Quartet

Stampa questo copione

QUARTET

(Bella figlia dell’amore)

di Ronald Harwood

traduzione di Antonia Brancati

Personaggi:

CECILIA FONTANA (CECY)

RODOLFO DE LUCA (RUDY)

GIAMBATTISTA RUBINI (TITTA)

GIULIA CAFFARELLI

Scena:

La terrazza di una villa veneta. Al di là delle ampie vetrate, scorgiamo una sala da musica, arredata in modo confortevole e piuttosto casuale. C’è un piccolo pianoforte a coda, un grande specchio e un paravento. Foto o ritratti di Verdi, Beecham, Puccini, Solieri, Mozart, Caruso, Britten, Callas, Gobbi, Geraint Evans.


PRIMO ATTO

Una mattina di Giugno. È quasi la mezza. Caldo. Sulla terrazza siede Cecilia (Cecy) Fontana, una donna bene in carne, che sta ascoltando un brano operistico attraverso le cuffie di un CD player portatile. Sorride con aria beata, o segue col movimento della bocca le parole, cantando silenziosamente al suono della musica che, naturalmente, lei sola è in grado di sentire. Rodolfo (Rudy) De Luca siede su una panchina. È magro, in forma, immacolato, sempre elegante. Sta leggendo “Uno Studio su Wagner” di Ernest Newman. Prende degli appunti. Dopo un attimo, entra Giambattista (Titta) Rubini. È grande e grosso in ogni senso, disordinato, in un suo modo artistico, o, forse, è semplicemente uno che non si cura del proprio aspetto. Fa uso di un bastone da passeggio. Rudy alza gli occhi, vede Titta, e si rimette a leggere. Cecy non si accorge di nulla, persa nella musica del suo CD. Titta guarda prima l’uno e poi l’altra, e si siede di fianco a Cecy. È chiaro che ha in mente qualcosa. Lei sorride. Lui ricambia il sorriso. Lei fa cenno che sta ascoltando qualcosa. Lui annuisce con fare comprensivo. Poi:

TITTA - Cecy, posso dirti con la massima sincerità che hai il più bel paio di tette che io abbia mai visto? (Naturalmente non c’è nessuna risposta da parte di Cecy, ma Rudy sospira con stanchezza) Dirò di più, tutto il tuo corpo mi fa fremere di lussuria. (Titta guarda Rudy, sperando in una reazione, ma invano) Non sai che ti farei! Vorrei prenderti di sorpresa mentre sei chinata ad infilarti i gambaletti elastici. Ti piacerebbe, eh, di’ la verità!

RUDY - Smettila, Titta, come battuta non regge più: è vecchia!

TITTA - Come la nostra Cecy. (È un gioco che lo diverte molto; continua, rivolto a Cecy) Sei sempre stata un tipo sfrenato, no, Cecy? Da quel che ho potuto vedere coi miei occhi, anni fa, naturalmente, direi che non disdegnavi qualche giochetto sado-maso, dico bene?

RUDY - Ti prego, Giambattista, ti ho gentilmente chiesto…

TITTA - I tuoi colleghi cantanti non ti andavano mica tanto, vero, gallinona mia? Ti piacevano i tecnici, gli attrezzisti. Io ti ero abbastanza indifferente. E anche il nostro Rudy, qui. Anche se si dice che un paio di volte a Franco Muzzi tu gli abbia suonato il piffero. La vecchia checca. Eppure, sai, ti saresti dovuta accoppiare con me in quell’epoca lontana e ormai dimenticata. Non dico che avremmo fatto emigrare le oche selvatiche, ma di sicuro le avremmo fatte levare in volo. Mi piacevi allora e mi piaci ora.

RUDY - Dacci un taglio, Titta, stai cominciando a ripeterti. È tutta la settimana che hai il chiodo fisso delle oche selvatiche.

TITTA - Lo so, ma non so che farci. Dire porcherie a Cecy è l’unica cosa che mi eccita. Il fatto è, Rudy, che non faccio che pensare al sesso giorno e notte, giorno e notte, maledizione. Persino con la direttrice. Arrivo a dimenticarmi le fondate ragioni per cui l’abbiamo soprannominata il Führer. Il che ti dimostra a che punto di disperazione sono arrivato. Il guaio, con Cecy, è che le piaceva una botta e via in quinta, prima di una grande aria. Io ero troppo raffinato per lei. (Ridacchia) E lo sappiamo tutti cos’è che faceva bene alla voce, vero, Cecy?

RUDY - Sei disgustoso, Titta: vorrei davvero che la smettessi.

TITTA - (Continuando a rivolgersi a Cecy) Senti un po’, che ne dici di fare una cosa a tre, con me e Rudy insieme? L’hai mai fatto con due uomini insieme? Non saremo degli atleti olimpionici, ma qualcosa riusciremo a combinarla, non preoccuparti. Certo, prima dovrei togliermi il cinto erniario, ma che vuoi che sia? (Rudy volta le spalle a Titta e si rimette a leggere) Rudy, Rudy, qua, voglio che senti questa! L’ho provata un sacco di volte. (A Cecy; le dà qualche colpetto sul braccio e poi picchietta sull’orologio) Su, lasciati stuprare da me e Reg. Avanti, Cecy, sta’ al gioco, sul prato, a gambe larghe, e via i mutandoni. Che ne dici? (Cecy si toglie le cuffie)

CECY - Sono pronta.

TITTA - (Contento) Ecco! Hai visto? Sublime! (Rudy non può fare a meno di sorridere)

CECY - Che c’è di così divertente?

TITTA - Niente, niente. Che ascoltavi?

CECY - Noi, naturalmente. Rigoletto. Com’eravamo bravi. Perché mi hai interrotta? Che c’è di tanto urgente?

TITTA - Ora non ricordo.

CECY - Grazie a Dio c’è qualcun altro che non riesce a ricordarsi le cose.

RUDY - Questo è interessante. (Legge) “È un errore impiegare il termine “poetico” a significare l’impulso fondamentale di tutta l’arte: da un simile uso non può derivare altro che confusione.” Che ne dite? (Silenzio)

TITTA - Chissà chi è il nuovo arrivo.

CECY - (Con reazione sopra le righe) Che? Che? C’è un nuovo arrivo? Non me l’ha detto nessuno. Un nuovo arrivo? E chi? Chi? (Stacca le cuffie dall’apparecchio e rimette tutto in borsa)

TITTA - Se lo sapessi, non avrei detto “chissà chi è il nuovo arrivo!”…

CECY - (Più agitata di quanto non dovrebbe) Vorrei che ci tenessero al corrente. Perché sono sempre così segreti?

RUDY - Perché è il solo modo che hanno per mantenere il controllo su di noi. La segretezza alimenta il potere. (Torna al suo libro)

CECY - È molto sgradevole.

TITTA - Dev’essere uno importante.

CECY - Come fai a dirlo?

TITTA - Non lo so. Solo una sensazione. Sono giorni che c’è qualcosa nell’aria. Tutto quel bisbigliare, quell’eccitazione…

CECY - Odio quando la gente bisbiglia. Penso sempre che stiano spettegolando su di me. Cecilia Fontana, Cecilia Fontana, Cecilia Fontana…

TITTA - E stamattina tutta quella furia di farci finire la colazione…

RUDY - (Con improvvisa veemenza) Non parlare di colazione in mia presenza…

TITTA - (Continuando senza pause) …e poi ci hanno spedito fuori dai piedi, e il Führer e gli infermieri tutti agitati, è chiaro che stanno aspettando qualcuno di importante.

CECY - Perché non me l’hai detto? Nessuno sa mai niente, qui. Tu lo sapevi, Rudy?

RUDY - Sono convinto che Ernest Newman abbia ragione. L’impulso fondamentale di ogni arte non può essere poetico.

TITTA - Oh, non rompere, Rudy. Invece di leggere tomi su Wagner, perché non provi col Kama Sutra?

CECY - Perché Rudy è un vero signore, ecco perché, cosa che di te proprio non si può dire. Sono così felice, Rudy, che tu sia tornato sano e salvo da Addis Abeba. (Rudy e Titta si scambiano uno sguardo un po’ preoccupato. Silenzio)

RUDY - Mi sarebbe piaciuto cantare Tristano e Sigfrido, almeno una volta. Ma non mi è mai capitato.

TITTA - Soltanto gli stranieri del cazzo cantano Wagner.

CECY - Da qualche parte ho letto che se Giuseppe Verdi fosse nato in Inghilterra, si sarebbe chiamato Joe Green. (È la sola a ridere) Non credo avrebbe avuto una gran carriera, si fosse chiamato Joe Green, no? Ve lo immaginate il Requiem di Green? Giusto in una chiesa di campagna.

RUDY - A proposito di Verdi, qualche idea per il 10 ottobre?

TITTA - Penso che dovremmo fare degli assolo.

RUDY - Ma cantare un terzetto non sarebbe meno impegnativo?

CECY - Già, ma quale terzetto? Dovrebbe essere qualcosa che conosco. Non riuscirei più a imparare qualcosa di nuovo…

RUDY - Meglio fare una vera e propria riunione di lavoro più tardi. (Rudy tira fuori un’agendina tascabile e prende un appunto)

TITTA - Tu e le tue riunioni di lavoro, non possiamo parlarne e basta?

CECY - È molto sgradevole da parte loro accogliere qualcuno di nuovo senza consultarci.

RUDY - Lo fanno in continuazione. Non sono obbligati a consultarci. Sono loro a dirigere questo posto, non noi.

TITTA - Rudy ha ragione. Noi andiamo e veniamo ma loro stanno qui fissi in eterno. E quando noi ci uniremo al coro celeste, qualcun altro si prenderà la nostra stanza. È nella natura delle cose. Renzo Trabucchi è dipartito un mese fa, e probabilmente, in questo stesso momento, mentre noi parliamo, sta finalmente cantando un duetto con Maria Callas. Quaggiù non ci sarebbe mai riuscito! Sapevamo che prima o poi la sua stanza l’avrebbero data a qualcuno.

RUDY - Ci sono sempre vecchie partenze e nuovi arrivi. Ci dev’essere un profitto. Non possiamo prendercela per questo. (Un breve silenzio)

CECY - Sono così felice, Rudy, che tu sia tornato sano e salvo da Addis Abeba. Ti avevo detto che ho ricevuto un piccolo assegno per il “Barbiere”? (Si alza) Vado a scoprire chi è il nuovo arrivo. (Esce. Titta si avvicina a Rudy)

TITTA - Perché Addis Abeba?

RUDY - Non ne ho la più pallida idea.

TITTA - Ha dei parenti, a Addis Abeba?

RUDY - Suo padre era un maggiore dell’esercito. La settimana scorsa era felice perché io ero tornato sano e salvo da Amba Alagi.

TITTA - Certo che sei sempre in giro, tu. Sta cominciando a dare i numeri. Sono un po’ preoccupato per lei. Non vogliamo che venga mandata via…

RUDY - No, Dio non voglia…

TITTA - Cara Cecy. Ha ancora il volto di una bambina, liscio e innocente. E il suo sorriso illumina la stanza più buia. La prima volta che l’ho vista, Dio solo sa quanti anni fa, ho pensato che fosse la creatura più sexy che avessi mai visto. E Dio mio, quanto ci dava dentro! Non pensava ad altro. Pensi che abbia davvero ricevuto un assegno per il “Barbiere”?

RUDY - Probabile.

TITTA - E chi era Figaro?

RUDY - Dylan Morgan.

TITTA - Non solo Wagner, anche Rossini… stranieri del cazzo! (Sorridono; lui prende in mano il libretto del “Rigoletto”) Pensi che noi lo riceveremo un assegno per il nostro CD del “Rigoletto”?

RUDY - Penso proprio di sì. Ho sentito che stava vendendo bene.

TITTA - Sul serio? E dove l’hai sentito?

RUDY - Ora non ricordo. Me l’ha detto qualcuno.

TITTA - Rigoletto. Sono contento che abbiano ritirato fuori la nostra edizione. Ma avrebbero anche potuto mettere le nostre foto in copertina, anziché i soli nomi. Agenti del cazzo. Però, è una bella ditta: Caffarelli, Rubini, De Luca, Fontana. Fa sentire ancora vivi. Certo, io avrei dovuto avere il primo nome. In fondo, Rigoletto ero io. Ma che tempi erano quelli, eh, Rudy? Mi ricordo la produzione, le sedute di registrazione, tutto, come fosse ieri… eppure non riesco a ricordarmi cosa abbiamo avuto oggi per colazione.

RUDY - (Di nuovo con veemenza) T’ho detto di non parlarmi di colazione!…

TITTA - Il quartetto non è stato mai cantato meglio.

RUDY - (Improvvisamente di nuovo calmo) Lo hai ascoltato?

TITTA - No. Strano. Non ne ho voglia. Non mi va di risentire me stesso giovane. E tu? L’hai ascoltato?

RUDY - No. Per altre ragioni.

TITTA - Oh, ma certo. Scusa la gaffe. Mi spiace di averne parlato. (Rimette giù il libretto) Un successo vertiginoso, all’epoca. (Sorride, ricordando) Prima pagina sul Corriere della Sera. E la mia foto con la scritta: “Giambattista Rubini, una nuova stella?” Punto interrogativo. Il punto interrogativo io lo trovavo di troppo. Invece, come poi ahimè si è dimostrato, era sacrosanto. Sono stato famoso per un giorno.

RUDY - Il tuo vero guaio, Titta, è che non ti sei mai fatto valere. A volte hai delle percezioni sorprendenti. Dico sul serio.

TITTA - A proposito: ho avuto un’idea per il titolo della tua autobiografia. Il Tenore secondo me. Che te ne pare?

RUDY - Non male.

TITTA - Il Tenore secondo me… di Rodolfo De Luca. Suona bene. Come sta procedendo?

RUDY - Con lentezza.

TITTA - A che punto sei arrivato?

RUDY - Alla mia prima lezione di piano. Con la signora Bogusova…

TITTA - Quanti anni avevi?

RUDY - Sette.

