le braccia dietro alla schiena e resta in atteggiamento pensoso. Poi sorride e soc­chiude gli occhi come inseguendo un sogno. In­tanto entra Pietro, cupo, avvilito; scuote il capo come per liberarsi da una oppressione, poi, scorta Elena, si ferma).

Elena                               - (sempre con gli occhi socchiusi). Chi è?

Pietro                               - Sorridete? Fa un certo effetto vedere un sorriso in un momento come questo.

Elena                               - (guardandolo). Siete molto stanco, vero? Addo­lorato! Povero Pietro! Ho sinceramente molta com­passione di voi.

Pietro                               - (le siede al fianco). Anch'io ho compassione di me stesso.

Elena                               - Voi dovreste allontanarvi da questa casa.

Pietro                               - Lo so, me ne convinco sempre più. Non riesco a capire che cosa ci stia a fare, qui. La vita mi opprime...

Elena                               - Come vi piacerebbe vivere? Parlatemene. Ve l'ho chiesto diverse volte. Ma non mi avete dato mai una risposta.

Pietro                               - Non è facile essere sincero.

Elena                               - Neanche con me?

Pietro                               - Si. So forse quali sentimenti nutrite verso di me? Come potrei conoscerli? Eppure talvolta mi sembra che voi...

Elena                               - Io che cosa? Dite! .

Pietro                               - Insomma mi sembra che voi siate bene...

Elena                               - Bene, si, assai ben disposta verso di voi, mio caro... fanciullo...

Pietro                               - (vivacemente). Fanciullo! Ma non sono più un fanciullo, no di certo! Ho molto pensato, molto; ecco, vorrei sapere: gradite, trovate interessante la vitalità di Nilo, Siskin, Zvetaeva, tutte queste persone cui piace far chiasso? Insomma pensate che la lettura di voluminosi libri, gli spettacoli in fa­vore degli operai, i divertimenti eccetera, siano un'urgente necessità cui sia lecito dedicare un'in­tera vita? Lo pensate? Pensate questo? Ma voi ri­dete. Ditemi perché! Sono ridicolo, vero? Voglio vivere, e vivere a modo mio, cosi come io intendo la vita, inseguendo soltanto la mia volontà!

Elena                               - Vivete, dunque! Chi ve lo proibisce?

Pietro                               - Chi? Chi! C'è... non capisco chi... non so... In­somma, quando penso al modo nel quale bisogna vivere, isolato, libero, mi sembra di sentire una voce alle mie spalle: « No, non sta bene, non si può... ».

Elena                               - E' la coscienza.

Pietro                               - Perché la coscienza? Ma io... Non voglio mica commettere un delitto, io. Non desidero che essere indipendente. Questo voglio.

Elena                               - (avvicinandosi a lui). Voi alludete a una cosa che intuisco, ma che dovreste esprimere con altre parole. Voglio aiutarvi io, povero ragazzo, voglio aiutarvi a non rendere difficili le cose semplici.

Pietro                               - Elena, vi prego, non tormentatemi col vostro sar­casmo. Voi siete crudele. Ma non capite che io di fronte a voi non sono che quello che sono?

Elena                               - Non sempre, direi.

Pietro                               - Naturalmente sono un debole. E questa vita vince la mia resistenza. Ne sento la banalità; però non. saprei far nulla per cambiarla, per farla migliore. Io voglio andare via, voglio vivere solo...

Elena                               - (gli pone dolcemente le mani sulle tempie). Eb­bene, dite: a Vi amo!».

Pietro                               - Si, si, ma... Oh, voi vi prendete gioco di me!

Elena                               - Tutt'altro. Giàda molto tempo sono venuta nella determinazione di sposarvi. Tutto ciò forse non sta bene; ma io lo desidero sinceramente da tempo,

Pietro                               - Oh, come sono felice! Vi amo tanto!... (Si ode un lamento di Tatiana. Pietro si alza di scatto, guardandosi intorno. Anche Elena si alza; ma tran­quilla). E' Tatiana... E noi che...

Elena                               - (gli passa davanti). Non abbiamo fatto nulla di male.

Tatiana                             - (la sua voce si ode fioca). Acqua, datemi dell'acqua.

Elena                               - Si, vengo. (Sorride a Pietro, quindi esce. Pietro, infila, la testa fra le mani, fissa attonito lo sguardo innanzi a sé. Dall'anticamera viene Akulina Ivanovna).

Akulina Ivanovna            - Pietro! Pietro! Dove sei?

Pietro                               - Qui.

Akulina Ivanovna            - Vieni a mangiare.

Pietro                               - Non ne ho voglia, non ho fame.

Elena                               - (uscendo dalla camera di Tatiana). Pranzerà con me. (Akulina Ivanovna guarda Elena in cagnesco e se ne va).

Pietro                               - (vivacemente a Elena). Non è bene quello che abbiamo fatto. Tatiana è in quelle condizioni, e noi... noi...

Elena                               - Venite con me. Vi pare che vi sia alcun male in quello che abbiamo fatto? Al teatro, dopo la tragedia si rappresenta la commedia. Nella vita è lo stesso, necessariamente. (Pietro le va vicino ed ella gli porge il braccio. Escono).

Tatiana                             - (gemendo rauca). Elena!... Elena!... (Paolina accorre).

CALA IL SIPARIO

QUARTO ATTO

Sera. Un lume sulla tavola. Paolina prepara per il tè. Tatiana è distesa sul divano, nella penombra. Maria Zvetaeva le siede accanto.

Tatiana                             - (sottovoce). Cosi, tu sei convinta che io non vo­glia prendere la vita come la prendi tu, che non mi piaccia vivere gaiamente, serenamente? Non è vero. Io vorrei, vorrei impormi a me stessa, certo che lo vorrei! Però non ci riesco, forse non è pos­sibile, forse sono nata senza la fede nell'anima e ho imparato prematuramente a ragionare.

Maria Zvetaeva               - Tu ragioni troppo, cara Tatiana. Se ci deve es­sere intelligenti solo per ragionare, non ne varrebbe proprio la pena. Ma a che serve ragionare? Se l'uo­mo non vuole una vita triste e uggiosa, deve ricorre­re ai sogni, di quando in quando, spingere il suo sguardo lontano, nel futuro... (Paolina, che ascolta le parole di Maria Zvetaeva, sorride dolcemente e riflette).

Tatiana                             - Ma che cosa si potrebbe vedere nel futuro?

Maria Zvetaeva               - Tutto: ogni cosa che ci piaccia.

Tatiana                             - Va bene, ma non è che fantasia.

 Maria Zvetaeva              -  E' fede.

Tatiana                             - Fede in che cosa?

Maria Zvetaeva               - Proprio nel sogno. Vedi, per farti un esempio: guardo negli occhi uno dei miei piccoli alunni, Novikov, mettiamo, e penso che questo bambino probabilmente diventerà un grande scrittore. Ter­minati i primi studi, farà il liceo, poi andrà all'Università. Potrei già vederlo dottore in medi­cina. Sarà un uomo forte, leale, buono e mite, af­fettuoso; sarà senz'altro un lavoratore ardito e di­sinteressato. Tutti avranno stima di lui. Oh, mi piace molto la sua fronte ampia, con due protu­beranze! E un giorno riandando entro di sé al tempo della sua fanciullezza troverà fra i ricordi la maestra Zvetaeva che mentre giocava con lui durante la ricreazione gli dette senza volerlo un colpo sul naso; o magari il mio ricordo non soprav­viverà in lui, nitidamente. Sono convinta però che sarà difficile: quel caro bambino mi vuole bene, molto. Ce n'è un altro, invece, Klokov, sempre disattento, disordinato e sporco, aggressivo di in­dole, attaccabrighe e imbroglione. Klokov non ha ne padre né madre; soltanto uno zio, che fa il guardiano notturno, si occupa di lui. Ma sebbene egli viva nella pili desolante miseria, conserva uno spirito fiero e coraggioso. Io guardo nel futuro: forse sarà un giornalista. Oh, quanti interessanti tipi fra i miei scolari! E penso sempre al loro avvenire, al destino che è loro riservato. Credimi, è davvero piacevole per me fare previsioni sulla vita dei miei scolari. Vedi, Tatiana, queste previ­sioni mi avvincono e perfino mi preoccupano; tut­tavia trovo in esse un conforto.

Tatiana                             - E al tuo futuro non hai mai pensato? I tuoi sco­lari avranno una bella vita, bellissima forse. Ma tu? Tu sarai già...

Maria Zvetaeva               - ...Morta? Oh, io vivrò molto a lungo!

Paolina                             - (in un sospiro, con voce fievole). Avete vera­mente un animo buono e delicato.

