Questi ragazzi

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QUESTI RAGAZZI

Commedia in tre atti

Di GHERARDO GHERARDI

PERSONAGGI

LUCIA

GIOVANNA

VINCENZO

GIANGIACOMO

ANDREA

NINETTA

(In Lombardia al tempo nostro).

Commedia formattata da


ATTO PRIMO

Un salotto in una villa di campagna. Gran porta a veranda nel fondo, due porte laterali, tavola nel centro, finestra nel fondo a sinistra.

Andrea                          - (medico condotto, cinquantenne, piuttosto calvo, d'aspetto rude, con grandi sti­vali. Quando si alza la tela è in attesa, le gambe accavallate, seduto su una poltrona. A un tratto si alza e raccoglie qualche cosa dal pavimento: lo esamina: è un medaglione con catena da por­tare al collo) To'! (Si sforza di leggere delle scritte).

Ninetta                          - (vecchia cameriera, passando in fret­ta vede l'atteggiamento del dottore e si ferma) Dottore, che cos'è?

Andrea                          - Non so, l'ho raccolto là.

Ninetta                          - Oh, è il medaglione della signo­rina. Me lo dia che glielo riporti.

Andrea                          - Che bisogno c'è? Posso darglielo anch'io. Ora verrà, no?

Ninetta                          - Ma non se ne dimentichi!

Andrea                          - Chi è costui?

Ninetta                          - Mah...

Andrea                          - In tanto tempo che curo la signo­rina non avevo mai letto questa scritta.

Ninetta                          - Che cosa dice?

Andrea                          - «Il tuo sogno, Lucia». La firma non si capisce. Io che credevo che fosse un ri­cordo di suo padre!

Ninetta                          - O perché deve essere suo padre?

Andrea                          - Già, non so. Ma quando vedo sul petto di una donna che non è vedova il ritratto di un signore con la barba, penso sempre che sia suo padre. Sicché, voi non lo sapete?

Ninetta                          - No.

Andrea                          - Non l'avete mai veduto costui?

Ninetta                          - No. Io sono con la signorina dal tre febbraio del mille e novecento quattordici... Insomma sono vent'anni e due mesi...

Andrea                          - E in tutto questo tempo, nessuna barba?

Ninetta                          - Oh, povera signorina! Con la vita che ha fatto! Con tutti quei nipoti che doveva allevare, educare... dei diavoli!

Andrea                          - Che c'entra! Si può benissimo de­dicarsi alla educazione della gioventù e nello stesso tempo... Andate via, non avete niente da .fare?

Ninetta                          - Ma sa che è strano lei? Prima dà confidenza, poi all'improvviso...

Lucia                             - (compare: donna ben portante, ele­gante all'ottocento, cipiglio autoritario, cattedrattico) Ninetta! Non importunate il dotto­re! (Ninetta via) Caro dottore, mi scusi tanto se l'ho fatta attendere. Lei sa che non è nelle mie abitudini. Si sieda la prego. Ma non posso usci­re dalla mia camera se non sono completamente in ordine. La prima disciplina dev'essere eserci­tata sulla nostra persona. Ho perduto il meda­glione e ho dovuto cercarlo per mezz'ora. Non l'ho trovato. (Suona un campanello) Ninetta! Qui! Il pensiero di essere priva del mio meda­glione mi toglie assolutamente la possibilità di pensare.

Ninetta                          - Ha chiamato, signorina?

Lucia                             - Bada che oramai i miei ragazzi non possono tardare.

Ninetta                          - Tutto è pronto, signorina. Oh, che emozione!

Andrea                          - Che ragazzi?

Lucia                             - I miei nipoti. Ah, lei non sa. Due dei miei nipoti, Vincenzo e Giovanna, si sono sposati in questi giorni. Vincenzo è pittore: un bravo pittore, credo. È il primogenito di mia sorella Antonietta e la Giovanna è la secondo­genita di mio fratello Carlo. Cari!... Una storia commovente il loro amore che nacque tra i giuochi d'infanzia e si mantenne vivo per tanti anni. Oh, io l'ho seguito passo passo il loro pic­colo romanzo. Perché, ho educato anch'essi da quando balbettavano. Indovinai. Previdi tutto. Da cinque anni non li vedo...

Ninetta                          - Cinque anni e due mesi.

Lucia                             - Ninetta, sei ancora qui?

Ninetta                          - Devo andare?

Lucia                             - Ma naturalmente. Da quando in qua sei autorizzata a prendere parte alle conversa­zioni? Ah, no, aspetta. Volevo domandarti una cosa: hai trovato il mio medaglione?

Andrea                          - (porgendolo) Signorina, l'ho tro­vato io.

Lucia                             - (prendendolo) E non diceva nulla!

Andrea                          - Stavo per dirglielo.

Lucia                             - Ninetta, allaccia. (Ninetta esegue) Ora sto bene.

Andrea                          - Mi sono permesso di esaminarlo. (Ninetta via).

Lucia                             - Ebbene?

Andrea                          - Niente.

Lucia                             - Lei è un timido dottore. È frequente il caso di dottori timidi. È forse un compenso morale alla loro imprudenza fisiologica.

Andrea                          - Sarà.

Lucia                             - Veniamo a noi.

Andrea                          - Ha ricevuto? Ha letto?

Lucia                             - Sì, ho ricevuto e letto. Le dirò di più: ho letto prima ancora di ricevere.

Andrea                          - (felice) Intende dire?

Lucia                             - Intendo dire che me l'aspettavo. Quando la sua cameriera mi ha portato questa lettera (la trae di tasca) ho subito intuito di che si trattava.

Andrea                          - Grazie: questo significa in so­stanza. ..

Lucia                             - Questo significa in sostanza che io sono una donna intelligente e basta. Non corra con la fantasia, dottore. Tutti così i timidi: in­capaci di agire, fantasticano.

Andrea                          - (mortificato e timido) Insomma...

Lucia                             - Ah, già: lei attende una risposta.

Andrea                          - Permetta: prima di prendere una decisione...

Lucia                             - Vuole forse consigliarmi di riflet­tere? È perfettamente inutile, sa. Per tutta la mia vita dalla età di venti anni a questa parte, io non ho fatto che educare dei ragazzi. Per sette ragazzi io sono stata la madre putativa ed ho sempre insegnato loro che prima di parlare bisogna riflettere. Dica, dica pure, che cosa vo­leva dire?

Andrea                          - Ah, io non ricordo più. Probabil­mente volevo dire che tutto quello che ho scritto in quella lettera e che non avrei mai osato espri­merle a voce, è rigorosamente esatto.

Lucia                             - Le voglio credere.

Andrea                          - Sì, non si tratta, voglio dire, di fantasticherie, come dire?, di bollori. Perché legge? (Lucia infatti squadra col lorgnon una lettera).

Lucia                             - Niente: per ricordare alcune cose. (Sempre leggendo la lettera con l'aria di una maestra che esamina il componimento di uno scolaretto) Sì, sì: non c'è male. Ho trovato al­cune espressioni abbastanza originali. (Legge forte) « Ho passato tutta la mia vita al letto dei malati e non mi sono mai avveduto del male che avevo io ». Sì, sì, va bene. Per quanto « avve­duto » sia qui fuori di posto. Meglio era « accorto », ma non fa niente. Qui però... ecco il punto che lei dovrebbe spiegarmi. La sua let­tera finisce così: «Se il desiderio pacifico, an­che questo « pacifico » ha un significato poco chiaro, pacifico di formarsi una famiglia, di tro­vare una persona a cui interessarsi con tene­rezza, e a cui interessare, se il desiderio di avere un cuore alleato per affrontare con più coraggio l'ultima battaglia della vita, può ancora chiamarsi amore, ebbene signorina Lucia, io l'amo e ho l'onore, eccetera, eccetera... ». Che cosa vuol dire tutto ciò?

Andrea                          - Ma, mi pare chiaro. Sì, dico. Sa­rebbe ridicolo che un uomo della mia età le si buttasse ai piedi piangendo.

Lucia                             - Ridicolo? Se lei amasse non pense­rebbe al ridicolo. Le dico di più: assai diffi­cilmente è possibile giungere al cuore di una donna se si ha paura di attraversare la zona delle sciocchezze.

Andrea                          - Ma io, vede signorina, sono con­fuso... Come devo dire?... Insomma, io non oso parlare d'amore. Ho cinquant'anni. A venticin­que, subito dopo la laurea, mi fidanzai con una signorina molto bella e seria che sarebbe stata certamente la mia felicità. Morì dopo un anno. Da allora io non ho più potuto pensare all'a­more. Da due anni, da quando lei, signorina Lu­cia, ha ripreso ad abitare questa villa, io ho avuto occasione di vederla tutti i giorni. E più vedevo lei e più mi pareva che la mia casa fosse vuota, la mia vita inutile. Amore?

Lucia                             - Vediamo, vediamo di chiarire le idee. Risponda a una mia domanda: che cosa farebbe lei se io la cacciassi di casa e le proi­bissi di vedermi mai più?

Andrea                          - Non so, sarei molto addolorato... E poi...

Lucia                             - Penserebbe alla morte?

Andrea                          - Non dico questo.

Lucia                             - Non mediterebbe di uccidersi, di rinchiudersi in un convento, in un luogo soli­tario? Insomma, lei continuerebbe a curare le polmoniti come se niente fosse.

Andrea                          - Aspetti che ci pensi bene. Ecco: se lei fosse così crudele con me, io mi sentirei definitivamente vecchio.

Lucia                             - Ma allora mi dica senz'altro che lei scrivendomi questa lettera non ha fatto altro che fare a sé stesso una prescrizione terapeutica. Sì: lei si è scoperto la malattia della vecchiaia e ha detto: recipe: una moglie, per illudermi di es­sere ancora giovane. A dosi. Agitare prima dell'uso. Lontano dai pasti.

Andrea                          - No, lei non mi ha capito.

Lucia                             - Ho capito benissimo.

Andrea                          - D'altra parte, anche lei per quanto ancora giovane, ha un passato.

Lucia                             - Si spieghi.

Andrea                          - Anche per lei, l'amore... Sì, an­che lei ha già amato, quando era tempo. Poi non ci ha pensato più, come me. Lei ha curato degli spiriti, come io ho curato dei corpi am­malati. No?

Lucia                             - Finisca.

Andrea                          - E allora io ho pensato: ecco una vita che somiglia alla mia, ecco una vita, mi­nacciata, come la mia, dalla solitudine. Salvia­moci a vicenda. Io sono un uomo sano, ancora capace di lavorare, non privo di mezzi per la tranquillità... Ella è ancora giovane, energica, colta, non priva di mezzi... Sì, io parlo chiaro... ho pensato a tutto.

Lucia                             - (con commiserazione) No, dottore, lei non ha pensato a tutto. Lei vede tutte le cose da un punto di vista puramente fisiologico: sano, capace, non privo di mezzi. È un modo indubbiamente saggio di considerare la cosa, ma allora bisogna trovare un altro tipo di donna. Perché non cerca qualche infermiera? (Ride). Via, risponda a una mia domanda: Che cosa le fa pensare che io abbia amato quando era il tempo?

Andrea                          - Ma, quel medaglione...

Lucia                             - Questo medaglione? Sì... Io ho amato quest'uomo.

Andrea                          - Scusi... È morto?

Lucia                             - Non lo so.

Andrea                          - Disperso in guerra, forse?

Lucia                             - Non lo so, non so.