TITTA - Avvertimi quando arrivi alla pubertà. Oh, e ho pensato a una cosa per quei tuoi… proverbi sull’arte. (Si fruga nelle tasche)

RUDY - Lo vedi, non sei poi quell’ignorante che fingi di essere…

TITTA - Dove l’ho cacciato? Me lo sono scritto perché sapevo che non me lo sarei ricordato, e lo avevo messo da qualche parte, e… (Si fruga nelle tasche)

RUDY - Pensa che strano, stamattina anch’io ho scritto un aforisma. Sempre sull’arte. (Tira fuori il diario e trova la pagina) Ecco qua. “I Filistei credono solo che ciò che è popolare è invariabilmente buono, ma che ciò che è buono non può mai essere popolare.” È la parola d’ordine culturale della nostra epoca. Mi pare piuttosto ben detto, no? (Nessuna risposta da Titta, che continua a frugarsi nelle tasche, mentre Cecy ritorna, molto eccitata)

CECY - So chi è, l’ho vista, l’ho vista, hai ragione, è un pezzo grosso, ma non indovinerai mai, ma mai, ma mai chi… Mai!

TITTA - Allora diccelo, non vogliamo restare nell’incertezza per l’eternità…

CECY - L’ho vista, l’ho vista, dal vivo… terrificante…

TITTA - Per l’amore di Dio, chi?

CECY - Non ci crederai mai. Oddio, come si chiama…?

TITTA - Via, Cecy, andiamo…

CECY - M’è proprio uscito di testa. Aspetta un attimo, ora torna, comincia per G…

TITTA - G, G, una donna, vediamo…

CECY - Una soprano, famosa…

RUDY - Famosa soprano che comincia con G. Galli-Curci.

CECY - No, no, quella è morta, no?

TITTA - Non mi sorprenderebbe. Avanti, Cecy, concentrati.

CECY - Gilda! La nostra Gilda del Rigoletto!

TITTA - Oh! G, Gilda, sì, la nostra Gilda. Giulia Caffarelli…

CECY - Sì! Sei un genio! Sì, Giulia Caffarelli. (Rudy si irrigidisce visibilmente)

TITTA - (Rendendosi conto all’improvviso di cos’è che non va) Giulia Caffarelli? Qui? Santo Dio. (E lui e Cecy guardano Rudy che è allarmato e molto agitato) Tutto bene, figliolo?

RUDY - Giulia? Qui? Ne sei certa?

CECY - Certissima. Il Führer le faceva da guida. Si ammantava di gloria riflessa.

RUDY - Giulia. Qui. (Un silenzio breve e pieno di tensione)

TITTA - Calma, Rudy, calma…

RUDY - Ma… ma come hanno potuto farlo senza informarmi? Dovevano saperlo. È intollerabile. (Un silenzio molto teso)

CECY - Ve l’ho detto che ho ricevuto un assegno per la mia Rosina nel Barbiere?

RUDY - È mostruoso.

CECY - No, no, no, non era poi questa gran somma. (Breve silenzio)

TITTA - Ma dopo di te, non si era messa con Freddie Milton?

RUDY - Sì. E dopo Freddie Milton, Michele Rocca, e dopo Michele Rocca… (Si interrompe)

CECY - Si è fatta un giro con Enrico Cardinale, no? Era su tutti i giornali.

TITTA - Ho sempre pensato che fosse un buon ballerino.

CECY - No, invece, era piuttosto goffo. Hai conosciuto Enrico, Rudy? Sembrava un ombrello capovolto da una ventata…

TITTA - Sta’ zitta, Cecy…

RUDY - È un oltraggio. Nessuna sensibilità, nessun rispetto. Eppure dovevano saperlo…

TITTA - Forse no, lo sai come sono.

RUDY - Mi avrebbero dovuto consultare. Mi rivolgerò al mio avvocato. Non ammetto di essere trattato così. Ma chi si credono di essere? Me ne andrò via. Mi troverò un altro posto… (Si interrompe, sopraffatto dalla disperazione) Ma dove potrei andarmene? Da nessuna parte, ormai. Non ho nessuno. Da nessuna parte.

TITTA - Su, su, Rudy, NAC, NAC, da bravo. (Gentile) Non siete stati sposati molto a lungo, no?

RUDY - (A labbra strette) No. Non molto a lungo. (Breve silenzio)

TITTA - Sono sempre stato convinto che era frigida.

RUDY - Avrebbero dovuto avvertirmi.

TITTA - Magari non lo sapevano.

CECY - Se può consolarti, è terribilmente invecchiata.

TITTA - Quanti anni avrà, adesso?

CECY - Qualcuno più di me, senz’altro.

TITTA - (Prendendola in giro) Davvero, è sui novanta?

CECY - Non essere ridicolo. Molto, ma molto meno. Ma molto. Però sembra centenaria. Vado a vedere che succede. Torno subito… (Si affretta fuori. Titta va da Rudy)

RUDY - Non ne voglio parlare.

TITTA - Certo che no.

RUDY - E fa’ o di’ pure quello che ti pare, basta che tu non sia comprensivo.

TITTA - Io? Comprensivo? Non conosco neanche il significato della parola.

RUDY - A questo punto della vita, posso tranquillamente farne a meno.

TITTA - Vuoi essere lasciato solo?

RUDY - (Con rabbia) T’ho detto di non essere comprensivo.

TITTA - Me ne vado.

RUDY - No, resta. (Titta canticchia senza seguire nessuna melodia particolare) E smettila di canticchiare, per favore, è una delle tue abitudini più irritanti! (Titta smette) È terribilmente ingiusto. Era così tranquillo, qui. Così piacevole. E adesso Giulia. Ho voluto vivere nel presente. Ed è per questo che invecchiare mi è davvero piaciuto. In un qualche modo perverso, mi sono goduto il corso della natura, lo svanire di ambizioni insignificanti, l’appassire di un ridicolo orgoglio. Penso di poter dire che ho accettato la decadenza fisica come naturale e ineluttabile, col sorriso sulle labbra. Ho mangiato cibi semplici, mi sono concesso, dietro ordine del medico, un bicchiere di vino rosso al giorno, mi sono comprato un CD di tanto in tanto, e a volte qualche libro di seconda mano. Ho fatto rammendare i miei vestiti e non ho mai indossato lo stesso paio di scarpe per due giorni di fila. L’unica mia stravaganza è stato comprare, una volta ogni tanto, la mia colonia favorita. Ho lesinato e risparmiato per potermi permettere una stanza decente tutta per me in questa Casa di Riposo, e avere qualcuno che si occupasse di me permettendomi di godere una senilità dignitosa e tranquilla. E ora arriva lei e manda tutto all’aria. È così ingiusto!

TITTA - Un matrimonio andato a monte non equivale necessariamente a un fiasco, no?

RUDY - Nel mio caso, sì.

TITTA - Ma potrebbe essersi trattato di una cosa così. Incompatibilità. Due persone della stessa professione, le carriere che contrastano. Poi un accordo di vivere separati. La tua signorilità nel concederle l’annullamento. E probabilmente la colpa è stata più sua che tua, se so come vanno le cose…

RUDY - (Infiammandosi) E tu che ne sai? Sei stato sposato alla stessa donna per trentacinque anni. Non tutti sono come te e Melissa. (Silenzio)

TITTA - Io la odio, la vecchiaia. La pelle ti si riempie di sfoghi, e hai una caviglia in osteoporosi, e un ginocchio traballante e un’anca che fa schifo, e quegli stramaledetti dottori non ci capiscono un cazzo… e fatti un by-pass, e prova un pace-maker, e se mettessimo una valvola di suino, smettila di fumare, attento al colesterolo, abbassati la pressione, per i crampi non possiamo farci niente… E quando poi si arriva al sesso… “Va pensiero sull’ali dorate!…”

RUDY - Per quello hanno scoperto una nuova pillola, no?

TITTA - Sì. L’ho chiesta alla dottoressa Bove. Mi ha detto: “Per cosa la vuole?”, e io ho detto: “Lei per cosa crede?” E lei ha detto: “Le darò qualcosa per calmarsi.” “Non mi serve qualcosa che mi calmi, sono già fin troppo calmo così come sto, è proprio questo il punto.” E lei ha detto: “Mi ricorda quanti anni ha?” E allora io ho detto: “Dottoressa Bove, veda di andare a cagare.”

RUDY - (Sorride) “Vuolsi così colà dove si puote / ciò che si vuole. E più non dimandare.”

TITTA - Giusto. Sei un poeta, Rudy, un vero poeta. Com’è che fa: “Vuolsi così…”?

RUDY - Hai il dono straordinario di tirar su di morale la gente.

TITTA - Strano che tu lo dica. La tua ex mi ha detto praticamente la stessa cosa all’incirca un secolo fa. Stavamo provando il Rigoletto, quel maledetto quartetto, ne abbiamo passate di cotte e di crude, dovevi esserci anche tu. C’era Cecy, lo so. Ricordo che piangeva perché Giulia faceva la difficile come al solito. E così mi sono messo a infastidire Giulia, così, tanto per il gusto di farlo. E lei ha detto: “Giambattista, sei un tipo rude e volgare, hai il cervello di una mosca tse-tse, ma hai una vitalità contagiosa, e questo è un dono meraviglioso. E ti sarei grata se la smettessi di pizzicarmi il culo.” (Questo strappa un sorriso a Rudy) Me lo ricorderò sempre. L’ho raccontato non so più quante volte. (Silenzio) Siete stati molto infelici? (Nessuna risposta) Per quanto tempo siete stati sposati? (Nessuna risposta) C’è una cosa che mi sono sempre chiesto: perché tutt’a un tratto Giulia ha deciso di ritirarsi?

RUDY - Già, dopo che ha sposato Michele Rocca. Era al culmine della sua potenza. Ed ha smesso. Di punto in bianco. Ha detto che voleva dedicarsi a fare la moglie e la madre. La ragione vera non la so.

TITTA - Hai ragione, non era da lei. Giulia ha più o meno gli istinti materni del nostro Führer.

RUDY - Sfuggiva sempre la verità, Giulia, ecco cosa. Specialmente se era sgradevole. Nessun tentativo di affrontarla, no, lei se la dava a gambe e basta.

TITTA - Questa sì che è una buona idea: diamocela a gambe. Stasera stessa. Tagliamo la corda. Chiamiamo un taxi, andiamo in paese, sperperiamo tutti i ricavi del Rigoletto prima ancora di sapere a quanto ammontano, ci facciamo una giocatina al biliardo, ci spariamo la vincita al Bar dei Portici…

RUDY - (Con improvvisa cattiveria) Quella stronza di Angelica, che non mi dà mai la cotognata per colazione… anche stamattina non me l’ha data…

TITTA - (Ignorando lo scoppio dell’altro, continua, quasi senza pausa) …ci facciamo una bella cena, e poi ce ne torniamo qui, e ci piazziamo davanti alla stanza di Giulia a cantare il duetto dei Pescatori di Perle. Che te ne pare? (Cecy torna, tutta eccitata)

CECY - Rudy, Giambattista, ecco qui Giulia in tutta la sua gloria. (Rudy si volta di spalle mentre entra Giulia Caffarelli. Giulia è una donna slanciata, fragile, cammina appoggiata a un bastone, ma ha i modi di una gran signora, e si veste anche come tale. Tuttavia, in questo momento, è piuttosto vulnerabile. Giulia sorride nervosamente)

GIULIA - Sì, sì, lo so. Mio Dio come siete caduti in basso!

TITTA - La solita assoluta mancanza di tatto. Non sei cambiata per niente. (Titta va da lei e si scambiano un bacio sulle guance)

CECY - Che vi avevo detto? Sembra ancora una ragazzina. Ti sentirai come un pesce fuor d’acqua, qui: noi tutti decrepiti e tu che hai l’aspetto di sempre. Giovane e radiosa.

GIULIA - Come siete carini. (Va da Rudy) Rodolfo? Sono io. Giulia.

RUDY - (Continuando a voltarle le spalle) Lo so chi sei.

GIULIA - Non essere duro con me, dopo tutti questi anni. Non riesco a sopportarlo.

CECY - È agitato perché non era stato avvertito del tuo arrivo.

RUDY - Non sono per niente agitato.

GIULIA - È tutta colpa mia. Non volevo che ci fosse del clamore. Lo sai come sono i giornalisti. Si leccherebbero i baffi, se sapessero che anch’io sono finita qui. (Con agitazione) Ho fatto un’altra gaffe.

TITTA - No, no, no, ti sei limitata a non smentirti.

RUDY - Ah, perché tu credi che i giornalisti abbiano ancora dell’interesse nei tuoi confronti?

GIULIA - Una domanda molto cruda, Rodolfo. Mi auguro tu non sia diventato crudele…

RUDY - Sì, beh, tu sulla crudeltà potresti dare lezioni, no?

GIULIA - Non sei mai stato crudele. Sei sempre stato buono e gentile. E delicato.

RUDY - Delicato, già, brava, metti sale sulle ferite. (Un silenzio pieno di disagio)

GIULIA - A dire la verità, e questo certo ti sorprenderà, continuo ad avere una certa fama. Sere fa, ero ospite del Sovrintendente alla Scala. Quando sono entrata nel palco, ho ricevuto un’ovazione. Molto piacevole. (Pausa) Rudy, oddio! Dimmi qualcosa di carino. Ti prego. Dobbiamo essere amici, visto che anch’io devo vivere qui. Se non amici, tentiamo almeno di comportarci in modo educato. (Nessuna reazione) Devo mettermi seduta. Sono in lista d’attesa per una protesi all’anca. (Siede di fianco a Rudy; in tono intimo, solo per le sue orecchie) Tesoro, non rendere tutto più difficile del necessario. Lo sapevo che vivevi qui e che la mia presenza avrebbe potuto creare delle difficoltà, ma…

RUDY - Difficoltà, dici? Difficoltà?!

GIULIA - Non avevo alternative, credimi. Fammi dire quello che devo. È da una settimana che provo questo discorso. Dunque… ti chiedo scusa per averti ferito. Ecco. (Nessuna reazione; agli altri) Sono agitata come al primo giorno di prove. Come funzionano le cose, qui? La direttrice mi è sembrata una persona deliziosa…

CECY - Noi la chiamiamo il Führer…

GIULIA - Che divertente. Il Führer. (Pausa) Devo dire che ci sono rimasta molto male a vedere quanti coristi vivono qui. Naturalmente, non ne conosco nessuno personalmente. E quanti orchestrali! Speravo che ci fossero molti più… come dire… interpreti.