Maria Zvetaeva               - (sorridendo a Paolina). Ecco il ruscellino che ri­prende il suo mormorio. Vedi, Tatiana, non si può proprio dire che io sia una sentimentale, però quan­do penso agli uomini, alla vita del futuro, mi sento invadere da una tenera malinconia, serena come una lucente giornata di autunno. Sai, l'autunno ha gior­nate bellissime in cui il sole splende cosi puro nel celeste terso, dolce e sereno. L'aria è limpida, lieve, e lascia trasparire ogni cosa perfettamente, con una confortante nitidezza. L'aria è fresca, non fredda. Tiepida, non calda.

Tatiana                             - Tutte illusioni! Tuttavia non voglio negare, che a te, a Nilo, a Siskin e agli altri amici sia possi­bile vivere di illusioni.

Maria Zvetaeva               - Ma non si tratta di illusioni.

Tatiana                             - Non c'è nulla di reale-, secondo me, all'infuori degli oggetti che posso toccare: questo muro, la sedia, il tuo e il mio corpo. In realtà non sono convinta di niente. Forse non faccio che ripetere quello che sento dire dagli altri. Si, spesso con­traddico e poi mi domando: a Ho fatto bene? Forse dovevo approvare! Avrei dovuto dire di si?».

Maria Zvetaeva               - Tu ti lamenti di ogni cosa. Ma perché? Cerca di riflettere. Cosa trovi di affascinante nello sdop­piare il tuo spirito? Tu hai paura di credere perché la fede costringe in determinate regole la nostra personalità.

Tatiana                             - Non saprei dirti, veramente. Provate a farmela vedere, la fede; altrimenti non penso che essa possa nascere spontaneamente nella mia anima. (Ride stanca). Come ho compassione di coloro che hanno fiducia in voi: perché so che voi li ingannate! Certo, li ingannate! Dovreste avere il coraggio di ammetterlo. La vita è stata sempre cosi: opaca, misera e resterà sempre cosi.

Maria Zvetaeva               - (sorridendo). Si? Ne sei sicura?

Paolina                             - (quasi a sé stessa). Io no.

Tatiana                             - Cosa dici?

Paolina                             - Non sarà sempre cosi la vita.

Maria Zvetaeva               - Il dolce caro ruscellino!

Tatiana                             - Ecco, lei è una di quelle sventurate che credono. Prova a chiederglielo. Chiedile per quale ragione pensa che la vita cambierà.

Paolina                             - (si fa vicina a Tatiana, dicendole sottovoce). Vedi, in sostanza sono assai pochi coloro che possono profittare dei benefici della vita. Mancano, per cosi dire, del tempo per vivere. Non possono che lavorare, lavorare per procacciarsi un pezzo di pane; ma un giorno...

Siskin                               - (entrando a precipizio). Buona sera! (Rivolto a Paolina). Buona sera, o bionda figlia di li e Dunkan!

Paolina                             - Che cosa? Quale re?

Siskin                               - Eh, eh! Ci siete caduta! E' evidente che non avete ancora letto Heine, nonostante sono due set­timane che avete il libro per le mani. Buon giorno, Tatiana.

Tatiana                             - (tendendogli la mano). Ha ben altro per la testa che i libri, lei. Tra poco si sposa.

Siskin                               - Ma davvero? 1 con chi?

Maria Zvetaeva               - Con Nilo.

Siskin                               - Benissimo! Posso felicitarmi con tutto il cuore? Devo riconoscere che sposarsi è una sciocchezza come tante altre, non degna di persone intelligenti. Il matrimonio, nell'attuale stato della società...

Tatiana                             - Basta cosi, per favore. Risparmiaci la tua opi­nione che, d'altra parte, ci hai illustrato un mi­gliaio di volte.

Siskin                               - Allora, se la conosci, me ne sto zitto con piacere. D'altronde ho moltissima fretta. (Rivolto a Maria Zvetaeva). Venite con me? Benissimo. E Pietro dov'è?

Paolina                             - Al piano di sopra.

Siskin                               - Ali! Non mi va proprio di fare le scale per salu­tarlo. Vuoi farmi il piacere, Tatiana, o voi, Pao­lina, di fargli sapere che io... cioè... che insomma i Prokorov vanno ancora in cerca di un professore per lezioni private...

Maria Zvetaeva               - Ancora? Vuol dire che la vostra dea non è dav­vero la fortuna.

Tatiana                             - Avete litigato?

Siskin                               - Non esattamente litigato. Sapete, io sono piut­tosto riservato.

Maria Zvetaeva               - Ma che cosa c'è stato? Voi avete avuto sempre molta stima per Prokorov.

Siskin                               - Oh si, è vero! E tuttora riconosco che è un brav'uomo; ma è che mi dà l'aria di essere smargiasso, ciarlone e parolaio. Però, tutto sommato, è un trattabile bestione.

Tatiana                             - E' facile prevedere che Pietro non si preoccuperà più di procurarti lezioni private.

Siskin                               - Naturalmente! Avrà ragione d'inquietarsi.

Maria Zvetaeva               - Ma raccontatemi. Che cosa è accaduto tra voi e Prokorov?

Siskin                               - Che cosa volete... Innanzi tutto odia gli ebrei.

Tatiana                             - E che ragione hai di prendertela?

Siskin                               - Nessuna, è vero. Ma vi renderete conto, che non è conveniente essere antisemita? E' indegno di un intellettuale. Poi Prokorov è un perfetto borghese. Voglio dirvene una che potrà farvi capire che razza di tipo sia costui. La sua domestica andava alla scuola popolare domenicale. Ora, quando egli attaccava il bottone sull'utilità di questa scuola, non la finiva più. E non ero davvero io a chiedergli d'il­luminarmi sull'argomento. Lui si vantava per in­tere ore di essere uno dei promotori dell'istituzione. Ma ecco che una domenica egli tornando a casa -  orribile cosa! -  vede venirgli ad aprire la porta non la domestica, ma la balia... Infuriato chiede: «Dov'è Sasa?». E la balia: « E' andata alla scuola ». Cosi da allora proibì alla domestica di andare a scuola la domenica. E adesso ditemi il vostro parere su tutto ciò. (Tatiana scrolla le spalle, schiva).

Maria Zvetaeva               - Eccolo, lui, l'illustre retore!

Siskin                               - Dite quello che vi pare. Il fatto è che Pietro sembra trovarci un gusto matto a procurarmi le lezioni solo in casa di ciarlatani.  

Tatiana                             - (aspramente). Sbaglio o anche il precedente rice­vette i tuoi cortesi complimenti?

Siskin                               - Be', era senz'altro un bravissimo vecchio; ma, disgraziatamente coltivava la numismatica. E in ogni momento non faceva che rattristarmi con le sue monete, con avvilenti note di erudizione in­torno ai Cesari e ai Faraoni. Cosi un giorno gli dissi: « Vikenti Vasiìevic, voi dite cose perfetta­mente assurde. Un qualsiasi pezzettino di pietra an­tica quanto le vostre monete può essere non meno importante ». Lui si offese e replicò: « Secondo voi, quindi, io avrei sacrificato quattordici anni della mia vita intorno a cose assurde? ». Risposi che era perfettamente cosi. Quando mi congedai da lui trattenne sul mio mensile una moneta di cinquanta copeki: per metterla in collezione, sup­pongo. Si, adesso faccio dello spirito. Certo, ma... (Amaramente). Che caratteraccio, il mio! (Brusca­mente). Allora, Maria, vogliamo andare?

Siskin                               - Sono pronta. Arrivederci, Tatiana! Domani è do­menica, vero? Verrò a trovarti.

Tatiana                             - Grazie. Posso proprio paragonarmi a una pianta rampicante che si attorciglia alle vostre gambe im­pedendovi di camminare. Una pianta brutta e inutile.

Siskin                               - Che idee!

Maria Zvetaeva               - Idee che ci fanno soffrire, Tatiana cara.

Tatiana                             - Ma si, vedi, tu mi conosci. Il triste è che io credo di avere afferrato la malvagia logica dell'esistenza: « Non può vivere il senza-fede. Il senza-fede deve morire ». Si, è questo...

Maria Zvetaeva               - (sorridendo). Si? Può anche darsi che non sia cosi.

Tatiana                             - Mi prendi in giro? Lascia andare, non ne vale la pena!... Non credo che ci si possa divertir molto a prendermi in giro.

Maria Zvetaeva               - Ti prego, Tatiana cara, di non dire queste cose. Lo so che non sei tu, ma la tua malattia, la tua stan­chezza a parlare. Ora ti lascio... e non giudicarci malvagi e crudeli.

Tatiana                             - Andate pure, e arrivederci.

Siskin                               - (rivolto a Paolina). E voi quando vi deciderete a leggere Heine? Ah, già, voi vi sposate! Già… Si potrebbero fare interessantissime dissertazioni; ma è meglio che me ne vada. (Segue Maria Zvetaeva e esce con lèi).

Paolina                             - Sta per finire la funzione del vespro. Devo portare il samovar a tavola.

Tatiana                             - Non credo che papà e mamma prenderanno il tè. Ma fa' come ti pare. (Pausa). Prima il silenzio mi prostrava, adesso sento invece che mi giova.