Andrea                          - Come non sa?

Lucia                             - (pausa) Non so nemmeno se valga la pena di dirle tutto. Ma sì. Così lei potrà comprendere la enorme distanza che passa tra me e lei. Io quest'uomo non lo conosco, non l'ho mai visto, non so chi sia.

Andrea                          - No?

Lucia                             - No.

Andrea                          - E l'ha amato?

Lucia                             - Lo amo ancora.

Andrea                          - (sempre più stupito) Ah!

Lucia                             - Non faccia delle meraviglie e delle ironie. Lo sapevo che lei avrebbe preso questa strada, ma è sbagliata. Basta, l'avverto che lei sta per diventare ridicolo.

Andrea                          - Dica quello che vuole, ma io sono stordito. Mi permetterà almeno di essere stor­dito.

Lucia                             - Sì. Glielo permetto. Per lei deve essere come una pazzia, vero? Una cosa inve­rosimile. Ma nella vita dello spirito... No, ora basta. Mi pare che non abbiamo più nulla da dirci. Non sia in collera con me. Vuole la sua lettera? (Gliela porge). Guardi che ho fatto al­cuni segni in rosso. Non sono errori veri e pro­pri, ma improprietà. Se vuole rendersi conto per un'altra volta... La parola «filastrocca», per esempio, è meglio levarla. In una lettera d'amore è meglio dire: lunga chiacchierata, congerie di cose messe insieme, litania, tiritera, filatera, filatessa... Faccia lei.

Andrea                          - Grazie. Ma io non riesco a capire come mai...

Lucia                             - Che cosa?

Andrea                          - Mai visto?

Lucia                             - (sorridendo con compassione) No, mai visto. Guardi: mi segua. Lei è stato inna­morato, vero? Lo ha detto poco fa. Ha parlato anche di felicità. Bene, ciò significa che quella signorina realizzava il suo ideale d' amore. Quando l'ha incontrata, lei ha detto a se stesso: ecco il mio ideale. Poniamo che lei non l'avesse incontrata. Che cosa sarebbe accaduto? Che lei sarebbe andato in giro per il mondo con questo ideale non realizzato.

Andrea                          - Un momento. La mia fidanzata realizzava il mio ideale, ma se non l'avessi in­contrata il mio ideale sarebbe stato un altro.

Lucia                             - Si vergogni! Ciò vuol dire che lei tradiva quella donna prima ancora di averla conosciuta.

Andrea                          - Oh, cielo! Non capisco. Io ri­nuncio.

Lucia                             - Ma che c'è di strano? Io sentivo che non avrei mai potuto amare che un uomo nobile, studioso, ordinato, probo, poeta, silen­zioso.

Andrea                          - Va bene. Fin qui, va bene.

Lucia                             - E devo dir tutto! Mi dia la sua parola che non ripeterà questa cosa con nes­suno. Badi: è il segreto della mia vita. Glielo confido per darle una prova di amicizia. Pro­mette ?

Andrea                          - Prometto.

Lucia                             - Prendevo il treno di qui per an­dare a Milano. Mia sorella si era ammalata e i bambini avevano bisogno di una assistenza ma­teriale e morale. Salii in uno scompartimento di prima classe che era vuoto e mi disponevo a leggere qualche trattato che avevo preso con me per ingannare il tempo, quando, quasi su­bito l'occhio mi cadde su un quadratino bianco che giaceva sul sedile di fronte al mio. Lo rac­colsi. Un ritratto: questo. Il cuore mi diede un balzo. Guardai lungamente questi occhi azzurri e malinconici, questo volto pallido e fine, que­sta bocca piccola e sottile, questa testa dal por­tamento fiero. No, dottore, non rida, io rico­nobbi in questa immagine l'uomo dei miei so­gni. Lo guardi, lo guardi bene. Ecco una fronte che cela un alto tormento, un pensiero alato: i capelli a spazzola indizio d'ordine, di equi­librio e di disciplina. (Andrea si liscia la testa calva). Che c'è?

Andrea                          - Io avevo i capelli tagliati a spaz­zola.

Lucia                             - L'occhio, lo guardi. Non è dolce, tenero, sognante? La barba poi, alla nazarena, ma nera dà l'ultimo tocco al quadro, portan­dovi un senso di solidità morale, di fermezza, di superiorità. Hanno torto gli uomini d'oggi a non portare la barba.

Andrea                          - Io l'ho tenuta fino a pochi anni fa... Era nera, alla nazarena. Mi stava bene.

Lucia                             - Ecco. Ho detto tutto.

Andrea                          - Ma poi, tutto finisce qui?

Lucia                             - E la dedica? Ma non osserva la strana coincidenza della dedica? Ha del miste­rioso, del fantastico. Il tuo sogno, Lucia. Il mio nome. Non è strano? Io vidi in questa circo­stanza un segno del destino.

Andrea                          - E non lo cercò mai?

Lucia                             - Oh, può pensarlo? Per anni. L'ho cercato per anni. (Commovendosi) E l'ho at­teso sempre.

Andrea                          - Scusi, una domanda sola: se quest'uomo le comparisse dinanzi adesso, domani...

Lucia                             - E che importa quando? Lo vede, dottore, che non ci si intende? Oggi, domani, sempre.

Andrea                          - E va bene. E adesso io le con­fesso che non so più che dirle...

Lucia                             - Ci ripensi...

Ninetta                          - (entrando in festa) Signorina, si­gnorina, sono qui, sono qui...

Lucia                             - (emozionata) Oh, i miei ragazzi... Proprio adesso... Non posso, li riceva lei, dot­tore... Sono giovani, innamorati, due ideali che si sono incontrati... La prego, dottore, sono troppo agitata... (Via).

Ninetta                          - (rientra all’indietro facendo mille in­chini) Bene arrivati, bene arrivati! Che feli­cità per la signorina! Che felicità!

                                      - (Entrano prima Giovanna e Vincenzo, quindi un terzo, Giangiacomo, che si mette a parte molto dignitoso. Giovanna e Vincenzo sono tutt'altro che allegri, ma il loro stato d'animo è caratterizzato soprattutto dalla seccatura di non potere essere più allegri).

Giovanna                      - (baciando Ninetta) Come va, Ninetta?

Ninetta                          - Come è bella, signorina... Si­gnora...

Giovanna                      - È lo stesso, va'.

Vincenzo                       - (serio e autorevole, in contrasto col suo aspetto giovanilmente disinvolto) Ciao, ciao cara. E la zia dov'è?

Ninetta                          - Ma... Era qui...

Andrea                          - (avanzandosi) Ora verrà subito. Era tanto commossa...

Vincenzo                       - (al dottore) Scusi, lei è?...

Andrea                          - Sono il medico condotto del vil­laggio. Dottor Marini.

Giovanna                      - Oh, molto interessante.

Andrea                          - (a Giangiacomo) Lei è lo sposo?

Giangiacomo                 - No. Io sono della comitiva. Lo sposo è quello lì.

Vincenzo                       - (presentandosi al dottore) Vin­cenzo Di Fassi, pittore.

Andrea                          - Mi scusi.

Vincenzo                       - Il mio amico Giangiacomo Pa­stori, detto Giangià. Ha viaggiato con noi.

Andrea                          - Come? In viaggio di nozze?

Vincenzo                       - In viaggio. L'abbiamo trovato l'altro ieri a Firenze. Doveva venire da queste parti. Un vecchio amico!

Andrea                          - Ah! (Imbarazzato) Hanno fatto benissimo di venire dalla loro zia... Una se­conda madre, lo so. Mi ha detto che ha edu­cato per quindici anni una mezza dozzina di nipoti.

Giovanna                      - Verissimo, esageratamente vero.

Vincenzo                       - (seccato, a Giovanna) Giovanna, fammi il piacere.

Giovanna                      - Be'? Che ho detto? Ho detto qualche cosa di sconveniente? Giangiacomo, dica lei.

Vincenzo                       - Non vedo perché tu vada cer­cando l'opinione di un altro, una volta che io ho espresso la mia.

Giovanna                      - Io ho piacere che Giangià mi approvi.

Vincenzo                       - Ma scusa, andiamo. Se lo fai per irritarmi... Nei rapporti fra te e me, non ci deve essere che una sola approvazione.

Giovanna                      - Quella del pubblico. (Indicando Giangiacomo) Eccolo. (Al dottore) Scusi, ora c'è anche lei.

Vincenzo                       - (irritato) Giovanna.

Giangiacomo                 - Zzzz!

Vincenzo                       - Ma è meglio non ascoltarti nem­meno. Io sono un artista e non un burattino. Dopo tutto...

Andrea                          - Su, su, via, piccole burrasche gio­vanili. Sciocchezze. Specialmente quando ci si ama, quando si è finalmente realizzato il pro­prio sogno...

Giovanna                      - Oh... Ma lei pensa che noi siamo ancora ai sogni?

Vincenzo                       - (al dottore) Ecco, lei mi deve fare il piacere di stare zitto, perché sta per ve­nire fuori un'altra delle sue trovate geniali. Di' pure, di' pure. A me oramai non fa più nessuna impressione, sai. Al massimo è il mio buon gu­sto che ci patisce.

Giovanna                      - Oh, il buon gusto.

Vincenzo                       - È la sola cosa nella quale un artista non accetta lezioni. (Urtato) E poi...

Giangiacomo                 - Zzzz!

Vincenzo                       - Ma sì, è meglio non stare nem­meno a sentirla.

Andrea                          - (che capisce sempre meno) Bene, io posso anche andarmene.

Giovanna                      - (al marito) Vedi? Fai scappare la gente. Resti, dottore, non abbia paura. È fi­nita.

Andrea                          - No, grazie, preferisco andarmene. Ho da fare. Una sola cosa devo dire a tutti e tre: la zia... È anche sua zia, vero? (a Gian­giacomo).

Giangiacomo                 - No, mai vista.

Vincenzo                       - Non gliel'ho detto, che è un amico? Un mio amico. Veniva da queste parti. Ha una villa.

Andrea                          - Una villa qui? E dove?

Giangiacomo                 - Alla Frana.

Andrea                          - Non è molto lontana. Benissimo. Volevo dire che bisognerà usare prudenza con la zia.

Giovanna                      - (con sincero trasporto) Che cosa ha? È malata?

Andrea                          - Malata no. Ma per tutto un com­plesso di cose, il cuore... No, niente di grave. Ma è meglio evitare di darle dei dispiaceri. Siano prudenti, ecc. Mi limito a raccomandare loro la prudenza. Ecco, permesso? Buon gior­no... (Via).

Giovanna                      - Che buon uomo deve essere quello lì. (Ride).

Vincenzo                       - Se credi d'essere di buon gusto...

Giovanna                      - Ma finiscila con questo tuo buon gusto.

Vincenzo                       - Io sono un artista.

Giovanna                      - Un artista che ha buon gusto è un imbecille.

Vincenzo                       - (alza le spalle) Uffah! Io dicevo che ti fai conoscere subito.

Giovanna                      - E tu no? Hai trovato modo di dire due o tre volte in cinque minuti che sei un artista.

 Vincenzo                      - Farsi conoscere per un artista non può fare una cattiva impressione. Ma tu ti fai conoscere come una pazza.

Giovanna                      - Senti, Vincenzo, sono sempre stata costretta a mentire con mio padre, a men­tire con mia madre, a mentire con la zia, a mentire con tutti i parenti: ora che sono spo­sata dovrei mentire anche con te e col medico del villaggio?