CECY - Franco Muzzi è qui, ma non credo ci starà per molto. Lo manderanno via. Non sta affatto bene, poveretto. Non ce la fa a respirare. Una cosa tristissima. E ho l’impressione che non sappia neanche dove si trova. Resta in camera sua e non vuole visitatori. Neppure me. Ma che divo, che è stato. E così forte. Un tempo eravamo anche amici. A volte mi dava da reggere il suo flauto. (Titta ridacchia) Era d’oro smagliante. Lo faceva suonare come un coro d’angeli.

GIULIA - È possibile che io abbia scorto Nino Merlo nascosto dietro a un angolo?

TITTA - Altroché.

GIULIA - Ha fatto finta di non vedermi.

TITTA - Non ti ha proprio visto. La sua vista non è più quella di un tempo. Stavano aspettando che gli maturassero le cateratte, ma adesso dicono che le cataratte non devono affatto maturare, è tutta una questione di micro-chirurgia, maledetti dottori…

GIULIA - Un ometto così intenso. Sembrava ci stesse spiando per conto di una potenza straniera.

CECY - …E tutti noi abbiamo delle piccole zone in cui gravitiamo, e che consideriamo di nostra proprietà. Questa è la nostra. Questo terrazzino e la stanza da musica. Quando sono arrivata io alle pareti c’erano solo nature morte: pesci morti, uccelli morti e carciofi. Una cosa di un deprimente! Così mi hanno permesso di riarredarla.

GIULIA - Sì, vedo. Non ho mai pensato che lo stile fosse il tuo forte.

CECY - Noi tre ci riteniamo un club piuttosto esclusivo.

TITTA - L’élite, ecco cosa siamo, l’élite…

CECY - E quando dico che se ti vuoi unire a noi sei la benvenuta, sono sicura di parlare a nome di tutti.

RUDY - A nome mio, no.

TITTA - Ma devi tener fede al nostro motto, Giulia. NAC. Niente Auto Compatimento. E ci sono due domande che non devi mai fare: come stai, e che programmi hai per oggi? Se ti ricordi questo, poi sei a posto.

GIULIA - Devo dire che ho ricevuto uno splendido benvenuto. Attraversando la sala da pranzo, sembrava che tutti mi riconoscessero. C’è stato anche un piccolo battimani. Così commovente. Come sere fa, alla Scala, ospite del Sovrintendente. Quando sono entrata nel suo palco, ho ricevuto una vera ovazione: tutti in piedi ad applaudirmi. Bello, no?

CECY - Anche a me è successa la stessa cosa, una volta, a New York.

TITTA - A New York conta di più se l’ovazione te la fanno da seduti.

GIULIA - Ma che bello il giardino, qui! Io adoro la digitale e la finocchiella. E le rose…

CECY - Avresti dovuto vederlo il mese scorso, con le primule e i non-ti-scordar-di-me. Non penso che ce ne siano così, a Addis Abeba. (Giulia le lancia uno sguardo di sguincio)

GIULIA - E grazie al Cielo c’è questa brezza. (Titta si fruga in tasca, trova una sciarpa, e se la avvolge attorno al collo) Ho sempre sofferto il caldo!

CECY - Io no!

GIULIA - Si vede, sembri già cremata!

CECY - E al di là del faggio rosso c’è un boschetto pieno di campanule dove possiamo andare a passeggio. Ma non da soli. Devi farti dare un cercapersone dalla direttrice. Le campanule erano stupende, quest’anno. Ma adesso sono finite.

GIULIA - Come noi.

CECY - Oh, non devi dire così, Giulia. Siamo così fortunati ad essere qui. Tutti interi. Insomma, più o meno. Non che non ci si deprima, di tanto in tanto, con tutti quelli che si mettono a dare i numeri e vengono mandati via, certo che ci si deprime, ma non dura mai a lungo. Ci sono tante cose che ti tirano su! Facce nuove, vecchi amici, nuovi interessi, conferenze sulla terza età, corsi di ginnastica, di uncinetto, per chi non trema, di pittura, per chi ci vede… e bingo, ma con i fagioli, ovvio!… Un divertimento continuo. E per una come me, mai sposata, mai avuto figli, un posto così è mandato da Dio, una benedizione, un luna-park pieno di luci da favola. E la gente qui, così interessante, sorprendente. Uno degli uomini, un tenore drammatico, chissà come si chiama, devi incontrarlo, ha cantato Otello non so diavolo dove con una Desdemona… prova a indovinare… non indovinerai mai: del Ghana. Non è una cosa affascinante? Chissà cosa succedeva alla trama con una Desdemona nera e un Otello bianco? Questo non ce l’ha mai voluto dire.

TITTA - Perché non le dici del giardiniere, Cecy? Si chiama Amilcare. Lavora nudo fino alla cintola, con i muscoli guizzanti, tutto bagnato di sudore. Meglio che non gli vai vicino, se sei una patita di deodoranti.

CECY - A me piace l’odore del sudore mascolino.

TITTA - L’avevo sentito dire.

CECY - Potrei guardarlo al lavoro per ore.

TITTA - Attenta, Cecy, o ti si brucerà la batteria del pace-maker.

CECY - Franco Muzzi odorava di miele.

TITTA - Non riesco ancora a credere che tu sia qui, Giulia. L’ultima volta che ho sentito parlare di te vivevi alla grande a Milano, in via Mozart.

CECY - E ti hanno mostrato la piscina? La tengono calda a quasi trentotto gradi. Io mi faccio una nuotata tutte le mattine.

TITTA - E io sto a guardarla. È praticamente l’unico esercizio fisico che faccio.

GIULIA - (Con tono di intimità) Rodolfo, ti prego, dimmi qualcosa. Ero così ansiosa di rivederti. Davvero. Non dobbiamo per forza parlare del passato. Ciò che è stato è stato. Vediamo di essere amici. Adesso. (Nessuna risposta; agli altri) Oh, spero che i nostri compagni di bingo non stiano sempre a rivangare i loro passati successi. O fiaschi, a seconda dei casi. La trovo una cosa noiosissima, e voi? Ma è un sintomo della vecchiaia, temo. Quello, e l’abitudine di ripetere in continuazione le stesse cose. Il mio povero marito lo faceva sempre.

RUDY - Quale povero marito?

GIULIA - Mario Menghetti.

RUDY - Era il tuo quarto o il quinto?

GIULIA - E il vitto com’è?

TITTA - Se ti piace l’agnello arrosto che sa di pecora e la crema di latte piena di grumi, perfetto. A volte li servono anche insieme.

RUDY - Era il quarto o il quinto?

GIULIA - Voi da quanto tempo siete qui?

TITTA - Io da poco meno di un anno…

CECY - Nove mesi… (Nessuna risposta da Rudy)

TITTA - E Rudy è quello nuovo, finora hai scontato, quanto, sei mesi di condanna, no?

GIULIA - (A Titta) Mi è dispiaciuto sapere di tua moglie. Belinda, si chiamava Belinda…?

RUDY - Si chiamava Melissa. Ed era molto affettuosa. Tollerante. Comprensiva. Sono stati sposati per trentacinque anni.

TITTA - (Si volta, agitato) Smettila, eh, Rudy, da bravo: smettila! (Un breve silenzio)

GIULIA - E cos’è questa storia del 10 ottobre? La Direttrice ha detto che era certa che il comitato… ha detto comitato?… Era certa che il comitato si sarebbe aspettato che io facessi qualcosa, un qualche tipo di concerto, mi è sembrato di capire. Ma che c’è di così speciale riguardo il 10 ottobre, vorrei sapere!

TITTA - (Si volta di nuovo verso gli altri, ha riacquistato la calma) Gala di Compleanno.

GIULIA - Il compleanno di chi?

CECY - Joe Green.

GIULIA - Mai conosciuto…

CECY - No, no, no, ti spiego. Il comitato del Gala. Io sono un membro. Lo dirige Gabriele Perugia. Mi hanno arruolata la settimana dopo il mio arrivo. Volevano qualcuno un po’ vivace. Veramente chi dovrebbe presiedere è Rudy, e tutti volevamo eleggere lui, ma Gabriele è aggrappato alla sua poltrona e non la molla. Un tale divertimento, leggiamo l’Ordine del Giorno e poi ci sono le Altre ed Eventuali, e ci sentiamo tutti così importanti, e, sì, ogni anno c’è un galà per il compleanno di Verdi. Joe Green. Giuseppe Verdi. Capito il gioco di parole, Giulia?

GIULIA - (Mentendo) Sì, certo.

CECY - Il suo compleanno è il 10 di ottobre e noi lo festeggiamo. E facciamo delle festicciole per il compleanno di Wagner, o forse è l’anniversario della morte, mi confondo sempre, e anche Mozart e persino Britten celebriamo. Così abbiamo qualcosa a cui pensare, capisci. E tutti devono fare qualcosa. Questo sarà il nostro primo Gala. Tutti vogliono che Rudy canti “La donna è mobile”, no, Rudy? (Nessuna risposta)

GIULIA - Mi sono innamorata di Rodolfo la prima volta che gliel’ho sentita cantare.

CECY - E quest’anno tocca alle star. Anna Rinaldi farà la sua Violetta.

GIULIA - Anna Rinaldi? Qui? Credevo l’avessero rinchiusa.

TITTA - Lo faranno, dopo aver sentito la sua Violetta.

GIULIA - Sembra ancora un sacco di patate?

CECY - All’epoca avevamo dei fisici diversi.

GIULIA - Io no. E ho sempre pensato che i toni alti di Anna Rinaldi fossero tali e quali lo stridio di un gufo con le doglie. Rudy, perché non vieni a fare due passi con me, così mi mostri il giardino?

RUDY - (Violento) Lasciami in pace, Giulia, Cristo santo! Lasciami in pace… (Giulia scoppia in lacrime) Mi spiace. Chiedo scusa. Mi è scappato. Lo so che un vero signore non è mai intenzionalmente scortese. E quella frase mi è scappata. Non è stato degno di me.

GIULIA - (Tra le lacrime) Ho avuto un periodo così difficile. Sono qui con un sussidio di carità.

TITTA - Ma anch’io. E anche Cecy. E così la maggioranza dei pensionanti. Non c’è da vergognarsi ad accettare la carità.

RUDY - Io non sono qui col sussidio di carità. Io la mia retta me la pago.

TITTA - Su, via, Rudy, NAC, NAC. (Sorride e canticchia. Giulia continua a piangere silenziosamente. Rudy le porge un fazzoletto pulito. Lei si asciuga le lacrime e sta per soffiarsi il naso, quando annusa il fazzoletto)

GIULIA - La stessa colonia. 4-7-11. Non sapevo che la si trovava ancora. Dio, quanto mi riporta al passato. Mi riporta a te, Rudy. Gli odori per me sono quello che le Madeleine erano per Proust.

CECY - (Piano, a Titta) Chi è questa Madeleine? (Titta scrolla le spalle)

GIULIA - Gli odori e la musica, naturalmente. (Giulia restituisce il fazzoletto a Rudy. Riescono anche a scambiarsi un sorriso. Titta se ne accorge)

TITTA - Cecy, ho appena visto Amilcare che si dirigeva verso il prato. Si stava togliendo la camicia…

CECY - (Fingendo indifferenza) Dove? Non lo vedo…

TITTA - È scomparso dietro il faggio rosso. (Immobilità. Titta canticchia. Cecy si allontana in fretta. Titta ridacchia) Vado a vedere se è arrivato l’ultimo numero di Playboy. (Titta esce. Silenzio)

RUDY - Non ricordo di averti mai visto piangere.

GIULIA - Me l’ha insegnato mia madre a fare in modo che gli altri non vedessero quando ero ferita. Rodolfo, dobbiamo trovare un modus vivendi…

RUDY - Tua madre era un’esperta nel nascondere i suoi sentimenti. Per lei era facile. Non ne aveva. La prima volta che l’ho incontrata, ho pensato che non sorridesse mai perché aveva i denti guasti. Ma mi sbagliavo. Li ha mostrati a tavola, mangiando. Erano zanne scintillanti. Non sorrideva mai perché mai niente la divertiva. Neanche il fatto che tu mi hai lasciato. Penso che sia morta, ormai.

GIULIA - Sì. Dieci anni fa. No, undici. E ti prego, non parlarmene male.

RUDY - Tuo padre mi piaceva. Quando ha sentito che mi avevi lasciato, mi ha telefonato, e ha detto: “Mi dispiace, vecchio mio, ma pensa che in fondo ti è andata bene: io sono ancora sposato con sua madre.” Anche lui se n’è andato, suppongo.

GIULIA - Sì, è morto prima della mamma. (Un breve silenzio) Erano così orgogliosi di me, tutti e due. Non passa giorno senza che io pensi a loro. I tuoi genitori mi piacevano. Ma non mi approvavano.

RUDY - No. (Silenzio)

GIULIA - Anche la mamma è finita in una Casa di Riposo. A Rogoredo. Come suona triste. Casa di riposo. Avevo giurato che io non sarei mai finita così, e invece eccomi qui, Rodolfo, e dobbiamo vivere qui tutti e due. Che si fa?

RUDY - Premi il bottone dei luoghi comuni e dì: “Accontentiamoci!” Che altro si può fare?

GIULIA - Ti chiedo scusa per averti ferito… È da una settimana che provo questo discorso.

RUDY - L’hai già detto. Ti stai ripetendo.

GIULIA - Davvero? Oddio. La prossima volta, interrompimi. (Breve silenzio) Però dico sul serio.

RUDY - Sul serio cosa?