Paolina                             - Non ti sembra ora di prendere le medicine?

Tatiana                             - No, aspetta un po'. Specie in questi ultimi giorni. C'è troppo chiasso in questa casa. Siskin, che chias­sone!

Paolina                             - (si avvicina a Tatiana). Non è cattivo, in fondo.

Tatiana                             - Sarà buono, ma stupido.

Paolina                             - Io trovo che sia oltre che buono anche generoso. Sfugge le ingiustizie, non le tollera, anzi; per que­sto s'interessò alla faccenda della domestica. Ci sono molti che come lui s'interessano alle condizioni di questa gente salariata dai ricchi. Perché poi?

Tatiana                             - (senza guardare in volto Paolina). Ma dimmi, Paolina, ti senti tranquilla, nella deliberazione di sposare Nilo?

Paolina                             - (calma, ma stupita). E che cosa dovrei temere? Non c'è nulla che mi faccia paura.

Tatiana                             - E domandi che cosa c'è da temere? Non so, io avrei paura. Ti dico questo perché ti voglio bene, lo sai. Tu e Nilo non avete nulla in comune. Tu sei un tipo alla buona, non istruita; egli invece è colto, ha studiato molto. Non hai mai pensato che la tua conversazione potrebbe annoiarlo?

Paolina                             - Sono sicura che no, perché so che mi ama.

Tatiana                             - puoi sapere? (Teterev (indispettita). Ma come lo entra con il samovar).

Paolina                             - Oh, siete veramente cortese! Vi ringrazio. Io allora vado a prendere il latte. (Esce).

Teterev                            - (Ha la faccia enfiata evidentemente per la sbornia consumata il giorno prima). Passavo dinanzi alla cucina con l'anima completamente beata, quando Stefania mi ha avvistato e mi ha implorato: « Si­gnore caro, portatemi il samovar; vi darò tutto quello che vorrete, un cetriolo sotto aceto, della salsa piccante... ». Io, in quanto ghiottissimo, mi sono lasciato immediatamente corrompere affrettan­domi a portare il samovar.

Tatiana                             - vespro? Siete stato alla funzione del

Teterev                            - No, poiché mi fa male la testa. E voi come state?

Tatiana                             - Abbastanza bene, grazie. Mi domandano come sto almeno venti volte al giorno. Vi garantisco che starei molto meglio se la facessero meno lunga. Questo continuo viavai mi esaspera i nervi. Tutti sono sempre in faccende e in bisticci. Papà è in collera con Nilo, mamma non fa che lagnarsi, e io, sdraiata qui, assisto e non riesco a comprendere quale sia la ragione di questo stato di cose, di ciò che, in altre parole, sarebbe nient'altro che la vita.

Teterev                            - Vi dirò che secondo me la questione non va im­postata cosi; il mio punto di vista è notevolmente liti originale. Io, vedete, sono un uomo del tutto singolare, astratto da quanto accade nel mondo. Vivo per curiosità e trovo che, sotto questo mio modo di vederla, la vita diventa abbastanza inte­ressante.

Tatiana                             - Lo so che voi vi contentate di poco. Ma quale sarebbe l'interesse che trovate nella vita?

Teterev                            - Quello di studiare la gente che vive d'amore e d'accordo. Per esempio, quando vado a teatro mi piace ascoltare gli orchestranti che accordano gli strumenti. L'orecchio viene distratto da una quan­tità di suoni che a volte si connettono in una pro­posizione musicale pregevole ed espressiva; però la mente è presa dal desiderio di assistere a un altro accordo: a quello degli orchestranti quando con­certano.

Tatiana                             - Già; questo voi lo provate in teatro, Viene il di­rettore d'orchestra e alza la bacchetta, e i suonatori eseguono un'aria sorpassata e banale. Ma credete veramente che essi siano capaci di suonare? Lo cre­dete davvero?

Teterev                            - E come! E a volte eseguono anche qualche cosa di fortissimo.

Tatiana                             - Vedremo, vedremo. (Pausa. Teterev accende la sua pipa). Perché fumate la pipa? Non preferite le si­garette?

Teterev                            - La pipa è più comoda. Vedete, io sto sempre in giro, non ho un recapito fisso; e la pipa è la mia compagna. Appena verrà l'inverno, me ne andrò da questa città.

Tatiana                             - Per andare dove?

Teterev                            - Chi lo sa! D'altra parte in un luogo o in un altro è lo stesso.

Tatiana                             - Voi morrete ubbriaco in qualche regione glaciale.

Teterev                            - Quando sono in viaggio, non bevo, a dire la ve­rità. Però anche se morissi assiderato ciò non avrebbe alcuna importanza. Meglio morire asside­rati mentre si cammina -  sia pure senza una meta -  piuttosto che marcire senza fare alcun tentativo per cambiare residenza.

Tatiana                             - Vi riferite a me?

Teterev                            - (ha un sussulto, sconcertato). Dio me ne guardi e liberi! Ma che cosa dite? Io, io... io non sono...

Tatiana                             - (sorridendo). Non allarmatevi. Non mi offenderei davvero per questo. Da molto tempo non ho più il piacere di possedere il sentimento del dolore. (Ama­ramente). Tutti orinai sono convinti che non pos­sono punzecchiarmi: Paolina, Elena, Maria Zvetaeva si comportano con me come quei ricchi che non si curano di quel che possa sentire il povero alla vista dei loro vistosi pranzi.

Teterev                            - (accigliandosi). Perché vi vilipendete cosi? Bi­sogna aver rispetto di se stessi.

Tatiana                             - Be', lasciamo andare. (Pausa). Ditemi qualche cosa di voi, piuttosto. E' molto tempo che non vi sento parlare di voi stesso. Perché?

Teterev                            - La questione è complicata. E del tutto priva d'in­teresse.

Tatiana                             - Non fa niente, dite pure. Perché menate una vita cosi singolare? Siete intelligente, pieno d'ingegno. Che cosa c'è dunque nel vostro passato?

Teterev                            - (ironico). Che cosa c'è? Oh, la mia vita è troppo lunga e troppo noiosa! Non è piacevole sentirla raccontare. Avevo cercato la luce e il sole, ma dovetti tornare a piedi nudi, con le vesti a brandelli. Brano morte le belle e grandi speranze inseguite nel mio lungo cammino... Però questi versi sono ancora troppo belli perché possano riferirsi alla mia vita. Inoltre si deve ag­giungere che in Russia è indubbiamente pili co­modo fare l'alcoolizzato e il vagabondo anzi che l'uomo onesto, parco, e buono a qualche cosa. (En­trano Pietro e Nilo). Solo le persone integerrime e forme nei loro propositi riescono a farsi strada. .Nilo, da dove vieni?

Nilo                                 - Dal deposito. Dopo fiera battaglia ho riportato piena vittoria. Il capo deposito ha la testa di legno...

Pietro                               - Rischi decisamente di essere licenziato.

Nilo                                 - E anche se fosse? Troverei subito lavoro altrove, e, naturalmente, a condizioni più vantaggiose.

Tatiana                             - Pietro, volevo dirti che Siskin ha litigato con Prokorov. Ma non aveva il coraggio di dirtelo, allora...

Pietro                               - (infuriato). Al diavolo anche lui! Mi secca terri­bilmente questa faccenda, perché mi fa fare una pessima figura di fronte a Prokorov, e mi toglie la possibilità di giovare agli altri amici.

Nilo                                 - Come fai presto ad adirarti! Prima di tutto dovresti andare in fondo alla faccenda e scoprire di chi è la colpa.

Pietro                               - Questo lo so pure io.

Tatiana                             - Siskin si è inquietato perché Prokorov è anti­semita.

Nilo                                 - (ridendo). Ottimamente

Pietro                               - E' naturale. Anche tu sei d'accordo perché non ammetti la libertà di pensiero. Barbaro

Nilo                                 - E tu, scusami, che difendi tanto la libertà delle opinioni, ti senti capace di stimarlo, un antise­mita?

Pietro                               - Io so solo che non avrei alcun diritto di prendere per il petto chicchessia.

Nilo                                 - Io invece non esiterei un istante.

Teterev                            - (guarda or l'uno or l'altro dei due avversari). Forza, seguitate!

Pietro                               - E da dove ti viene codesto diritto?

Nilo                                 - I diritti non cadono dal cielo. Si conquistano. L'uomo deve conquistarli con le sue forze i propri diritti, se non vuole essere soffocato dai propri do­veri.

Pietro                               - Un momento! ...

Tatiana                             - (irritata). Discussioni! Ancora discussioni. 'Non la finirete dunque mai di discutere?

Pietro                               - Scusa, non parlo più. Devi pur ammettere però che Siskin...

Tatiana                             - E’ uno stupido, d'accordo.

Nilo                                 - Invece a me sembra un bravissimo ragazzo, che non permette a nessuno di prendere il sopravvento su di lui; ed egli lo prende sugli altri. E' un gio­vane che sente profondamente il senso della propria dignità.

