Piccolo faro

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Commedia in tre atti

di Arnaldo Boscolo

PERSONAGGI

ELENA DAFFORTE

La Signora ELISA

La Signora AMALIA

PIERINA

MARIO

Don MARINO

FABIO ANTUZZI

La Signora TILDE

PAOLO MARI

Il Dottor SARAN

PAGANINI

ERMINIA

Atto I. - In Casa della Signora Amalia, in alta montagna.

Atto II. e III. - In Casa Antuzzi, in pianura.

OGGI

VENEZIA

Casa Editrice Giuseppe Scarabellin 1932 – XI


PROPRIETÀ LETTERARIA

Copyright by Arnaldo Boscolo.

Riservati tutti i diritti. La rappresentazione e la riproduzione per la stampa sono vietate a termini e sotto le comminatorie delle vigenti leggi. Per ottenere il diritto di rappresentazione, rivolgersi esclusivamente alla Società Italiana degli Autori e Editori - Roma.

Riduzione veneta dell'Autore

»      fiorentina di Andrea Niccoli

»     milanese di Ester Zeni-Spegazzini

»     siciliana di Giovanni Grasso j.

Versione spagnola di J. Munire


ATTO PRIMO

LA SCENA

Modesto salotto in casa campagnuola. La comune a sinistra. Una gran finestra al fondo oltre la quale si scorge un oleandro in fiore; sul davanzale vasi di geranei e giacinti. Nel mezzo una larga tavola apparecchiata per una sola persona.

SCENA PRIMA.

AMALIA - PIERINA - MARIO

Amalia accudisce ad alcune faccende domestiche. Pierina, seduta presso la tavola, ricama. Mario,ritto presso la finestra di fondo, lo sguardo alla campagna, è come assente.

Pierina.

alzandosi;   vivamente,    mostrando   il ricamo.

Guarda mamma, che te ne pare?

Amalia.

Brava Pierina, hai del buon gusto!

Pierina.

avvicinandosi a Mario.

E il mio illustre signor fratello che ne dice?

Mario.

scuotendosi.

Eh?!

gettando  un'occhiata  senza interesse sul ricamo.

Ah! Carino, sì; per quanto non me ne intenda...

Pierina

Caspita! Quanto sussiego! Come sei riservato da qualche tempo in qua!

Mario.

Ti sembra?

Pierina.

Una volta qualunque sciocchezzuola uscita dalle mie mani rappresentava una meraviglia! Manine d'oro!... Manine di fata! . . . Oggi invece... o io son diventata una gran zuccona o tu hai perso ogni entusiasmo per tua sorella !

Mario.

Va, scusami Pierina, non giudicarmi male. Ho tante storie per la testa, tante preoccupazioni...

Amalia.

Che dici Mario? . .. Delle preoccupazioni? Tu? Di che genere?

Mario.

Oh, piccole cosse mamma.... sciocchezze; ma che infastidiscono. Siamo ormai ad aprile e i lavori vanno a rilento; bisogna darci sotto, spremere quanto più è possibile; la vita diventa sempre più cara e...

Amalia.

Non ti ho mai sentito parlare con tanta gravità; tu solitamente così allegro, così ottimista....

Pierina.

Non badarci mamma; è la primavera; è un po' giù di nervi il signorino! Oh ma ti sveglierò io, caro il mio ragazzo; domenica prossima intanto andremo giù alla sagra di San Giuseppe; a far baldoria; ci viene anche la mamma - vero mamma? - anche Elena.... Oh, a proposito, son già le tre e mezzo e non la si vede ancora: li vuol proprio imbottire di scienza quei mocciosi!...

Mario.

guardando l'orologio.

Scusatemi care; bisogna che scenda.

Amalia.

Così presto?

Mario.

C'è da fare giù alla cascina Bianca.

Pierina.

Ti accompagno fino al cancello dell'orto; per quanto non lo meriti....

Mario.

Ciao mamma.

Amalia.

Addio Mario.

Pierina.

Torno subito.

esce a sinistra con Mario

Amalia.

rimasta sola, esaminando il ricamo di Pierina.

Ha veramente le mani d'oro!

SCENA SECONDA.

AMALIA - PIERINA poi Don MARINO.

Pierina.

rientrando; vivamente.

Mamma! Mamma!

Amalia.

Che c'è?

Pierina.

c. s

Don Marino!... È qui Don Marino!

Amalia.

incredula. sorpresa

Don Marino?

Pierina.

Viene qui ti dico; ha già percorso la stradicciuola nostra; tu vedessi come si trascina....

Amalia.

Curiosa! Ci piene così di rado…

Pierina.

Non lo si vede che a Pasqua per la benedizione. Mario, non appena lo vide, sgattaiolò giù per la china!

Amalia.

Beh! va ad incontrarlo; presto.

Pierina.

Corro mamma.

s'avvia.

Don Marino.

di dentro.

È permesso? Si può?...

Pierina.

Venga, venga Don Marino.

Amalia.

incontrandolo.

Oh! Signor parroco; lei? .... Benvenuto. benvenuto!... Quali novità?

Don Marino.

Sono io, buona signora Amalia. Il tardo… il pigro, il vecchio Don Marino che si è trascinato quassù coi suoi sessantadue anni e tutta la sua calligrafia.

Pierina. Una sedia, Don Marino.

Don Marino.

Brava figliuola mia, ne approfitto volentieri.

siede; una pausa.

Beh ... Meravigliate, attonite... stupite nel vedermi qui, non è vero? Qualche grave ragione certo, avrete pensato, se il nostro Don Marino si è determinato ad affrontare la salita nonostante la debolezza delle sue gambe... E così veramente è, figliuole mie.

Amalia. Don Marino, lei ci mette in apprensione!...

Don Marino.

rassicurandola col gesto.

Noo! Noo! nulla che riguardi loro personalmente: non si allarmino....

Amalia.

E allora?

Don Marino.

Si tratta della loro giovane ospite; della loro maestrina.

Pierina.

Di Elena?

Amalia.

Qualche disgrazia forse?

Don Marino.

Non a lei precisamente. Ma io ho bisogno prima di tutto della loro assistenza, del loro aiuto... della loro cooperazione.

Pierina.

Dica, dica pure.

Amalia.

Siamo tutte per lei, per quanto possiamo...

Don Marino.

Per ciò sono salito in fretta...

sorridendo.

Una fretta relativa... s'intende; so che a quest'ora la Signorina Elena si trova ancora alla scuola; sono in tempo così di concertarmi con loro.

Amalia.

Ella ci fa stare in ansie.

Don Marino.

Ecco; la Signorina Dafforte è una brava insegnante; l'opera sua ha sempre dato risultati ottimi; molto affetto per gli scolari, modi dolci, frase composta e carezzevole, moralità ineccepibile; però in tre anni di sua residenza quassù nessuno è mai riuscito a penetrare nel suo cuore… nel suo pensiero... sì dico, nella sua anima; nessuno conosce il suo passato, il suo stato d'animo presente, i suoi propositi per l'avvenire... Io meno degli altri; io che sono propriamente il curatore delle anime. La Signorina Dafforte viene sovente in Chiesa, assiste devotamente alle sacre funzioni, ma non compie altre pratiche religiose... sì, dico, non si confessa. Fuori, non frequenta alcuno; se l'indiscrezione di qualche curioso, studia, scruta... indaga, sfugge all'indiscrezione. V'è del mistero insomma in tutto ciò. Una giovane di vent'anni che vive sola, chiusa in sé come un anacoreta!... Loro, loro che l'hanno accolta in casa fin dalla sua venuta quassù, potrebbero darmi qualche notizia sul suo conto ... qualche ragguaglio … sì, dico, qualche informazione che potesse chiarire un po' il misterioso stato di cose che la riguarda?

Amalia.

Don Marino..., che le possiamo dire noi?... Che è buona, tanto buona, che adora i bambini, che parla con tanta commozione della stia mamma lontana, che piange spesso silenziosamente...

Pierina.

subito.

Sì, anche ieri sera ha pianto senza alcun motivo, almeno apparente...

Amalia

Del resto anche con noi chiusa, muta come una tomba per quanto riguarda se stessa..., il suo passato.

Don Marino.

dopo esser rimasto un po' pensieroso.

Strano, strano, strano... sì dico, strano. E... forse, signora Amalia, scusi sa... Mario, il suo figliuolo, che ne potesse sapere qualche cosa più di loro?

Amalia.

stupita.

Mario?!.... Mio figlio?.... Che dice Don Marino?

Don Marino.

con un sorriso bonario.

Oh signora! Non vorrei essere frainteso! No, no, no, per amor del Cielo, non dubito neppure che fra il suo Mario e la signorina Dafforte possa correre qualche relazione men che riguardosa... Ma ecco, vede,.... talvolta fra giovani di sesso diverso più facilmente avvengono le confidenze... Una donna fida più sulla cavalleria d'un amico che sulla discrezione di una amica. Mi spiego?

Amalia.

Ma...scusi, Don Marino; la necessità di tali indagini...?

Pierina.

Ci fa stare in pena.

Don Marino.

molto serio

Ho l'incarico di comunicare alla signorina Dafforte una ben grave notizia che dovrà commuoverla; commuoverla in vario senso. Ho bisogno perciò di conoscerla un po' a fondo per poterla predisporre cautamente all'emozione.

Amalia.

ansiosa.

Che le è accaduto?!...

Pierina.

Don Marino?! ....

Don Marino.

grave.

Le morì improvvisamente il padre e la madre sua sta per giungere quassù.

Amalia.

agitatissima.

Don Marino che ci racconta?

Pierina.

Come lo ha saputo?

Don Marino.

Una lettera d'un mio collega; il parroco del suo paese...

trae di tasca la lettera e la spiega.

M'è pervenuta or ora. Stiano a sentire.

Amalia.

Dio santo e buono!...

Pierina.

Povera Elena mia!...

Don Marino.

mettendo gli occhiali.

Stiano a sentire...

legge piano e grave.

«Reverendo collega. Una grave missione ella deve compiere; che il Signore la guidi e la illumini. Ella deve comunicare alla Signorina Elena Dafforte, maestra costà, che ieri, dopo brevi ore di male, è spirato serenamente il padre suo, benedicendola e perdonandole; che la madre sua, libera infine dall'imposizione del marito di non avvicinare la figliuola, parte oggi stesso per costassù per piangere con lei e portarle la benedizione e il perdono del povero defunto. La prevenga e la conforti. Gliene sarà pure grato il suo obbligatissimo eccetera eccetera»...

Amalia.

quasi interrogando se stessa.

Benedicendola e perdonandole?...

Pierina.

in lagrime.

Povera Elena! Povera piccola!

Don Marino.

Comprende ora. signora per qual motivo io chiedevo se nessuno di loro fosse riuscito a vincere il segreto di quel cuore? Che potrò dire per prevenirla, per confortarla, se non conosco la sua colpa? E poi... sì, lo confesso, in quarant'anni di ministero non mi sono mai trovato in un caso consimile... E sono imbarazzato, lo confesso... sì; mi pare che al momento buono mi si debba paralizzare la lingua..., cristallizzare il pensiero. Mi aiutino loro!

Amalia.

tutta turbata

Don Marino... Don Marino….. se sapesse….. se sentisse che mi hanno messo qui dentro le sue parole!... Ho sempre considerato Elena come una figliuola!... Son tre anni che è ospite nostra e ho imparato a conoscerla e amarla. Quanta bontà! Quanta dolcezza in lei! E' capace di veri eroismi. L'altr'anno, ricorderà, si bruciò le mani e i capelli per salvare una sua scolaretta investita dalle fiamme d'una lampada ad alcool. E, così ustionata e dolorante volle assistere la piccola vittima fino a guarigione completa.