Vincenzo                       - (a Giangiacomo) La senti?

Giangiacomo                 - Vuoi che vada a fare due passi nell'orto?

Vincenzo                       - Per carità. Oramai... Le sue teo­rie le sai tutte: l'amore è un divertimento di lusso, il matrimonio è un risultato di coinci­denze fatali, la vita sociale in comune è un ballo al ritmo di una musica che suonano gli altri... Non credo, dopo tutto ciò, che ci possa essere altro.

Giovanna                      - Scusi, Giangiacomo: lei ha an­cora i suoi genitori? La mamma, il babbo?

Giangiacomo                 - No.

Giovanna                      - Da molto tempo?

Giangiacomo                 - Sì, nacqui il cinque aprile e la primavera sbocciava nel suo più abbagliante fulgore...

Giovanna                      - Piano. Io non le ho chiesto la sua biografia.

Giangiacomo                 - Strano. Le donne la chiedono tutte...

Giovanna                      - Ah, è per questo che lei ne aveva una pronta, di tipo romanzato?

Giangiacomo                 - Sì, ma ne ho un'altra. Tipo enciclopedia popolare.

Giovanna                      - Insomma, ha famiglia lei?

Giangiacomo                 - No. Solo e libero.

Giovanna                      - Allora non può capire i discorsi che facciamo io e mio cugino.

Vincenzo                       - Marito.

Giovanna                      - Va bene. Lei, insomma, non ha avuto una famiglia, non ha dovuto vivere con persone amate...

Giangiacomo                 - Purtroppo.

Giovanna                      - Purtroppo? Ma ha mai pensato lei a ciò che costerebbe essere, per esempio, il primogenito di Vercingetorige?

Giangiacomo                 - Ma chi era?

Vincenzo                       - Caro mio, la storia è il suo forte.

Ninetta                          - (entrando) La signorina dice alla signorina Giovanna di entrare un momento.

Giovanna                      - Subito. Permette? (Via Ninetta e Giovanna).

Giangiacomo                 - Sai che quest'affare di Ver­cingetorige non l'ho capito?

Vincenzo                       - Ma sì, ci vuol tanto?

Giangiacomo                 - Sarò imbecille...

Vincenzo                       - Ma no, non sei abituato alla vita di famiglia, ecco tutto. La famiglia aguzza l'in­gegno. Giovanna vuol dire in sostanza che tra la generazione passata e la nostra, tra i nostri genitori e noi, la differenza è tale e tanta che la nostra generazione si trova a non potere ri­solvere la propria vita secondo le proprie idee e le proprie tendenze, senza sacrificare o i ge­nitori o se stessa. Siamo a una svolta pericolosa del secolo, mio caro, e noi siamo capitati pro­prio a dovere sopportare il peso della sterzata.

Giangiacomo                 - (imbambolato) Ah, e queste cose le hai capite proprio tu? Tu hai pensato a queste cose?

Vincenzo                       - Io? Ma ti pare che io perda il tempo in queste bazzecole? È stata lei. Tutta filosofia sua.

Giangiacomo                 - Ma tu le dai ragione.

Vincenzo                       - Naturale. Del resto tu devi avere capito una cosa, in questi due giorni. Sì, devi avere capito che noi, io e mia moglie, cioè mia cugina... non siamo fatti per farci felici reci­procamente.

Giangiacomo                 - Infatti. Francamente... la si­gnora mi pare abbia un carattere...

Vincenzo                       - Oh, è ottima, sai? È un'ottima creatura, ma non è per me. Come io non sono per lei. Siamo delle pennellate sbagliate nel gran quadro della natura.

Giangiacomo                 - Ma allora perché vi siete sposati ?

Vincenzo                       - Perché otto anni fa, tra la gioia del parentado, ci fidanzammo.

Giangiacomo                 - E perché vi fidanzaste?

Vincenzo                       - Perché otto anni fa avevo di­ciassette anni e lei sedici. Poi ci fu qualcuno, mia zia per esempio, che mi insinuò il sospetto che forse io ero innamorato di Giovanna. Non c'è cosa più pericolosa del sospetto. Ci convin­cemmo presto che eravamo innamorati. E forse lo fummo.

Giangiacomo                 - Oh, povero amico mio...

Vincenzo                       - Povero io? E lei no?

Giangiacomo                 - Ma perché giungere a questo . punto? Non potevate agire, provvedere?

Vincenzo                       - Una parola. Ma te lo immagini che cosa sarebbe successo se, dopo tanti anni di fidanzamento, l'avessi piantata? Si sarebbe sca­tenata una furibonda lotta fra le famiglie. Do­lori, svenimenti, due o tre morti di crepacuore, lei in convento...

Giangiacomo                 - Lei in convento?

Vincenzo                       - Lo pensavo io. Ecco, vedi, il vero male è che io non lo sapevo che la mia fidanzata era stanca di me, come io di lei. Io pensavo appunto che lei sarebbe finita in un convento e lei era convintissima che, una delle due: o mi gettavo da un quinto piano, o fuggivo ad arruolarmi nella legione straniera.

Giangiacomo                 - E quando vi siete spiegati?

Vincenzo                       - Otto giorni fa. La prima notte di matrimonio. Cioè, si è spiegata lei. Natural­mente di fronte alla sua spudoratezza, da prima io ho seguitato a tenere su il mio punto, perché sono un tipo orgoglioso e poi non si può essere sinceri in due in una famiglia. Tu capisci bene che se mi spiegavo subito finivamo per odiarci... Poi a poco a poco ho lasciato correre... Ho smesso di piangere...

Giangiacomo                 - Hai pianto?

Vincenzo                       - Sì, ho ritrovato l'arte di pian­gere che mi aveva insegnato mia zia. Mia zia, fin che non mi vedeva piangere, non cessava di predicare e io piangevo subito. Effetto sicuro anche con mia moglie. Diceva delle verità la prima notte di matrimonio, delle verità che... Una delle due, o ridere o piangere. Non so perché ho preferito piangere. Mi pareva più so­lenne, più dignitoso dato il momento.

Giangiacomo                 - È il colmo! E adesso? Che cosa intendete di fare?

Vincenzo                       - Ecco qua. Sto per dare bat­taglia.

Giangiacomo                 - A chi?

Vincenzo                       - Alla zia. Lei è la responsabile del nostro matrimonio. Pensi lei a risolvere la situazione.

Giangiacomo                 - Adesso?

Vincenzo                       - Adesso.

Giangiacomo                 - Ma... Le vuoi dire la verità?

Vincenzo                       - Sicuro. Veramente il progetto non è mio. È di Giovanna, ma io l'approvo.

Giangiacomo                 - Ma la legge?

Vincenzo                       - La legge, la legge... Fin che non c'è un fatto compiuto...

Giangiacomo                 - Come? Non...

Vincenzo                       - Te l'ho detto. Non abbiamo fatto altro che discutere.

Giangiacomo                 - (nervoso) Ma insomma, che vuoi fare?

Vincenzo                       - Annullare. Si può. Se la zia vuo­le, si può ancora.

Giangiacomo                 - Ma che c'entra la zia?

Vincenzo                       - La zia ha una grande autorità presso tutti i nostri genitori. Quando dice una cosa lei è sacra. Se no, è inutile. Siamo da capo con le tragedie. Muore mia suocera, mia madre mi maledice, mio padre si abbandona alla ne­vrastenia. Capisci? Il perno di tutto è la zia, la zia è la famiglia, la tradizione, la legge, il co­stume, il destino.

Giangiacomo                 - Oh, guarda!

Vincenzo                       - E tu mi devi assistere. Tu sarai il mio avvocato. Perché mia zia è tremenda. Ma con te, siccome non ti ha educato...

Giangiacomo                 - Cattiva?

Vincenzo                       - No, ma dura. Quando si mette in testa una cosa... Hai mai bevuto il caffelatte col cacao, senza averne voglia?

Giangiacomo                 - Io no.

Vincenzo                       - Adesso, per esempio, hai voglia di caffelatte col cacao?

Giangiacomo                 - Niente affatto.

Vincenzo                       - No? Lo berrai. Una tazza così. Mia zia ha sempre avuto questa idea: che nes­suna coscienza umana possa resistere di fronte a una tazza di caffelatte col cacao. Non c'è mai stato modo di farle credere che ci repugnava. Solo a pensarci mi vengono i brividi. E se tenti di ribellarti ti trascina di violenza nel senti-mento. Non c'è niente da fare.

Giangiacomo                 - No, no. Non so storie io. Troppi pasticci.

Vincenzo                       - Lo so.

Giangiacomo                 - Io non mi occuperò di questa faccenda. Però, potevi parlarmene prima. Ti avrei detto francamente che non potevi contare su di me. Ad un amico non si giuocano certi scherzi.

Vincenzo                       - Ma che ti piglia?

Giangiacomo                 - Scusa... Non c'è nessuna ra­gione che per salvare te io debba mettere in pericolo me.

Vincenzo                       - E che pericolo?

Giangiacomo                 - So io... Niente, io me ne vado.

Vincenzo                       - Che pericolo?

Giangiacomo                 - Oh, insomma, franchezza per franchezza. Credi proprio che io mi sia accodato al tuo carro nuziale per la tua bella faccia?

Vincenzo                       - No?

Giangiacomo                 - No, naturalmente. Io ho ve­duto un amico e poi una giovane sposa, bella, intelligente, attraente... Mi spiego? Tutto que­sto non sarà straordinario spero.

Vincenzo                       - Naturalissimo. Chi ti dice niente?

Giangiacomo                 - Grazie. Tu! Tu sapevi tutto. Ma io no. Se io avessi saputo come stavano le cose, già non sarei venuto con voi, o anche se fossi venuto non mi sarei compromesso.

 Vincenzo                      - Compromesso? Disgraziato, che hai fatto?

Giangiacomo                 - Niente d'irreparabile, si in­tende.

Vincenzo                       - Nemmeno tu. Allora?

Giangiacomo                 - Ma io ho fatto la corte a tua moglie. Era mio dovere no?

Vincenzo                       - Perfettamente. E lei ci stava, scommetto.

Giangiacomo                 - Be', adesso lasciamo andare. Il fatto è che io ho detto delle cose, delle cose... Sai, quando si fa la corte a una donna si dicono delle cose...

Vincenzo                       - Avanti!

Giangiacomo                 - Ma, insomma, tu non capisci proprio niente...

Vincenzo                       - Che cosa hai detto?

Giangiacomo                 - E chi si ricorda. Certo devo averle detto che mi sentivo molto solo, non so, che se il destino mi avesse fatto incontrare una donna come lei... che con una donna come lei il matrimonio non era più una istituzione so­ciale, ma un abbonamento permanente alla feli­cità. Sai, tutte cose che dette a una donna mari­tata e innamorata del marito non hanno un significato e dette a una donna infelice che sta per dividersi legalmente, ne hanno un altro.

Vincenzo                       - (pensoso) Però, è strano. Tu sei riuscito a dire tutte queste cose a mia moglie ed io non me n'ero accorto...

Giangiacomo                 - Be', questo è naturale.

Vincenzo                       - A pensarci bene, tu non sei poi quel gentiluomo che sembri.

Giangiacomo                 - Senti caro, se vuoi un duello...

Vincenzo                       - Ma ti pare! Io facevo una osser­vazione puramente astratta e generica.