Tatiana                             - Si tratta di dignità puerile, è chiaro.

Nilo                                 - Non volevo dire questo; ma anche se fosse così, egli non cesserebbe di essere un ottimo giovane.

Pietro                               - Unbuffone..

Nilo                                 - T'utt'altro. E' ammirevole chi getta via runico pezzo di pane che ha, perché non riesce a stimare colui che gliel'ha dato.

Pietro                               - Se uno rifiuta il pane, sta tranquillo che vuol dire che non ha fame. Ma tanto lo so che tu contrad­dirai, che vorrai discutere. Per esempio: non fai che affannarti a dichiarare che non stimi mio padre. Perché questo?

Nilo                                 - Perché non lo stimo, ecco tutto.

Teterev                            - Parli da bambino. Non sai che le regole della so­cietà esigono che l'uomo menta? Dunque, dimmi, quale è il tuo punto

Pietro                               - Divista?

Nilo                                 - Amico mio, è evidente che noi non siamo nati per capirci. Perciò chiudiamo la questione senza discutere ulteriormente. Abbiamo tutto da guadagnarci. D'altra parte lo sai che tutto quello che tuo padre dice o fa mi ripugna.

Pietro                               - Va bene, qualche volta anche io sento un po' di ripugnanza; però so dominarmi. Tu invece non fai che farlo inquietare. E a pagare le spese poi siamo Tatiana e io.

Tatiana                             - Ma basta, smettete! Non vi accorgete di quanto siete noiosi? (Nilo le volge uno sguardo, poi si avvi­cina alla tavola).

Pietro                               - La nostra discussione ti affatica?

Tatiana                             - Si, sono stanca, tanto stanca! (Paolina torna con la lattiera. Vedendo che Nilo sorride, un po' pensie­roso, volge uno sguardo in giro agli altri).

Paolina                             - Guardatelo, è contento come una Pasqua!

Teterev                            - Che cos'hai da ridere?

Nilo                                 - Stavo ricordando il modo col quale ho fatto am­mutolire il capo deposito che sbraitava.

Teterev                            - (flettendo la voce su un tono basso). E cosi sia!

Pietro                               - (scrollando le spalle). Bellissimo! Questi ottimisti giurati nascono ciechi.

Nilo                                 - Ottimista o meno, ciò non ha importanza. A me piace la vita, e basta. (Si alza e prende a passeg­giare per la stanza). Come è bello vivere!

Teterev                            - Si, la vita è molto interessante.

Pietro                               - Se parlate sinceramente siete due persone di spi­rito.

Nilo                                 - Io invece non so come definirti. Ormai tutti sanno che ami e sei ricambiato e non credo che tu desideri ancora tenere nascosta la cosa. Dunque, nemmeno per questo sei preso dal desiderio di cantare e balla­re? Neppure per questo senti il cuore scoppiare dalla gioia? (Paolina, dietro al samovar continua a osser­vare tutti a uno a uno, con uno sguardo severo. Ta­tiana smania, e senza averne Varia, segue con lo sguardo Nilo. Teterev è intento a pulire la pipa, e sorride).

Pietro                               - Il tuo noto ottimismo ti fa dimenticare che ho ancora molti ostacoli davanti a me. Innanzi tutto sono studente, e come tale non ho alcun diritto a prendere moglie. In secondo luogo dovrò lottare ai ferri corti con i miei genitori. Terzo...

Nilo                                 - Ancora? Mio Dio, allora non ti resta che fuggire. Fuggi nel deserto!

Tatiana                             - (sorride). Nilo, ti prego, non fare il burlone!

Nilo                                 - No, caro Pietro, no. Vivere è una necessità asso­luta anche quando non ci vanno bene le questioni amorose. Io, per esempio, so che è penoso, logo­rante far marciare brutte locomotive nelle notti autunnali nel vento e nella pioggia, o nelle notti d'inverno sotto la tormenta, quando tutto intorno a noi è oscurità tetra, spaventosa; però, questo fatto non manca di una certa attrattiva. Si, anche tutto ciò ha un'attrattiva. La sola cosa che non mi convince è il fatto che noi uomini onesti dobbiamo avere per maestri ladri, stupidi, e porci. 'Ma dob­biamo vedere di consolarci: la vita non è tutta per loro. Essi spariranno come finiscono con lo sparire le pustole su un corpo sano.

Pietro                               - Mi hai ripetuto questo discorso chi sa quante volte. Vedremo quale sarà la risposta che ti darà la vita.

Nilo                                 - Sarò io a imporre alla mia vita la risposta che mi piacerà. Le tue parole non mi scoraggiano af­fatto, in quanto più di te io non mi faccio illu­sioni: so che la vita è difficile. Talvolta anche bar­baramente feroce; so che le forze più brutali e vio­lente soffocano e affogano l'uomo. Sono perfetta­mente convinto di tutto questo e ne ho nausea. L'attuale stato di cose non mi convince affatto. Naturalmente so che la vita è una necessità in­trascurabile dell'uomo: ma una necessità non an­cora sistemata e io per organizzarla dovrò fare ap­pello a tutte le mie forze e a tutte le mie ide8. Non sono un gigante, lo so; ma sono onesto e sano. Per questo mi dico: « Non fa nulla! ». E con tutte le energie del mio spirito m'impegnerò a realizzare il mio desiderio, ad amalgamare la vita secondo la mia volontà, a combattere gli uni e a soccorrere gli altri. In questo, per me risiede la gioia della vita

Teterev                            - (sorridendo). Questa è l’enunciazione della scienza più profonda, sintesi di tutta una filosofia! Che ogni altra filosofia sia una  bestemmia, a confronto!

Elena                               - (comparendo sulla soglia). Che cosa significano tutto codesto chiasso e codesti gesti oratori?

Nilo                                 - (andandole incontro). Oh, voi almeno, signora, potrete comprendermi! Ho elevato un canto di lode alla vita. Dunque, dite con me; e La vita è un piacere! ».

Paolina                             - (sottovoce). E’ un piacere la vita.

Elena                               - E chi potrebbe affermare il contrario?

Nilo                                 - (rivolto a Paolina). E anche tu, amore, sei...

Elena                               - Ehi, ehi, non si dicono paroline dolci alla mia presenza.

Teterev                            - Ma che cosa ha Nilo? Ha perduto la testa? Sem­bra che abbia bevuto. (Tatiana lascia andare in­dietro con lentezza il capo sul bracciolo del divano, poi, con altrettanta lentezza, si copre il viso con le mani).

Elena                                           - Avevo intenzione d'invitarvi a prendere il tè in casa mia; ma vedo che voi vi state già servendo. Ebbene, dato che questa sera mi sembra che siate in vena, resterò qui. Va bene? (Rivolta a Teterev). Soltanto voi, venerabile corvo, vi adombrate. Che cosa avete ?

Teterev                            - Io? Niente. Sono allegro anch'io, questa sera; ma è che amo consumare in silenzio la mia allegria, e annoiarmi rumorosamente.

Nilo                                              - Come tutti i grossi cani, intelligenti e docili.

Elena                               - Io non vi ho mai visto né triste né allegro. Voi non fate che della filosofia. Ah, sapete, miei cari, si, non sai, Tatiana, che egli è il mio professore di filosofia? Ieri, infatti, mi ha fatto una lezione intorno al raziocinio. Però ho del tutto dimenticato i termini della regola che mi ha enunciato. Vi prego, potreste ripetermeli?

Teterev                            - (sorridendo). Non c'è nessuna cosa senza ragione: per cui la ragione esiste.

Elena                               - Capito? Ho imparato cose scientifiche di questo gemere. Voi, per esempio, ignorate che questa re­gola determina, determina, proprio, -  questo è un termine filosofico, determina -  qualche cosa... vale a dire che somiglia un po' alla quercia in quanto, vedete, ha quattro radici. Dico bene?

Teterev                                        - E chi oserebbe mai contraddirvi?

Elena                                           - Oh, quanto a questo vi credo senz'altro. Ma an­diamo avanti. La prima radice, che, sotto deter­minati aspetti, potrebbe anche non essere la pri­ma, la legge, cioè, della ragion d'essere, è la materia che prende forma. Io, per farvi un esempio, non sono che la materia che ha preso la forma di donna; però non c'è ragione alcuna in questo processo, e io sono completamente priva di esistenza. L'esi­stenza, infatti, è eterna; la materia che prende forma, invece, è transitoria sulla terra, e fugge­vole. Dico bene? Esatto?

Teterev                                        - Siete la bocca della verità. Avanti.

Elena                               - Naturalmente esiste la relazione di causa a 'priori e la relazione di causa a posteriori. Però ho com­pletamente dimenticato il significato di queste re­lazioni. Ora, se non diventerò calva sotto il peso di tanta sapienza, mostrerò di essere una donna intelligentissima. Ma adesso, ecco il punto, il ca­pitolo più significativo e più saggio di tutta la filosofia: a che prò, Teterev, mi pariate di filo­sofia?