GIULIA - Che mi dispiace molto, ma proprio molto di averti ferito. Ho avuto dei rimorsi terribili, sai. Ma ero giovane e impetuosa. Ed ero così sconvolta… Quello che ho fatto è stato imperdonabile…

RUDY - Smettila, Giulia, smettila subito. Non ne voglio parlare. Non ci voglio pensare, non voglio ricordarmene. Quando Cecy ci ha annunciato che eri qui, ho reagito in modo forse esagerato e ancora di più quando poi ti ho vista. Ma adesso è passata. (Silenzio)

GIULIA - Lo sapevo che il nostro matrimonio sarebbe stato un disastro, sin da quando mio padre mi ha accompagnata all’altare.

RUDY - Davvero?

GIULIA - Sì. Quando ho visto il prete. Aveva le guance incavate e delle occhiaie profondissime. Aveva lo sguardo ossessionato di un pazzo, la tonaca piena di macchie di unto e puzzava di vino lontano un miglio. Era di malaugurio. (Rudy sorride, ancora una volta suo malgrado) Povero Rudy.

RUDY - (Infiammandosi) Non lo dire mai più! (Silenzio)

GIULIA - E adesso siamo vecchi.

RUDY - Sì, adesso siamo vecchi. (Silenzio)

GIULIA - Come lo passi il tempo, qui?

RUDY - Ascolto musica. Leggo. Ma la mia preoccupazione principale è l’arte, il suo significato, il suo valore, la sua capacità di educare e di forgiare, di ispirare e civilizzare… (Si interrompe di colpo: ha visto qualcuno in giardino, e d’un tratto diventa maligno, e sibila) Puttana! (Giulia si allarma) Guardala, guardala, eccola là, Angelica, la carceriera vestita di bianco, e dice di essere un’infermiera, ma guardala, guardala, puttana, vacca, culona d’una mignotta. Non mi dà mai la cotognata a colazione. La dà a tutti, la cotognata, a tutti, ma a me no, a me dà la marmellata di albicocche, e io la odio la marmellata di albicocche, e lei lo fa apposta. Vacca! Puttana! (La segue con lo sguardo, poi, come se nulla l’avesse interrotto) L’arte è la medicina dell’umanità, Giulia. Ma da dove sgorga? Ernest Newman ha ragione, non si tratta di poeticità. Sono arrivato alla conclusione che la vera sorgente dell’arte sia la vita stessa. La vita in tutta la sua diversità, bellezza, bruttezza, no, no, non è giusto, è troppo pomposo, pretenzioso, affettato, oh, è così difficile da definire… (Giulia è a disagio e tenta di riportare la conversazione su binari normali)

GIULIA - E senti un po’… Ascolti le tue vecchie registrazioni?

RUDY - Se ci sei anche tu, no.

GIULIA - Io mi riascolto spesso.

RUDY - Sì, ci avrei scommesso.

GIULIA - Hanno fatto un CD del nostro Rigoletto.

RUDY - Vogliono che io canti “La donna è mobile” al Gala per il Compleanno di Verdi…

GIULIA - Sì, l’ha detto, Cecilia…

RUDY - La donna è mobile qual piuma al vento… E l’immagine che avrò nella mente sarà la tua, come Gilda. Sarà un gran successo.

GIULIA - Mi hai sentito, Rodolfo, quando ho detto che mi sono innamorata di te quando te l’ho sentita cantare per la prima volta?

RUDY - Ho avuto dodici chiamate.

GIULIA - Ne hai avute nove. Io ne ho avute dodici. Sere fa, ero ospite del Sovrintendente alla Scala, e quando sono entrata nel palco…

RUDY - L’hai già detto.

GIULIA - Ah sì?

RUDY - E più di una volta. Ma non importa. Nella lirica non si fa che ripetersi e ripetersi, in continuazione. (Sorride. Silenzio)

GIULIA - Il mio guaio è stato che non ho mai pensato al futuro. Vivevo da un giorno all’altro, senza pormi neanche l’ombra di un problema. Cantavo, viaggiavo, spendevo e spandevo soldi miei, i soldi di mio marito. Quando mi sono sposata con Mario Menghetti… (Si interrompe)

RUDY - Lui che faceva?

GIULIA - Abbigliamento. Era vedovo e un grande amante dell’opera. Era sempre a tutte le prime. Una storia banale. Sono sempre stata negata, col denaro. Mi avevano detto che lui era molto ricco. Mi faceva la corte. Io l’ho incoraggiato. Spudoratamente. Ci siamo sposati. Aveva un bellissimo appartamento in via Mozart. Era un compagno delizioso. Una sera, poco prima di Natale, ci stiamo vestendo per andare a cena fuori. Lui non si sente bene, pensa di avere un’indigestione. Io vado in bagno a prendere una medicina e quando torno lo trovo steso a terra. Viene a trovarmi il suo avvocato. Mi dice che l’appartamento è in affitto e Mario non era così ricco come mi avevano fatto credere. Io non volevo venire qui… ma non avevo alternative.

RUDY - E i tuoi figli? Non hai avuto dei figli con Michele Rocca?

GIULIA - Cristiano ed Emma. Sono due tesori, vedrai, hanno promesso di venirmi a trovare…

RUDY - Non possono darti una mano?

GIULIA - Non proprio. Cristiano è un prete…

RUDY - Un prete? Davvero?

GIULIA - Sì. Suona la chitarra. Mi maggiore. A Pontebba. Ha sentito la vocazione quando sono fuggita con Enrico Cardinale. Ti ricordi Enrico?

RUDY - Sì, un basso.

GIULIA - Basso di voce e bieco di natura. Sono pessima, nella scelta degli uomini.

RUDY - Grazie…

GIULIA - Emma è sposata con un maestro di scuola. E sono poveri e pieni di figli, ho sei nipotini… (Si interrompe)

RUDY - Ed eccoti qui.

GIULIA - Sì, col sussidio di carità. Io, io, col sussidio di carità. Non ho niente, Rudy, niente. I vestiti, qualche gioiello. E un’anca che mi fa vedere le stelle. Perché si deve invecchiare?

RUDY - Che domanda stupida! (Un breve silenzio) Come mai ti sei ritirata così all’improvviso? (Cecy rientra dalla parte del giardino)

CECY - Bene, bene, eccovi qua, com’è eccitante. Dobbiamo parlare, noi quattro. Dov’è Giambattista? Devo trovarlo… (Esce dalla parte della stanza da musica)

GIULIA - Si è rin… tronata parecchio.

RUDY - No, no. È la stessa di sempre. Solo… di più.

GIULIA - Mi ha detto una cosa che mi è sembrata molto strampalata. Qualcosa su Addis Abeba.

RUDY - Sì, ormai crede sempre che la gente sia appena tornata dall’Africa. Dobbiamo tenerla d’occhio. Non vogliamo che la mandino via. È questo che fanno, sai, quando uno arriva a uno stadio terminale di stramberia. (Titta rientra dalla stanza da musica)

TITTA - Eccovi qua. Cecy vi cercava. Le ho detto che dovevate essere qui.

RUDY - A noi ha detto che stava cercando te.

TITTA - Ah sì? Era tutta agitata. Forse Amilcare gliel’ha mostrato. Oppure, magari ha già prenotato il suo biglietto per Addis Abeba. (Rudy sorride) Avete fatto pace, tu e Giulia?

RUDY - Non esattamente. Diciamo piuttosto una tregua. Continuano i negoziati. (Breve silenzio)

TITTA - Sai che non mi ricordo più… per quanto tempo siete stati sposati? (Nessuno dei due risponde. E poi rientra Cecy)

CECY - Eccovi tutti qui. Cominciavo a pensare mi steste evitando. Avevo qualcosa di importante da dirvi. Vediamo, che cos’era? (Pensa) Una qualche proposta, mi pare… Ce l’avevo sulla punta della lingua fino a un attimo fa. Sì! Sì, sì, ce l’ho, mi è tornato. Una cosa così eccitante! Gabriele Perugia, il Presidente del Comitato… veramente noi lo chiamiamo la presidentessa e lui si arrabbia tanto…

TITTA - E allora non dovrebbe andare in giro avvolto in veli di chiffon…

CECY - …comunque! Gabriele vuole che il 10 ottobre, per il Gala per la nascita di Joe Green, noi si canti il quartetto dal Rigoletto. (Breve silenzio)

GIULIA - Che razza di idea stronza!

CECY - Ma è un grande onore, Giulia.

GIULIA - Ma quale onore? Noi quattro, età media centonovantotto anni, che cantiamo il quartetto dal Rigoletto… non è un onore, Cecilia, è follia pura.

CECY - Ma tutti dobbiamo fare qualcosa per il Gala.

GIULIA - Perché?

CECY - Perché sì, ecco perché. Tutti fanno qualcosa. E il nostro Rigoletto era famoso. È per questo che dal nostro vecchio disco hanno fatto un CD. Lo riascoltavo proprio stamattina. Com’eravamo bravi! È per questo che ci hanno rimesso in circolazione.

GIULIA - Magari, ci rimettessero in circolazione! (Giulia ride, e la sua risata diventa ben presto molto prossima all’isterismo. Dopo un momento, finisce di ridere. Silenzio. Giulia fissa lo sguardo nel vuoto. Titta canticchia. Cecy guarda ora l’uno, ora l’altra)

CECY - Che gli dico, a Gabriele Perugia?

TITTA - Che lo chiffon si indossa solo di sera. (Giulia si alza all’improvviso e zoppica via. Dopo che lei se n’è andata)

TITTA - È proprio sul filo del rasoio, la nostra Giulia. Direi che è a un passo dal crollo nervoso.

CECY - A me pare che il quartetto sia una splendida idea.

TITTA - Se lo dobbiamo fare in tre, no. (Silenzio)

RUDY - Non avrei mai pensato di poter provare della pena per Giulia. Ma un attimo fa mi ha proprio commosso. E mi scoccia da matti.

TITTA - Perdona e dimentica, Rudy…

RUDY - Posso arrivare a perdonare. Ma dimenticare, mai! (Giulia ritorna)

CECY - Bentornata da Addis Abeba, Giulia.

RUDY - (Un sorriso) Oh, pensavo di esserci andato da solo.

GIULIA - Questa non è una casa di riposo: questo è un manicomio. Qui in corridoio mi hanno circondato delle vecchie sdentate, tutte eccitate all’idea di vedermi nel ruolo di Gilda. Poi una creatura di non so che genere, suppongo fosse Gabriele Perugia perché indossava una roba tipo un sari, mi ha detto: “Il quartetto chiuderà la serata…”

CECY - Splendido, la chiusura è delle stelle.

RUDY - Anna Rinaldi si offenderà.

GIULIA - A morte, si spera. Voglio ribadire una volta per tutte che la considero un’idea assolutamente ridicola. E, Cecilia, ti prego di andare a riferire questo alla maharani e a tutti gli altri residenti di questa gabbia di matti, e ti prego di farlo immediatamente. Dio, perché mai sono capitata qui?! (Si avvia fuori. Rudy le blocca il cammino)

RUDY - Giulia, non essere precipitosa, ti prego. Discutiamone.

CECY - Sono pronta. (Titta ride) Che c’è di tanto buffo?

RUDY - Vogliamo fare un attimo di attenzione?

GIULIA - Non ho intenzione di farlo, quindi non c’è motivo di insistere.

CECY - Ve l’ho detto che ho ricevuto un assegno per il Barbiere? Ma non mi hanno mandato una copia del CD. Saranno bestie? Gli ho scritto, ma…

RUDY - Concentrati, Cecy. (Tira fuori la sua agendina) Vogliamo fare un ordine del giorno?

TITTA - Non ne possiamo semplicemente parlare in modo informale?

RUDY - (Sfoglia la sua agenda, prende appunti) Mi piace che le cose abbiano una loro struttura. Ora, vediamo. Il gala avrà luogo il 10 di ottobre, che è una domenica. Il che ci dà all’incirca, cinque, sei, undici, dodici, quindici settimane…

GIULIA - Tutta l’idea non è che una gigantesca buffonata. Ci renderemo ridicoli e basta. Il solo pensiero è deprimente, e io mi sento già depressa abbastanza…

CECY - No, no, no, Giulia, sarà divertente, te lo assicuro…

GIULIA - (Con veemenza) Non può essere divertente, non c’è più niente di divertente, è tutto avvelenato. (Breve silenzio)

RUDY - La prima domanda è: in linea di massima, lo accettiamo l’invito del comitato…?

GIULIA - Il comitato, il comitato… la maggior parte di loro facevano probabilmente parte del coro quando io ho debuttato con la mia Violetta, e lì dovevano ancora essere quando mi sono ritirata…

CECY - Anna Rinaldi no, lei era un’ottima Violetta…

GIULIA - Ma per favore, non diciamo stronzate. Violetta è una che si suppone muoia di tubercolosi. Anna Rinaldi poteva al massimo morire di indigestione.

CECY - All’epoca avevamo fisici diversi.

GIULIA - Non mi interessa, quell’epoca.

RUDY - Se decidiamo di cantare, avremo bisogno di un repetiteur, naturalmente…

TITTA - Nino Merlo. Sarebbe di grandissimo aiuto. E ancora un buon pianista, e scommetto che ci darebbe volentieri una mano…

CECY - Io penso che sarebbe un grande evento, la prima volta che noi quattro cantiamo insieme da chissà quanto tempo.

GIULIA - Ho detto di no, e non ho intenzione di cambiare idea. Sembreremmo quattro gatti in amore.

TITTA - Una banda di stupratori, bene!…

RUDY - Si metta ai voti. Qual è la tendenza generale? Cantiamo il quartetto dal Rigoletto per il Gala del compleanno di Verdi, o no?

TITTA & CECY - Sì…

GIULIA - (Contemporaneamente) No!

RUDY - Due a uno: si fa!

GIULIA - Io non sono vincolata dalle tue stupide regole.

RUDY - Non sono le mie regole, Giulia, è così che funziona la democrazia, la maggioranza…

GIULIA - Sei completamente fuori di testa. Noi non siamo un partito politico. Siamo quattro individui. Io non voglio farlo e non lo farò, e questo è quanto. La democrazia non ha niente a che spartire con l’arte…

RUDY - Ahimè, questo è molto vero.

CECY - Ma è un tale onore essere stati assegnati al finale. Neanche nei miei sogni più sfrenati mi sarei mai immaginata di cantare a chiusura del Gala di Compleanno di Verdi.