Giangiacomo                 - Insomma, mi dispiace dirti che sbrigati i miei affari qui, io ti saluto e se vorrai farmi sapere come è andata a finire, mi manderai una cartolina.

Vincenzo                       - Bell'amico!

Giangiacomo                 - Già, ma che cosa vorresti da me?

Vincenzo                       - Assistenza, compagnia, sostegno morale. Tu sarai simpaticissimo alla zia. Ha una passione per i giovani che non hanno ancora scelto una carriera nella vita.

Giangiacomo                 - E tua moglie dove la metti?

Vincenzo                       - Ma scusa, ti ho forse pregato io di farle la corte?

Giangiacomo                 - No, ma io ero lanciato...

Vincenzo                       - Taci. Ecco la zia.

Lucia                             - (entrando al braccio di Giovanna) Oh, Vincenzo, mio caro Vincenzo.

Vincenzo                       - Zia, zia cara! Finalmente! (Si baciano).

Lucia                             - Ma come ti sei fatto bello! Guarda­telo! Gli si legge in faccia la felicità. (Confusa alla vista di Giangiacomo) E il signore?

Giovanna                      - Oh, scusa, zia, avevo dimenti­cato di parlartene. È un amico di Vincenzo. Ve­niva da queste parti per affari...

Vincenzo                       - Ho voluto che ti conoscesse... Mi sono permesso... Un vero amico. Giangia­como Pastore.

Lucia                             - Di passaggio?

Giangiacomo                 - Sì, sì...

Giovanna                      - Ma verrà qui tutti i giorni perché ha ordinato un ritratto a olio a Vincenzo.

Vincenzo                       - Come? Già... È vero.

Giangiacomo                 - Però...

Lucia                             - (a Vincenzo) E ti pare un soggetto artistico ?

Vincenzo                       - Oh, certo. Scusa, guardalo bene. Mettiti di profilo. Così. Guarda che linea.

Lucia                             - Sì, sì, sarà. Si accomodi, signore. Mi farà l'onore di prendere qualche cosa con noi. Cinque minuti soli e poi lasceremo questi ragazzi un poco in pace a godersi queste ore di giubilo. (Suona un campanello) Ninetta, servi.

Ninetta                          - (che è entrata) Subito, signorina, è tutto pronto.

Vincenzo                       - Ci siamo.

Lucia                             - Come dici?

Vincenzo                       - Niente zia.

Lucia                             - No, tu hai detto qualche cosa. Nien­te bugie eh?

Vincenzo                       - È stata Giovanna che ha parlato.

Giovanna                      - Io? Senti che sfacciato!

Lucia                             - Giovanna! Vergogna! Chiedi subito scusa a Cicì.

Vincenzo                       - (a Giangiacomo) Da bimbo mi chiamavano Cicì.

Giovanna                      - Scusami, Cicì.

Lucia                             - E tu dalle un bacio, via.

Vincenzo                       - (esegue con fatica).

Lucia                             - Ah! (a Giangiacomo) E il signore ha fatto degli studi?

Giangiacomo                 - Dice a me? Sissignora, ho frequentato regolarmente l'università.

Lucia                             - Dottore?

Giangiacomo                 - Non ancora... Cioè, mai più.

Lucia                             - Male, male... Solo valgono al mondo le opere compiute. Le opere lasciate a metà sono... Che cosa sono, Cicì, le opere lasciate a metà?

Vincenzo                       - Delle battaglie perdute, zia.

Lucia                             - Bravo. (Entra Ninetta con un vassoio colmo di tazze e di biscotti) Meriti proprio il tuo caffelatte col cacao. Vedi che io ricordo le tue debolezze? Giovanna da brava, aiutami a servire.

Giangiacomo                 - Se la signorina permette...

Lucia                             - Signore, se non le dispiace...

Giangiacomo                 - Scusi. Se la signorina per­mette io non prenderei il caffelatte col cacao.

Lucia                             - Oh, ma il signore non sa che cosa è il mio caffelatte col cacao. Non ne berrà di si­mile da nessuna parte. Versagliene una bella tazza piena. Domandi un po' a Cicì...

Vincenzo                       - Sì, veramente era molto buono, ma sai, non ho più lo stomaco d'allora e se proprio non ti dispiace...

Lucia                             - Oh, ma se è un tonico dello sto­maco! Che cosa sono queste sciocchezze. Gio­vanna...

Giovanna                      - Ma non lo vedi che scherza? Anche stamattina venendo qui diceva: Chi sa se la zia si ricorda del mio caffelatte col cacao...

Lucia                             - Birbone! Meriteresti che non te lo dessi.

Vincenzo                       - È giusto, non me lo merito. Non me lo dare.

Lucia                             - Ma per questa volta... (A Giangia­como) È sempre stato un discolo, sa? Ma era il temperamento d'artista che influiva sul suo ca­rattere. Io previdi che sarebbe stato pittore fin da quando aveva quattro anni. Aveva già un profondo senso del colore.

Giovanna                      - Già, aveva sempre il muso sporco.

Lucia                             - No, non esageriamo. Però non dava a vedere di essere un omino così elegante, così ordinato... Mi sembri un figurino da sartoria...

Vincenzo                       - Cosa?

Lucia                             - Si sta attenti quando parla la zia. Ma che cosa è quella cravattina, questi capelli impiastricciati, questa giacchetta striminzita? Un artista non è un uomo come tutti gli altri. Si deve vedere subito : capelli fluenti, cravatta svo­lazzante, vestiti comodi e un po' strani... Non farai mai nulla con quella riga nei pantaloni. Domani in paese compreremo tutto quello che ti occorre...

Vincenzo                       - (che ha finito di ingoiare il caffe­latte) Ma zia, non vorrai che io faccia della eccentricità. È passato il tempo che gli artisti si distinguevano per la loro sporcizia.

Lucia                             - Ed è appunto da quel tempo che i pittori sono scomparsi dalla faccia della terra. Del resto, dimmi tu, Giovanna, parla tu. Era forse questo il tuo ideale di sposo?

Giovanna                      - Oh, zia, io non posso più giu­dicare Vincenzo.

Lucia                             - Cara, questa risposta merita un premio.

Vincenzo                       - Dalle un altro po' di caffelatte col cacao.

Giangiacomo                 - Oh, Sì, sì...

Lucia                             - Prima al signore.

Giovanna                      - Sì, sì...

Giangiacomo                 - Grazie, squisito, ma ora ba­sta. Ecco, un poco solo...

Ninetta                          - (entrando) È venuto l'autista del signor Pastore con l'automobile.

Giangiacomo                 - (alzandosi) Vengo, vengo su­bito... Signora, signorina...

Lucia                             - Sono molto contenta d'averla cono­sciuta. Solo mi duole per quella laurea. Avrebbe dovuto prenderla.

Giangiacomo                 - Ha ragione, sono stato un di­scolo.

Lucia                             - Domani, mentre Vincenzo incomincerà il suo ritratto, mi riprometto di persua­derla a prendere finalmente la laurea...

Vincenzo                       - Mentre gli faccio il ritratto?

Lucia                             - Sì. Posare non gli impedirà di ascol­tare.

Vincenzo                       - Ma chi sa che faccia farà.

Lucia                             - Non è la faccia che importa: è l'a­nima.

Giangiacomo                 - Ecco, io sono già sistemato. Buona sera.

Giovanna                      - A rivederci Giangià.

Vincenzo                       - A domani. (Giangiacomo via).

Lucia                             - Era tempo che se ne andasse. Do­mani dovrà sentirmi. Ora non perdiamo tempo. Ora dovete raccontarmi tutto, tutto di questi ul­timi vostri giorni, giorni solenni e indimentica­bili. Tu qui e tu qui... (Li fa sedere su due cu­scini uno a destra e uno a sinistra della sua pol­trona formando un quadro edificante) E adesso ricordatevi che io vi ho insegnato a fare le aste, a compitare, che io ho guidato i vostri primi passi, che vi ho raccontato le storie degli antichi eroi e delle antiche virtù e poi ditemi la verità del vostro cuore. Siete felici? Uno alla volta. Sei felice?

Giovanna                      - (con fatica) Tanto.

Vincenzo                       - (con fatica) Tanto. (Chinano la testa come mortificati, mentre Lucia solleva cau­tamente il suo medaglione alle labbra e lo bacia).

Fine del primo tempo

ATTO SECONDO

La stessa scena.

                                      - (Su una poltrona quasi sdraiata è Giovanna che fuma una sigaretta guardando oziosamente il soffitto. Si ode il cinguettare degli uccelli e un canto agreste in lontananza. Giovanna si an­noia e appena gettata via una sigaretta ne riac­cende un'altra. Ninetta entra per faccende.)

Giovanna                      - (impaurita dall'ingresso furtivo della cameriera ha avuto il gesto di nascondere la sigaretta, che poi ostenta quando vede non trattarsi della zia) Ninetta, è questa la pace dei campi?

Ninetta                          - Come dice?

Giovanna                      - Niente.

Ninetta                          - Eh? Fuma?

Giovanna                      - Fumo, ma non dirlo alla zia. Le daresti un grande dispiacere.

Ninetta                          - E allora non fumi.

Giovanna                      - Dispiacerebbe a me. S'è visto nessuno stamattina?

Ninetta                          - Ho veduto il signorino.

Giovanna                      - È alzato! Lo credevo in letto.

Ninetta                          - No, no. Si è alzato presto. È an­dato in paese con la signorina per delle compere. Ma non può tardare. Tra poco suonerò io stessa il gong della colazione.

Giovanna                      - C'è ancora il vecchio gong?

Ninetta                          - Sì, signora. Un po' più debole, naturalmente. Almeno io lo sento meno.

Giovanna                      - Filosoficamente è la stessa cosa.

Ninetta                          - Signora, mi permette una do­manda?

Giovanna                      - Certo.

Ninetta                          - Quanto al dormire, adesso, si usa così come fanno loro, tra gli sposi?

Giovanna                      - Che cosa vuoi dire? Le camere divise?

Ninetta                          - Sì, la signorina zia si è meravi­gliata. Aveva fatto preparare apposta una ca­mera.

Giovanna                      - Sì. Si usa così. Tutti così.

Ninetta                          - E perché poi?

Giovanna                      - Per comodità. Quando si dorme se uno tira calci...

Ninetta                          - E quando non si dorme?

Giovanna                      - Ninetta! Sei sconveniente.

Ninetta                          - Ah, già. Scusi. (Ride vedendo Vincenzo che entra) Oh, come è vestito. Buon giorno, buon giorno! (Via ridendo).

Vincenzo                       - (indossa un cappello alla raffaella, un'ampia giacca di velluto alla cacciatora, cal­zoni a scacchi bianchi e neri ma non eccessiva­mente sfacciati. Deve avere qualche cosa di co­mune, ma molto alla lontana, col Marcello della Bohème. Osservandosi con irritazione) Ma fammi il piacere, guarda come mi ha conciato.

Giovanna                      - (ride) Bellissimo.

Vincenzo                       - Ma ti pare possibile?

Giovanna                      - Sì, è veramente un po' forte. Dovevi trovare il modo di rifiutarti.

Vincenzo                       - Non si può resistere. È mutile. Veramente lei avrebbe voluto che io mi mettessi un cappello... Se avessi visto che cappello aveva scelto! No, quel cappello no! Ho gridato «no » con tanta forza che per un attimo io ho avuto il sopravvento. Questo, alla fine, pare un basco. Un po' abbondante... Il cappellaio ne ha pa­recchi perché sono di un tipo adottato dall'asilo infantile del paese. Ho dovuto farlo un poco al­largare. (Se lo accomoda in testa davanti allo specchio) Pfu... Questo almeno... Che cosa hai da guardarmi?