Don Marino.

Ricordo… ricordo.

Amalia.

Ai figli della povera Delfina ha provvisto lei secondo le sue forze... E altri piccoli atti ha compiuto, altri sacrifici di denaro e di persona per le sue scolarette. È buona! È tanto buona! Quale colpa può aver commesso quella povera figliuola?

Don Marino.

accennando alla lettera.

Eppure... - Talvolta l'esercizio della pietà può essere una pratica di redenzione.

Amalia.

Capisco. Ed è giusto, sì, quanto ella dice; Elena evita sempre di parlare del suo passato; noi d'altra parte non potevamo indagare... - A quale scopo? Con che discrezione?

Don Marino.

Naturale, naturale;... sì, dico... naturale.

Amalia.

dopo un silenzio.

Come faremo? Come faremo?

Don Marino.

Ecco; poiché ormai anche loro sono a conoscenza della situazione, vogliamo parlarle insieme con dolcezza, con cautela? Non possiamo lasciarla incontrare con la madre così, senza prevenirla...

Pierina.

Oh no! È tanto sensibile! Ne proverebbe una scossa tremenda.

Don Marino.

guardando l'orologio.

E non c'è tempo da perdere. La lettera mi fu recapitata per espresso dal fattorino di Chièvis; sua madre potrebbe giungere con la prossima corriera; quindi fra mezz'ora.

Pierina.

Sono di già le quattro? Elena dovrebbe essere qui.

Don Marino.

Benone, benone... sì, dico, benone ch'io abbia potuto parlare con loro prima di vedere la  signorina. E anche con Mario crederei opportuno parlare; egli che le è amico devoto potrebbe suggerirci il modo per arrecarle il minor male possibile. Ci sarà di aiuto; di preziosissimo aiuto. Dov'è Mario, signora?

Amalia.

È sceso alla Cascina Bianca, qui a due passi. Mando Pierina a chiamarlo.

Don Marino.

Sarà bene, sarà bene.

Pierina.

Vado mamma. Farò prestissimo.

esce a sinistra.

Amalia.

con un sospiro. Povera figliuola, non ci voleva che questa!...

Don Marino.

Mah!

gravemente.

In hoc mundo pati necesset gloria Dei!

Amalia.

Due dita di marsala Don Marino?

Don Marino.

Grazie; mi daranno forza per compiere intera la mia missione.

Pierina.

rientrando frettolosamente

Don Marino! Elena giunge; entra ora in cortile.

Don Marino.

alzandosi; quasi a sé.

Signore Iddio, aiutatemi voi!

Amalia.

E allora?

Don Marino.

Le parlerò. Coraggio.

si trae un po' in disparte.

SCENA TERZA.

ELENA e DETTI.

Elena.

da  sinistra,   con  un  mazzo  di fiori campestri tra le mani; fresca, ridente, vivacissima;  in chiara veste e largo cappello primaverile.

Buon giorno signora Amalia.

la bacia; a Pierina scherzosamente.

A te niente. Non lo meriti!

porgendo i fiori alla signora Amalia.

Guardi, le mie scolarette poverine...

volgendosi nuovamente a Pierina.

Perché non venirmi incontro? È una giornata d'un tepore delizioso; la prima giornata di primavera si può dire.

accorgendosi della presenza di Don Marino; alquanto stupita.

Oh signor parroco! Lei?!...

Don Marino.

nascondendo a malapena  il proprio imbarazzo; bonario.

Buon giorno figliuola, buon giorno. Eh lo immaginavo che la mia presenza avrebbe stupito voi pure!

Elena.

Sì, un poco, lo confesso. Lo si vede così di rado quassù.

Don Marino.

È giusto; ma talvolta, allorquando gravi doveri sospingono, si riesce a vincere la indolenza abituale... dovuta principalmente... alla debolezza dei mezzi di trasporto.

e accenna alle proprie gambe.

Elena.

Oh! Lei é sempre pronto ad accorrere dove é richiesta l'opera sua.

Don Marino.

E quante volte il cuore sanguina nel prestarla quest'opera... Lo credete, figliuola?

Elena.

affermativamente.

Oh!... Parroco!...

Don Marino.

Anche oggi, vedete, nell'accingermi a compiere un penoso dovere io mi sento... mi sento confuso, ecco, mi sento agitato; per questo ho bisogno prima d'ogni altra cosa della più schietta sincerità.

Elena.

fissandolo.

È venuto per parlare a me, Don Marino?

Don Marino.

Sì, ecco, volevo chiedervi...

come   non   sapendo   da   che   punto incominciare; a sé.

Come fare?... Come dire?... Sicuro, sicuro, sicuro...

Elena.

L'ascolto.

Don Marino.

Ecco...

ancora un po' titubante; indi, come per liberarsi da un peso.

Sì, dicevo.... non avreste visto per caso giù alla Cascina Bianca il signor Mario?...

Elena.

lo?... No„ Don Marino, perché prendo abitualmente la scorciatoia del Pianoro.

Don Marino.

Ah già! Benone, benone... Ecco...

alla signora Amalia.

Sarà bene che scendiamo noi da Mario, signora; le pare?

Amalia.

Come vuole, Don Marino.

Don Marino.

ad Elena.

Voi permettete, signorina? Vi dispiace se vi rubo per un istante le vostre buone amiche?

Elena.

S'immagini!

Don Marino.

Torneremo subito; vi prego anzi d'attendermi qui perché debbo conferire anche con voi; principalmente con voi.

Elena.

L'attendo, Don Marino. Debbo pranzare.

Pierina.

Hai bisogno di me? Il pollo è in caldo nel piccolo forno. Il vino in credenza.

Elena.

Va, va pure...

osservandola.

Hai pianto?

Pierina.

No!

Elena.

Si direbbe; hai gli occhi rossi...

Pierina.

subito, dissimulando.

Uno po' di cenere... mi sarà entrata un po' di cenere prima soffiando sul fuoco.

la bacia.

Torniamo subito.

Don Marino.

a sé.

È inutile;... l'ho detto; mi si paralizza la lingua. Strano... strano...

esce a sinistra con le due donne.

Elena.

li segue con lo sguardo è un po' turbata: sente la stranezza della situazione; si scuote; si toglie il giubbetto e il cappello; si ravvia i capelli al piccolo specchio che sta alla parete; dà un'occhiata alla tavola; riordina un po' le stoviglie ed esce a destra. Dopo qualche istante ritorna con una bottiglia ed un piatto tra le mani.

SCENA QUARTA

ELENA e MARIO

Mario è sulla soglia dell'uscio di sinistra. Elena ha un moto di sorpresa.

Mario.

in preda a viva emozione.

Signorina Elena!

Elena.

Mario! Lei qui?! Non ha incontrato sua sorella,... don Marino?

Mario.

Li ho visti uscire e mi sono nascosto.

Elena.

Ma cercavano lei

Mario.

Mi troveranno più tardi.

con accento risoluto.

Voglio parlarle Elena; debbo parlarle.

Elena.

Mario, Mario che cos'ha? Dio, come è agitato!... Vada a raggiungerli, lo prego...
faranno la strada inutilmente…

Mario.

Perché mi respinge, signorina Elena? Perché mi sfugge?.... Pure dianzi sul viottolo del Pianoro mi ha visto, ha capito che volevo parlarle ed ha affrettato il passo; la mia apparizione l'ha quasi spaventata.

Elena.

Non dica così; non é vero.

Mario.

Perché mi sfugge?

deciso.

Non comprende che non posso più reggere così? - Voglio parlarle a cuore aperto, una volta tanto! Lei non sa ciò che io voglia dirle.

Elena.

penosamente.

Lo so Mario; ed è per questo che non posso ascoltarlo.

Mario.

No, lei non sa... mi lasci dire; e se non riuscirò a commuoverla, le giuro, troverò modo di liberarla della mia presenza. Manterrò la parola, creda.

Elena.

c. s.

Mario!... Mario!...

Mario.

Lei non sa ciò che io voglia dirle...; e quando saprà avrà di me almeno un po' di compassione; perché il mio stato d'animo deve inspirare compassione.

Elena.

supplichevole.

Mario; la prego....

Mario.

con passione profonda, coprendosi il viso con le mani.

Signorina Elena! Se sapesse... se sentisse!...

con una esplosione dell'animo.

Ma sì, sì ch'ella deve aver letto, deve aver capito!... Non si trascorrono dei mesi così in muta adorazione senza che il segreto trasparisca!... Se sentisse!... La una pace se n'è andata!... È uno spasimo senza fine!.... Io trascorro le mie giornate in uno stato d'ebbrezza continua... tutto preso da lei!... Nulla, nulla riesce a distrarmi... ; non il lavoro, non il divertimento...; nulla! È una vita d'esaltazione e di struggimento. E ogni sua parola buona, ogni atto nobile da lei compiuto non fa che ravvivare l'incendio! E come mi sento piccino al suo confronto! E come mi chiedo: Potrò esser degno di lei?... Lo potrò?...

Elena.

turbatissima, a bassa voce.

Basta, Mario…., basta.

Mario.

continuando.

Mi capisce, signorina Elena? Mi ha capito? - E non ebbi mai l'ardire di rivolgerle una parola! Tutta la mia eloquenza si chiudeva in uno sguardo timido, in una fiammata improvvisa che mi saliva spesso al cervello e mi arrossava la faccia. Mi ha capito, signorina Elena?

Elena.

c. s.

Mario! Mario! Se potesse comprendere che tortura lei infligge a questo povero cuore!

Mario.

Ma perché? Perché?... Mi dica solo che mi ha capito. Non importa se poi mi respingerà; anche respingendomi non potrà essere sdegnata con me; deve pur trasparire qualche cosa di nobile dalla mia passione!

Elena,

vivamente.

Oh sì, tanta nobiltà!

Mario.

E allora?.... Allora? Elena.... vede.... lei ha quasi un bambino davanti a sé….; un uomo che l'amore ha reso bambino; tanto bambino da fargli smarrire perfino il controllo di sé stesso. Se ne sarà accorta; ho imbrattato perfino le pagine dei suoi libri con le mie parole insensate, in una febbre di passione!....

Elena.

ripetendo quasi a sé le parole scritte da lui.

«Sempre! Sempre. Contro tutto!... Sopratutto!».

ha un sorriso scorato sulle labbra.

Mario.

esaltandosi.

Le ricorda? Ha capito ch'erano scritte da me? Elena! Elena! Debbo benedire adunque questo momento in cui ho trovato l'ardire di parlarle?

proteso verso di lei; trepidante, a voce bassa e tremula.

Sì, signorina Elena?... Sì?...

Elena.

con uno sforzo penoso

No, Mario; è necessario così...; no.

Mario.

s'accascia su di una sedia

Ah!

pausa.

Elena.

avvicinandoglisi; dolcemente.

Non è possibile Mario. Il mio cuore sanguina nel pregarlo di desistere da ogni proposito lieto. Lo comprenderà quando anch'io le avrò fatto le mie confessioni. Avevo giurato il segreto; per le ragioni della mia vita istessa. Potrei dirle ora: No, Mario, le sono grata tanto della sua bontà, del suo amore, ma sento di non volerle bene...; potrebbe bastare. Invece no; non mi sento più capace né di fingere, né di tacere con lei; sarà un dolore grande per entrambi, ma parlerò.

Mario.

Dica, dica Elena; nulla varrà a spegnere la fiamma che mi strugge!

Elena.

Anche se per le mie parole le apparissi diversa da quella che mi crede?

Mario.

fissandola.

Elena?...