Teterev                            - io mi dà l'ambita gioia Innanzi tutto, perché ciò di guardarvi...

Elena                               - Grazie! Il secondo motivo sarà certamente non troppo interessante.

Teterev                            - In secondo luogo perché solo facendo della filo­sofia si può avere la gioia di evitare le menzogne. Difatti quando l'uomo fa della filosofia, non men­tisce, in quanto inventa.

Elena                               - Non ho capito bene... Dimmi, Tatiana, come stai stasera? (Senza attendere risposta). Pietro, perché avete il broncio?

Pietro                               - Sono stanco di me stesso.

Nilo                                 - E di tutto il resto, no?

Elena                               - Oh, sapete che ho una voglia matta di mettermi a cantare? Peccato che è sabato sera e che non siano ancora finite le funzioni del vespro. (Entrano i vecchi Bezsemenov). Oh, ecco che tornano! Buo­na sera!

Bezsemenov                    - (in tono scontroso). I miei rispetti.

Akulina Ivanovna            - Buona sera, signora! Ma noi ci siamo già salu­tate prima.

Elena                               - Già, dimenticavo. Allora, faceva caldo in chiesa?

Bezsemenov                    - Noi non andiamo in chiesa per saggiare il grado di temperatura.

Elena                               - (indispettita). Già. In realtà volevo chiedervi... chiedervi se c'era molta gente.

Akulina Ivanovna            - Non abbiamo contato le persone, signora.

Paolina                             - (rivolta a Bezsemenov). Prendete il tè?

Bezsemenov                    - Prima ceniamo. Akulina, fa' presto a preparare. (Akulina Ivanovna esce mormorando. Segue il si­lenzio. Tatiana, sorretta da Elena, si avvicina alla tavola. Pietro passeggia. Teterev, seduto vicino al pianoforte, guarda attentamente tutti sorriden­do. Paolina è intenta a mettere il samovar sulla tavola. Bezsemenov è seduto sul grosso scrigno). E' incredibile come la gente d'oggi rubi sfaccia­tamente. Quando sono uscito per andare in chiesa con mia moglie ho messo sulla soglia dell'uscio di strada una tavola per pulirci le scarpe spor­che di fango al nostro ritorno. Ma quando siamo tornati la tavola non £'era più: rubata! Quanta disonestà al giorno d'oggi! (Pausa). Ai nostri tempi non esistevano tanti ladri. I delinquenti ma­gari si davano al brigantaggio. Certo, allora l'ani­ma umana era piena di sentimenti più grandi, e nessuno voleva insudiciarsi per un nonnulla. (Si sente dalla via il suono di una fisarmonica accom­pagnata dal canto). Anche questa, adesso! E' sabato, e si canta, si suona, si ride come se niente fosse. (Il suono si fa più vicino. Ora si distingue che le voci sono due). Naturalmente saranno ope­rai che dall'officina si saranno recati direttamente all'osteria per depositarvi la paga della settimana. Ora, a tasche vuote, urlano. (Il canto è vicinis­simo. Si capisce che il suonatore con i suoi amici si è fermato sotto le finestre. Nilo, col naso schiac­ciato contro i vetri delle finestre, guarda nella via). Tutta gente che prova questa vita per un anno o tutt'al più due. Poi abbandona ogni cosa e si dà al vagabondaggio e ai crimine.

Nilo                                 - Mi pare che sia Perciskin.

Akulina Ivanovna            - (facendo capolino). Babbo, vieni a cena?

Bezsemenov                    - Perciskin: altro buono a nulla... (Esce).

Elena                               - (lo segue con lo sguardo). Si prende meglio in casa mia il tè.

Nilo                                 - Prima, avete parlato ai vecchi veramente con spirito.

Elena                               - Il Signore di Bezsemenov non riesce a digerirmi, e questo non mi entusiasma... anzi, m'indispone... Perché mi odia?

Pietro                               - Sapete, non è cattivo, in fondo... E’ che ha un po' troppo amor proprio.

Nilo                                 - E anche un po' troppa avidità... Senza parlare del fatto che è notevolmente cattivo.

Paolina                             - Non sta bene parlare male degli altri alle spalle.

Nilo                                 - Ma essere avidi sta bene ancor meno.

Tatiana                             - (irritata e sdegnosa). Se non vi dispiace, vi pro­porrei di troncare la faccenda senza discutere ulte­riormente... Papà potrebbe giungere da un mo­mento all'altro... Dovete tener conto che sono tre giorni che fa sforzi per mostrarsi cortese con tutti e non insultare nessuno.

Pietro                               - E ciò gli costa molto. Più di quanto possiate credere.

Tatiana                             - Bisogna serbargli una certa gratitudine per que­sto, e tener conto che non è davvero sua la colpa se è nato prima di noi e se, di conseguenza, non riesce a vedere le cose come le vediamo noi. (Irri­tandosi^). Siamo crudeli, in realtà! Siamo volgari e spietati! Si dice che bisogna amare il prossimo, perdonare, non fanno che predicarci la bontà e l'indulgenza...

Nilo                                 - (imitando il tono della voce di Tatiana)... e ci montano a cavallucci, e ci spronano a camminare. (Elena ride di cuore. Paolina e Teterev sorridono. Pietro si rivolge interdetto a Nilo. Tatiana scuote il capo, disapprovando).

Bezsemenov                    - (entrando, volge a Elena un'occhiata audace). Paolina, in cucina c'è tuo padre. Fammi il pia­cere di dirgli di andarsene... Che venga un'altra volta, quando non sarà in un simile stato di ubbriachezza. Diglielo, diglielo, di tornarsene a casa; non ci sarebbe altro da dirgli in un'occasione come questa. (Paolina esce. Nilo l’accompagno). (Seguen­do Nilo con lo sguardo). Si, si... va' pure tu... a vedere il tuo futuro... (Tace d'un tratto e si siede a tavola). Allora, nessuno ha niente da dirmi? E' da un pezzo che sto notando che appena arrivo io cadono tutte le discussioni.

Tatiana                             - Oh, anche quando non ci sei tu, papà, credilo, non si trovano mai sufficienti argomenti per con­versare!

Bezsemenov                    - (guarda Elena di sbieco). In compenso si ride. Di che cosa, poi?

Pietro                               - Di sciocchezze... Nilo...

Bezsemenov                    - Nilo, naturalmente... sempre lui...

Tatiana                             - Vuoi il tè?

Bezsemenov                    - Si.

Elena                               - Lascia stare, Tatiana, lo servo io.

Bezsemenov                    - Grazie, grazie, non scomodatevi, mi servirà Ta­tiana,

Pietro                               - Immagino che per te sia lo stesso. Tatiana non sta bene.

Bezsemenov                    - Le tue personali opinioni non m'interessano af­fatto. E’ noto che tu preferisci fartela con gli .estranei anzi che con i parenti.

Pietro                               - Papà, dovresti vergognarti di parlare in code­sto modo..

Tatiana                             - Pietro, per favore, sii cauto.

Elena                               - (con un sorriso falso). Mio Dio, non mi sembra il caso di stare a discutere. (Si apre lentamente la porta ed entra Perciskin, alticcio).

Perciskin                          - O, Vasili, io sono venuto e tu sei scappato... Io, però, voglio starti vicino...

Bezsemenov                    - (senza degnarlo di uno sguardo). Dato che ci sei, siedi, e prendi il tè.

Perciskin                          - No, grazie. Bevilo alla tua salute. Io non sono venuto propriamente per il tè, ma per parlarti.

Bezsemenov                    - E di che cosa? Non può trattarsi che di stupi­daggini,

Perciskin                          - Stupidaggini, va bene. (Ride). Però io credo che sia tu lo stupido. (Nilo rientra, volge a Bezsemenov uno sguardo severo, quindi va a mettersi davanti all'armadio). Poiché c'è necessità di un colloquio a quattro, in questa casa, eccomi qui.

Bezsemenov                    - D'accordo, d'accordo...

Perciskin                          - Eh no, cosi non siamo mica d'accordo, caro Va­sili! Tu sei un uomo intelligente, molto ricco, e io sono venuto a interrogare la tua coscienza.

Pietro                               - (si avvicina a Nilo e gli dice a mezza voce). Ma perché l'hai fatto entrare?

Nilo                                              - Lascia andare. Questa faccenda non ti riguarda.

Pietro                               - Tu fai sempre il comodo tuo, e degli altri te ne infischi.

Peecisckin                        - (coprendo con la sua voce quella di Pietro). Eh, vecchio del mio cuore, ti conosco da un pezzo, io!

Bezsemenov                    - (di nuove infuriato). Ma si può sapere che vuoi? Che diavolo sei venuto a fare?

Perciskin                          - "Voglio sapere perché l'altro giorno mi hai messo alla porta. Più ci penso e più non riesco a capirlo. Ti prego di spiegarmelo. Io sono venuto amore­volmente... con le più buone intenzioni.