Giovanna                      - Sembri un pittore.

Vincenzo                       - Sembro? Sono.

Giovanna                      - Voglio dire un pittore celebre.

Vincenzo                       - Lo sarò. Naturalmente fin che ho moglie...

Giovanna                      - Grazie.

Vincenzo                       - Non siamo d'accordo? Vuoi che ti dica la verità o dobbiamo cominciare anche noi come si usava una volta a dirci delle frot­tole per pura cortesia? (Pausa) Oh, ma questo silenzio è opprimente. Non hai portato giù il grammofono ?

Giovanna                      - È là. Ma lascialo stare.

Vincenzo                       - Facciamo almeno un poco di mu­sica. (Accenna).

Giovanna                      - Beato te. Tu sei felice.

Vincenzo                       - Sì, perché spero nell'avvenire.

Giovanna                      - Tu credi che la zia si renderà conto della nostra situazione?

Vincenzo                       - Perché no? Un po' alla volta.

Giovanna                      - Mah...

Vincenzo                       - Io ho cominciato ad accennare qualche cosa. Sì, stamattina in paese, per vendi­carmi di questi pantaloni. Cominciato, bada. Ho detto, serio, proprio serio, tutto a un tratto: Senti zia, poi che siamo soli...

Giovanna                      - Bene, avanti.

Vincenzo                       - Niente, avanti. Mi sono fermato lì. Cosa vuoi? Mi ha guardato con certi occhi e poi ha detto con un sussulto : « Oh, Dio, c'è qualche disgrazia? ». Allora io ho detto che non c'era nessuna disgrazia e basta.

Giovanna                      - (sfiduciata) Lo vedi?

Vincenzo                       - Ma bisogna stare attenti perché sviene. Sviene di sicuro.

Giovanna                      - Così noi dovremo vivere insieme sempre.

Vincenzo                       - Ma lavora anche tu. Tu ti limiti a mettere le mani avanti intessendo un piccolo romanzo d'amore...

Giovanna                      - Con chi, per esempio?

Vincenzo                       - Credi che sia cieco? Con Giangiacomo.

Giovanna                      - Te ne sei accorto? Io credevo di essere stata tanto prudente...

Vincenzo                       - Ma io intuisco. Ti leggo i pen­sieri negli occhi. Stai attenta. Fin che ci sono io, giudizio, se no... E lavora. Pensa, escogita qualche cosa di utile... Pensa che tra l'altro noi potremmo essere vittime all'improvviso delle de­bolezze della carne e allora addio salvezza.

Giovanna                      - Oh, per questo stai tranquillo.

Vincenzo                       - (pausa) Ma questo silenzio è ur­tante. (Mette in moto il grammofono che suona un jazz negro. I due si mettono macchinalmente a ballare).

Lucia                             - (entra e rimane estasiata a guardare i due ragazzi che ballano e poiché essi, veden­dola, smettono) No, no, ballate, ballate. Se smettete per me, vado via subito.

Giovanna                      - No, zia, siamo stanchi.

Vincenzo                       - Si ballava perché non sapevamo più che cosa dire.

Lucia                             - Senti qui, lo scontroso, che si ver­gogna di essere in paradiso.

Vincenzo                       - Ma che paradiso. Piuttosto, senti zia...

Lucia                             - Che cosa c'è?

Giovanna                      - Sì, zia, se hai un momento di tempo...

Lucia                             - Di tempo? Perché?

Vincenzo                       - Mettiti a sedere qui. Qui stai più comoda.

Lucia                             - Ma che cosa avete?

Giovanna                      - Vorremmo parlarti.

Lucia                             - Mio Dio!

Vincenzo                       - Ma non incominciare a impres­sionarti subito. Che cosa ti prende?

Lucia                             - Sì, avete ragione. Ma, sapete, non sono più abituata ai ragazzi. Mi pare anzi im­possibile di avere potuto vivere in mezzo a loro per tanto tempo. Mi fate l'impressione di proiet­tili che possono esplodere da un momento all'altro! Sì, è strano, ma è così. Prova ne sia che il mio cuore galoppa. Ah, si vede proprio che invecchio. Dunque, sentiamo.

Vincenzo                       - Ma prima calmati. Se mai, pos­siamo aspettare un altro giorno.

Giovanna                      - Sì, zia. Domani. Domani faremo due passi all'aperto...

Vincenzo                       - No, niente all'aperto. È meglio qui, nella sua comoda poltrona...

Lucia                             - Ma dunque, in nome di Dio che cosa avete? Parlate...

Giovanna                      - (butta in ischerzo il colloquio) Ah, ah, ci sei cascata. Ci sei cascata...

Vincenzo                       - Ci sei cascata!

Lucia                             - Che birbanti. E vi prendete gioco della vostra zia così?

Vincenzo                       - (serio) Ah, che bello scherzo.

Lucia                             - Vi prego, non fatelo più. M'aveva preso un affanno. (Ride) Cari... Come quindici anni fa... Ma io qui faccio tardi. Ho una casa da governare.

Giovanna                      - T'aiuto.

Lucia                             - No, niente, ferma là. Tu sei la re­gina perché sei la giovane sposa della casa. Bal­late ragazzi, ballate... (Tenta di fare andare il grammofono) Come si fa con questo arnese?

Giovanna                      - (lo mette in moto).

Lucia                             - Ballate... (/ due ballano come pri­ma) Cari! (Resta un attimo a guardarli come in estasi, poi offesa dai suoni che vengono dal grammofono) Ma che razza d'inferno è questo? (Se ne va).

                                      - (Rimasti soli i due smettono lentamente e cau­tamente di ballare fino a che non siano certi di non essere osservati dalla zia).

Vincenzo                       - Uffah!

Giovanna                      - No, no, così è impossibile...

Vincenzo                       - Due cannonate di commozione ed eccoci qui, sbaragliati. Ah, il sentimento!

Giovanna                      - Ma come facevano a vivere una volta ?

Vincenzo                       - Così fragili!

Andrea                          - (mostrandosi al fondo) Disturbo? Permesso?

Vincenzo                       - Venga avanti, venga avanti.

Giovanna                      - Buon giorno. Vuole la zia?

Andrea                          - No, no, volevo proprio loro. So che la zia alla mattina ha molte cose da fare e ho pensato che era il momento migliore per avere un breve colloquio con loro. (A Vin­cenzo) Oh, guarda come è vestito. È la sua te­nuta da lavoro?

Giovanna                      - Vero come sta bene?

Andrea                          - Bel giovanotto. Poi si vede l'estro.

Vincenzo                       - Bene, ora basta. Che cosa c'è?

Andrea                          - (titubante) Ecco, so che loro si trattengono poco tempo e io non ho la como­dità di fare il furbo e di aspettare l'occasione. È una cosa molto importante e come devo dire? molto delicata.

Vincenzo                       - Si sieda, prego. Che cosa ac­cade?

Giovanna                      - Malattie forse?

Andrea                          - Malattie, no.

Giovanna                      - Dunque?

Andrea                          - Strano, non so da che parte co­minciare.

Vincenzo                       - Cominci dalla fine.

Andrea                          - Sarà meglio. Si tratta di matri­monio. Del matrimonio della loro zia.

Vincenzo                       - La zia si sposa? Che stupida.

Andrea                          - Lei mi toglie il coraggio di par­lare.

Giovanna                      - Non l'ascolti e venga al fatto.

Andrea                          - Ecco, vede? (Si pente) No, non è possibile. Mi avvedo che non è possibile. Par­lare di queste cose con dei giovani! Con dei gio­vani innamorati! Che cosa terribile il tempo! Venti anni di differenza ed ecco, non è più pos­sibile parlare insieme.

Vincenzo                       - Dottore, parli liberamente, non vede che ho un costume di cinquantanni fa?

Andrea                          - Lei scherza, ma io... (Reagendo) Insomma, io ho fatto sapere alla loro zia che io volontieri la sposerei. Se vogliono ridere, ridano pure.

Giovanna                      - Non c'è niente da ridere.

Vincenzo                       - Naturalmente. Non è mai tardi per farsi un focolare...

Giovanna                      - E allora? Come finisce questo romanzo?

Andrea                          - Niente romanzo, per carità. Siamo seri. Volevo sentire il loro parere in proposito.

Vincenzo                       - Insomma lei viene a chiederci ufficialmente la mano della zia.

Andrea                          - Ecco, press'a poco...

Vincenzo                       - Ma dico, ci ha pensato bene? Voglio dire ci sono delle intenzioni serie? Perché si fa presto a far girare la testa a una ra­gazza e poi...

Giovanna                      - No, Vincenzo, no...

Vincenzo                       - Tu stai zitta. Bisogna sapere le cose con chiarezza. Per esempio, può dirci qual­che cosa intorno alle sue condizioni economi­che? Perché non so se lei sa che la vita in due è più economica; ma costa il triplo.

Giovanna                      - Ma no, ma no...

Andrea                          - No, signora, il signore parla assen­natamente e io rispondo subito. Un po' la vita solitaria che costa la metà, un po' la professione che in qualche periodo rende, un po' qualche cosuccia di famiglia, un mezzo milione di lire circa... Come vedono, sono preparato alla vita in due e anche in tre.

Vincenzo                       - Come in tre? È un cinico lei?

Andrea                          - (vivace) Dico, se venisse un pic­colo... Non lo spero, non lo spero...

Vincenzo                       - Per carità, povero bambino...

Andrea                          - Perché?

Vincenzo                       - Ma sì, il cacao, Orazio Coclite...

Giovanna                      - Ma non perdiamoci in chiac­chiere. Ha già parlato alla zia?

Andrea                          - Sì, per lettera.

Giovanna                      - Ha risposto?

Andrea                          - Vagamente. Ma, vedono, la loro zia ha una psicologia, dirò così, un poco com­plicata per un medico. Ma insomma non mi pare che in fondo, in fondo, ci sia nulla che... come dire? mi precluda... Non so se dico la pa­rola esatta... la speranza... (Sbuffa) Intendia­moci bene: io non amo la signorina Lucia.

Giovanna                      - No? Allora?

Andrea                          - Ma le voglio tanto bene. E per spo­sarsi, ci vuole appunto questo.

Vincenzo                       - Sì?

Andrea                          - Certo. La famiglia, secondo me, non è un divertimento per due persone di sesso diverso. È un'altra cosa, più seria, più compli­cata, più nobile... Se non fosse così non avrebbe resistito per tanti secoli, no?

Vincenzo                       - Già... Non ci avevo mai pensato.

Giovanna                      - (interrompendolo) Va bene, lei vuole che l'aiutiamo a realizzare il suo sogno?

Andrea                          - Sogno...? Progetto!

Giovanna                      - Bene. Faremo quanto sta in noi. Per quanto, se lei sapesse tante cose, lei com­prenderebbe che in questo momento il nostro aiuto...

Vincenzo                       - Perché? Ma appunto per questo. Anzi. Lei sarà nostro zio. Deve essere nostro zio. Ce n'era bisogno perché non l'avevamo uno zio dottore... Avevamo uno zio colonnello, uno zio giudice... Ma uno zio dottore...

Andrea                          - Magari, magari...