Elena.

lentamente, dolorosamente.

Anche se le dicessi che non sono degna di lei… perché non posso offrirle la mia purità?

Mario.

tutto scosso da un tremito improvviso.

Elena?! Che dice?!

Elena.

quasi religiosamente.

Ho un bambino, Mario!

Mario.

con un grido

Elena! Noo!.

Elena.

c. s.

Un bambino sperduto per il mondo... che non conoscerà mai suo padre... che attende da tre anni la sua mamma lontana!

Mariolascia cadere il capo sul braccio, in preda a profondo accasciamento. Elenagli si avvicina ancora; con lo stesso tono di dolcezza penosa.

Come svaniscono i sogni eh, povero Mario! Anch'io un giorno cullavo la mente in tanti sogni lieti: - Un amore calmo e sicuro, il mio nido,….. dei bambini da adorare,... i miei vecchi stretti vicino a me….. È bastato la vigliaccheria d'un uomo e un istante di debolezza mia e tutto è crollato! E non ebbi che dolore!... Pensi; un bambino nato tra le lagrime e le imprecazioni a suo padre che sfuggiva alla sua parte di responsabilità; la vergogna di vedermi scacciata dal posto di insegnante che occupavo; lo scatenarsi di tutta la cattiveria della piccola gente contro di me; l'ira e lo sdegno dei miei vecchi che mi ebbero in orrore; e, più terribile di tutto, il forzato abbandono del mio piccino ... laggiù ai trovatelli. Perché ho dovuto abbandonarlo il mio piccino, capisce? Dio! Che lotta tremenda in me! Pensi; il bisogno, l'istinto di tenere con me la mia creatura ed affrontare l'avvenire a viso aperto... e la prospettiva triste di trascinarla in una vita di sofferenze e di stenti! Dove si sarebbe accolta una maestra. una educatrice che avesse tenuto con sé la prova viva del suo peccato? E che sapevo fare io d'altronde per preparare a mio figlio una vita che non fosse di dolore e di stenti? Non avevo né le braccia forti né lo spirito sano... E sono venuta quassù... e ho atteso senza una speranza definita, ma con tanta fede nell'avvenire. Che so... una parola di perdono di mio padre, l'infrangersi della sua rigidezza crudele! Oh! Quante volte ho provato la frenesia di correre, correre in cerca del mio piccolo, di stringermelo al cuore e fuggire con lui lontano, qualunque cosa potesse accadere!... Ma poi la ragione riprendeva il sopravvento.  -  Sicuro... bisognava ragionare!...  Il raziocinio doveva soffocare l'istinto!... Allora... Sempre!.... Come nel giorno in cui venni a sapere che l'ospizio aveva affidato il bambino ad una famiglia agiata che lo apra e lo cura .... Ragionare! Ragionare!... Rimanere nell'ombra più che mai... per non togliere a quella gente l'illusione di poterselo tenere e a mio figlio il beneficio della loro tenerezza!... Che importa il tormento?.... Egli amerà degli altri, riderà per gli altri, la sua animuccia sboccierà per virtù degli altri mentre io sono qui, lontana, ad allevare dei figli non miei! Ah, glielo giuro! A volte sento di odiarli questi ragazzi che usurpano le mie cure! A volte invece una tenerezza infinita mi prende... e mi piego... e mi logoro e mi struggo per loro! Voglio darmi l'illusione che possano bastare al mio povero cuore straziato!... Oh i miei pretesi atti di eroismo sono quelli di una madre che dà agli altri ciò che non può dare alla sua creatura sperduta!

una pausa. Marioè sempre col viso nascosto, agitato da un tremito convulso.

Povero Mario! Povero Mario! Abbiamo compiuto un inutile sacrificio entrambi; io, denudando la mia anima, ho allontanato da me un sentimento così puro; lei ha visto crollare ad un tratto ogni speranza... Meglio così del resto; non penserà più a me come ad un essere ingrato o insensibile; proverà compassione; sono io ora che debbo inspirarle pietà.

Mario.

alzando il viso; angosciosamente.

Elena!... Elena!...

Elena.

Mi vede diversa, eh, Mario?

Mario.

parlando a scatti.

No! No! No! Dio, che tumulto! Capisco, capisco ora tutto il martirio suo!... Un più atroce martirio!

come illuminato da una idea improvvisa.

Perché mi ama! Sì, mi ama! Solo a un uomo che si ama si può fare simile confessione!... Ed è buona; ogni atto della sua vita è un atto di bontà... No... No... non sarà stato vano... Vedrà... Mi lasci pensare; mi lasci riordinare le idee; lasci che s'acqueti questa tempesta... Ne parleremo ancora, Elena; non sono l'uomo dei preconcetti io; so che lei ha compiuto oggi un atto nobile di più.

Elena.

profondamente commossa

Mario! Mario! Sapevo che lei mi amava, ma non d'un così forte amore!

Mario.

mettendosi in ascolto.

Sst! Taccia.

Elena.

Ritornano?

Mario.

alla finestra.

Sì. Ma non sono soli; li accompagna il messaggiere di Chievis; c'è anche una signora con loro.

Elena.

Una signora? Chi potrà essere?

Mario.

Non saprei. Ha il viso coperto da un lungo velo nero. Mia sorella la sorregge...

Elena.

Mi lasci, mi lasci. Esca per la cucina. Che dirò se mi chiedono di lei?

Mario.

Che non m'ha visto. Penserò io poi a giustificare la mia assenza dalla Cascina Bianca.

Elena.

tendendogli la mano.

Quanto le debbo Mario!... Quanto!...

Mario.

afferrandole la mano e premendola fortemente contro le labbra.

Vedrà... Vedrà... Il cuore non saprà smentire la frase d'un giorno: «Sempre! Sempre! Sopra tutto!.... Contro tutto!...».

esce in fretta a destra.  Elenarimane come assorta.

SCENA QUINTA.

ELENA - DON MARINO - PIERINA poi ELISA e AMALIA.

Don Marino entra frettoloso e agitato da sinistra.

Pierina.

alle sue spalle, turbatissima, a bassa voce.

Subito, Don Marino, subito.

Don Marino.

Signorina Elena,... venite qui, figliuola...; siate forte; io debbo darvi una grave notizia... Voi siete buona….. e chi è buono deve essere illuminato da una fede... Voi credete in Dio, nevvero signorina?

Elena.

Don Marino?

Don Marino.

più vibrato e commosso.

Voi credete in Dio... nella imperscrutabilità dei suoi disegni?

Elena.

con agitazione crescente.

Perché queste domande?... Don Marino?...

a Pierina.

E questo vostro atteggiamento?....

Pierina.

non resistendo più, con gli occhi gonfi di lagrime.

Elena!...

Don Marino.

Coraggio! Dovete trovare la forza per sopportare i voleri del Signore.

Elena.

c. s.

I voleri?... Gesù santo che è mai accaduto?!...

Don Marino.

Vostro padre vi benedice di lassù.

Elena.

sbarrando gli occhi.

Mio padre?...

Don Marino fa un cenno col capo. Elenacon un grido disperato.

Ah!

si abbandona singhiozzando sul tavolo.

Don Marino.

Sì, povera figliuola; è spirato con una parola di benedizione per voi.

Pierina.

accorrendo; abbracciandola stretta.

Elena! Elena mia! Sono con te, sai!... Sono con te!

Le due donne confondono così le loro lagrime. Non s'ode che il loro singhiozzare.

Don Marino.

è rimasto solo nel mezzo della stanza; egli ha compiuto lo sforzo penoso ed ha il cuore esausto; guarda verso l'uscio di sinistra; indi, tentando di vincere l'imbarazzo che lo riprende, lentamente.

Signorina... signorina..., siate forte. Pensate… la mamma vostra… avrà bisogno del vostro conforto ora... Non ha altri che voi... E sta per giungere la mamma vostra...

marcando le sillabe.

Sta per giungere... Forse... è nella corriera che deve arrivare fra poco...; forse... è giunta

Elena.

alzando ad un tratto il viso inondato di lagrime.

Col messaggiere di Chievis?....

con un grido.

Ah! la mamma è qui !

Don Marino.

indicando l'uscio di sinistra.

Di là, povera figliuola! Di là!

Elena.

gettandosi a sinistra.

Mamma! Mamma mia!

una pausa lunga. Pierina e Don Marino, rimasti soli, non hanno parole. Elena ed Elisa entrano lentamente, avvinte l'una all'altra. Amalia amorevolmente le sorregge. Don Mattino fa un gesto ad Amalia e Pierinae, lentamente, in punta di piedi, si ritrae con loro per l'uscio di sinistra.

SCENA SESTA.

ELENA - ELISA.

Elisa.

dopo un silenzio, durante il quale s'intendono le anime accomunate nel dolore.

Elena!... Bambina mia... Anima mia... santa!

Elena.

Mamma! Mamma mia!.... In che momento ci ritroviamo!....

Elisa.

Egli li ha perdonato, Elena! Ti ha benedetto!...

Elena

Povero babbo !

Elisa.

Negli ultimi istanti ha pensato a te... alla tua creaturina.

Elena.

Al mio bambino?!...

Elisa.

Ha parlato di lui con tanta tenerezza ed ha voluto che ogni nostra cosa sia sua; che egli venga accolto nella nostra casa laggiù...

Elena.

tutta trepidante.

Ha voluto, dici?!... E sarà così, mamma?...

Elisa.

Anima mia, perché non dovrebbe essere così?…..

Elena.

E lo adoreremo anche pel tempo che lo lasciammo solo?...

Elisa.

Tanto bene gli vorremo povera creatura nostra !...

Elena.

E ne riscalderemo il cuoricino tra i nostri cuori mamma?!...

Elisa.

Lo stringeremo forte fra noi.

Elena.

ergendosi tutta, il volto rigato di lagrime.

Ah! Dio misericordioso! Non condannarmi!... Io piango... e il mio cuore di madre esulta!...

Sipario.


ATTO SECONDO

LA SCENA

Salotto da pranzo in casa Antuzzi, in campagna. Alla parete di fondo un'ampia vetrata attraverso la quale si scorge il giardino; sulla vetrata è praticata una porta. Alla parete di destra due ampie finestre; alla parete di sinistra avanti, un uscio; più in fondo la comune. Fra i due usci una ricca credenziera a cui fa riscontro un'altra credenza a vetri posta fra le finestre. In fondo, a destra, un pianoforte. Nel mezzo una tavola grande, massiccia. Presso la tavola un seggiolone per bambini e un cavallo di legno a dondolo; più avanti una seggiolina di vimini su cui posano un piccolo fucile ed una sciabola di latta. Divano, poltroncine, sedie.

SCENA PRIMA.

FABIO -TILDE - ERMINIA.

Fabio.

sull'uscio di fondo; dal giardino.

Guardalo! Guardalo! Allè op! Pezzo di canaglia! Se lo agguanto gli strappo un orecchio!

Tilde.

oltre la vetrata, salendo i tre gradini.

Sarà un po' difficile che si lasci agguantare.

Fabio.

E quella sfacciata dell'Erminia!

chiamandola.

Erminia! Erminia! Adesso l'acconcio io!

entra; è in paletot, guanti e bastone -sulla sessantina; aspetto da benestante campagnuolo; viso aperto e bonario

Tilde.

Prendi le cose con calma, via...

entra dietro a Fabio;essa pure è in paletot e  cappello;  tra  le  mani  un artoccio   rilegato   con   nastrino   -  I capelli quasi bianchi incorniciano un volto ancora fresco e sereno.

Fabio.

Eh già! Tu sempre a proteggerla. Se poi succede qualche guaio…; c'intendiamo... Erminia!