Bezsemenov                    - Tu sei venuto non assistito dalla ragione... ecco la verità...

Tatiana                             - Pietro, ti prego di... Paolina!... (Pietro esce).

Perciskin                          - Si, Paolina. E' per la mia buona Paolina che mi hai messo alla porta, eh? Perché ha portato via il ragazzo a Tatiana...

Tatiana                             - Non dire stupidaggini... smettila!

Bezsemenov                    - (si alza lentamente). Perciskin, per la seconda e ultima volte... ti dico...

Elena                               - (a Nilo sottovoce). Conducetelo via, vi prego: litigheranno ancora!

Nilo                                 - No, non sarebbe giusto.

Perciskin                          - Non mi metterai ancora alla porta. Non sarebbe giusto. Io voglio bene a Paolina, la mia cara figlia. Non posso approvare, tuttavia... No, non appro­vo... Non si deve prendere quello che appartiene agli altri. Non sta bene.

Tatiana                             - Elena, vorrei tornare in camera mia. (Elena si alza e offre il braccio a Tatiana; passa davanti a Nilo). Vergognatevi tutti! Perché non lo condu­cete via?

Bezsemenov                    - (cercando di dominarsi). Perciskin, sta' zitto... sta' zitto…. se no... vattene a casa tua! (Entra Paolina seguita da Pietro).

Pietro                               - (rivolto a Paolina). Prudenza! Mi raccomando.

Paolina                             - Yasiìi Bezsemenov, perché l'altro giorno avete cacciato di casa mio padre? (Bezsemenov osserva in silenzio tutti l’un dopo l’altro).

Perciskin                          - (fa’ col dito un cenno di rimprovero alla figlia). Eh, figlia mia, no, tu non dovresti parlare, non ne hai il diritto, tu... lo sai bene perché Tatiana si è avvelenata! Vasili mio carissimo, vedi io son ve­nuto per sottomettere la faccenda al mio giudi­zio, giudicarlo secondo la mia coscienza, e da tutti i punti di vista.

Paolina                             - Taci, papà...

Pietro                               - Scusami, Paolina...

Nilo                                 - Sarebbe molto meglio che tu tacessi.

Bezsemenov                    - Sei incredibilmente sfacciata, Paolina...

Perciskin                          - Mia figlia, che dici? Mia figlia...

Bezsemenov                    - Ti ho detto di tacere. Comincio a non capire più niente... Ma insomma, dove credete di essere? Chi è il padrone, qui? Chi deve essere il giudice, secondo voi?

Perciskin                          - Io voglio giudicare. Io so giudicare bene. In­nanzi tutto non si ruba la roba altrui; in secondo luogo se Paolina l'ha presa, deve restituirla.

Pietro                               - (a Perciskin). Ma basta, basta, dunque! Avanti, vieni via!

Perciskin                          - Tu, Pietro, non mi piaci. Fai sempre il furbo, e in fondo non sei buono a niente. E poi sei troppo ignorante. Non hai saputo neanche dirmi che cosa vuol dire incanalamento... Non lo sai... non me l'hai saputo spiegare. E io me lo son fatto spie- gare da altri più istruiti di te... (Pietro lo tira per la manica). Lasciami stare... un momento!...

Nilo                                 - (a Pietro). Lascialo...

Bezsemenov                    - (rivolto a Nilo). Dai, tu! Divertiti a mettere la paglia sul fuoco!

Nilo                                 - A me preme soltanto sapere che cosa ha fatto di male Perciskin. perché l'avete messo alla porta? E qual è la parte di Paolina in questo affare?

Bezsemenov                    - Anche un interrogatorio, adesso?

Nilo                                 - Perché no? Voi non siete che un uomo come me.

Bezsemenov                    - (infuriato). Tu invece non sei un uomo, ma un veleno, una belva!

Perciskin                          - Perché tanto chiasso? Bisogna discutere dolce­mente; e ascoltare solo la coscienza.

Bezsemenov                    - (rivolto a Paolina). E tu, vipera, pezzente...

Nilo                                 - (con ira mal soffocata). Non alzate tanto la voce!

Bezsemenov                    - Che cosa? Fuori, esci fuori! Serpe schifoso! A me che t'ho sfamato con la fatica delle mie braccia, col mio sangue!...

Tatiana                             - (dalla sua camera). Papà, ti prego, papà!...

Pietro                               - (a Nilo). Contento adesso? Questo volevi, no? Dovresti vergognarti!

Paolina                             - (a bassa voce). Non strillate contro di me! Devo ricordarvi che non sono la vostra schiava e che non vi è concesso d'insultare tutte le persone. In­somma, volete dirmi perché avete scacciato mio padre?

Nilo                                 - (calmo). Anche io vi chiedo la stessa cosa. Mi sembra che non ci sia nessun pazzo qui; quindi ognuno deve avere il coraggio di rispondere delle proprie azioni.

Bezsemenov                    - (cercando di dominarsi, abbassando la voce). Nilo, non farmi uscire fuori dei gangheri! Va’ via! Bada, eh! Ricordati che sono stato io a ti­rarti su!

Nilo                                 - Come al solito mi rinfacciate il pane che mi avete dato e che io vi pago con il mio lavoro...

Bezsemenov                    - Non il pane hai divorato, ma la mia anima, ma­scalzone!

Paolina                             - (tirando Nilo per la mano). Andiamocene via!

Bezsemenov                    - (a Paolina). Fuori, fuori, serpe! Per te... per le tue male arti, mia figlia... Si, tu, serpe, hai morso mia figlia... e hai accalappiato lui; male­detta serpe! Per colpa tua mia figlia...

Perciskin                          - Vasili, sta' calmo! Bisogna ponderare le cose secondo la coscienza!

Tatiana                             - (dalla camera). Papà, non è vero! Pietro, per­ché non mi difendi? (Compare sulla soglia della, sua camera, tendendo le braccia e vacillando). Pie­tro, non permettere che si dicano certe cose!... Ah, Dio! Teterev, aiutatemi voi! Dite che non è vero! Nilo, Paolina... vi supplico di andar via... an­date, vi prega, per ora... Tutto questo.. (Tutti smaniano imbarazzati. Teterev sorride e si alza lentamente. Bezsemenov fa alcuni passi indietro davanti alla figlia. Pietro prende la sorella per un braccio e si guarda intorno smarrito).

Paolina                             - Andiamo via.

Nilo                                 - Si. (A Bezsemenov). Va bene! Dunque, addio! Mi spiace solo che si sia fatto tanto chiasso!

Bezsemenov                    - Fuori! Fuori! Andate via!...

Nilo                                 - Vado, e per sempre!

Paolina                             - (a voce alta e sonora). Accusarmi di... Dare a me la colpa di quel che è accaduto a Tatiana!... Incredibile!... E’ colpa mia se... Dovreste vergo­gnarvi, tutti!

Bezsemenov                    - (furioso). Stai ancora qui?

Nilo                                 - Un po' più di buona creanza, se non vi dispiace.

Perciskin                          - Figli miei, ragazzi miei, non infuriatevi, biso­gna agire con dolcezza...

Paolina                             - Addio a tutti! Vieni, papà...

Nilo                                 - (a Perciskin). Venite.

Perciskin                          - No, non vengo con voi. Non voglio venire con voi. Io ho il mio destino. Teterev, sai, io sono solo e voglio fare solo quello che mi piace.

Teterev                            - Vieni ad abitare a casa mia.

Paolina                             - Che aspetti a venire, papà? Che ti caccino?...

Perciskin                          - Non voglio venire con voi. Teterev, capisci, non voglio mettermi dalla parte loro... Io capisco...

Pietro                               - (rivolto a Nilo). Dunque, andate una buona volta!

Nilo                                 - Vado, vado... addio!... Ma ricordati che pure tu...

Paolina                             - Vieni... su... (Escono).

Bezsemenov                    - (grida). Venite subito qui; salutate la gente, per creanza!

Pietro                               - Papà, lascia che vadano alla malora, finalmente!

Tatiana                             - Papà caro, sta' calmo, non inquietarti più!

Bezsemenov                    - Aspettate un momento...

Perciskin                          - Allora, se ne sono andati? Meglio cosi! Che va­dano per la loro strada!

Bezsemenov                    - Devo dirglielo per l'ultima volta: delinquenti! Dopo di averli sfamati, cresciuti! (A Perciskin). E tu, vecchio pazzo, che diavolo sei venuto a fare qui? Che vuoi?

Pietro                               - Papà, basta, basta!

Perciskin                          - Vasili, amico mio carissimo, non urlare cosi; sai che ti stimo tanto... nonostante mi abbia re­galato l'appellativo di pazzo. Io sono pazzo, è risa­puto; ma capisco abbastanza quanto valete voi tutti.