Vincenzo                       - Ma lei deve incominciare ad es­sere nostro zio prima di esserlo. Abbiamo anche noi da realizzare...

Andrea                          - Un progetto?...

Vincenzo                       - Un sogno. Vero Giovanna? Un sogno. Noi aiutiamo lei a patto che lei aiuti noi...

Andrea                          - Ma certo. Di che si tratta?

Vincenzo                       - Ora le diremo. Una cosa seria, come la sua...

Andrea                          - Un matrimonio?

Vincenzo                       - Qualche cosa del genere, ma in un altro senso. Dunque noi aiutiamo lei e lei aiuta noi... Una mano lava l'altra. Benissimo. Ecco di che si tratta: lei è uomo di mondo e sa come vanno certe cose.

Giangiacomo                 - (entrando) Si può?

Giovanna                      - Avanti, avanti...

Vincenzo                       - (al dottore) Dopo, dopo. (Andrea va a salutare Giangiacomo mentre Vincenzo si avvicina a Giovanna per sollecitarne la appro­vazione).

Vincenzo                       - (a parte a Giovanna) Eh? Che ne dici?

Giovanna                      - Non ti illudere. Quello li non è un alleato serio.

Vincenzo                       - Perché?

Giovanna                      - Perché sarà nostro zio.

Vincenzo                       - Speriamo che non si affezioni subito. D'altra parte senza qualcuno che ci aiuti.

Giangiacomo                 - Buon giorno, signora.

Vincenzo                       - Ciao, bello.

Giangiacomo                 - Ma come ti sei conciato?

Andrea                          - Sa che cosa mi diceva questo si­gnore? Che le manca una cosa per essere per­fetto: una pipa.

Vincenzo                       - L'ho su in camera.

Giangiacomo                 - Benissimo, sarai un perfetto tipo di cantante.

 Andrea                         - Già da «Bohème». L'ho vista una volta, ho pianto come un vitello.

Vincenzo                       - Benissimo. Ha fatto bene a dir­melo. La zia ama la gente sensibile alla musica.

Andrea                          - (a parte, a Vincenzo) Se le può es­sere utile allo scopo l'avverto che io ho anche una discreta voce da baritono leggero, che tra l'altro in certi casi mi è stata utile. Per la pro­fessione.

Vincenzo                       - Cosa?

Andrea                          - Avrà letto in qualche parte che la musica è un potente mezzo terapeutico. Quando scientificamente non c'è una via chiara da se­guire, si tenta di influenzare il sistema nervoso del paziente.

Vincenzo                       - Con una romanza da baritono leggero.

Andrea                          - In mancanza d'altro.

Vincenzo                       - E guariscono?

Andrea                          - No, ma muoiono serenamente. Bene, io vado. Chiedo scusa a tutti ma mi aspet­ta un malato a un chilometro di qui. Signora, ossequi.

Vincenzo                       - Dottore, l'accompagno. (Ai due che restano mentre il dottore è già uscito) Torno subito. Posso tornare da un momento all'altro. (Via).

Giovanna                      - Ha sentito che cosa ha detto mio marito ?

Giangiacomo                 - Sì. Non mi pare di molto buon gusto...

Giovanna                      - Oh, i mariti...

Giangiacomo                 - (muovendosi per uscire) Mi farà la cortesia di dirgli che me ne sono andato subito.

Giovanna                      - No, via, non dia importanza a queste cose. Si sieda. Mi può ascoltare?

Giangiacomo                 - (imbarazzato) Veramente le dirò che sono venuto di passaggio. Volevo co­municare a Vincenzo che avevo ricevuto un te­legramma da Milano che mi obbliga a partire presto. Sabato al più tardi.

Giovanna                      - E dove va?

Giangiacomo                 - In Africa, alla caccia grossa. Era una cosa stabilita da molto tempo. Non c'era che da fissare la data. Ecco qua, i miei amici. (Mostra un telegramma) Vede? «Tutto sommato meglio partire subito imbarco mar­tedì Napoli Conte Grande ».

Giovanna                      - In Africa? Bene. Senta. Ho una ispirazione. Ieri, in treno, profittando dell'as­senza di mio marito, lei mi ha accarezzato una mano. No?

Giangiacomo                 - (a disagio) Sì, ma....

Giovanna                      - Dieci minuti prima di arrivare alla stazione, profittando della distrazione di mio marito che si divertiva a gettare delle buccie d'arancio dal finestrino, lei mi ha passato un braccio dietro la vita e tric... ha stretto.

Giangiacomo                 - Le ho fatto male?

Giovanna                      - Non dico questo. Quando mi è caduta la borsetta nell'andito oscuro di questa casa e ci siamo chinati tutti e due, lei ha tro­vato modo di darmi un bacio qui, dietro l'o­recchio.

Giangiacomo                 - Trovato modo... Trovato l'o­recchio. Ma insomma lei avrebbe dovuto prote­stare subito e non aspettare ventiquattro ore per sollevare dei reclami.

Giovanna                      - Io non sollevo reclami. Io do­mando semplicemente perché ha fatto tutto ciò.

Giangiacomo                 - Ma, così...

Giovanna                      - Si è reso conto della importanza di queste cose e delle responsabilità che esse comportano ?

Giangiacomo                 - Responsabilità? Un po' di corte... Un dovere... Lei è una bella signora... Suo marito è un mio caro amico... Che respon­sabilità?

Giovanna                      - Ma io non conto niente? E se mi fossi innamorata di lei?

Giangiacomo                 - Non lo dica! Come potrei cre­derlo? Lei dice di essere una donna moderna; ora una donna moderna deve sapere che le sto­rie che si raccontavano una volta sugli amori fulminei non sono più credibili.

Giovanna                      - Innamorata, forse no... Ma tur­bata... Non c'è nulla di romantico in tutto ciò.

Giangiacomo                 - Benissimo. Allora lei è tur­bata. E che cosa vuole da me?

Giovanna                      - (pausa) Una sigaretta? (Offre).

Giangiacomo                 - No, grazie.

Giovanna                      - Posso fumare io? Le dà noia?

Giangiacomo                 - Per carità.

Giovanna                      - È strano. Si direbbe che le ra­gioni per le quali lei mi fece l'onore di tante attenzioni siano scomparse del tutto. Forse non le piaccio più?

Giangiacomo                 - Oh, che dice? È deliziosa...

Giovanna                      - E allora?

GiAngiacomo               - Vede? Voglio essere franco con lei. Lo merita. Io sulle prime avevo cre­duto di avere di fronte a me una coppia di sposi felici. Ecco perché...

Giovanna                      - Ma, dico, non le pare un po' forte?

Giangiacomo                 - Perché? Io sono scapolo. Ora, gli scapoli da quando esiste il matrimonio sono attratti dalle felicità coniugali come le far­falle dalle lampade accese. Ma voi due non fate che bisticciarvi ogni momento e per qualsiasi causa. Non si fa così se ci si vuol fare amare. Ci vuole pace nelle famiglie. Insomma, signora, non fa piacere accorgersi di essere presi in con­siderazione da una donna soltanto perché è stanca del marito e cerca un appoggio per so­stituire il marito che intende piantare.

Giovanna                      - Ah, lei ha capito tutto questo? Ma come diventano intelligenti questi uomini!

Giangiacomo                 - Non mi vanto. Vincenzo si è confidato.

Giovanna                      - Che imbecille! Non lo credevo così vecchio stile.

Giangiacomo                 - Ma che vecchio stile, pove­raccio! Si metta nei suoi panni. Del resto, in questa materia è tutto vecchio stile. Anche lei.

Giovanna                      - Io?

Giangiacomo                 - Ma sì. In sostanza, le donne di oggi come quelle di ieri quando sono stanche di un uomo o quando lo pèrdono ne cercano subito un altro. In tutto questo armeggio l'a­more è un puro caso. Per le donne, l'impor­tante oggi come ieri è trovare un padrone a cui dare degli ordini.

Giovanna                      - La sa lunga lei.

Giangiacomo                 - Il bisogno aguzza l'ingegno.

Giovanna                      - Il bisogno di liberarsi di me?

Giangiacomo                 - Ma santo cielo! Perché le donne quando non sanno come risolvere il pro­blema della loro vita vanno a complicare la vita degli uomini? Insomma, lei ha un programma definito in testa?

Giovanna                      - Sì, io voglio vivere secondo la mia volontà, le mie inclinazioni spirituali, il mio gusto...

Giangiacomo                 - E lei crede che io le permet­terei tutta questa roba, più di quello che non gliela permetta suo marito? Ma padrone per pa­drone, perché non si cerca un principale? Si trovi un impiego : conquisti la sua indipendenza sociale e poi faccia tutto ciò che vuole.

Giovanna                      - Grazie del consiglio sentimen­tale. Ma insomma, lei parte.

Giangiacomo                 - Vado in Africa. Sabato sera.

Giovanna                      - Le chiedo un grande favore. Sa­bato sera lei mi rapisce.

Giangiacomo                 - Cosa?

Giovanna                      - Non fantastichi. Lei conosce la situazione. Ebbene devo dirle che io non ho al­cuna fiducia nelle trattative diplomatiche. Non si verrà mai a capo di nulla senza un colpo netto ed energico. Sabato sera lei viene qui sotto, fa un fischio, canta una canzonetta, io scendo e via. Poi mi deposita in qualche luogo e prosegue per conto suo. Mi basta l'aria dello scandalo. Non abbia paura perché sono capace di farle ottenere il nulla osta da mio marito.

Giangiacomo                 - (pausa) Bene, bene... Dopo tutto è come un servizio di tassì... E dove la sbarco?

Giovanna                      - Dove vuole, in Africa magari.

Giangiacomo                 - No. Preferisco prima. Ah... Che bel caso... La più curiosa avventura della mia vita... Il rapimento bianco di una donna che avrebbe potuto essere la mia amante... (In­terrompendosi) Ma dico, mi giuri che non sta facendo della caccia grossa.

Giovanna                      - Oh, lei crede di essere una bestia così importante?

Giangiacomo                 - Grazie. Allora a sabato. Una canzone...

Giovanna                      - Sì, ma diamoci un contegno. Po­trebbe venire qualcuno... Vuol sentire l'ultimo disco di musica negra? Non ne sentirà di simili nemmeno al Congo. Colore locale.

Giangiacomo                 - Infatti la musica negra è il colore locale del mondo civile.

                                      - (Suonano e ballano).

Lucia                             - (compare di nuovo sulla porta e resta stupefatta) Ma come? Non ballavi con tuo marito dianzi?

Giovanna                      - (che ha smesso di ballare) Volevo fargli sentire un disco nuovo.

                                      - (Il grammofono tace).

Lucia                             - Ma si ascolta con le gambe quella roba là?

Giangiacomo                 - Veramente io me ne stavo andando.

Lucia                             - Bel modo di parlare: me ne stavo andando.

Giangiacomo                 - Stavo...

Lucia                             - Niente stavo. Ero sul punto, sulle mosse. Ecco la giusta locuzione.

Giangiacomo                 - (seccato) Ma, senta, oramai, quel che ho imparato ho imparato.

Lucia                             - Comoda teoria.

Giangiacomo                 - (trattenendo un sospiro di im­pazienza) Insomma, ero sulle mosse per an­darmene e porgo all'eletta comitiva i miei sa­luti. Parto.

Giovanna                      - Pensa, zia, va in Africa alla cac­cia grossa. Che fortunato!

Lucia                             - Fortunato perché va ad ammazzare delle povere bestie feroci? Io non approvo i di­vertimenti violenti.