Erminia.

dalla comune.

Eccomi, signor padrone! Che le è accaduto?

Fabio.

Ah! Sfacciatona! Che mi è accaduto? Durante la nostra assenza l'amoroso in cucina, eh? Così bene sorvegli l'arrosto?

Erminia.

Che vuole, signor padrone; io non ce lo faccio venire; mi sbuca fuori ad ogni momento

Fabio.

E poi mi rovina la siepe e si strappa i pantaloni!... Dovresti piantarlo; non conosce l'economia domestica.

Tilde.

Via... basta adesso; l' hai sgridata abbastanza.

Fabio.

Ti pare?

Erminia.

Oh! E il piccolo dove lo hanno lasciato?

Tilde.

È rimasto dagli Scarpis.

Erminia.

Ma non sanno che presto è l'ora del bagno?

Fabio.

Già. Ma s'è messo a strillare: «Un altro pochino, babbo, un altro pochino». E i bambini Scarpis in coro:

con cantilena.

a Sor Fabietto benedetto un altro pochetto, un altro pochetto !».

Erminia.

E lei ha ceduto come al solito.

Fabio.

Fra poco andrò a riprenderlo.

Erminia.

Da che parte son venuti loro?

Fabio.

Per la provinciale diritti. diritti.

Tilde.

Perché?

Erminia.

Non hanno incontrato una signora lungo la strada?

Tilde.

No.

Erminia.

Una signora giovane, vestita a nero...

Fabio.

È stata qui?

Erminia.

Sì; mi ha chiesto di loro, del bambino….. Ritornerà, disse.

Tilde.

a Fabio.

Chi potrà essere?

Fabio.

Mah! Non saprei....

Tilde.

Ah! Forse la sorella del dottor Giglio; doveva arrivare in questi giorni.

Erminia.

Poi è venuto il segretario.

Fabio.

Ah! Sicuro, poveretto; lo avevamo invitato qui per le tre.

Tilde.

consegnando ad Erminia il cappello ed il paletot

Deponi tutto di là e portami il cappotto di kara-kul del piccolo.

Erminia.

Sissignora.

esce per il primo uscio di sinistra.

Fabio.

Povero segretario; sempre puntuale.

Tilde.

È veramente una cara e buona compagnia.

Fabio.

L'uomo del mistero. Io non so ancora comprendere come un giovane colto, con tanto di laurea, abbia rinunciato al posto in città per ridursi a fare il segretario comunale in questo paese di idioti.

Tilde.

Oh! È facile capirlo. Vivere felici, attendere di giorno in giorno la nascita d'un figliuolo e vedersi morire ad un tratto moglie e bambino sotto i ferri del chirurgo...

Fabio.

Già; se non s'impazzisce - tu dici - ci si rintana in qualche buco col proprio dolore. Ma finire proprio qui? E compensare perfino il vecchio segretario affinché avesse a chiedere la pensione e lasciare posto libero?...

Erminia.

rientrando col paletot.

Ecco signora.

esce per la comune.

Fabio.

Che ne vuoi fare del paletot?

Tilde.

Toh! Lo metterai a Nino nel ricondurlo a casa.

Fabio.

Macché! Basta il paltoncino leggero; è una giornata deliziosa.

Tilde.

Ma più tardi potrebbe levarsi un po' d'aria fredda; alleggerito di sotto com'è...

Fabio.

Alleggerito?...

Tilde.

Sì; stamattina gli tolsi la maglietta pesante.

Fabio.

inquietandosi.

Ecco... ecco... i tuoi soliti colpi di testa! Non la vuoi capire? «Lana sul petto, ti riderai del letto». Dagli Scarpis non starà certo a sedere; correrà, suderà e si buscherà un malanno.

Tilde. Mettigli il paltoncino di kara-kul e ogni pericolo sarà tolto.

Fabio.

brontolando.

Già; per forza ora. Sempre ragione tu; sempre!

SCENA SECONDA.

PAOLO - Dottor SARAN - FABIO e TILDE.

Paolo.

sulla comune col dottor Saran; scherzoso.

Oli! Oli! Le tortorelle si beccano?

Tilde.

Oh, signor Paolo! Dottor Saran, buon giorno.

Saran.

Buon giorno signora Tilde.

Il dottor Saranè un vecchietto asciutto, rosso in faccia per le soverchie libazioni; barbetta rada, incolta; lunga finanziera unta e stinta, gilet fantasia di gusto sorpassato, cappello a larga tesa, colletto   basso   con   cravatta   nera   a fiocco; tra le labbra una piccola pipa. Paoloè giovane e distinto.

Fabio.

Oh! Proprio lei dottore. Sarei venuto in farmacia a cercarlo.

Saran.

Che le occorre? Olio di ricino?

Fabio.

Non ne ho bisogno, grazie al cielo. Volevo solo raccomandarle di tener d'occhio quella buona lana del suo garzone. Ogni qual tratto me lo trovo in cucina a tu per tu con la serva

Saran.

Embè! E a me lo racconta? Se la prenda con la sua serva; sarà lei che lo chiama!

Tilde.

Lei crede l'Erminia capace?...

Saran.

Donna e tanto basta.

Fabio.

Oh questa poi non me l'aspettavo!... Sicché quasi quasi lei approva?...

Saran.

Ma sicuro. Ovverossia... distinguiamo; come garzone di bottega posso disapprovarlo perché mi ruba il tempo e va a zonzo col cervello; ma come uomo?... Quante d peggio non ne avrà fatte lei a' suoi giorni? Dunque chiuda un occhio e lasci che l'acqua corra al suo mulino!

Fabio.

Ma se per accidente dovesse accadere….. Lei mi capisce...

Saran.

Eh che a questo mondo c' è posto per tutti! Specie fin che vi sono dei minchioni che raccattano i figli degli altri e li mantengono!...

Tilde.

Taccia! Bocca sacrilega!

Paolo.

Bel tipo qua il nostro dottor Saran!

Tilde.

Caro segretario, ci scusi se dianzi le abbiamo fatto trovare la casa deserta; siamo rimasti fuori un po' di più...

Paolo.

 Oh, per carità signora.

Fabio.

 Abbiamo bisogno di lei.

Paolo.

A loro disposizione per quanto posso.

Fabio.

Può trattenersi a pranzo con noi stasera? E anche il nostro dottor Saran, vero? Per quanto non lo meriti?

Saran.

Per me... quando si tratta di scroccare....

Paolo.

 È tutto questo?

Fabio.

Questo.

Paolo.

Mi scusi, caro signor Fabio; io sono divenuto una specie di loro pensionante che non paga la pensione....

Suran.

Via! Non si faccia scrupoli! Se non sanno dove buttarla la roba in questa casa!

Paolo.

Sono qui da due mesi e il trattore non mi ha visto dieci volte....

Tilde.

Ci compensa ad usura con la sua buona compagnia.

Paolo.

 Compagnia poco allegra, cara signora.

Tilde.

Ma nondimeno gradita. E poi oggi si festeggia il nostro Nino; farà tanto piacere anche a lui.

Paolo.

Oh! Nino è uno dei miei migliori amici. Ogni qualvolta mi vede serio, serio mi stende la mano: «Buon giolno Segheltalio!».

Tilde.

Caro! Caro! Caro!

Paolo.

Sono felici, vero?

Fabio.

E ce lo domanda?

Saran.

lnstupiditi dalla felicità! Alla sera adesso non c'è manco la libertà di pestare sul pianoforte. né di alzare la voce, né sbattere le carte sulla tavola; bisogna far tutto in chiave di silenzio per non disturbare Brighella che dorme! Quando è sveglio lui poi fa un baccano per mille! E quello che rompe? Madonna mia, cosa mai non rompe quel piccolo?!.. Piatti, boccie, chicchere...

Tilde. E che gliene importa? E' forse lei che paga?

Saran.

Ha la mania della distruzione quella creatura! Allorché arriva a sgusciarmi in farmacia si diverte a strappare la coda all'aquila imbalsamata che tengo sul banco.

Fabio. Ma che aquila! Se è una poiana!

Saran.

Un'aquila! Ma se anche fosse una poiana, una volta o l'altra, per ogni penna che le strappa, io strappo qualche cosa a lui!

Fabio.

Ihh, che esagerato! Lei gli strapperà un bel niente, glielo assicuro io! Cos'è diventato adesso? Il mago Burum-bum-bum?!

Tilde.

Vent'anni prima dovevamo ricorrere al pio luogo per avere un bambino!...

Fabio.

Visto che le nostre virtù riproduttive avevano fatto così cattiva prova...

Tilde.

a Paolo, con tutta l'anima.

Se sentisse... se sentisse, signor Paolo... ciò che proviamo dal giorno in cui siamo andati a prenderci questo caro demonietto!... Che senso di gaiezza, di luce, di serenità abbiano acquistato! È... un piccolo faro che ci illumina la casa e la vita!

Fabio.

Oh! Brava Tilde, il vermouth ai nostri amici.

Tilde.

Oh ! Scusino. Subito.

va alla consolle.

Paolo.

No, non s'incomodi signora. Prego.

Saran.

Eccolo qua con le solite cerimonie! Lasci fare; se non ne ha voglia bevo io anche la sua parte.

Paolo.

Cosicché oggi festa in onore del signorino, mi dissero. E la ragione, se è lecito?

Fabio.

Come? Non lo sa?!

Paolo.

No, in fede.

Fabio.

Oh! Glielo dico subito. Oggi, vede, ricorre

chiamando.

Tilde! Tilde!

Saran.

 Noti lo sanno nemmeno loro!...

Tilde.

ritornando col vassoio e la bottiglia di vermouth.

Che vuoi?

Fabio.

Per che motivo si festeggia Nino, oggi?

Tilde.

Perché proprio un anno oggi... incominciò a mantenersi pulito del tutto...

Fabio.

Ecco.

Saran.

Capito che roba?! La presa della Bainsizza!

Paolo.

Ma scusino; l'anniversario di questo faustissimo evento non l'abbiamo festeggiato la scorsa settimana?

Tilde.

Noo!!  Che segretario senza memoria! Il pranzo della settimana scorsa era per festeggiare il secondo anniversario della comparsa del suo primo dentino.

Fabio.

Alla barba del nostro dottor Saran, orso e brontolone!

Saran.

Oh per me! Se volete far baldoria anche tutti i giorni della settimana!... Basta invitarmi...

Tilde.

dopo aver offerto il vermouth, va a prendere pacchetto che aveva deposto sul   tavolo   in   principio   d'atto;   lo scioglie e ne trae un piccolo elmo da corazziere.

Guardino, guardino qua e giudichino il gusto di questa mammina dai capelli incipriati.

Paolo.

Oh! grazioso.

Saran.

Tempo due ore ci ha bell'e fatto la festa!

Fabio.

Tilde! Tu vuoi proprio affogarli nelle nostre piccolezze!

Tilde.

Hai ragione. Rida, rida, Segretario.

Paolo.

No, signora, non rido.

Tilde.

Oh! Conosco sa i suoi sentimenti! Lei ama i bambini; lo sorpresi una sera mentre teneva Nino sulle ginocchia e lo accarezzava e lo baciava...

Paolo.

con tristezza.

Forse perché mi fu negata la felicità di essere padre.

Fabio.

Già, povero segretario... E con che ansia li avrà attesi quei due occhioni di bimbo!...

Paolo.

eccitandosi al ricordo doloroso.

Che vuole... Un piccolo regno avevamo preparato al nostro figliuolo e invece... Dio! Quando ripenso…

Tilde.

Che colpo deve essere stato!…

Paolo.