RUDY - Ed è stato il tuo arrivo, Giulia, che l’ha reso possibile.

CECY - Cominciamo a provare, subito, ora…

GIULIA - No! Mi rifiuto assolutamente. Non canterò, né Gilda né altro. (Pausa) Per favore, statemi a sentire, devo dirvi una cosa.

RUDY - Ti ascoltiamo.

GIULIA - No, non ce la faccio, non so come spiegare…

RUDY - Provaci. Abbiamo tutto il tempo del mondo.

GIULIA - Io sono in stato di choc, questo è il mio primo giorno qui. Non interrompetemi, sto parlando. Penso che tutti voi ammetterete che la mia voce era molto amata. Io me la ricordo, quella voce. Ero nata per cantare. Quando non cantavo, avevo l’impressione di non esistere, di non esserci fisicamente. Mi ricordo la felicità di sentirmi, la mia voce che si librava senza sforzo, sì, senza sforzo, come per un dono divino… In un’aria potevo perdermi, e tuffarmi, e volare… Potevo attraversare l’intera gamma delle emozioni… Io vivevo nella musica della mia voce… (Il suono di un gong)

TITTA - A tavola! (Lui, Cecy e Rudy vanno più in fretta che possono. Rudy si ferma un attimo)

RUDY - A tavola, Giulia, sbrigati, altrimenti non troverai più il purè… (Segue gli altri, ed escono. Giulia scoppia in lacrime)

SIPARIO


SECONDO ATTO

SCENA 1

Il giorno dopo. Metà mattina. Caldo. Siamo nella sala di musica: la terrazza, adesso, è al di là della vetrata. Rudy è al piano: con un dito suona il motivo del quartetto del Rigoletto. Da qualche parte, al piano di sopra, il rumore di stoviglie che si rompono e un urlo. Rudy non sente e continua a suonare.

VOCE FEMMINILE - (Dal piano di sopra) Dottoressa Bove? Dottoressa…? (Dopo un attimo, entra Titta)

TITTA - Chi era? (Nessuna risposta) Sembrava Cecy.

RUDY - Ero distratto… cosa sembrava Cecy?

TITTA - Chiunque abbia strillato. Una contralto. (Canticchia, senza un motivo) L’ho vista nuotare, stamattina. Sembrava in perfetta salute. (Un silenzio pieno di disagio) Se era la voce di Cecy, ci sarà da lavorarci molto. (Rudy suona di nuovo il motivo di prima) Ho avuto un’idea per un terzetto.

RUDY - Ah sì?

TITTA - Sì. Il Barbiere. Dopo la scena del temporale, con la scala. Cecy sa il ruolo di Rosina. Tu certo conoscerai Almaviva e io ho fatto Figaro non so quante volte.

RUDY - Ho la sensazione che Giulia ci ripenserà.

TITTA - Rudy, dove vivi? Ha detto no, e quando Giulia dice no, vuol dire no. Sei anche stato sposato con lei, sant’Iddio, la conosci meglio di chiunque altro. S’è chiusa in camera sua e non l’ha più vista nessuno. Così, il fatto che tu dica che farà Gilda è come quando io dico che mi farò la direttrice prima del tramonto. Non è cosa, vecchio mio, non è cosa. (Rudy smette di suonare e chiude il coperchio del pianoforte)

RUDY - È una star, e le star sono personaggi estremamente difficili, per non dire impossibili. Ma mi sono preparato un discorso che, ritengo, potrebbe riuscire a farle cambiare idea. Anzi, vado subito da lei… (Entra Cecy, quasi in lacrime) Cecy… (Lei è sommessa, vagamente stranita. Guarda ora l’uno ora l’altro, poi)

CECY - È sempre così difficile tentare di vedere il buono della gente.

RUDY - Che è successo?

CECY - Mi ha scagliato addosso qualcosa.

TITTA - Ma chi?

CECY - Giulia, naturalmente. La dottoressa Bove mi ha dato una pillola per calmarmi.

TITTA - Tipico della Bove.

RUDY - Raccontaci tutto, “andante espressivo”.

CECY - Beh, dopo che si è ritirata in camera sua, ieri… o è stato l’altro ieri?

TITTA - Ieri. Mi pare. No?

RUDY - Non ha importanza. Va’ avanti, Cecy.

CECY - Il pomeriggio. Prima del tè. Ho bussato alla sua porta. Nessuna risposta. Ma la sentivo piangere.

RUDY - Piangeva ancora?… Ma allora sta davvero male…

CECY - Ho provato ad aprire la porta. Era chiusa a chiave. Devo sedermi, mi gira la testa. (Titta la aiuta a mettersi seduta)

RUDY - Perché hai strillato?

CECY - Perché qualche minuto fa, ho pensato di tentare di nuovo.

TITTA - Tentare di nuovo cosa?

CECY - Di vedere Giulia. Non mi piace che sia così sconvolta. Non mi piace che la gente sia sconvolta. Vedi, a cena, l’altra sera, la Rinaldi ha riferito qualcosa di molto strano.

TITTA - Che era dimagrita?

CECY - No, no, no. Ieri, la Rinaldi si è trovata per caso in cucina…

TITTA - Chissà come mai…

CECY - Stava pelando non so cosa, quando dalla finestra ha visto Giulia salire su un taxi, il taxi del signor come si chiama, dal paese…?

TITTA - Savorelli, quello che odora di naftalina…

CECY - Sì, proprio lui. E appena venti minuti più tardi, non di più, la Rinaldi ha visto Giulia che tornava, con in mano un pacchetto rosso con un fiocco d’oro. Beh, mi sono detta, è chiaro che sta meglio, domattina vado su e la vado a trovare. Così, poco fa, ho bussato alla sua porta. Nessuna risposta. Ma stavolta non si era chiusa a chiave. Faccio capolino. “Giulia, sono io, Cecy.”, ho fatto. Lei mi guarda e basta. Fredda. Così le chiedo: “Pensi che troverai un clima più fresco ad Addis Abeba?” E mi è volato addosso qualcosa. Un piatto, credo. È andato in mille pezzi. Mi sono messa a urlare. La dottoressa Bove era lì per caso, e mi ha dato una pillola per calmarmi. (Rallentando il flusso delle parole) Penso stia funzionando. Spero che Giulia si sbagli. Ha detto che era tutto avvelenato. Io non voglio che le cose siano avvelenate. (Silenzio) Non è che ci resta tanto tempo davanti… (Si addormenta)

RUDY - Sta dormendo.

TITTA - Sì.

RUDY - È la pillola. Silenzio.

TITTA - Non è adorabile quando dorme? Guarda, ha un sorrisino sulla faccia. Dio, come vorrei svegliarmi la mattina e trovarmi davanti un sorrisino così. (Siede di fianco a lei e la contempla con affetto) Cecy, te l’ho mai detto che mi piacerebbe morire facendo l’amore con te? (Un pensiero) Oh, Dio.

RUDY - Che c’è?

TITTA - Spero non si sia trattato di furto.

RUDY - Furto? Perché?

TITTA - Il pacco col fiocco. Spero che Giulia non l’abbia rubato.

RUDY - È al verde, ma non credo che sia disperata fino a questo punto.

TITTA - No, no, non c’entrano niente i soldi.

RUDY - E allora cosa?

TITTA - Si sa bene come va a finire coi furti. Te la ricordi la storia di Miriam Marchesini? L’arpista!

RUDY - (Impaziente) E allora?

TITTA - Io ero sul viale quando è arrivata la macchina della polizia. La Marchesini era seduta dietro. L’avevano beccata a sgraffignare della biancheria nera e una cintura di cuoio con le borchie. Quando l’ho sentito, mi sono detto: “Ahi, ahi.” E infatti non c’è voluto molto prima che l’impacchettassero e se la portassero via.

RUDY - Oddio! Ed è cominciato coi piccoli furti, eh? E pensi che Giulia sia su quella china? (Giulia entra con un vestito più semplice di quello del primo atto e con un pacchetto in mano. Un breve silenzio pieno di disagio)

GIULIA - Sono venuta a chiedere scusa a Cecilia.

RUDY - Sta dormendo. (Silenzio)

GIULIA - Sono anche venuta a chiedere scusa a te e a Giambattista per il mio comportamento di ieri.

TITTA - A noi non ci hai scagliato addosso niente…

GIULIA - Vi prego, non prendetemi in giro. E ti ho portato un regalo, Rodolfo. (Gli dà il pacchetto) Dai, aprilo. (Lui apre: è un barattolo di cotognata)

RUDY - (Sopraffatto dall’emozione) Oh, Giulia, una cotognata! E proprio quella che preferisco! (Le volta le spalle, combattendo contro le lacrime)

GIULIA - Devo anche spiegare una cosa…

TITTA - Hai cambiato idea riguardo il Gala?

GIULIA - No.

TITTA - (A Rudy) Vedi, te l’avevo detto.

GIULIA - Vi devo spiegare perché sono così contraria… Ho avuto tempo di pensarci e mi sono preparata un discorso…

RUDY - Un altro?… (Cecy si sveglia, ma non vede Giulia)

CECY - Ma che peccato! Pensare che il Comitato aveva anche trovato dei vecchi costumi e ce n’erano anche del Rigoletto! Persino la gobba per Titta! Vorrei proprio che Giulia ci ripensasse.

GIULIA - E invece no.

CECY - Giulia! Dev’essere stato terribile a Addis Abeba?! (Titta ride)

RUDY - (Ha riguadagnato il controllo di sé) La cotognata. Te ne sei ricordata. Mi hai davvero commosso. Un regalo così originale. (Breve silenzio)

GIULIA - Mi spiace, Cecilia, di aver perso le staffe. Non ho fatto che piangere. Mai pianto tanto in tutta la vita!

TITTA - Beh, adesso puoi smetterla. Faremo il trio dal Barbiere.

GIULIA - Cercate di capirmi. Oddio, spero di ricordarmi tutto quello che voglio dire… (Si fa coraggio) Io un tempo ero qualcuno…

TITTA - Tutti noi un tempo eravamo qualcuno…

CECY - Io pensavo di essere qualcuno anche adesso…

GIULIA - Ma io brillavo più luminosa degli altri nel firmamento…

RUDY - Sì, sì, eri una grande stella, sì, lo sappiamo…

GIULIA - Lo ero, inutile che lo dici come fosse una colpa. Non è facile essere me oggi…

RUDY - Lo è mai stato? (Giulia fa per andarsene) Non andartene. Ti prego. Chiedo scusa. Non farò più lo spiritoso. Adesso tocca a me tentare di farti capire qualcosa. Anch’io ho avuto tempo di pensarci. (Lei si ferma) Sei venuta qui perché, e penso di citarti alla lettera, perché hai detto che non avevi alternative. Non è un manicomio, Giulia. È una comunità di persone che un tempo facevano la stessa professione. E ci capita di essere estremamente individualisti, spesso eccentrici…

TITTA - Eccentrici? Noi? Come ti vengono in mente certe idee?

RUDY - E tutti noi, qui, nessuno escluso, siamo vecchi. Io sono sempre stato convinto che, quale sia il tipo di comunità in cui ci si trova, occorre vivere secondo le regole, e gli usi, di questa comunità.

TITTA - Rudy ha ragione. Unisciti agli altri. L’unica altra alternativa è di essere l’ospite d’onore al crematorio.

CECY - Io adoro star qui. Non ho di che lamentarmi, a parte i pettegolezzi degli altri. Penso che siamo stati terribilmente fortunati, davvero, sul serio…

GIULIA - Beh, io no. Speravo che i miei ultimi anni sarebbero stati molto diversi…

TITTA - Ma non lo sono. Questa è la situazione. Meglio che l’accetti.

RUDY - E una delle tradizioni da accettare di questo posto è quella di celebrare l’anniversario della nascita di Giuseppe Verdi il 10 di Ottobre. E lo si fa organizzando un piccolo concerto a cui partecipiamo tutti.

GIULIA - (Quasi con cattiveria) È grottesco, osceno…

RUDY - (Infiammandosi) Non essere così aggressiva. Dio, certo non sei cambiata niente! Non ti fermi mai a pensare, non tiri mai il fiato, passi come una schiacciasassi sui sentimenti degli altri, mai che tu…

GIULIA - Sì, e non intendo cambiare, perché dovrei?

TITTA - Per carità! Tranne che ti sentiresti meglio se lo facessi.

CECY - Credo proprio che le manchino dei climi tropicali. (Silenzio. Rudy fa uno sforzo per mantenersi calmo)

RUDY - È mia ponderata opinione che tornare in scena, anche se solo una volta l’anno, davanti a una platea di nostri compagni, e qualche visitatore occasionale, sia un modo per riaffermare la nostra esistenza.

GIULIA - Sciocchezze…

RUDY - (Mantenendosi sempre calmo, ma con uno sforzo) Non sono sciocchezze. Noi che viviamo in questa casa, noi tutti, siamo nati col dono della musica. Adesso le nostre voci non sono più che dei cari ricordi. Come noi. Ma che male c’è a fingere di ricatturare ciò che siamo stati in passato, nell’anniversario del compleanno di uno dei più grandi compositori per voce umana mai esistiti? La risposta è che non c’è nessun male. Non per noi, non per il pubblico e non per il fu Giuseppe Verdi. Sono convinto che la troveremo un’esperienza elettrizzante. Indossare di nuovo un costume, perdere il senso di noi stessi, sentirci nervosi, ricordare vagamente ciò di cui un tempo eravamo capaci, sarà, credo, terapeutico e proficuo. E il suono della nostra voce, per quanto imperfetto nella realtà, sarà per noi identico a quello che eravamo in grado di emettere tanti anni fa. Lo so che è così, Giulia. E ci aiuterà tutti, ma in particolar modo te, a scendere a patti col presente e, cosa ancora più importante, ad affrontare il futuro.

GIULIA - Quale futuro? (Breve silenzio)

TITTA - E un’altra cosa. Ci aiuterà a far passare il tempo, perché in questo posto, il tempo, ti assicuro, non è che passi solo lentamente, ma zoppica faticosamente nel suo girello. (Canticchia senza melodia)

GIULIA - Ciò che vi rifiutate di capire è che io oggi sono un’altra persona.