Giangiacomo                 - Ma, signorina, creda che anche giuocare a sette e mezzo è una ebbrezza che stanca, alla fine.

Lucia                             - Sì, sì, capisco. Spero che lei vorrà farmi la cortesia di ascoltare alcune cose che debbo dirle a quattr'occhi. Ho studiato il suo caso. Lei aveva bisogno che qualcuno mettesse in ordine la sua vita interiore e la indirizzasse.

Giangiacomo                 - Ma, vede... Ho molte cose da fare prima di partire.

Lucia                             - Non si tratta che di pochi minuti.

Vincenzo                       - (entrando) Eccomi qua.

Lucia                             - Dove sei stato?

Vincenzo                       - Io? Ho accompagnato il dottore.

Lucia                             - Il dottore era qui?

Vincenzo                       - Sì. Che caro uomo quel dot­tore...

Giovanna                      - Tanto caro.

Lucia                             - Ma che cosa voleva da te?

Giovanna                      - Ma niente, zia.

Lucia                             - Rispondi quando sei interrogata. Che cosa voleva?

Vincenzo                       - Ma niente. Abbiamo parlato del più e del meno.

Lucia                             - Guardami in faccia.

Vincenzo                       - (mostrandosi a volto aperto) Ec­comi. Non dico bugie. Guarda anche nella fronte, non si vede nulla...

Lucia                             - Bene, basta così.

Vincenzo                       - Che caro uomo quel dottore.

Giovanna                      - Sì, tanto.

Vincenzo                       - Parliamo un poco del dottore.

Giangiacomo                 - Scusa... Stavo... Ero sulle mosse per andarmene.

Vincenzo                       - No, via, un momento.

Lucia                             - Ma se il signore non può.

Vincenzo                       - Prendi almeno un vermouth. Zia, hai un vermouth?

Lucia                             - Niente vermouth. È un veleno.

Vincenzo                       - Sì, ma per un amico...

Giangiacomo                 - Grazie, caro, sei pieno di pensieri delicati.

Lucia                             - Se il signore vuole restare a cola­zione.

Giangiacomo                 - Grazie, signorina Lucia. (Le si avvicina per salutarla).

Lucia                             - (con circospezione) Senta, non mi farà, spero, lo scherzo di andarsene senza ascol­tarmi. Mi guardi negli occhi. Bravo. Ho capito tutto, sa? Tutto.

Giangiacomo                 - (che non riesce a tenere un con­tegno molto serio) Mi scusi, tutto che?

Lucia                             - Tutto. Ma non è questo il momento. Le dico soltanto che la sua decisione di partire, di allontanarsi per sempre, mi piace. La innalza ai miei occhi. Lei non va in Africa alla caccia grossa. Lei fugge il male che le insidia il cuore. Un amore infelice, non è vero?

Giangiacomo                 - Ma che cosa pensa? Un amore? (Ride). No, signorina Lucia. Permetta che le dia a mia volta un consiglio. Non si fidi della pedagogia, non ha mai servito che ad edu­care i maestri. (Ride ancora, ma i suoi occhi cadono sul medaglione e immediatamente il riso si spegne sulle sue labbra). To'...

Lucia                             - (coprendo pudicamente con la mano il medaglione) Eh?

Giangiacomo                 - (imbarazzato) Niente... do­mandavo se è antico...

Lucia                             - (mostrandoglielo) La rilegatura è del Cinquecento.

Vincenzo                       - Insomma Giangiacomo, deciditi. Te ne vai o no?

Giovanna                      - Non faccia cerimonie, resti a colazione.

Giangiacomo                 - Come? A colazione? Ma, ecco, se proprio volete e non disturbo...

Giovanna                      - L'ha invitato la zia, dunque...

Giangiacomo                 - Sì, molto gentile. Allora, re­sto. Il permesso di mandare un avvertimento a casa. Un attimo solo. (Via di corsa mentre gli altri lo seguono imbarazzati e stupiti del muta' mento).

Vincenzo                       - Ma che cos'ha?

Lucia                             - Eh, capisco io. Quell'uomo ha un tormento segreto...

Vincenzo                       - Prima di colazione è facile averne.

Lucia                             - No, no; so, io, capisco tutto...

Vincenzo                       - Sì? Allora spiegami il dottore.

Lucia                             - Il dottore? E che c'è da spiegare?

Vincenzo                       - Mi sembra tanto strano... Pieno di interesse.

Giovanna -                    - A me pare un imbecille.

Lucia                             - Questo no. Un medico, specialmente in campagna, merita tutto il nostro rispetto. Porta per i casolari la luce della scienza e della carità. Solo, per lande sconfinate combatte con­tro i pericoli di tutti. È una vita nobile. E non so poi quanti ne sentano la poesia come questo nostro dottore che tu definisci un imbecille, perché non capisci nulla.

Giovanna                      - Scusami, zia, hai ragione, non ci avevo pensato.

Vincenzo                       - Che uomini una volta!

Giovanna                      - Puoi dirlo! Voi giovani moderni, invece, non sapete nemmeno che cosa significhi amare una donna. Egoisti e presuntuosi, non pensate che a voi stessi e poi vi meravigliate se le vostre donne prendono il volo.

Lucia                             - (scandolezzata) Ma Giovanna, che cosa dici? Non ti vergogni?

Vincenzo                       - Lasciala dire, zia, se vuoi sen­tirne delle belle. Come se le donne d'oggi me­ritassero una particolare considerazione. Siete così poco interessanti che la fate venire voi la voglia di essere traditi. Perché è una libera­zione finalmente.

Lucia                             - Oh, cielo! E io li ho benedetti tutte le sere col segno della croce!

Giovanna                      - Calmati zia, tutto questo è per dire che dopo tutto capisco benissimo come un uomo del genere del dottore possa invece ren­dere felice una donna.

Vincenzo                       - Su questo siamo d'accordo. Non è vero, zia, che è così?

Lucia                             - (imbarazzata) Ma, può anche essere. Ma alla fine non ha preso moglie.

Giovanna                      - Potrebbe prenderla.

Lucia                             - (sospettosa) A quella età?

Vincenzo                       - Perché no? È forte come una quercia.

Lucia                             - Potrà essere abile alle fatiche di guerra, ma quanto all'amore inteso come sen­timento sovrano... figli miei... Ma dico, si può sapere perché abbiamo scelto questo strano ar­gomento di conversazione?

Vincenzo                       - In campagna... Che cosa si fa in campagna? Si parla del più e del meno...

Giovanna                      - E ci domandavamo come mai una donna come te, bella, colta, fine, non ab­bia mai pensato di profittare della sola cosa buona che avesse il tuo tempo: gli uomini.

Vincenzo                       - E sei ancora in tempo, zia...

Lucia                             - Ma,ma, ma... Che cosa imbrogliate? Che razza di discorsi vi permettete con me? Vi proibisco di mancarmi di rispetto, capite? Vi ho insegnato che la vecchiaia va rispettata. Sta' a vedere che a questa età mi devo sentir par­lare del mio matrimonio proprio da voi.

Giovanna                      - E non mi hai sempre parlato tu del mio?

Lucia                             - Ma, grazie a Dio, io avevo qualche cosa da insegnarti. No?

Giovanna                      - Scusa, zia, credi proprio che non abbia nulla da insegnarti io? Se venisse al mondo Maria Stuarda non potrei forse darle de­gli ottimi consigli sul modo di comportarsi?

Lucia                             - Ma senti, senti...

Vincenzo                       - È fatta: attacca con la storia.

Lucia                             - Ma benedetta ragazza, tu hai quat­tro secoli di vantaggio su quella sventurata.

Giovanna                      - Questo significa che io sono più vecchia di lei di quattro secoli. Come sono più vecchia di te di venti anni.

Vincenzo                       - Sì, sì, ha ragione lei... Quando mi cullavi tra le tue braccia, credevi di avere a che fare con un bambino, non è vero? Niente affatto: ero tuo nonno.

Lucia                             - Oh, la mia povera testa. Vi confesso che provo una profonda umiliazione nel sen­tirmi oramai incapace di tenervi testa. Siete cat­tivi... Non dovete burlarvi di me. (Si intene­risce) Non ho altro bene che voi, a questo mondo.

Vincenzo                       - No, zia, fammi il piacere di non piangere. Guarda-, piuttosto ti domandiamo scusa.

Giovanna                      - Credevamo di poter parlare di tutto con te. Si discuteva e ci si domandava, così, accademicamente, come mai la zia è ri­masta sempre sola. Che male c'è?

Lucia                             - Ve lo dirò. Perché io non ho po­tuto realizzare il mio sogno come voi avete fatto. Io non ho mai potuto concepire il matrimonio che come la benedizione di Dio su un grande amore.

Giovanna                      - No, zia, il matrimonio non è un divertimento per due persone di sesso diverso.

Vincenzo                       - È una cosa più seria, più lunga... Dura da secoli.

Giovanna                      - Ci si sposa per avere qualcuno intorno a sé, per avere dei bambini...

Vincenzo                       - Per avere un posto anche pic­colo dove essere il padrone assoluto e coman­dare a bacchetta e far marciare in gamba i ra­gazzi, se ci sono.

Giovanna                      - Essere un aiuto per il marito.

Vincenzo                       - Per la moglie un sostegno.

Giovanna                      - Allearsi contro la vita.

Vincenzo                       - Volersi bene.

Lucia                             - (che ha ascoltato chinando la testa, si alza di scatto) Basta, adesso basta! Non ne posso più. Mi avete confusa, stordita... (Via).

                                      - (I due restano per un attimo silenziosi a guar­darsi).

Vincenzo                       - Dico, sai che, a parte Maria Stuarda, hai detto delle cose belle? Mi hai quasi commosso.

Giovanna                      - Sì... Anche tu parevi convinto.

Vincenzo                       - Sai? Certe cose sono sorpren­denti. Avevo come la intenzione di dire delle bugie e avevo come l'impressione di dire delle verità.

Giovanna                      - (dopo una pausa) Hai detto tutto al dottore?

Vincenzo                       - Sì. Saltava come un capriolo. Non voleva credere. Poi, quando si è calmato, ha dichiarato solennemente che non ne farà nulla fino a che non sia definitivamente nostro zio.

Giangiacomo                 - (rientrando sempre imbarazzato e incerto come quando è uscito) Eccomi qua. Siete soli?

Vincenzo                       - La zia è andata a preparare per te.

Giangiacomo                 - Dite un po' : da quanto tempo lo porta vostra zia quel medaglione?

Giovanna                      - E chi lo sa? Da quando mi ri­cordo, io, mi ha sempre fatto pregare tutte le sere per quel signore. Anzi, mi sono stupita che non abbia ripreso quell'abitudine ieri sera.

Giangiacomo                 - Ma... Quel signore...

Vincenzo                       - Ah, io non le ho mai chiesto nulla. Perché?

Giangiacomo                 - Così, una curiosità. Doman­davo se lo aveva da molto tempo, ecco tutto.

Vincenzo                       - Io me lo mettevo in bocca quando facevo i denti.

Lucia                             - (rientrando più serena. A Giangia­como) Oh, già ritornato? Bravo. Ora parlerò con lei.

Vincenzo                       - Sì, sì, sentiamo: per me è una gioia sentir parlare la zia con un altro.