Così l'esistenza viene scossa alle radici... E si va a tentoni per il mondo nella stolta illusione di lasciar dietro a noi il ricordo che ci tormenta

Fabio.

Ma…., mi scusi signor Paolo, forse non sarebbe stato meglio ch'ella si fosse recato in luoghi conosciuti per trar conforto da qualche persona amica, da qualche vecchia conoscenza...? Al suo paese natale per esempio...

Paolo.

A Sant'Ermanno? No...; altri ricordi laggiù…, altri dolori... Oh! del resto ho fatto il cuore d'un trappista. Che atroci ironie ci riserba talvolta il destino! Io che nella mia prima gioventù non avevo conosciuto che la gioia, la più folle spensieratezza.... Tutto facile; l'amore, il piacere... Non sapevo che volesse dir piangere.... con accento più profondo;

quasi a sé.

Far piangere forse sì...

scuotendosi.

Oh! Bel modo di tenerli allegri!... Mi scusino; il minimo accenno ravviva il ricordo.

Saranè andato al pianoforte e trae degli accordi con una mano.

Tilde.

Ma la finisca lei con quel pianoforte!

Saran.

E allora cambiate discorso!... Che sentite la primavera, creature? Al diavolo la malinconia!

e riprende gli accordi.

Accidempoli! Questo sì è un pianoforte possibile! Altro che la carcassa che tengo io in retrobottega!... Figuratevi; vi mancano un re, due fa e tre diesis; e, quello che è peggio, non tiene più l'accordatura!

Fabio.

Come il padrone.

Saran.

Dica lei!... Padre... putativo!

Tilde.

Venga qua dottore, non s'arrabbi. Mi dia un consiglio piuttosto. Da qualche giorno Nino è un po' palliduccio... non mangia più tutta la minestra; vorrei dargli qualche ricostituente nel cambio di stagione; mi suggerisca lei....

Saran.

Ma mi faccia un po' il piacere! Vuol fare anche lei come quei tangheri che mi assaltano la farmacia? Ma lo lasci correre e saltare! Altro che rovinargli lo stomaco con le medicine!

Paolo.

Ma allora perché lei fa lo speziale?

Saran.

Perché un mestiere bisogna pur farlo a questo mondo; specie quando le aspirazioni sono andate a finire sotto le suole delle scarpe!

Tilde.

Ah, la musica, vero dottore? La sua passione per la musica!....

Saran.

Sicuro; avevo sognato di diventare qualche cosa di grande; di riuscire, con l'arte divina dei suoni, ad allietare l'umanità; e invece ho finito col rovinarle lo stomaco con le polverine! Soli residui d'un bel sogno che fu... una chitarra un pianoforte scordato... e un'aquila senza coda che, a sentir lui, potrebbe anche essere una poiana! L'ideale imbalsamato! Ah se sapeste quale disprezzo provo per tutti quei disgraziati che armati di pentole e di boccettine corrono a me come potrebbero correre alla sacra fonte di Lourdes! All'epoca della «spagnola» poi! Sembrava che la farmacia fosse l'albero della cuccagna! E come si lasciavano menar per il naso dai così detti luminari della scienza! Oggi il giornale riferiva che per evitare la «spagnola» bisognava astenersi dall'uso di qualsiasi sostanza alcoolica; e tutti astemi! Domani che l'Accademia delle Scienze di Parigi aveva scoperto che l'epidemia si vince col rhum; e giù tutti ubriachi!... Oggi che il tal professore indicava come preventivi il gargarismo e la nasalina; e giù soluzioni di acido fenico a ettolitri e mentolo a quintali; domani… sconsigliati gargarismi e nasalina perché irritano le mucose e predispongono all'attecchimento del bacillo di Pfeifer e prescritto invece il chinino a dosi elevate; e allora al diavolo boccette e scatolette e giù scorpacciate di chinino!

Fabio.

A tre franchi il grammo !…

Saran.

Sicuro! La tassa sull'imbecillità!...

Fabio.

A profitto del farmacista...

Saran.

E intanto corri, sfrega, spingi, e colpi di tosse e sternuti sulla faccia! E il povero farmacista ad impazzire con tutta codesta umanità bolsa e spaventata!

Fabio.

Eh, andiamo via; che col tutte le sue chiacchiere avrà avuto anche lei una buona dose di paura e avrà preso le sue precauzioni!

Saran.

Ah. Sicuro! Se non altro per l'esempio.

Tilde.

Vede?!

Saran.

Sì. ogni sera prima di coricarmi il mio bravo gargarismo...; con due gotti di barbera!

SCENA TERZA

PAGANINI e DETTI.

Paganini

vecchio suonatore di violino, rimanendo in giardino oltre la vetrata, attacca la Serenata di Schubert.

Tilde.

Paganini!

a Paolo.

Sente? È la serenata di Nino. La sua prediletta.

Saran.

Anche qua viene a farmi la concorrenza!... Beh, poveretto... se la cava...

Fabio segna il tempo con le braccia, imitando il gesto abituale di Nino.

Tilde.

Quando Nino sente questa musica afferra il primo arnese che gli capita sotto mano e batte furiosamente il tempo. Da mangiarselo a baci!

Saran.

Ne faremo un buon direttore d'orchestra.

Paganini.

ha finito di suonare ed appare all'uscio della vetrata; con una cantilena a lui abituale.

Per la fabbrica dell'appetito, signori! !...

Fabio.

Avanti Paganini, avanti.

Saran.

Bravo Paganini; prendi un nichelino...

indicando Fabio.

che le lo dà lui.

Paganini.

sempre sull'uscio.

Oh! Il signorino?!…

Fabio.

Fiasco. caro Paganini! Oggi non c'è. Ma non importa; eccoti i soliti soldoni per lui.


Paganini.

Benedetto! Adesso, quando passo da queste parti, so di trovare il mio boccon di pane. Ricorda invece una volta, signor Antuzzi?... Scusi sa...

Tilde.

Di', di' pure.

Paganini.

La loro donna mi chiudeva il cancello in faccia: «Andate via! I padroni non vogliono seccature!... Non vogliono musiche!».

Saran.

Già. Ma ora si sono abituati alle musiche di tutti i toni!

Fabio.

Torna presto Paganini.

Paganini.

Cent'anni a loro e al signorino.

se ne va.

SCENA QUARTA.

PAOLO - FABIO - Dottor SARAN TILDE - ERMINIA.

Fabio.

Caro segretario e adesso debbo lasciarlo per poco. Vado a riprendere il piccolo.

aiutato da Tildes'infila ilpaletot.

Saran.

Do un'occhiata anch'io in farmacia; altrimenti addio giuggiole e zucchero d'orzo!

Paolo.

Io rimango a tener compagnia alla signora Tilde.

Tilde.

Spicciati. Fabio; alle cinque precise si va a tavola.

Erminia.

dalla comune, con un giornale, un pacchetto e un piccolo registro.

Signora, il postino; c'è questa raccomandata da firmare.

Tilde.

Ah! Le mie sementi di fiori! Finalmente!

firma e restituisce il registro ad Erminia.

Fabio.

E per me?

Erminia.

Il  Corriere, signor padrone.

Fabio.

Beh! Mettilo là.

esce per la vetrata recando seco il paltoncino dei piccolo; il dottor Saran esce con lui.

SCENA QUINTA

PAOLO - TILDE - ERMINIA

Paolo.

ad Erminia.

Scusa, fatti lasciare anche la posta del Municipio.

Erminiaesce per la comune.

Do un'occhiata se vi sia nulla d'urgente. Già la signora permette.

Tilde.

S'immagini.

trae dalla credenziera stoviglie e biancheria da tavola e apparecchia per cinque persone. Erminiarientra con un fascio di corrispondenza che deposita su di un tavolino da lavoro.

Paolo.

Grazie.

comincia a spogliare la corrispondenza.

Vediamo un po'.

Erminia.

avvicinandosi alla padrona; sottovoce.

Signora, è ritornata.

Tilde.

Chi?

Erminia. Quella signora di poco fa.

Tilde.

un po' contrariata.

Proprio adesso? Che le hai detto?

Erminia.

Che l'avrei avvertita.

Tilde.

Beh! Conducila in salottino, finisco di apparecchiare.

Erminiaesce.

Paolo.

Stato civile... stato civile... anagrafe... ufficiale sanitario... anagrafe… lavori...

scorrendo la lettera.

Questo benedetto appalto d'asta...; bisognerà parlarne al Prefetto.

continuando lo spoglio.

Gazzetta dei Comuni..., anagrafe...

s'indugia un po' a guardare una busta.

Istituto esposti della città di Vicenza... Istituto esposti?

strappa la busta che getta sul tavolino e legge la lettera.

Tilde.

finisce  di  apparecchiare;   avanza  le seggiole  e   il  seggiolone;   indi pone l'elmetto da corazziere davanti al piatto del piccolo.

E l'elmo così! Figurarsi che gioia!

Paolo.

che ha letto la lettera; in preda a viva agitazione che cerca nascondere.

Lei?!... Lei qui?!... No, no... non è possibile!...

Tilde.

osservandolo.

Segretario. qualche brutta notizia?

Paolo.

dissimulando.

No!...

caccia la lettera in tasca rapidamente.

Tilde.

Oh! Perché nasconde quella carta? Mi crede così indiscreta da volermi addentrare nei suoi affari d'ufficio?

Paolo.

Oh no...! Mi scusi...

subito.

Il signor Fabio… per favore, dove è andato a riprendere il bambino?...

Tilde.

un po' agitata.

Perché?... Dagli Scarpis. È cosa che riguarda Fabio.

Paolo.

Sì, signora.

Tilde.

Che ci riguarda adunque... Che cosa ha da dire a mio marito ch'io non possa sapere?…

Paolo.

Nulla di grave, signora... Debbo preannunciargli l'arrivo d'una persona... Mi scusi.

afferra il cappello e le carte ed esce per la vetrata; sul tavolino rimangono le buste delle lettere spogliate.

Tilde.

perplessa.

L'arrivo d'ima persona?

posa lo sguardo sulla busta che sta sopra le altre sul tavolino; la prende in mano.

Istituto Esposti della città di Vicenza!... La casa dove abbiamo preso Nino?!... Che vogliono?... E questa signora?...

correndo alla comune.

Erminia! Erminia! Qui!... Falla passar qui.

rimane appoggiata alla tavola.

SCENA SESTA.

TILDE ed ELENA.

Elena.

dalla comune, vestita a lutto, con voce calda di emozione.

Signora Antuzzi!.. Signora cara!.... Mi perdoni!...

le afferra ambe le mani e gliele bacia con effusione.

Tilde.

con voce tremula.

Signora!....

Elena.

alzando il capo; stupita di non essere conosciuta; presentandosi.

Elena Dafforte !

Tilde.

c. s.

Mi scusi... Io non so...

Elena.

Non sa?!... Il mio nome le riesce nuovo?!... Oh, santo cielo!... Eppure la direzione dell'ospizio mi aveva assicurato...

Tilde

vivamente.

Ah! È lei la persona che si attendeva!...

Elena.

Ero attesa adunque!?...

Tilde.

ancora più turbata.

Non da me... io non so nulla... Il segretario ora...

Elena.

a sé

Come fare?...

pausa; volgendo lo sguardo intorno.

Dio! Come è tutta piena di lui questa stanza!... Quel seggiolone... Questi giuocattoli...

accasciata.

Come lo amano! Come lo amano!...

Tilde.

che è rimasta immobile a fissarla, quasi paurosa di accogliere la visione della realtà.

Lei parla... del piccolo, vero?.. Del nostro Nino?

Elena.

vivamente.

Nino!? Oh caro! Gli  hanno  lasciato  il  nome  che  gli  ho  dato  consegnandolo all'ospizio!...