Bezsemenov                    - (siede sul divano). Ho perduto la testa! Non ca­pisco più niente. Che cosa è successo? All'improv­viso... come nell'estate... dopo una siccità, l'incendio... Se ne sono andati, all'improvviso... Semplicissimo, no? Ma io non posso persuadermi,

Teterev                            - (a Perciskin). E tu sei ancora qui? Che aspetti ad andartene?

Perciskin                          - Vorrei procedere ordinatamente, amico mio. Io ho idee chiare e semplici... dalla prima all'ulti­ma... Paolina non è figlia mia? Si! Dunque deve... (Tace all'improvviso). Io non sono stato un buon padre; e lei non mi deve nulla. Viva dunque come le piace. Ma la povera Tatiana mi fa pena. Ta­tiana, ti giuro che mi fai pena. Veramente mi fate pena un po' tutti. Siete un po' tutti stupidi, vera­mente. Cosi ridicoli...

Bezsemenov                    - Sta' zitto!

Pietro                               - Tatiana, dov'è Elena?

Elena                               - (la sua voce si ode 'proveniente dalla camera di Tatiana), Qui, sto preparando le medicine.

Bezsemenov                    - Ho perduto il filo delle mie idee... Non capisco più un accidente. Ma e proprio vero che Nilo se ne è andato via cosi, di punto in bianco?

Akulina Ivanovna            - (entra, agitatissima). Che succede? Nilo e Pao­lina sono in cucina... Io nella dispensa...

Bezsemenov                    - Sono qui?

Akulina Ivanovna            - Si, aspettano Perciskin. Paolina mi ha detto di dire a Perciskin... Ha detto con le labbra treman­ti... Nilo è fuori di sé... Ma che succede?

Bezsemenov                    - (si alza). Un momento, voglio andare a vedere di che si tratta.

Pietro                               - Papà, resta qui, ti prego! Lascia stare!

Tatiana                             - Papà, ascoltami, resta!

Bezsemenov                    - E perché?

Akulina Ivanovna            - Ma che è successo?

Bezsemenov                    - Nilo se ne va per sempre... capisci?

Pietro                               - E con questo? Meglio cosi! Perché dovrebbe ri­manere? Si sposa, deve mettere casa...

Bezsemenov                    - E io? Sono un estraneo per lui?

Akulina Ivanovna            - E ti avveleni il sangue per questo? Che se ne vadano! Noi, fortunatamente, li abbiamo due figli! (A Perciskin). E tu che stai a fare? Va' a rag­giungerli.

Perciskin                          - No, io non andrò con loro, no. Io seguirò il mio destino!

Bezsemenov                    - Non mi irrito perché se n'è andato, ma per il modo... Voleva andarsene? Bene, poteva andarsene in un'altra maniera... e non guardandomi con quegli ocelli. (Elena viene fuori dalla camera di Tatiana).

Teterev                            - (prendendo Perciskin sotto il braccio, l’accom­pagna alla porta). Un bicchierino... eh?

Perciskin                          - O tu, cantore dalla voce divina, andiamo!... Sei un uomo serio, tu! (Escono).

Bezsemenov                    - Lo sapevo, lo sapevo, che ci avrebbe lasciati... ma non avrei mai pensato che l'avrebbe potuto fare in un simile modo. E quell'altra... quell'al­tra... Una pazza... una ragazzaccia! Devo dirgliele due paroline!

Akulina Ivanovna            - No, no, che t'importa? Non sono della nostra fa­miglia. Non meritano che ce la prendiamo tanto. Se ne sono andati? Tanto di guadagnato!

Elena                               - (a Pietro). Volete venire su da me?

Tatiana                             - Anche io voglio venire, ti prego!

Elena                               - Allora andiamo, su!

Bezsemenov                    - Dove?

Elena                               - A casa mia.

Bezsemenov                    - E con chi vorreste andare in casa vostra? Con Pietro?

Elena                               - Si, con Pietro e Tatiana.

Bezsemenov                    - Tatiana non ne ha voglia. In quanto a Pietro non vedo la ragione perché debba venire a casa vostra.

Pietro                               - Ma papà, scusami, non sono più un ragazzo... e posso andare dove mi piace.

Bezsemenov                    - E invece non andrai.

Akulina Ivanovna            - Ubbidisci a tuo padre, Pietro!

Elena                               - (indignato). Con permesso, Vasili Vasilevic...

Bezsemenov                    - Voi mi dovete obbedire, nonostante siate persone colte, e anche se non avete né vergogna né con­siderazione per nessuno...

Tatiana                             - (con un grido isterico). Basta, papà!

Bezsemenov                    - Zitta! Se non sai neanche tu quello che vuoi, almeno stattene zitta! (A Elena). Perniatevi un mo­mento! (Elena fa l’atto di andarsene).

Pietro                               - (l’afferra per un braccio). Aspetta, ti prego, me­glio chiarire ogni cosa... E' necessario...

Bezsemenov                    - Per favore, ascoltatemi! Dovete spiegarmi che cosa succede. (Perciskin entra allegro insieme a Teterev che ha le labbra increspate nel consueto sor­riso. Entrambi si fermano sulla soglia, scambiandosi occhiate. Perciskin accenna con lo sguardo a Bezsemenov e agita le braccia). Tutti se ne vanno, senza dire niente, senza chiarire le proprie intenzioni. Senza una ragione! Cattiveria e disonestà! Tu, per esempio, Pietro, credi di potertene andare dove ti piace? Chi credi di essere? Che vita intendi con­durre? Che cosa hai deciso di fare? (Akulina Ivanovna, singhiozza. Pietro, Elena e Tatiana restano in piedi davanti a Bezsem,enov. Tatiana va a metter­si davanti a Akulina Ivanovna. Perciskin fa un segno a Teterev, scuote il capo, agita le braccia come volesse spaurire gli uccelli). Ho il diritto d'inter­rogarti io, perché tu sei giovane e certe cose non le puoi capire... Sono cinquantotto anni che fatico e sudo per i figli...

Pietro                               - Ancora me lo ripeti? Ne ho fin sopra i capelli.

Bezsemenov                    - Sta' zitto!

Akulina Ivanovna            - Ah Pietro, Pietro!

Tatiana                             - Taci, mamma. Certe cose non le puoi capire... (Akulina Ivanovna scuote il capo).

Bezsemenov                    - (a Tatiana). E tu che ne sai? Che cosa potresti dire? Sta' zitta!

Pietro                               - Insomma, papà, smettila di torturarmi! Si può sapere che cosa vuoi, che cosa ti serve?

Akulina Ivanovna            - (improvvisamente, a voce alta). Fatemi dire una cosa sola! Ho un cuore anche io. Anche io devo dire la mia opinione! Pietro, figlio mio, che fai? Chi ti ha guastato, figlio mio?

Tatiana                             - (alla madre). Come una sega sdentata, che lacera 1’ anima e la carne!

Akulina Ivanovna            - Ah, tua madre è una sega, una sega sdentata, eh? Tua madre!

Bezsemenov                    - Un momento, Akulina... è lui... Pietro, a lui bisogna...

Elena                               - (rivolta a Pietro). Basta, non resisto più! Vado!

Pietro                               - No, vi supplico, rimanete! Vedrete che riuscirò a chiarire tutto.

Elena                               - Non voglio andare... questo è un manicomio... è...

Teterev                            - Elena, andatevene! Mandateli tutti all'inferno!

Bezsemenov                    - Adesso dobbiamo ascoltare anche voi!...

Tatiana                             - Finitela! Pietro, va'!

Pietro                               - (improvvisamente (/ridando). Papà, mamma, vi presento la mia fidanzata. (Tutti volgono lo sguardo a Pietro. Akulina Ivanovna congiunge costernata le mani, e guarda il marito. Bezsemenov smania, indietreggia, scuote il capo avanti e indietro. Ta­tiana dà un forte sospiro, quindi con lentezza si muove in direzione del pianoforte.

Teterev                            - (a, bassa voce, come a sé stesso). Ha scelto pro­prio il momento adatto.

Perciskin                          - (facendosi avanti). Bene, tutti vanno via. Tutti i ragazzi fuggono dalle gabbie come gli uccelli nel giorno dell'Annunciazione...

Elena                               - (con uno strappone tira via la sua mano da quella di Pietro). Lasciatemi, non posso più rimanere!

Pietro                               - (mormora). Tutto è chiarito... adesso...

Bezsemenov                    - (con un saluto motteggiatore al figlio). Benissimo, figlio mio, ti ringrazio della bella notizia.

Akulina Ivanovna            - (in lacrime). Oh, Pietro, ti sei rovinato! E quella li è degna di...

Perciskin                          - Elena vale Pietro? Ma che stai dicendo, vecchia? Pietro varrebbe quanto Elena?...

Bezsemenov                    - (a Elena, scandendo le parole). E ringrazio anche voi, signora. Da questo momento ho perduto un figlio che dovrebbe laurearsi. Io lo sapevo che andava a finire cosi... ma... (Con acredine). Mi feli­cito con la coppia... Quanto a te, Pietro, non avrai la mia benedizione... E tu, gatta... hai saputo lavo­rartelo bene, eh?