TITTA - No che non lo sei. Come non lo siamo noi. Siamo invecchiati, tutto qua. Ed è successo così in fretta che non abbiamo avuto il tempo di cambiare. Io sono lo stesso ragazzo adorabile di sempre. Solo che mi ritrovo intrappolato in una gabbia dalle sbarre di ferro arrugginito.

GIULIA - Io no. Io sono un’altra persona, ma venero la memoria di quella che ero…

TITTA - Venerazione assolutamente inutile e stancante. Fossi in te, la smetterei…

GIULIA - Tu non sei me. Quando parlo di quella che ero un tempo, parlo di un altro essere umano nel corpo e nella mente. Quel qualcuno che ero un tempo, brillava nel firmamento…

RUDY - Ti ripeti.

GIULIA - Oh, sta’ zitto, Rodolfo. (Si siede, tentando di non piangere) Col passare del tempo la sua luce si affievolì ed ora è spenta del tutto…

CECY - Adesso di chi stiamo parlando?

GIULIA - Parliamo di me.

RUDY - Quella che fu.

GIULIA - Sì, la Giulia Caffarelli che fu. Io venero la sua memoria e non farò niente per infangare i suoi successi. Perciò, la sola idea che adesso dovrei azzardarmi a… è impensabile… (Combatte per trattenere le lagrime. Rudy si siede al suo fianco e le porge di nuovo il fazzoletto)

RUDY - Lascia perdere, Giulia, lascia perdere. Guarda in faccia la realtà, una volta nella vita. Adesso siamo vivi, ma non ancora per molto. Approfitta di quello che hai. Sfrutta al massimo questi giorni, queste ore, questo momento. All’inferno la Giulia Caffarelli del tempo che fu. Vivi ora, per l’amor di Dio. Siamo vivi. Festeggiamo questo fatto. Siamo artisti, e siamo nati per celebrare la vita. È un nostro dovere. Canta con noi… (All’improvviso vede qualcuno in lontananza, e diventa improvvisamente cattivo) Angelica! Angelica! (Solleva la confezione di cotognata e gliela mostra, con un ringhio di trionfo; poi si rivolge di nuovo a Giulia) Sì, canta con noi e ti assicuro che ce ne sarai eternamente grata. Al diavolo quelli che eravamo una volta.

GIULIA - (A Rudy) Quand’è stata l’ultima volta che hai cantato?

RUDY - Ma che importa?…

GIULIA - Stamattina in bagno? Sotto la doccia? (A Titta) E tu? E tu, Cecilia? Quand’è stata l’ultima volta che avete cantato? Lasciate perdere “il ricordo del suono della vostra voce”, vi ha sentito qualcuno ultimamente? Avete una qualche idea del suono che emettete oggi? Volete davvero rendervi ridicoli? (Un silenzio di disagio)

TITTA - L’ultima volta che ho cantato è stato per una riunione dei Lyons di Terni. Quando il tizio mi ha pagato, ha detto: “Non ha ancora pensato a ritirarsi?” Ma all’epoca dovevo raccattare quello che potevo, perché Melissa… (Si interrompe, canticchia)

RUDY - (Piano) NAC, Titta, NAC.

TITTA - Non importa che suono emettiamo ora, qui siamo tutti sulla stessa barca. Nessuno ha più la voce di un tempo!

GIULIA - E invece importa. Siamo dei professionisti. Abbiamo uno standard da mantenere. O almeno, io ce l’ho…

CECY - Tu pensi che abbia ragione, Rudy? È una pazzia? È davvero tutto avvelenato? E se poi sembriamo delle macchine col motore ingolfato? Io non voglio che ridano di noi. Non voglio che si mettano a bisbigliare: Cecilia Fontana, Cecilia Fontana, Cecilia Fontana… (Silenzio)

GIULIA - Vi rendete conto che non ho cantato neanche una nota da più di trent’anni? (Silenzio)

RUDY - (Senza risponderle) Perché ti sei ritirata così giovane?

GIULIA - Non avevo scelta.

TITTA - Io invece pensavo tu avessi proprio scelto di essere una moglie e una madre. Anche se mi sembrava strano. (Silenzio. Giulia tenta di decidere se confidarsi o meno. Alla fine)

GIULIA - Il mio primo figlio l’ho avuto tardi. Avevo… quanti anni avevo… avevo passato i trenta. Circa dopo una settimana dalla nascita di Cristiano, mi offrirono Mimì, al Metropolitan. Accettai. Ero rimasta lontano dalle scene per quasi un anno. Nonostante, naturalmente, conoscessi quel ruolo, pensai fosse il caso di lavorarci un po’ sopra. Così, chiesi a Mona Pagliughi di darmi una mano a esercitarmi. E lei accettò, la mia Mona, una splendida voce, ai suoi tempi, e poi una splendida insegnante… arrivò che sprizzava buonumore da tutti i pori, come al solito, sedette al mio Steinway, suonò un arpeggio o due e poi batté su una nota. Io presi fiato. Tentai di cantare, ma non riuscii ad emettere suono. Lei batté di nuovo sulla nota, con l’indice, aveva delle unghie sempre curatissime, mi ricordo, non riuscivo a distogliere gli occhi da quel suo dito che batteva su quella nota in continuazione. Avevo la bocca aperta, e anche se ci provavo con tutte le mie forze, non riuscivo ad emettere suono. Solo una specie di soffocato silenzio. Non ho mai provato un terrore simile in tutta la vita. Consultammo dei dottori. Andai a trovare il professor Scuri. Non trovò niente a carico delle mie corde vocali. Niente. Ma io non riuscivo più a cantare. Andai persino da uno psichiatra. Lui disse che probabilmente era qualcosa che aveva a che fare con una depressione post-partum, e che dopo un mese o due sarebbe tutto andato a posto. Ma non fu così. Non dopo un mese o due, e neanche dopo un anno o due, e neanche dopo la nascita di Emma, mai, mai più. (Pausa) Quindi non riuscirete a persuadermi ad andare in scena per il Gala. Anche se volessi, non potrei. Non posso cantare. Non sono più in grado di cantare neanche una nota da anni ed anni. E questo è quanto. Il mio dono mi ha abbandonata. (Silenzio)

CECY - Me la ricordo, la Mona Pagliughi. Ho sempre pensato che Mona fosse un nome disgraziato, per una cantante. (Tira fuori gli auricolari e li collega al lettore di CD. Ascolta con aria soddisfatta)

RUDY - Mi ero sempre chiesto quale fosse la vera ragione.

GIULIA - Adesso la sai.

RUDY - Adesso la so.

TITTA - Ma che peccato, Giulia, che cosa tremenda. Quegli stronzi di medici.

GIULIA - Mi dicono che non è un evento raro. Capita, credo agli attori, solo che loro lo chiamano panico del palcoscenico. Comunque, che importa? Fino ad ora non l’avevo mai voluto confessare a nessuno. Mi sento meglio, adesso. Straordinario.

TITTA - (Dopo una pausa) Niente da fare, Rudy, vecchio mio, ci toccherà fare il terzetto dal Barbiere. Dovremo allenarci l’ugola. Dio, ne ho piene le scatole di Figaro. (Un breve silenzio)

GIULIA - Credetemi, se solo fosse anche lontanamente possibile, canterei per gli anniversari di nascita di Giuseppe Verdi, Gioacchino Rossini, Wolfgang Amadeus Mozart e anche Cole Porter. Dio sa quanto mi piacerebbe essere in grado di cantare oggi come allora, di sentire la mia voce che… (Si interrompe all’improvviso, incuriosita da Cecy che con le labbra segue le canzoni della registrazione. Anche Titta guarda Cecy. Poi anche Rudy finisce col guardarla. I tre poi si scambiano un’occhiata)

TITTA - Stiamo pensando tutti alla stessa cosa?

GIULIA - Tu dici? (Titta canticchia senza un motivo)

RUDY - No, no, no, no, è una cosa che va considerata con attenzione… (Cecy continua a seguire le parole delle canzoni con le labbra. Poi ferma il CD e si toglie la cuffia degli auricolari)

CECY - (Con un largo sorriso) Sono pronta! (Gli altri, affascinati, la fissano. Lei guarda ora l’uno ora l’altro, estremamente perplessa, mentre calano le luci)

BUIO

SCENA 2

Tre settimane dopo. Mattina presto. Caldo. Al centro della sala da musica, un baule teatrale. Dopo un attimo, entra Rudy con aria furtiva e si chiude la porta alle spalle col paletto. Si siede, tira fuori un lettore portatile di CD, con una cuffia, un CD e una partitura vocale del Rigoletto. Si mette la cuffia alle orecchie, mette in funzione il CD-player e segue la musica sulla partitura, di tanto in tanto accennando alle parole con le labbra. Dopo un momento, qualcuno tenta di aprire la porta, poi bussa. Rudy si toglie immediatamente la cuffia, spegne e nasconde il lettore di CD. Va alla porta, la apre, e fa entrare Titta e Giulia.

TITTA - Ancora niente chiave?

RUDY - No. (Richiude la porta col paletto. Giulia e Titta si siedono e anche loro tirano fuori dei lettori di CD, dei CD, cuffie e partiture del Rigoletto. Ciascuno mette in funzione il CD, ascolta, e segue sulla partitura. Rudy riprende ad ascoltare a sua volta. Tutti e tre, di tanto in tanto, seguono coi movimenti delle labbra le parole che solo loro sono in grado di sentire, e voltano le pagine delle partiture, naturalmente in tempi diversi. Si sente bussare alla porta con forza. Titta si toglie rapido la cuffia degli auricolari)

TITTA - Nevica! (Giulia e Rudy si tolgono in fretta le cuffie, nascondono i lettori di CD e tentano di assumere un’aria innocente. Titta apre la porta e vediamo Cecy, tutta sorridente)

CECY - Amilcare ha trovato la chiave… (Si radunano tutti attorno al baule)

GIULIA - Spero che questi costumi siano almeno passabili… (Cecy comincia a frugare nella borsetta)

CECY - Dove l’ho messa?… (Gli altri la guardano con impazienza)

TITTA - Sai cosa, Cecy? Lasciati perquisire, sono sicuro che la trovo…

CECY - Ma che ne avrò fatto? Amilcare me l’ha messa in mano neanche due minuti fa…

TITTA - Ti ha messo in mano cosa?

CECY - Attaccata a un lungo pezzo di spago…

TITTA - Ma va’! (Lei continua a cercare)

RUDY - Forse ce l’hai attorno al collo… (Lei estrae la chiave dal seno)

CECY - Sì, eccola qui, oh, bravo, Rudy…

TITTA - L’avevo detto che ti dovevo perquisire… (Cecy dà la chiave a Rudy che si inginocchia per aprire il baule ed è un’operazione che richiede del tempo)

GIULIA - Non è che hai detto a qualcuno cos’abbiamo in mente di fare?…

CECY - Ah, il presidente del Comitato voleva assolutamente sapere chi ci avrebbe fatto fare le prove. Gli ho detto che non ci serviva nessuno. Lui ha riso in quel suo modo così, un po’ sdegnoso e ha detto, “ma bene, e chi vi accompagna?” E io ho detto “Rudy”. E lui ha riso di nuovo e ha detto: “Ma come, con un dito, mentre canta?” E allora io gli ho detto, non lo so perché, ma gli ho detto: “Beh, se vuoi proprio sapere la verità, stiamo importando un musicista.” E lui ha detto: “Da dove?”, e io gli ho detto: “Addis Abeba.”

TITTA - Addis Abeba? E a questo punto, lui?…

CECY - Ha detto: “Non vedo l’ora di sentire il quartetto del Rigoletto con un accompagnamento di bongo.” (Rudy riesce ad aprire la serratura del baule)

RUDY - Fatto. (Apre il coperchio. Si chinano a guardare all’interno e cominciano a tirar fuori i costumi, le calzamaglie, i cappelli, ecc. e continuano a farlo per quasi tutte le battute che seguono)

CECY - Non è divertente? Come aprire un vecchio baule in soffitta e giocare a mascherarsi in un pomeriggio d’inverno.

RUDY - Sono molto sbiaditi…

CECY - A me sembrano splendidi.

GIULIA - Non sono splendidi, sono decisamente brutti…

TITTA - Avete visto la mia gobba? Avevate detto che c’era una gobba, dov’è?

GIULIA - Mi rifiuto di indossare questa roba, dovremo fare lo spettacolo in abiti moderni…

CECY - Oh, no, Giulia, sarebbe orribile…

TITTA - Sono d’accordo con Cecy…

GIULIA - Mi rifiuto di andare in scena indossando degli stracci. Trovatemi qualcuno che mi possa fare qualcosa. Tu, Cecilia?… Hai sempre avuto l’aria di indossare vestiti fatti in casa. Cucimelo tu un costume, questi non si possono indossare…

RUDY - Dio buono, queste calzamaglie hanno un’etichetta, guardate: Enrico Cardinale, 1952.

GIULIA - La calzamaglia di Enrico…

CECY - Aveva delle gambe splendide, ricordo, e aveva sempre un’aria così… così virile.

TITTA - Perché sotto indossava sempre un sospensorio, a quanto ricordo. Noi per la maggior parte usavamo dei calzini. Io ero uno di quelli che ne mettevano su tre.

CECY - Che uomo affascinante!

TITTA - Mai capito cosa ci vedeste voi donne.

GIULIA - Era uno di quei brutti affascinanti, Enrico. Come quell’attore francese.

CECY - Quale attore francese?

GIULIA - Oh, te ne ricordi… Dio, com’è che si chiamava?

CECY - Dacci un indizio…

GIULIA - Rudy, te lo devi ricordare per forza, avevo questo debole per lui. Ha fatto quel film, com’era il titolo di quel film?…

RUDY - Quale film?

GIULIA - Lo sai, quel film di guerra…

RUDY - Quale guerra?

TITTA - Ma cos’è? Un gioco a quiz? Che importanza ha che tipo era Enrico… (Continuano ad ispezionare i costumi. Cecy tira fuori un costume)

CECY - Giulia, guarda questo, che te ne pare? Potrei modificarlo per te…

GIULIA - È proprio del mio colore…

RUDY - Ho trovato un farsetto…

TITTA - (Lottando con l’imbottitura) Come diavolo faccio ad attaccarlo?