Tilde.

non un grido.

Sua madre?!... Lei?!... Sua madre?!...

Elena.

con scoramento profondo.

Dio mio! Quanto male vengo a far loro!...

Tilde.

spalancando gli occhi.

È vero adunque?! E' vero?!... Ma se nessuno ci ha detto mai nulla!… Se lei stessa non s'è mai curata… E che è venuta a fare?

Elena.

Non lo immagina, signora?...

Tilde.

Che vuole?... Che vuole?!...

Elena.

Il mio bambino.

Tilde.

Ah no! Lei è pazza!

Elena.

Son tre anni, signora. che attendo questo momento.

Tilde.

Ah no! No!!...

chiamando, smarrita.

Fabio! Fabio!... Ah perché non è qui!?... Gesù santo!... Gesù santo!...

Elena.

Signora... signora mia..; bisogna ragionare.

Tilde.

No! No! No! Che diritto può avere su questo bambino che fu affidato a noi!?...

Elena.

Il mio diritto di maternità, signora...!

Tilde.

Quale maternità se non l'ha mai sentita fino ad oggi? No! No! È mio! Strapparmi il mio piccolo sarebbe come strapparmi la vita; più che la vita! Lei non l'avrà mai!...

Elena.

Ma come può pensare ch'io voglia rinunciarvi? Signora, sono sua madre!

Tilde.

Ah che! Io, io sono sua madre che l'ho accolto con l'animetta informe... che l'ho allevato col calore dei miei baci... che ho sofferto, che ho gioito, che ho trepidato per lui...! Che non ho avuto un desiderio, un pensiero che non fosse per lui, tutto per lui! lo sono sua madre! Non lei!... Vada via! Vada via!... Vada via!

cade ginocchioni presso il divano, piangente, convulsa.

Elena.

con un filo di voce.

Ah Signore Iddio! Non è finita ancora la mia tortura!...

Tilde.

dopo una pausa, durante la quale singhiozza col viso nascosto tra le braccia; senza muoversi dal punto dov'è caduta; con voce rotta, supplichevole.

Signora!... Signora!... Per pietà!… Per pietà!... Faccio male ad agitarmi, ad inveire... No. no..., capisco; debbo supplicare così... ginocchioni... Non ci porti via la vita! Guardi...; noi l'abbiamo rifatta la nostra vita intorno a questa creatura... A lei costerà poca fatica a rinunziare... se ha potuto farne senza fino ad oggi... Una donna giovane, bella, libera come lei può trovare altre distrazioni... Noi, no; per noi sarebbe il crollo, lo sfacelo. lo..., mio marito che lo adora... Povero Fabio! Che colpo quando sentirà! Ma no, ma no, lei lo farà questo sacrificio. Non è vero che lo farà? ... Ecco... lei potrà vedere Nino a suo piacimento, anche ogni giorno se crederà...  ma lo lascierà qui con noi! Il mio Fabio saprà ricompensarla come vuole!

Elena. Che dice?!…

Tilde.

Tutto quello che vuole faremo! Fabio mi approverà; dispongo io di tutto..., per tutto...!

Elena.

Che dice?!... Che dice:'?... Povera signora! Ho capito; lei ha visto subito in me una donna che viene a far valere un diritto ... così, quasi per un capriccio!... Non ha neppure immaginato per me una vita di torture, di ansia, di attesa!... Ebbene, veda - e lei deve credermi poiché le grandi verità ci stanno scolpite in fronte - se io non avessi avuto la speranza - ma che dico speranza! - la certezza assoluta di riavere presto o tardi il mio bambino... l'avrei finita fin dal giorno del distacco! Glielo giuro; l'avrei finita!

Tilde.

Dio! Dio mio! Io diventerò pazza!... Sì, sì... diventerò pazza!...

smarrita, va brancolando per la stanza come per cercare un cuore amico che la sorregga nella sua angoscia. Ma ecco il passo di Fabiosulla ghiaia dei giardino... Ella s'illumina tutta in viso e trae un largo respiro di sollievo mentre s'avvia al fondo.

SCENA SETTIMA.

DETTE - FABIO poi ERMINIA.

Fabio.

oltre la vetrata.

Tilde!

Tilde.

correndogli incontro.

Fabio! Fabio mio!

Fabio entra. Tilde, gettandogli le braccia al collo.

Guarda! È la madre di Nino!... Viene a portarcelo via!

Fabio.

vinto dall'emozione.

So tutto Tilde... So tutto!....

Tilde.

concitatamente.

Ma non è possibile, vero? Glielo dissi anch'io. Non è possibile! Scriveremo al commendatore che è sempre a Roma... Egli saprà farci rendere giustizia!...

Fabio.

Calmati Tilde; sii forte... vedremo...

avvolge   Elena   in   uno   sguardo   di doloroso rimprovero.

Ah signora! Lei non immagina forse quale felicità sia venuta a turbare!...

Elena.

Lo immagino!... Ed è questa la mia tortura.

Fabio.

Ma perché... perché vorrebbe riprendersi oggi questo bambino che un giorno ebbe la forza di rinnegare?

Elena.

è davanti a lui, ritta nel busto, il mento sul, petto gli occhi a terra.

Sono una grande disgraziata degna di pietà

Fabio.

severamente.

Infatti... è sempre una disgrazia dover subire le conseguenze del proprio fallo!

Elena.

esausta, supplichevole

Signor Antuzzi...

Fabio.

rimettendosi

Capisco... mi scusi...

a Tilde che si accascia.

Su, Tilde.

a Elena.

Sicché lei è proprio decisa?...

Elena fa un lento cenno d'assentimento.

Certamente lei avrà i suoi documenti in regola per provare...

Elena afferma nuovamente col capo.

Fabiofacendo forza a se stesso.

E sta bene.

Tilde.

allarmatissima.

Fabio, che fai?! Vuoi cedere?!...

Fabio.

Taci. Ed ora un'altra cosa, signora. Non è più il  diritto che parla ora... il diritto acquisito in tre anni di vera adorazione… È il dovere... il dovere che abbiamo verso quel piccolo essere di non gettarlo alla ventura... nelle mani d'una donna che, pur essendo sua madre, potrebbe non avere né mezzi né coscienza per non fargli sentire il peso di questo mutamento.

Elena.

affranta.

Ma come può giudicarmi così se non sa ancora ch'io mi sia e quali colpe abbia commesso?!...

Fabio.

Scusi: é un'ipotesi. È appunto questo che io voglio sapere ora da lei. Chi ella sia... ; in quale circostanza abbia avuto questo bambino... perché l'abbia abbandonato un giorno all'ospizio dei trovatelli.

Elena.

incisiva.

Oh signor Antuzzi! Posso risparmiarmi questa pena!... Vi è una persona che, per quanto avvezza a far male, dovrà pur giustificarmi. Questa persona frequenta la sua casa.

Tilde.

Il segretario?!

Fabio.

Paolo Mari?!

Elena.

Paolo Mari, sì! Che vive da due mesi accanto alla mia creatura!... Egli sì che l'aveva rinnegata per davvero!... Quando non fui più per lui la giovinetta che lo esaltava.... il frutto da assaporare... il capriccio da soddisfare... mi lasciò sola col mio bambino ad affrontare la tempesta! Oh non aveva egli il senso della sua responsabilità!...

Fabio.

Tilde! Tilde! Ora capisco!... Tremava tutto quando è venuto ad avvertirmi !

Tilde.

E anche qui tremava e impallidiva!...

Fabio.

a Elena.

Ma lei sapeva che era qui?

Elena.

L'ho saputo ieri all'Ospizio di Vicenza ove egli s'era rivolto per avere traccia del piccolo... E ho compreso tutta l'ironia del destino!

Erminia.

sulla comune.

Signora, debbo preparare il bagno? Maddalena ha riportato il bambino.

Tilde.

con un grido.

Ah! Nino!

esce correndo a sinistra.

Elena.

Mio figlio!!!

si getta ella pure verso la comune ma le forze le vengono meno; si appoggia alla spalla di Erminia che la sorregge e la conduce.

SCENA OTTAVA.

PAOLO e FABIO.

Paolo.

è sull'uscio della vetrata.

Signor Fabio!...

Fabio.

Segretario!?... Venga qui, lei. La verità?!... La verità?...

Paoloavanza di qualche passo e fa un largo cenno desolato.

Ah! Che tumulto, segretario!... Che tumulto nel mio cervello!... Ma perché non dirci mai nulla?

Paolo.

Non trovava strano che io mi fossi ridotto a vivere qui della loro vita... Senza una ragione profonda... istintiva?

Fabio.

Santo cielo! Ma come immaginare?...

Paolo.

Dopo la sventura che ha distrutto la mia povera famiglia mi sono sentito portare da una forza ignota in cerca di una mia prima creatura... Forse... per avere ancora ragione di vivere!...

Fabio.

E lei? La madre? Perché non l'ha cercata?... Perché non si è avvicinato a lei?...

Paolo.

Dove trovare il coraggio per farlo? Oh signor Fabio! Quando si è disfatto il cuore di una donna non si può più pretendere di ricomporlo!...

Fabio.

E che conta di fare ora?

Paolo.

Non so... Penso alla fatalità degli eventi che ci rimette talvolta sulla via che credevamo smarrita per sempre.

SCENA NONA.

DETTI E TILDE - poi ELENA.

Tilde.

irrompendo sulla scena, abbracciando Fabio; sottovoce ma con accento gioioso.

Fabio! Fabio! Nemmeno un bacio sai si lasciò dare! Nascose la testina sul mio petto!... Ce lo porteranno via ma il suo cuore resterà con noi, sempre con noi!...

Elenaentra pallidissima, vacillante e s'aggrappa ad un mobile per non cadere.

Fabio.

accorrendo.

Signora, lei si sente male?

Elena.

con un filo di voce.

 Tanto male, sì..., tanto....

Paolo.

con voce commossa, vibrante.

Elena! Elena! Non imprechiamo al destino se ci ha posto ancora uno di fronte all'altro!...

Fabio.

col  bicchiere  del  vermouth  alle  sue labbra, mentre la sorregge. Beva... beva un sorso...

Elena.

rifiutando.

Grazie… passa... passa...

Paolo.

supplichevole.

Elena!

Elena.

lentamente, profondamente.

M'hai avvelenato il cuore... come hai avvelenato l'esistenza di questa buona gente... la loro felicità è infranta come la mia… Dove tu passi….. lasci di queste traccie…

Paolo.

Ho   tanto   pianto,   Elena;   non   ho   conosciuto   che   il   dolore…   sono   profondamente mutato!

Elena.

Oh! IL cuore non può cambiare!... Sei pur rimasto sordo al mio grido d'angoscia! Non avesti pietà!... Per te dovetti andarmene per il mondo, disprezzata dalla mia gente... per te non potei raccogliere l'ultimo respiro di mio padre!... Ah!...

Paolo.

Elena! Elena! Non incrudelire così s'io fui crudele!... Per tuo figlio almeno!... Per nostro figlio....

Elena.

ergendosi tutta.

Tuo figlio?!.. Osi chiamarlo ancora così?!..

con un sorriso acre.

Eh già! Tutto facile per te...; l'amore,... la gioia... Tutto facile!...

recisa.

Ma ora, no! Voi siete qui l'ufficiale dello stato civile che deve compiere il proprio dovere.

toglie delle carte dalla borsetta.

Guardate.

quasi scandendo le sillabe legge a voce alta e lenta

«Atto  di  riconoscimento  materno  dell'accolto  N.   62  Nino  Dafforte,   di  Elena Dafforte... e di padre ignoto».

porgendogli il foglio, con sottile punta d'ironia.