Elena                               - Smettetela di parlare in codesto tono, vi dico!

Pietro                               - Ma papà, che ti prende?

Elena                               - Ebbene, statemi a sentire. Si, vi ho strappato vostro figlio!E l'ho fatto con intenzione. Sono stata io, si! Sono stata io a dirgli che lo volevo sposare. Chiaro? Gufi che non siete altro! Avete capito? Ve l'ho tolto io, proprio io: perché voi non siete esseri umani, ma solo un mucchio di rug­gine. Con tutto il vostro amor proprio l'avete rovi­nato. Lo so che m'incolpate di avervelo tolto per egoismo, per mio piacere. E invece non è cosi, mi crediate o no. Vi detesto!

Tatiana                             - Elena, che dici? Elena! Elena,

Pietro                               - Andiamocene!

Elena                               - E sappiate anche che forse non ci sposeremo nem­meno. Soddisfatti? Anzi, non ci sposeremo quasi di certo. Vivremo insieme nel nostro amore, senza spo­sarci. Soddisfatti? Ma a voi non lo cederò mai. No,mettetevi in testa che non lo tormenterete più. Pie­tro non lo vedrete mai più in casa vostra.

Teterev                            - Bene! Benissimo! Hai coraggio, o donna!

Akulina Ivanovna            - Che cosa succede? Che cosa succeder Babbo!

Pietro                               - (spinge Elena verso l'uscio). Su... andiamo... via... (Elena esce insieme a Pietro che tiene per 'mano).

Bezsemenov                    - (si guarda intorno, sbalordito). Ah, è cosi? (E' preso da un violento accesso d'ira). La polizia! Chia­mate la polizia! (Fremendo). Da domani questa... se ne deve andare via dalla mia casa...

Tatiana                             - Papà, ti prego!...

Perciskin                          - (esterrefatto, fa dei gesti di stupore). Ma Vasili, amico mio del cuore, che ti succede? Come mi pia­cerebbe capire per quale ragione gridi tanto! Tutto va per il meglio, no? Dovresti essere felice...

Tatiana                             - (facendosi verso U padre). Papà... ascoltami...

Bezsemenov                    - E tu, che stai a fare qui? Che aspetti ad andar­tene anche tu? Via! Via! Non l'hai un maschio con cui fuggire? Vattene, va' via! (Tatiana torna vicino al pianoforte. Stordita, Akulina Ivanovna la segue) .

Perciskin                          - Vasili, amico dell'anima mia, lascia che il tor­rente scorra per la sua via. Torna in te. Non c'è niente da fare, se Pietro non ha intenzione di con­tinuare gli studi. (Bezsemenov volge, sbalordito, lo sguardo a Perciskin, e scuote il capo). Senza di lui non morirai di certo: vivrai di gran lunga me­glio, anzi. Dai retta a me, non occuparti dei fatti suoi. Sai com'è la storia: la moglie è una cosa ca­rina che piace a tutti. Non scalmanarti, ti rovine­rai la salute: devi rassegnarti! (Teterev ride da slogarsi le mascelle).

Akulina Ivanovna            - (in lacrime). Se ne sono andati! Per sempre! Non torneranno più da noi!

Bezsemenov                    - (guardandosi intorno). Consolati, Akulina! Vedrai che torneranno. Sta' tranquilla! (A Teterev). E tu di chi stai ridendo? Anche tu, da domani, via! Euori da questa casa! Accozzaglia di delinquenti!

Perciskin                          - Vasili! Che cosa stai dicendo!

Bezsemenov                    - Togliti dai piedi, pezzente accattone!

Akulina Ivanovna            - Tatiana, Tatiana mia! Piglia mia disgraziata, che cosa faremo?

Bezsemenov                    - E tu sapevi tutto, eh, Tatiana? E sei stata zitta! v Anche tu hai tradito mio padre! (Tace un istante, come se temesse qualcosa). Ma sta' tranquilla che Pietro la lascerà. No, non la sposerà quella sporca sgualdrina! Mio figlio! Disgraziato, mascalzone!

Tatiana                             - Lasciami in pace. Non fare che ti odi anch'io!

Akulina Ivanovna            - Tu, Tatiana? Come? Perché, figlia mia cara? Siamo cosi infelici!...

Bezsemenov                    - E la causa di tutto? Nilo, naturalmente! Nilo, sempre lui, l'infame! Tutto questo a lui lo dob­biamo. Per lui mia figlia è in questo stato. (Si ri­volge a Teterev che sta in 'piedi vicino all'armadio). Stai ancora qui, delinquente? Ti ho detto d'andar­tene da casa mia.

Perciskin                          - Vasili! Perché adesso te la prendi con Teterev? Non ti ha fatto niente. Ma hai perso la testa? Sei diventato...

Teterev                            - (calmo, a Bezsemenov). Risparmia i tuoi polmoni, vecchio. Non vedi che non riesci a mettere insieme due parole sensate? Smettila di sbraitare: tuo figlio tornerà.

Bezsemenov                    - (vivacemente). Come puoi dirlo?

Teterev                            - Tuo figlio non si staccherà dai tuoi calzoni. E' andato via un momento, e non per sua volontà. Torna subito, tranquillizzati. Starà sempre qui! E quando tu sarai morto, aggiusterà questa tavola, disporrà i mobili in un altro modo: magari li ven­derà e ne acquisterà altri. E continuerà la vita che stai vivendo tu.

Perciskin                          - (a Bezsemenov). Ecco, uomo cretino, uno che ti augura ogni bene e ti dice parole cortesi per con­solarti. Che hai da strillare, allora? Hai ascoltato le parole di Teterev? Egli è un saggio!

Teterev                            - Cambierà di posto i mobili, e la  sua coscienza sarà tranquilla. A questo si limita il suo dovere verso il mondo e la società. Vedi,  vecchio: tuo figlio ti somiglia moltissimo!

Perciskin                          - Esatto: due gocce d'acqua.

Teterev                            - Ti somiglia moltissimo: pauroso e stupido! Co­me te.

Perciskin                          - (a Teterev). Che cosa hai detto? Come?

Bezsemenov                    - Parla, ma piano con gl'insulti.

Teterev                            - E’ avido come te. Avrà fiducia solo in se stesso, fino alla crudeltà. (Stupito, Perciskin guarda Te­terev; non capisce se vuole consolare o insultare Bez­semenov. Questi ha un'espressione di perplessità, non scevra, però d'interesse per le parole di Teterev). E infelice come lo sei tu adesso, egli sarà. Il mondo cammina a passi di gigante, vecchio: o seguirlo o essere abbandonato per la strada.

Perciskin                          - (a Bezsemenov). Visto? Tutto va a gonfie vele. Di che ti lamenti?

Bezsemenov                    - (a Teterev). E la tua via, quale sarà?

Teterev                            - Qualcuno dirà a tuo figlio la verità. Cosi come io la sto dicendo a te ora. Dirà: « Cosa ci fai nel mondo? Perché vivi? Quali azioni lodevoli hai fatto durante la tua esistenza? ». E tuo figlio non rispon­derà, cosi come ora non rispondi tu.

Bezsemenov                    - Eccolo, eccolo lui: le solite belle parole. E tu che hai nella tua anima? Io non ho alcuna fiducia in te, convincitene. Vattene, e presto, fuori da questa casa: ho sofferto troppo, e desidero restarmene solo. Anche tu hai cospirato contro di me.

Teterev                            - Se avessi cospirato io, a quest'ora... Ma no, io no. (Se ne va).

Bezsemenov                    - (scuote il capo). Ebbene, poiché occorre soffrire ancora, si soffra! Rassegnamoci con animo paziente, e abbandoniamo per sempre la speranza di una vita serena. (Si dirige verso la sua camera).

Akulina Ivanovna            - (correndogli dietro). Babbo, babbo caro! I nostri figli! Perché ci hanno trattato cosi male i figli no­stri? (Segue Bezsemenov nella camera. Perciskin rimane nel mezzo della stanza; socchiude gli occhi. Tatiana è seduta vicino al pianoforte: volge intorno uno sguardo demente. Si ode un cheto parlottare dalla camera dei vecchi).

Perciskin                          - Tatiana! (Tatiana volge a lui gli occhi, e non ri­sponde). Ma perché? Chi fugge e chi piange! (Guar­da la porta della camera dei Bezsemenov ; si dirige verso l'anticamera. Tatiana solleva il seno a un do­loroso sospiro). Stupidi! E' necessario andare in cerca di Teterev... Stupidi!... (Tatiana si curva len­tamente; la stanza è rimasta deserta; ella si accascia affranta con la testa sulla tastiera del pianoforte provocando un suono assordante di parecchie note che s'incontrano insieme stranamente; e subito il suono muore).

CALA IL SIPARIO