CECY - (Tirando su un altro costume) Oh, guarda, questo è delizioso, potrebbe andare per me, ma dovrò allentarlo in vita…

GIULIA - Oh, sì, questo è molto più bello. Lo prendo io!

CECY - Ma certo, prendilo, a me non importa quello che indosso…

RUDY - (Continuando ad ispezionare il baule) Ehi, dico! Scarpe.

GIULIA - Io indosso le mie, grazie, non sopporto l’idea di indossare le scarpe di altri. E i costumi andranno tutti lavati a secco, naturalmente.

RUDY - Ma costerà una fortuna.

GIULIA - Non so che farci. Non voglio indossare costumi che non siano stati lavati a secco.

CECY - Il Comitato ha dei fondi…

TITTA - Ah sì?

CECY - Potrei presentare una mozione, alla prossima riunione del Comitato, in modo che parte dei soldi vengano usati per mandare in tintoria i costumi…

RUDY - Splendido, Cecy, splendido…

TITTA - Non sei solo un corpo meraviglioso…

CECY - Com’è eccitante, non so da quant’è che ho voglia di presentare una mozione… (Hanno più o meno scelti i loro costumi e tutti, tranne Rudy, si pavoneggiano davanti allo specchio. Rudy batte le mani)

RUDY - Signore e signori, vi prego di fare attenzione. Abbiamo molte cose da discutere: innanzi tutto l’orario delle prove, poi il metodo di lavoro, e quando fare la prova generale.

GIULIA - Non essere ridicolo, Rudy. Non c’è un’orchestra, come facciamo a fare una generale? (Titta, Giulia e Cecy si siedono. Rudy sta in piedi davanti a loro)

CECY - Che divertente, che divertente… non è divertente?

RUDY - Dobbiamo aspirare alla perfezione… Abbiamo un mucchio di lavoro che ci aspetta.

TITTA - Che lavoro? L’opera la conosciamo tutti, tutti conosciamo il quartetto…

RUDY - Signori! Vi prego di fare attenzione perché quello che vi devo dire ora è molto importante. Come tutti voi sapete, Verdi ha basato la sua opera su un dramma di Victor Hugo…

GIULIA - Jean Gabin.

RUDY - No, Victor Hugo!

GIULIA - No, no, no, Jean Gabin è il nome di quell’attore che stavo tentando di ricordarmi, Jean Gabin in Pepé le Moko…

RUDY - (Esplode) Oh, al diavolo! Dateci un taglio, non ho intenzione di continuare con questo…

CECY - Rudy, non fare così, stiamo ascoltando, ti stiamo ascoltando, no? (Si calmano. Silenzio)

RUDY - Come forse ricorderete…

GIULIA - E il trucco?

RUDY - Chiedo scusa?

GIULIA - Chi è che ci trucca?

RUDY - Dovrai farlo da sola, ora, per favore, chiudi il becco.

GIULIA - (Alzandosi e cominciando a zoppicare avanti e indietro) Non mi parlare con questo tono. Non mi sono mai truccata da sola e non intendo cominciare ora…

RUDY - E allora non truccarti e basta…

GIULIA - Come? Cosa? Andare in scena senza trucco?

CECY - Giulia, ti trucco io…

GIULIA - Dio, questo si sta tramutando in uno spettacolo di “dilettanti allo sbaraglio”.

TITTA - Mi rifiuto di capirti.

CECY - Ho detto che ci penso io, Giulia, lo faccio volentieri. Lo faccio anche per Anna Rinaldi.

GIULIA - Per quella faccia ti servirà un vagone di trucchi…

RUDY - Sei un mostro, Giulia. Hai qui Cecilia Fontana, non una sconosciuta, ai suoi tempi, disponibile a venire incontro ad ogni bizza del tuo ego mostruoso, e tu sei solo capace di insultarla. Almeno una volta nella tua vita, possibile tu non riesca ad essere gentile?

GIULIA - No, non ce la faccio… (Si allontana zoppicando, e passa di fianco a Titta, sobbalzando all’improvviso, perché lui le ha dato un pizzicotto)

GIULIA - Non farlo!

TITTA - Cosa, cosa, cosa, cos’è che ho fatto?

GIULIA - Lo sai benissimo. È una cosa disgustosa e oscena. È una molestia sessuale!

TITTA - Stronzate. Non ho fatto altro che darti un pizzico a una chiappa.

GIULIA - Appunto. Tu che diresti se fossi io a darti un pizzico su una chiappa a te?

TITTA - Mi piacerebbe da matti. Non me ne hanno mai dati, di pizzicotti. Non mi hanno mai fischiato dietro. Mai fissato con occhi di triglia. Dopo che mi sono ritirato, ho tentato di trovare un lavoro dove poter essere molestato sessualmente, ma per noi maschietti non ce ne sono. Voi donne invece non fate che lamentarvi! (Nessuna risposta; a Giulia, porgendole il fondoschiena) Avanti, avanti, dammi un pizzicotto. Dai! (Un silenzio pesante. Poi, all’improvviso, Giulia scoppia a ridere)

GIULIA - Mi fai schifo. Da sempre. Ma mi fai ridere, non so neanch’io perché. Sì che lo so. Hai una vitalità contagiosa, e questo è un dono meraviglioso. (Si rimette seduta) Grazie, Cecilia, sarei molto felice se tu mi truccassi.

CECY - E dopo aver fatto te, posso fare te, Rudy, e poi te, Titta…

RUDY - Vi prego, vi prego, fate attenzione… (Si risiedono tutti come scolaretti) Probabilmente già lo sapete, ma mi pare che valga la pena di ricordarlo, il Rigoletto di Giuseppe Verdi, con libretto di Francesco Maria Piave, si basa sulla commedia Le Roi s’amuse di Victor Hugo. Voglio solo ricordarvi cosa disse Victor Hugo dopo aver assistito al Rigoletto. E tenete bene in mente che il successo dell’opera lo aveva molto irritato. Disse: “Se solo nelle mie commedie riuscissi a far parlare tutti insieme quattro personaggi, in modo che il pubblico sia in grado di afferrare le parole e i sentimenti di ciascuno, otterrei esattamente lo stesso effetto.” Ora, per tornare alla nostra esibizione… (Si interrompe, vedendo fuori qualcuno) Angelica! (Tira fuori la lingua, si mette i pollici nelle orecchie e agita le altre dita verso di lei) Angelica! La vacca. Finge di non vedermi… (Si slancia all’inseguimento della donna, ed esce. Gli altri lo guardano in silenzio. Poi, uno alla volta, si collegano ai rispettivi lettori di CD ed ascoltano. Seguono le parole con le labbra mentre le luci calano)

BUIO

SCENA 3

10 Ottobre. Primo pomeriggio. Da fuori, lontano, appena udibile, il suono del Coro dell’Incudine, con accompagnamento al pianoforte. Il paravento è adesso sistemato in modo da dividere praticamente la stanza in due camerini, uno per le donne, e l’altro per gli uomini. I costumi, in buste da lavanderia, sono appesi alle pareti. Ci sono anche quattro piccole valige. Giulia è seduta, con indosso la biancheria adatta come sotto-costume. Studia la partitura. Dall’altro lato del paravento, Rudy si sta infilando il costume. Titta, già in calzamaglia, si sta sistemando l’imbottitura della gobba, che è stata molto ingrandita. Entra Cecy.

CECY - Oh, com’è eccitante. Il Gala è iniziato… (Titta e Rudy sporgono le teste da dietro il paravento) I nostri ragazzi hanno un aspetto splendido, e cantano con grande ardore e ritmo, ritmo!… Invece Nino Merlo la sta prendendo con una lentezza terrificante e rallenta sempre di più. I due clarinettisti stanno rischiando di scoppiare. (Titta e Rudy si ritirano. Titta comincia a farsi un trucco piuttosto grottesco. Rudy continua a vestirsi)

GIULIA - (A Cecy) È da secoli che ti aspetto. Devi farmi il trucco.

CECY - Subitissimo. (Comincia a truccare Giulia e intanto chiama Rudy) Quand’ho finito con Giulia, toccherà a te, Rudy.

RUDY - Grazie, Cecy, tesoro, ma penso di potermela cavare da solo. Nino Merlo mi ha gentilmente prestato un po’ del suo fondotinta e del rouge.

CECY - Gentile, da parte sua. Lo vedi, la gente è gentile.

RUDY - Voleva corrompermi per sapere cos’abbiamo organizzato. Ma io non mi sono lasciato sfuggire una sillaba. (Continuano con le rispettive occupazioni)

CECY - Il Führer dice che ci saranno cinque minuti d’intervallo fra un numero e l’altro.

GIULIA - Perché?

CECY - Problemi di pipì. (Continua col trucco) Io non sono nervosa, e tu?

GIULIA - Ma certo che sono nervosa. Ogni grande artista è nervoso, prima di uno spettacolo. È il rispetto che dobbiamo al nostro pubblico.

CECY - È così strano non dover riscaldare la voce.

TITTA - Rudy, da bravo, quando hai un momento, aiutami a fissare la gobba.

RUDY - Un attimo e arrivo. (Titta fruga nella sua valigetta e ne tira fuori un paio di bottiglie di birra)

GIULIA - (A Cecy) Gli occhi me li faccio da sola, l’ho sempre fatto.

TITTA - Vuoi un sorso, vecchio mio?

RUDY - No, grazie.

TITTA - Alla nostra. Salute.

RUDY - Salute. (Titta sporge la testa fuori dal paravento)

TITTA - Alla nostra, ragazze. Salute!

CECY - Evviva!

GIULIA - Non starai bevendo prima di uno spettacolo, vero?

TITTA - Prima di questo, sì. Anzi, a dire la verità, mi sono sempre fatto una birra prima, una all’intervallo e una dopo. Dà corpo alla voce.

GIULIA - (A Cecy) Ma quale corpo alla voce?!

CECY - (A Giulia) Giulia, tesoro, sii così gentile da sederti qui, più vicino alla luce. (Giulia è irritata, ma si alza in piedi e fa una smorfia)

GIULIA - Figuriamoci se la mia anca non era ancora più capricciosa del solito, proprio oggi.

CECY - È tutta una questione di nervi. È quello che la dottoressa Bove chiama psicocromatico.

GIULIA - (Mettendosi seduta) Chiamatela come vi pare, ma è un dolore che non auguro a nessuno.

TITTA - Le rifiniture le lascerò fare a Cecy. (Rudy adesso è in calzamaglia)

RUDY - Adesso ti aiuto con la gobba, Titta.

TITTA - Ho dovuto attaccare dei nuovi nastri, ma non sono molto bravo a cucire.

RUDY - Suppongo fosse Melissa a pensare al cucito, per te. (Uno dei nastri si rompe) Accidenti!

TITTA - Lo sapevo che non l’avevo fissato bene.

RUDY - Non preoccuparti, ho una docasa…

TITTA - E che diavolo è?

RUDY - Donna di casa, docasa, ago e filo. Li rubavo sempre dalle stanze d’albergo. Tu non avevi bisogno di farlo, vedi: tu avevi Melissa. (Rudy comincia a ricucire il nastro rotto)

TITTA - Fammi il piacere, smettila di parlare di Melissa…

RUDY - Doveva essere una donna di una pazienza straordinaria, a sopportare te.

TITTA - Perché dici questo?

RUDY - Lo sanno tutti che tipo sei. Anche Melissa doveva saperlo. Tutte quelle avventure amorose. Come il Duca, nel Rigoletto…

TITTA - Io non ho avuto nessuna avventura amorosa. Sono stato assolutamente fedele per trentacinque anni…

RUDY - Mi pare molto difficile crederlo. E ti dirò di più, Giambattista, ti abbiamo sempre criticato tutti perché tradivi Melissa.

CECY - (A Giulia) Ecco. Finito. Adesso ti puoi truccare gli occhi.

GIULIA - Fammi vedere che hai combinato… (Cecy le dà uno specchio, nel quale Giulia si rimira) Niente male. Proprio niente male, Cecilia.

CECY - Grazie, Giulia. Adesso mi vesto io. (Giulia comincia a truccarsi gli occhi. Cecy prende una delle buste della lavanderia e comincia a vestirsi)

TITTA - Non l’avrei mai creduto.

RUDY - Cosa?

TITTA - Che si pensasse che tradivo Melissa.

RUDY - Ma per forza!… Basta vedere come ti comporti, Titta…

TITTA - Questo mi ferisce, davvero. (Prende un sorso dalla bottiglia) Melissa. (Silenzio) Sbagliarono la diagnosi, sai. Se l’avessero preso per tempo… (Rabbrividisce, beve un sorso) No, non c’è giustizia. Maledetti dottori. (Breve silenzio) Tradivo Melissa? Impensabile. (Un altro sorso) La verità, Rudy, è che io sono tutto parole. Sempre stato. Sempre avuto il gusto di parlare da porco. Ci penso, ne parlo, e non faccio un bel niente. Non credo di essere mai stato innamorato fino a che non ho incontrato Melissa. E una volta sposato, ho trovato che la fedeltà mi stava bene. Certo, non una grande virtù, al giorno d’oggi… (Silenzio) E tu? Ho sempre pensato che eri il tipo del Don Giovanni.

RUDY - (Con un sorrisino) Ho avuto i miei momenti.

TITTA - Vorrei conoscerli. Fino all’ultimo sordido dettaglio. (Rudy ha finito di cucire)

RUDY - Ecco. Proviamo di nuovo. (Rudy attacca di nuovo l’imbottitura della gobba)

GIULIA - (A Cecy) Come vanno gli occhi? (Cecy le dà un’occhiata)

CECY - Perfetti. Ora, se c’è qualche altra cosa che posso fare per te, Giulia…

GIULIA - (Inalberandosi) Per l’amor del cielo, smettila di essere così gentile e servizievole, non lo sopporto. (Cecy è immobilizzata per lo choc. Giulia continua a cincischiare con gli oggetti da trucco)

CECY - (A Giulia) Io non sono servizievole. Non sono gentile. Sono pentita.