Vogliate constatarne la regolarità.

Sipario.


ATTO TERZO

LA SCENA

Lo stesso giorno dell'atto precedente - Qualche giorno dopo. Non ci sono più i giocattoli di latta. Stilla credenza l'elmetto da corazziere.

SCENA PRIMA.

TILDE - ERMINIA - Dottor SARAN - poi FABIO.

Erminia.

presso la finestra, guardando lungo la strada.

Ecco, signora, la tramvia dev'essere arrivata.

Saran.

seduto presso la tavola

Miracolo! Ha sempre due ore di ritardo... quando non esce dalle rotaie per finirla in
fosso!…

Erminia.

Sì, sì... Passano i Fenoglio, quelli dalle gambe lunghe... Dio! Quante valigie!...

Saran.

Le portano per darsi aria! Neanche venissero dal Missisipì!.

Erminia.

Ecco il vecchio Marini...

Saran.

Che torna dalla solita visita alla bionda!... Non si vergogna a quell'età? Età da vino brulé appena appena...

Erminia.

Il dottor Brusio..., la signora Dentice con suo nipote...

Saran.

Povero Cesarino! Gli è passata la voglia delle serenate alla contessina Dazzi!... «Metti anche tu la veste bianca!...». Un catino d'acqua in testa gli ha messo!

Erminia.

Ecco il padrone.

Tilde.

alzandosi

Solo?…

Erminia.

Solo.

Saran.

Avrà perduto la corsa.

Fabio.

entrando per la vetrata.

Non è arrivata. Buon giorno dottore.

Saran.

Caro sor Fabio.

Fabio.

Oh ma verrà certo! Arriverà a Mussano col treno; poi si farà condurre qui in carrozza.

una pausa.

Tu... hai approntato tutto?...

Tilde.

tristemente.

Tutto.

Fabio.

Beh!...

Tilde.

ad Erminia  indicando  il cavallo a dondolo.

Porta di là anche quello con tutto il resto.

Erminia.

Sissignora.

esce per la comune. Tildepiange in silenzio; una pausa.

SCENA SECONDA.

FABIO - SARAN e TILDE.

Saran.

Beh! che significa quest'aria da funerale?

osservando Tilde.

Piange? Ah questa poi! Anziché fargli un po' d'allegria... per l'ultimo giorno che rimane qui...

Tilde.

Mi pareva, deponendo quelle cosuccie nel baule... di seppellire la nostra creatura. Ho lo stesso stringimento di quando s'attende l'ora di un funerale.

Fabio.

Via, Tilde! Che sciocchezze! Non voglio, ti ripeto. D'altronde la signora Elena, che è buona e ragionevole, ci ha formalmente promesso di accompagnarcelo spesso; noi pure andremo sovente laggiù. Eppoi - è convenuto - sarà nostro figlioccio...

Tilde.

Come tu vuoi; ma non è la stessa cosa per me. Non è ancora il bambino da allevare e da proteggere... non è più nostro, ecco. Per me... è come se fosse morto.

Fabio.

Ma perché? Credi che egli non si ricorderà di noi che gli fummo d'intorno per primi? L'altro giorno - lo rilevasti tu stessa - non volle nemmeno lasciarsi baciare da sua madre. Il suo cuoricino è sempre nostro.

Tilde.

Oh no, Fabio! Avevo anch'io questa illusione, ma poi... L'affetto di sua madre lo comprerà. Sono così i bambini...; il loro istinto prepotente di vivere li porta verso le persone che sostituiscono le prime; e con eguale affetto si attaccano a loro. Vedi... son tre giorni che sua madre lo accosta e già i suoi baci, le sue carezze, glielo resero amico. Domani, lontano da qui, non si ricorderà più di noi.

Saran.

Balle! Come sarà mai possibile che si dimentichi? I primi ricordi, i più lieti, sono qua; questa casa, la farmacia….. la coda della poiana, la zimarra del sor Fabio - monumento nazionale!... - la cravatta del dottor Saran - altro come sopra!... - ogni qual tratto giù una strappata per disfarne il nodo!... E le mille promesse di strappargli un orecchio... finite sempre in un cartoccietto di giuggiole o di zucchero d'orzo!...

cacciando una mano in tasca.

A proposito di zucchero d'orzo... Accidempoli! Che impiastricciata! Ah santa Felicita martire!... Mi sono incollato tutta la giacca!

Fabio.

Che cos'ha dottore?

Saran.

Da mezz'ora le tengo in tasca per darle a Nino; col calore si sono sfatte! Bisogna che torni in farmacia a prenderne un altro cartoccio... e a mutarmi giacca... poiché ne ho tante!...

imbattendosi sull'uscio con Paolo.

Ecco qua un altro muso allegro!….. Animo perbacco!...

esce dalla vetrata.

SCENA TERZA.

FABIO - TILDE e PAOLO poi ERMINIA.

Paolo.

dalla vetrata.

Non è arrivata, vero?

Fabio.

Non ancora.

Paolo.

Tanto meglio.

Fabio.

Venga avanti, segretario.

Paolo.

risoluto.

Signor Fabio, pongo il mio avvenire nelle sue mani. lo voglio tentare ancora. Ella ha assistito al breve colloquio che ebbi con Elena; furono poche parole, acri, dolorose...

Fabio.

È irremovibile.

Paolo.

Bisogna smuoverla! Bisogna smuoverla, capisce?

Fabio.

Scusi. Ma non ha lei l'autorizzazione di vedere il bambino a suo piacimento?

Paolo.

Oh! Questo sì.

Tilde.

Di poterlo avere con lei per qualche tempo dell'anno?

Paolo.

Oh! Ma non capisce, signora, che non é del bambino che mi preoccupo ora!?... Ma di lei... della madre!?...

Fabio.

Della madre? Che può importarle? Il pernio è Nino.

Tilde.

Tutto è là.

Paolo.

Prima sì; ma ora?… Non so... Quella donna mi ha così turbato... Le sue sofferenze... la sua fierezza... Che contrasto di sentimenti e di pensieri!... Ah! Se potessi farmi perdonare!....

Fabio.

Signor Paolo!... Lei l'ama ancora?...

Paolo.

Forse; - potrei negarlo? Vi sono delle fiamme che sembrano spegnersi in noi e si riaccendono invece più vive di prima. Io volevo convincere me stesso che questo nuovo sentimento fosse un'illusione....; il dolore, il rimorso, la pietà hanno talvolta delle apparenze così strane... delle sfumature così indefinibili... Invece no, no; è veramente l'antica fiamma che si riaccende, resa più pura dal desiderio di compensare il dolore con l'amore.

Fabio.

Ebbene; che posso fare io?

Paolo.

Senta, signor Fabio; da tempo mio fratello insisteva affinché mi associassi a lui nel suo studio di Livorno; e trovava così assurde le mie riluttanze.... Ebbene; tolta ora la ragione della mia permanenza qui, ho già risposto accettando; ora - capisce? - io non voglio... io non posso andar solo laggiù. Che forza mi sosterrebbe? Io voglio la mia nuova famiglia con me.

Fabio.

A Livorno?

Paolo.

Sì, sì; è un'utopia forse, ma debbo tentare!... E lei deve aiutarmi, signor Fabio. Una sua parola può molto.

Fabio.

Lei vorrebbe insomma... che io la inducessi a venire laggiù... col bambino?...

Tilde.

con tono doloroso e supplichevole.

Fabio!?…

Fabioè turbatissimo; si svolge in lui una lotta tra opposti sentimenti.

Paolo.

Lo farà?….. Dica, lo farà?

Fabio.

dopo un po' d'esitazione, serrando la mano di Tildenella sua.

È una cosa seria... anche per noi... Non è vero, Tilde? Ad ogni modo, per quanto posso... lo farò.

Paolo.

Oh! grazie.

Fabio.

severo.

Ma ad una condizione. Lei dovrebbe rispondere a me e a mia moglie della sua condotta di marito e di padre; sempre.

Paolo.

Oh sì! Sono sicuro che non avranno a lagnarsi di me.

Tilde.

sottovoce, penosamente.

Fabio!... Fabio!...

Fabio.

Su, su mia povera vecchia.

Paolo.

che è andato alla vetrata.

Una carrozza.

intensamente.

Signor Fabio.... Ella può ridarmi la vita. Attendo in giardino.

esce per la vetrata

SCENA QUARTA.

FABIO - TILDE - ELENA.

Fabio.

guardando oltre la vetrata.

È lei.

Tilde.

Va tu ad incontrarla.

Fabio.

alla comune.

Mi raccomando.

esce.

Tilde.

rimane    in   atteggiamento   doloroso, senza lagrime.

Elena.

dalla comune con Fabio; è sempre vestita di nero ma con eleganza; un mazzo di rose tra le mani; corre alla signora Tildee la bacia sulle guance; vivamente.

Signora Tilde... Per lei. Le prime rose del mio giardinetto.

Tilde.

Grazie.

Elena.

Mi son fatta attendere, vero? Doveva venire anche la mamma, ma all'ultima ora ha cambiato pensiero. «Rimango qui - disse - a preparargli il nido». E Ninetto?

Tilde.

È fuori a salutare i suoi piccoli amici. Ma tutto è pronto, signora.

Fabio.

Vuol mettersi in libertà?

Elena.

togliendosi il cappello.

Grazie. Per un momento.

Fabio.

Si tratterrà almeno a colazione.

Elena.

Come fare? Vorrei riprendere a Mussano il treno di mezzogiorno, altrimenti fino a sera... - Loro lo sanno; dopo la ferrovia ho un altro buon tratto di carrozza e non vorrei che il mio Nino avesse a soffrirne.

Fabio.

È giusto.

Elena.

con grande espansione.

Verranno presto loro laggiù; vero? Me lo promisero.

Fabio.

lentamente.

Speriamo... chissà...

Elena.

Chissà?!

Fabio.

Mi perdoni signora. Poiché ella è decisa a ripartire subito, e non c'è tempo di mezzo, vorrebbe accordare cinque minuti di colloquio al signor Paolo?

Elena.

contrariata.

Ancora? Che vuole egli da me? Non gli pare che mi sia arresa abbastanza?...

Fabio.

Lo accontenti.

Elena.

Si rivivrebbe qualche altro istante di pena. Nulla più.

Fabio.

Mi permetta d'insistere; sono io che la prego.

Elena.

dopo averlo guardato in viso.

Allora...

Fabio

va alla vetrata e fa un cenno di richiamo con la mano.

Tilde.

Io vado incontro al piccolo. A fra poco.

esce per la comune.

SCENA QUINTA.

FABIO - ELENA e PAOLO.

Paolo.

appare sull'uscio della vetrata; un silenzio in tutti.

Elena.

dopo qualche istante; fredda.

Ebbene?

Fabio.

a Paolo.

Debbo lasciarvi soli?

Paolo.

vivamente.

Oh no, signor Fabio! Rimanga.

avvicinando di qualche passo; cercando di fermare la voce per mascherare l'agitazione che lo domina.

Elena... tu parti, vero?

Elena.

c. s.

Fra breve.

Paolo.

E porti con te il bambino...

Elena.

Lo sai bene. Non è un mistero.

Paolo.

Elena, ascoltami;... parto anch'io fra giorni. Mi reco a Livorno; allo studio di mio fratello Silvio. Le condizioni sono vantaggiosissime.

Elena.

sempre fredda.

Ah!... Farai fortuna; hai sempre avuto ingegno.

Paolo.

lentamente.

Elena... vuoi venire con me laggiù?

Elena.

indifferente.

Eh?...

Paolo.

Comprendi bene il valore di questa proposta?

Elena.

c. s.

Credo. Tanto che la prevedevo.

Paolo.

E... che rispondi?

Elena.

c. s.

No.

Paolo.

Ah; sei implacabile!

Elena.

Trovi strano?

Paolo.

esaltandosi.

No, no; naturale anzi! Più che naturale! Avevo creduto che un uomo potesse uscire purificato da tanto dolore!... Che potesse avere diritto a un po' d'indulgenza!… Invece...

Elena.

incisiva.

Ora la invochi l'indulgenza! Perché ti porto via Nino!

Paolo.

 Oh no! Non per lui solo. Credilo; anche per te!

Elena.

Quando mi hai cercata?! Dopo la bufera che ti ha sconvolto l'esistenza, il tuo pensiero non è corso a me. A Nino! Solo a Nino! Logico del resto. L'avevi pregustata la gioia della paternità; e poiché il tuo figliuolo, quello della legge, te l'avevano straziato nelle viscere di sua madre, sentisti il bisogno di ricorrere al tuo primo bambino, - figlio del capriccio sia pure! - ma bello, forte, sano! Io? Io ero fuori causa.

Paolo.

No, no... le lo giuro.

Elena.

Non giurare! Anche allora giuravi! Quando ti resistevo con tutte le mie forze... Cento volte hai giurato!

Paolo.

Ho espiato, Elena! Nella più terribile delle sventure!...

Elena.

Anch'io ho espiato la mia ora di debolezza. Il mio tormento vale il tuo; non ti debbo nulla.

Paolo.

Ascoltami Elena; devi ascoltarmi; è un momento decisivo questo. Io non ti ho cercato, è vero. Ma potevo farlo? Una ragione profondamente umana me lo impediva; il ricordo vivo dell'altra... ancora tiepida! Di quella poveretta che parve quasi... uno strumento d'espiazione... lo mi accostai subito a mio figlio, ma col fermo proposito - questo sì posso giurartelo - di frugare anche nella tua vita ch'io non conoscevo e che le apparenze forse condannavano.

ad un moto di Elena.

Sì; tu avevi abbandonato il bambino e si poteva credere tu l'avessi fatto per desiderio di esser libera... e vivere. Non potevo nemmeno intravedere il tuo calvario!... Ma ora che ho conosciuto la vita di sacrificio che tu hai vissuta, ora, vedi, ti ho posto con mio figlio sopra ogni pensiero! - Mi credi sincero, Elena? Mi credi?

Elena. Sì...ti credo. Ma sei giunto troppo tardi.

Fabio.

che l'ha scrutata in silenzio.

Troppo tardi?...

Elena.

Quando ti ho invocato con la disperazione d'un naufrago non hai udito la mia voce. E urlavo sai! Oh se urlavo!... Dopo.... non più. Con la tua fuga m'avevi tolto ogni possibilità di espandere il mio dolore, di allevare il mio bambino, di riscaldarmi l'animo a qualche raggio di sole. Ho dovuto comprimere il mio cuore così, per non tradirmi!... Chiudere tutti gli spiragli dell'anima affinché nessuno potesse scrutarvi dentro. Ho dovuto mentire, mentire, sempre mentire!... Per vivere.

Fabio.

profondamente, con intenzione.

Ma qualcuno... forse è riuscito a comprenderla egualmente; non é vero signora? A rompere il cerchio entro il quale s'era chiusa?

Elena.

fissandolo negli occhi; recisa.

Uno, sì. E quell'uomo - un galantuomo - si è dichiarato pronto a sposarmi, così, come sono... e a divenire il padre del mio bambino.

Paolo.

con un grido soffocato.

Ah!...

Elena.

con più dolcezza.

Hai voluto sapere anche questo... Io non te l'avrei detto.

una pausa.

Ed ora una preghiera debbo farti. Sono io ora che imploro: compi un'opera generosa... Tu vedrai tuo figlio... potrai averlo qualche tempo con te, perché ti credo degno di lui...; ma per la pace di sua madre, che è anche la sua pace... non venire mai nella nostra casa. Quell'uomo non sa chi tu sia; nel suo cervello sei un fantasma senza linee, senza contorni; apparendogli saresti la realtà cruda, dolorosa. Se la sventura ti ha reso buono saprai compiere questo sacrificio.

Paolo.

Elena! Elena! Non senti la mia disperazione?! Misura il mio tormento!... Nell'ora in cui ti ritrovo tu mi sfuggi per correre incontro a un altro uomo!... E mai come ora ho sentito tanta fede di riprenderti a prezzo di dolcezza, di adorazione!....

Elena.

Anche quell'uomo prese la mia anima a prezzo di adorazione; e non mi fece alcun male

Fabio.

severo

Ma quell'uomo, signora, non è il padre della sua creatura!

Elena.

come colpita da una stilettata.

Signor Antuzzi?...

Fabio.

Mi perdoni, signora... È un diritto sacrosanto il suo che nessuno le può contestare. Ma allorquando sarà in grado di giudicare serenamente se stessa... - e suo figlio, fatto grandicello, capirà... e sentirà tutto il disagio della sua condizione... - si chiamerà lieta di aver anteposto questo suo amore, pur grande, pur meritato, alla gioia di unire il bambino al suo vero papà?

Elena.

sente in tutta la sua gravità il caso di coscienza in cui Fabiol'ha posta. Ne è turbata e sgomenta. Le tornano alla mente le parole di Marioal primo atto e le ripete a se stessa, dolorosamente.

Sempre!... Sempre!... Sopra tutto!... Contro tutto!...

indi, quasi offerendo al piccolo il sacrificio del suo amore.

Nino!... Bambino mio! Che posso darti ancora?... Che cosa?...

con uno scatto convulso.

Ma sì!  Sì! Avete ragione!... Chi ha peccato non ha alcun diritto alla gioia!... Straziatemi! Prendetevi tutto!... Anche la vita, se volete!... Anche la vita!...

si abbandona sul divano lagrimante, convulsa.

Paolo.

avvicinandosele, supplichevole.

Elena... Non così!... Elena!

Elena.

senza guardarlo; debolmente.

Lasciami ora... lasciami...

Fabio.

sottovoce a Paolo.

È giusto; vada signor Paolo. Bisogna lasciar tempo al tempo.

Paolo.

scoraggiato.

Oh signor Fabio, non ha sentito?... Come sarà mai possibile?... Che vita sarebbe?

Fabio.

Abbia fede. Vedrà. Il suo cuore di madre saprà forse vincere questa crisi.

Paolo.

stringendogli fortemente le mani.

Ad ogni modo, grazie... Come un padre è stato! Più che un padre!...

esce per la vetrata.

Fabio.

avvicinandosi a Elena.

Signora Elena, mi scusi ancora... dovevo fare così...

additando il seggiolone.

Per lui... Pel bene che gli ho voluto e che gli voglio... Rifletterà con calma. - Su, su, si ricomponga; è già tardi.

Elena.

si asciuga le lagrime; stringe le mani a Fabioin silenzio; va allo specchio e si mette il cappello.

SCENA SESTA.

ELENA - FABIO - TILDE - ERMINIA - SARAN.

Tilde.

sulla comune, seguita da Erminia e dal dottor Saran.

Signora, Nino l'attende.

è sfatta dala commozione

Saran.

stringendo la mano ad Elena.

È in cortile che ne combina d'ogni colore! Voleva infilare la punta del bastoncino nelle narici del cavallo. Ora s'è fatto mettere in groppa; dice che vuol fare il viaggio così.

Elena.

abbracciando Tilde.

Un bacio. Per tutto quello che penso e che sento... L'attendo presto, si ricordi...

ad Erminia,porgendole una busta.

Pel tuo corredo di sposa; e grazie anche a te.

Erminia.

Si figuri, signora! Grazie a lei.

Saran

porgendo timidamente un cartoccio ad Elena.

Signora... se permette... Per il piccolo...

Elena.

Oh! Grazie dottore; si è voluto incomodare...

Saran.

Oh, poco disturbo! Roba da speziali; zucchero d'orzo e liquerizia. E... gli parli qualche volta di «barba Tarocco»...; lui capirà...

è commosso; per darsi un contegno posa la mano sulla tastiera del pianoforte; ma l'accordo che ne trae lo infastidisce; con gesto brusco chiude la tastiera.

Fabio.

a Tilde.

Vieni?

Tilde.

No, va tu; io ho fatto tutto quello che dovevo fare... Non mi regge più l'animo.

Fabio porge il braccio ad Elena che vi si appoggia. Giunta alla comune ella si ferma per avvolgere Tilde in uno sguardo lungo d'amore, di riconoscenza, di pietà; ritorna correndo sui suoi passi e, gettandole le bracca al collo, la bacia ancora forte sul viso; indi fugge per la comune presso la quale Fabiol'attende

Erminia

A Tilde che piange in silenzio.

Signora padrona, via, non voglio vederla piangere!... Eh capisco, poveretta!... Ecco quello che si guadagna ad aver troppo cuore!... Ma si dia coraggio. Ora che la dote è pronta sposo subito il mio Stefano; così lui non sciuperà più la siepe al padrone e io potrò fabbricare dei bambini per lei! Le popolo la casa, sa! Parola!

Saran.

Ecco! Visto che trovata?! Si diverte lei... e benefica il prossimo!

Fabio.

dalla comune

L'elmetto.

lo prende dalla credenza e lo consegna a Saran.

Dottore... mi usa la cortesia lei...?

Saran.

Si figuri!

fa per avviarsi; si ferma indeciso; indi, porgendo l'elmetto a Erminia.

Portaglielo tu.

Erminia esce per la comune; Saran borbotta.

Anch'io con tutta la mia boria... Bello stupido!...

con uno strattone si cala la tesa del cappello sugli occhi; ed esce a destra.

SCENA ULTIMA.

FABIO e TILDE infine PAGANINI e ERMINIA

Tilde.

E così? Fabio?...

Fabio.

Si è ribellata con tutte le sue forze...  ma vincerà lui.

Tilde.

Perderemo Nino per sempre!...

Fabio.

Lo so. Ma in quest'ora noi dovevamo metterci in seconda linea. Mi pare così di avergli dato la più gran prova di bene... E mi sento più tranquillo.

Tilde.

in ascolto

Ecco.... Va!... Va!...

Fabio.

Su, su, Tilde.

Tilde.

È finita... è finita!... Alla nostra età non ci si rialza più!...

Fabio.

facendo forza a se stesso e a lei.

Tilde, guardami in viso... Alla nostra età, quando si ha la coscienza del dovere compiuto, si soffre ma non si piega. Che vuoi... Riprenderemo ancora le abitudini di un tempo... e ci terremo stretti nel ricordo di questi pochi anni di felicità. Su... su... povera la mia vecchietta... asciugati gli occhi... Oh! brava, così. Vieni... Vieni a prendere un po' d'aria...

S'avvia a destra sorreggendola. Dal giardino, all'improvviso, giunge il suono di un violino. E' la serenata di Schubert suonata dal vecchio Paganini che si scorge oltre la vetrata. Fabio e Tildesi guardano negli occhi; per quella musica passa loro davanti la visione della felicità perduta e un nodo di lagrime li stringe alla gola; non resistono più.

Fabio.

chiamando concitatamente.

Erminia! Erminia!

Erminia appare sulla comune; ella pure si asciuga gli occhi.

Prendi di là... Dagli... dagli tutto ciò che vuole... Ma che non venga più!... Che non venga mai più!...

Tilde è caduta ridosso al seggiolone e lo stringe fra le braccia. Fabio le accarezza amorevolmente i capelli. La musica insiste.

Sipario.