GIULIA - (Preoccupata) Ma di che devi essere pentita?

CECY - Ho condotto una vita dissoluta.

GIULIA - Sciocchezze.

CECY - Sì, invece. (Titta apre una delle buste della tintoria e comincia a infilarsi il farsetto. Durante questa azione) Qualcuno una volta mi ha detto che ero assetata di affetto, ed è per questo che ero così… così volubile.

GIULIA - Tutti siamo assetati d’affetto. Tutti vogliamo essere amati. (Anche lei prende una delle buste della tintoria e comincia a vestirsi)

CECY - Sono stata mandata in collegio a Firenze. I miei genitori restarono in Africa. Quasi non li conoscevo. Mio padre era un Maggiore dell’esercito. Si chiamava Augusto Fontana. Gli piaceva farsi chiamare Augusto l’Africano. Morì quando stavo per finire gli studi. Mamma pensò che non valeva la pena farmi tornare per il funerale, perché costava troppo. Rimasi con mia zia Fabrizia. Una persona sgradevolissima, che voleva a tutti i costi impedirmi di diventare una cantante. E poi mamma scrisse che stava per tornare a casa. Ma morì prima che salpasse la nave. Non riesco neanche a ricordare quand’è stata l’ultima volta che li ho visti, mamma e papà, dico. E così dico a mia zia Fabrizia: “Grazie per tutto quello che hai fatto e addio!” Non l’ho più rivista neanche lei… (A questo punto, Titta ha su il farsetto e viene dall’altra parte del paravento)

TITTA - Che ve ne pare?

GIULIA - Orribile.

TITTA - Dite che è troppo?

CECY - Appena appena. Hai un po’ l’aria di un cammello che è andato da un pessimo osteopata.

TITTA - (Tornando da Rudy) Loro pensano che è un po’ troppo…

RUDY - Probabilmente hanno ragione. Vediamo che si può fare. (Titta si toglie il farsetto e insieme si dedicano all’operazione di ridurre la gobba. Durante questa azione)

CECY - (A Giulia) Ma non voglio farmi compatire. No, no, NAC, NAC, NAC. (Una pausa. Poi)

GIULIA - Pensi che Rudy sia gay?

CECY - (Scioccata) No!

GIULIA - Come fai a esserne così sicura? Non mi dirai che hai fatto ding-dong anche con lui…?

CECY - Certo che no. Non è per niente il mio tipo. Troppo, troppo… sofisticato. Non emette odori. A me gli uomini piacciono virili. Ahimè, qualità molto rara in un uomo.

GIULIA - Mi chiudi dietro? (Volta la schiena a Cecy, che comincia ad agganciare il costume di Giulia)

CECY - Ma come mai proprio tu, fra tutti, mi vieni a chiedere di Rudy? Dopo tutto, siete stati sposati…

GIULIA - Sì, ma non abbastanza a lungo.

CECY - Per quanto tempo? (Giulia tira su il fiato. Poi)

GIULIA - Nove ore esatte.

CECY - Nove ore?

GIULIA - Shhh, non deve sentirci, è troppo umiliante. E non dirlo a nessun altro, ti prego. E certamente non a Giambattista. Non è qualcosa di cui vada particolarmente orgogliosa.

CECY - Nove ore.

GIULIA - Ci siamo sposati alle tre di una domenica pomeriggio, in maggio. Lasciammo il ricevimento di nozze alle otto e trenta. Mio padre ci aveva preso una suite all’hotel Milan. Dovevamo passare la notte là, e la mattina dopo andare al Cairo per la luna di miele. Ordinammo una cena a base di champagne nella suite. Ricordo che Rudy mangiò uova strapazzate, pane tostato e cotognata. Verso le undici, ci spogliamo, lui in bagno, io in camera da letto. Io me ne sto lì sdraiata, nuda, sul letto, in attesa. Lui torna indossando il pigiama, e si sdraia al mio fianco. Spegne la luce… E poi, mi tocca una di quelle tremende confessioni, sdraiati fianco a fianco nel buio, con Rudy che mi dice: “Questo è quello che mi capita sempre, e secondo i medici, mi capiterà sempre.” (Silenzio)

CECY - Povero Rudy.

GIULIA - Povera me.

CECY - E tu hai preso e te ne sei andata.

GIULIA - Prima tentai di confortarlo, di incoraggiarlo…

CECY - Ma senza profitto?

GIULIA - Senza profitto.

CECY - E allora hai preso e te ne sei andata.

GIULIA - E di corsa. Mi sono precipitata con un taxi in un hotel vicino alla stazione, e sono crollata a dormire come un masso. (Silenzio) Dopo, oh, anni dopo, svariati mariti dopo, ho scoperto che il sesso è veramente sopravvalutato. Per me era un grande casino. Sarei dovuta restare con Rodolfo.

CECY - Pensi che ci siano molti uomini così? Incapaci e disinteressati?

GIULIA - Più di quanti sospettiamo.

CECY - Mi sorprende sempre che la razza umana sia riuscita a sopravvivere tanto a lungo. (Breve silenzio) Mi chiedo che direbbero dei giovani se ci sentissero ora. Quando ero giovane io, ero convinta che gli anziani non avessero mai avuto una vita sessuale. E invece eccoci qui che non parliamo d’altro. Che cosa strana, invecchiare. Si penserebbe che dovremmo parlare solo di Dio, della morte, e della vita dopo la morte, e invece… (Silenzio)

GIULIA - Giambattista ha ragione. Non si cambia. Da bambina ero terrorizzata al solo sentire la parola “morte”. Lo sono ancora. (Un brivido) Parliamo di sesso. (Torna Titta)

TITTA - Adesso come va? Un po’ meglio?

CECY e GIULIA - Sì, molto… (Titta torna dall’altro lato del paravento)

TITTA - (A Rudy) Approvano. (Rudy comincia a truccarsi. Titta si sistema il costume, si infila le scarpe)

GIULIA - Dio, questo è troppo stretto per te, Cecy. Non riesco ad allacciarlo…

CECY - Ma l’ho allargato, l’ho allargato, tu prova, prova…

GIULIA - Sto provando, ma sei stata troppo ottimista, non riesco ad allacciarlo…

CECY - Adesso me lo tolgo e l’allargo un altro po’. Oddio, oddio… (In uno stato di panico si toglie il costume, ma d’improvviso si ferma e si dirige invece alla porta) Bene, allora io me ne vado. Arrivederci.

GIULIA - Cecy, ma dove vai?

CECY - A casa. Non te l’avevo detto? Me ne vado a casa. Cabina esterna…

GIULIA - Ma che dici?…

CECY - Che viaggio in cabina esterna. Non l’ho mai fatto, prima, solo cabine interne. Spero che la mia vecchia balia si ricordi di me. Devo andare. Arrivederci, arrivederci… (Con fare agitato, Cecy comincia a radunare i suoi prodotti per il trucco, poi si immobilizza, completamente persa, rimane a fissare nel vuoto)

GIULIA - Cecy? (Nessuna risposta) Cecy? (Niente; Giulia zoppica fino alla zona degli uomini) Crisi… (Gli uomini sbirciano dall’altra parte del paravento. Cecy li vede)

CECY - Oh, ma è terribile, quasi me ne andavo senza salutarvi. Arrivederci, Giambattista, Rodolfo. Auguratemi buon viaggio. Non vedo l’ora di rivedere Addis Abeba… (Di nuovo si dirige alla porta)

RUDY - Oh, Dio, se la beccano in questo stato… (Titta la ferma)

TITTA - Cecy, tu non te ne vai da questa stanza. Stasera c’è il gala per l’anniversario della nascita di Verdi. Amilcare è fra il pubblico, mi ha detto che non vede l’ora di vederti. (Cecy lo fissa) Facciamo il Quartetto, dal Rigoletto. Il Quartetto, Cecy…

CECY - Spero che vada bene. Arrivederci. Vi manderò una cartolina da Port Said. Tutti a terra quelli che non partono! Tutti a terra i visitatori! (Fa un cenno di saluto con la mano, si volta per andarsene)

RUDY - È andata. Siamo rovinati.

GIULIA - (Con severità) Cecilia, controllati. (Cecy si ferma, la fissa senza vederla; Giulia le afferra le mani) Torna in te, Cecy, tesoro, ti prego, ti prego, torna in te. (Nessuna reazione) Tu non te ne vai da nessuna parte, tu rimani qui, coi tuoi compagni d’arte. Con i tuoi amici. (Ancora niente; con severità) Cecilia, la tua nave non parte che fra due settimane.

CECY - Ah no? (Improvvisamente allarmata) Che ore sono?

GIULIA - Tardi. Sistemati il costume. (Una pausa piena di disagio. Poi, precipitosamente)

CECY - Sì, sì, sì, sono sempre le piccole cose che creano la maggior agitazione, mi starà, lo so che mi starà… Adesso mi preparo! (Si dedica al suo costume. Gli altri fanno un sospiro di sollievo)

RUDY - L’abbiamo scampata bella.

TITTA - Ben fatto, Giulia.

GIULIA - Ho avuto un sacco di esperienza con mia madre. Solo che lei diventava anche violenta. (Cecy indossa il costume, e Giulia la allaccia. Intanto)

TITTA - (Chiamando) Sei pronta, Cecy? Si sta facendo tardi…

CECY - Un attimo… (A Giulia) E allora?

GIULIA - (Riuscendo ad allacciare il costume) Ce l’ho fatta.

CECY - Dio ti ringrazio. (Si precipita dall’altra parte del paravento)

RUDY - Cecy, mi vieni a dare una sistemata a barba e baffi?

CECY - Con molto piacere. (Comincia a farlo. Titta gironzola dall’altra parte del paravento. Giulia sta ascoltando e seguendo le parole con le labbra. Titta le si siede accanto. Esasperata, lei spegne il lettore di CD e si toglie le cuffie)

GIULIA - Sto tentando di concentrarmi, non puoi andarti a sedere da qualche altra parte?

TITTA - Volevo scambiare due chiacchiere.

GIULIA - A che riguardo?

TITTA - I nostri bastoni. Penso che dovremmo tentare di fare lo spettacolo senza.

GIULIA - Non ci riesco. La mia anca fa i capricci, oggi.

TITTA - Peccato. Sarebbe molto più operistico. (Titta canticchia senza un motivo. Cecy incipria Rudy)

CECY - Ecco. Molto bene. Guardati e dimmi che ne pensi. (Lui guarda nello specchio)

RUDY - Splendido. Sei una vera artista, Cecy. (Lo lascia) Serve niente, Titta?

TITTA - La solita cosa, ma puoi darmi un ritocco alla faccia, se non ti dispiace.

CECY - (Lo fissa) Va bene, ma solo se ti siedi sulle mani. Ti conosco. (Dà gli ultimi tocchi al trucco di Titta. Giulia zoppica, appoggiata al bastone, nella zona degli uomini e si ritrova faccia a faccia con Rudy)

RUDY - Sei bellissima, Giulia.

GIULIA - Anche tu sei molto bello.

RUDY - E presto saremo di nuovo giovani.

GIULIA - Questa resta da vedersi. (Le luci calano fino al buio. Luce vivace di un riflettore in cui entra Rudy che si inchina. Applausi. Fischi. Rudy si infila gli occhiali e tira fuori un foglio di carta che regge con mano terribilmente tremante)

RUDY - Signore e signori…

VOCE DI NINO MERLO - Dov’è il suonatore di bongo? (Risate)

RUDY - Sta’ zitto, Nino, da bravo. Signore e signori. Stasera, i miei tre colleghi ed io speriamo di iniziare una nuova tradizione in questa casa di riposo.

VOCE DI NINO - Quale? Cantare intonati? (Grida di divertimento dal pubblico)

RUDY - Vogliamo trasportarvi nel passato, quando le nostre voci erano potenti e, oso dire, splendide. E così, stasera, in questo 10 di ottobre, anniversario della nascita di Giuseppe Verdi, vogliamo ricordarvi ciò di cui un tempo eravamo capaci. Così è venuto ora il momento di farvi le presentazioni. Io sono, naturalmente, il Duca di Mantova, e come Rigoletto abbiamo il privilegio di avere il famoso, grande baritono, rivale di Tito Gobbi, il signor Giambattista Rubini. (Titta zoppica in luce, fra gli applausi, e si inchina. Quando si raddrizza)

VOCE DI NINO - Guardate, è Quasimodo! (Grida di divertimento)

TITTA - Nino, se non chiudi il becco, vengo giù e ti sculaccio!

VOCE DI NINO - Sì, ti prego!… (Altri strilli di divertimento)

TITTA - Dottoressa Bove, perché non gli dà una delle sue pillole? (Altri strilli. Rudy aspetta che il rumore si attenui)

RUDY - E, come Maddalena, la nostra beneamata, la deliziosa Miss Cecilia Fontana. (Cecy entra e si inchina ai grandi applausi e alle grida) E… dulcis in fundo… Una delle grandi stelle del firmamento operistico, nel ruolo di Gilda, l’incomparabile Giulia Caffarelli. (Giulia entra, cammina con difficoltà, appoggiata al bastone, riesce a malapena inchinarsi ai grandi applausi e grida) Signore e signori, il Quartetto dal Terzo Atto, Scena Terza del Rigoletto del grande maestro, Giuseppe Verdi. (Dà un segnale. Inizia la registrazione del Quartetto, col Duca che canta “Bella figlia dell’amore”. Rudy muove le labbra, doppiandosi. Qualche risata. Quando tocca agli altri, anche gli altri fanno lo stesso, doppiandosi sulla registrazione. Il pubblico rimane presto silenzioso. Rudy, Titta, Cecy e Giulia danno spettacolo, dapprima un po’ a disagio, ma poi, con il procedere del quartetto, si perdono nella musica, e la loro esibizione diventa totalmente convincente e loro sembrano ritornati giovani: non hanno più bisogno dei bastoni per muoversi, e ci sembra di rivederli com’erano un tempo. Un trionfo. Si inchinano per gli applausi. Si scontrano un po’ per le posizioni di prominenza. All’ultimo ringraziamento le luci calano fino al buio)

SIPARIO