Lucia                             - Niente affatto. Voi due uscite. An­date nella vigna a prendere dell'uva. Pren­derete anche un po' di sole. Credo che ne ab­biate bisogno. Siete pallidi. Ecco due cestine: una a te e una a te. E non fate gli sciocchi. Po­tete darvi il braccio. Bravi. Potete anche stare più stretti. È bello vedere due giovani sposi che si amano e non si vergognano. Brava. Appoggia la tua testina sulla spalla di tuo marito e pensa che questa gioia che ti tocca, non è di tutti. Andate.

Vincenzo                       - (che si è docilmente prestato come Giovanna alla composizione del quadretto) Va bene così? E adesso che cosa potremmo can­tare? Quando è di maggio...

Lucia                             - In fondo non sei che un burlone. Guardate di ritornare appena udite il gong della colazione.

Vincenzo                       - (da parte, a Giangiacomo, mentre esce) Povero amico mio, preparati ad affron­tare Orazio Coclite. (Via canterellando).

Lucia                             - (sola con Giangiacomo) Dunque a noi due: lei sta per partire.

Giangiacomo                 - Sì, però...

Lucia                             - Mi lasci dire. Io credo che lei non ami affatto la caccia grossa.

Giangiacomo                 - Ma ecco, veramente non è che un capriccio.

Lucia                             - Lei parte per fuggire mia nipote.

Giangiacomo                 - Ma, sa, veramente...

Lucia                             - Non mi si può nascondere nulla. Lei ama appassionatamente mia nipote.

Giangiacomo                 - Io? Lei crede che sia per questo? Oh no! (Ride rispettosamente). No, si­gnorina, le giuro!

Lucia                             - Non giuri. Sta male giurare. Non si deve mai giurare, specialmente quando non si dice la verità. Lei ama mia nipote al punto che da gentiluomo come è, preferisce andare lon­tano per il mondo a cercare in qualche luogo l'oblio e la pace del suo cuore. Bravo. Fa bene. Bisogna sapere combattere contro le cattive ten­tazioni. Ebbene vada e che sia benedetto del bene che fa. Benedetto anche nel suo amore in­felice. L'amore, anche quando non è corrisposto, anche quando non si traduce in una tangibile felicità, ha sempre un suo raggio di bellezza che eleva l'anima verso l'alto.

Giangiacomo                 - Signorina... non creda... come devo dirle...

Lucia                             - Allora perché parte così precipitosa­mente?

Giangiacomo                 - Ma, così... Certo è bene la­sciare due giovani sposi nella piena libertà di godersi la loro luna di miele.

Lucia                             - Lo vede che c'entra mia nipote? Oh, non mi sbagliavo. Quando un uomo si abban­dona ad atti impulsivi come questa sua partenza, ci deve per forza essere di mezzo l'amore. Sem­pre. L'amore è tutto.

Giangiacomo                 - Lei crede?

Lucia                             - Vedo. So.

Giangiacomo                 - Anche per lei?

Lucia                             - Ma scusi io che c'entro? Io sono vecchia.

Giangiacomo                 - Forse è più giovane di me. Lei ha amato.

Lucia                             - La prego...

Giangiacomo                 - Oh, non intendo mancarle di rispetto, signorina. Ma vedendo con quanto or­goglio e quanta fedeltà ella porti al suo collo quel medaglione...

Lucia                             - (difendendo il medaglione con un ra­pido moto della mano) Si, ma non si tratta di questo. Non faccia il fanciullo ribelle e lasci che il tema della conversazione non muti. Lei vuol fare su di me del turismo psicologico.

Giangiacomo                 - Oh, no, mi creda. È invece una cosa molto più seria. La scongiuro di la­sciarmi guardare quel ritratto. La prego.

Lucia                             - Ma che ha? Eccolo. Guardi.

Giangiacomo                 - (guarda il ritratto con reverenza) E lo ha amato?

Lucia                             - (vivace) Ma chi le dà il diritto?...

Giangiacomo                 - L'ha amato?

Lucia                             - (sempre più colpita dalla strana con­dotta del giovane) Si l'ho amato. Ma non è una cosa come ella crede, sa. Si tratta di ben altro.

Giangiacomo                 - Posso rileggere quella dedica?

Lucia                             - No, adesso basta. Non vorrei che ella credesse... Perché vede è stato più che un amore.

Giangiacomo                 - Non tema signorina, non pen­so a nulla di irriverente. Un uomo come quello, pieno di cuore, un generoso, un sognatore...

Lucia                             - (scattando) Come? Ma lo conosce?

Giangiacomo                 - (fa un gesto come per dire : sfido).

Lucia                             - (con un gesto rapido) Zitto, zitto, non parli, non mi dica nulla.

Giangiacomo                 - Come crede. Però...

Lucia                             - No, adesso no. Sa, non mi aspetta­vo... Oh, la vita! Dovevo attendere, attendere. (A un cenno di Giangiacomo, spaventata) No, la prego: adesso tutte le volte che lei accenna a parlare, sento che il cuore mi scoppia. E per ca­rità non dica nulla ai miei nipoti. Non c'è nulla di male sa. Nulla che io non possa dire davanti a Dio, ma, non so perché, mi intimidisce chiun­que, adesso... anche lei. Non mi guardi, la pre­go. Chi sa come sono brutta, scomposta... (Va allo specchio a rassettarsi).

Giangiacomo                 - Del resto... no, stia tranquilla, non dico nulla. Ma penso che, a giudicare al­meno dal mio sentimento, anche lei dovrebbe avere piacere, invece, di parlarne. È così bello ricordare le persone che amammo quando erano in vita!

Lucia                             - (s     - ( volge colpita) Quando erano?...

Giangiacomo                 - Anche la mamma, dopo la morte di mio padre diceva di sentire una voce che la chiamava di lontano: Lucia, Lucia. Già, anche mia madre si chiamava Lucia.

Lucia                             - (alzandosi in piedi, con sforzo) No, zitto, zitto, la prego. Che vergogna, che ver­gogna, che vergogna! (Si stacca con moto subi­taneo il medaglione dal collo e lo porge al gio­vane) A lei, non è mio, sa. Il suo posto...

Giangiacomo                 - (interrompendola) Ma che fa? Nemmeno per sogno. Lo tenga, lo tenga. Non creda che io non sappia comprendere.

Lucia                             - Ma che cosa dice? Non c'è nulla da comprendere e tanto meno da compatire, sa. Perché lei la verità non la conosce.

Giangiacomo                 - Non importa, signorina, non importa. Comunque sappia che io sono un uomo e che sono perfettamente in grado di valutare i casi della vita e di dare loro l'importanza che meritano.

Lucia                             - Ma come? Non ha importanza quel­lo che lei pensa? Lei si trova o crede di trovarsi di fronte a una terribile rivelazione che potrebbe offuscare la memoria di suo padre...

Giangiacomo                 - Ma perché? Stavo appunto di­cendole che per chi l'ha conosciuto, specie quan­do era giovane, con quel suo cuore tumultuoso, tutto ciò è quasi naturale. Il temperamento da un lato, poi l'epoca dall'altro. Era quello il tempo degli ideali d'amore. Si innamoravano al­lora.

Lucia                             - Ma che fa, che dice! Io non per­metto, non per me sa, ma per lui che lei creda a ciò che non è vero.

Giangiacomo                 - Senta, signorina, io sono qui, pronto ad ascoltare e a credere a tutto ciò che mi dirà, ma vorrei che si rendesse conto che tutto ciò è inutile.

Lucia                             - (energica) Devo dirle!

Giangiacomo                 - (con condiscendenza ostentata) E dica!

Lucia                             - (smontata) Così? Oh, allora ha ra­gione lei. È inutile. Ma che cosa avete nel cuore? Di fronte a voi ci si vergogna anche della inno­cenza.

Giangiacomo                 - Ma perché? Perché ho trat­tato con mano leggera le generose tenerezze di mio padre?

Lucia                             - E come tratta dunque il pensiero di sua madre?

Giangiacomo                 - Questo non c'entra. Io dico che non bisogna considerare certe cose sotto un aspetto drammatico, se no, che complicazione diventa questa vita?

Lucia                             - Oh, io avrei voluto offrire qualche cosa di puro al suo cuore di figlio, ma lei non ne è degno, non è degno. Se ne vada, se ne vada, la prego.

Giangiacomo                 - Ma, signorina, io non capisco.

Lucia                             - Lo so benissimo che non capisce. È per questo... Se ne vada.

Giangiacomo                 - (scuote le spalle e se ne va).

Lucia                             - (sola) Povera gente! (Guarda lunga­mente il medaglione e mormora) Niente. Che solitudine!... (Di lontano si odono le voci di Vincenzo e di Giovanna che cantano e il fra­stuono improvviso del gong).

Fine del secondo atto

ATTO TERZO

La stessa scena.

                                      - (Vincenzo poco dopo che il sipario si è alzato entra fischiettando, portando una scatola di co­lori, uno sgabello da pittore e un cartone dipinto in stile futurista che, dopo avere deposto gli altri arnesi, cerca di collocare in qualche luogo mirandone l'effetto di lontano. È oramai sera).

Giovanna                      - (entra) Oh, bene arrivato! Non mi dirai che hai lavorato fino ad ora. Non ci si vede più.

Vincenzo                       - Ho aiutato un contadino a tenere a bada un bue inferocito e ho fatto tardi. Che cosa guardi?

Giovanna                      - (accennando al quadro) Hai fatto quell'affare lì?

Vincenzo                       - Si, non ti piace?

Giovanna                      - Non so.

Vincenzo                       - Senti, mi secca che tu dica « non so » con aria condiscendente, come se tu pensassi che è una porcheria. Questo quadro è molto... molto come dire? insomma una donna come te che balla la rumba deve almeno considerare la cosa con rispetto.

Giovanna                      - Ah, se hai inteso dipingere una rumba.

 Vincenzo                      - Che spirito! Del resto che me ne importa della tua opinione? È forse necessario che noi due ci si debba intendere? Sei forse tu la mia compagna, la mia ispiratrice?

Giovanna                      - Oh, io non sarò mai niente per nessuno.

Vincenzo                       - Cos'è? Hai la malinconia? Co­raggio. Perché?

Giovanna                      - Io sarò sempre una povera donna che avrà sempre bisogno di qualcuno.

Vincenzo                       - Dico: sai che sei strana? Sei in­namorata forse?

Giovanna                      - Di chi?

Vincenzo                       - Di Giangiacomo, per esempio.

Giovanna                      - E chi l'ha più visto? È scomparso misteriosamente senza nemmeno salutarci.

Vincenzo                       - Allora è per questo.

Giovanna                      - No sai, proprio no.

Vincenzo                       - Allora sei innamorata di me.

Giovanna                      - (sorride con commiserazione).

Vincenzo                       - Oh, cara, non me ne stupirei.

Giovanna                      - Tu? poveretto, non sai nemmeno da che parte si cominci a farsi amare; eppoi tu non hai bisogno di me. Scommetto che se do­mattina trovassi che io sono partita per ignota destinazione non te ne importerebbe niente, anzi ne saresti contentissimo.

Vincenzo                       - Se dicessi che piangerei come un vitello?! Ma queste sono sciocchezze. Sai chi piange davvero? Il povero dottore.

Giovanna                      - Cos'è accaduto?

Vincenzo                       - Ma, si sentono dire certe cose: oggi per esempio un contadino mi ha detto...

Lucia                             - (entra umile e sottomessa) Scusate, prendo il giornale e ritorno in camera mia.

Giovanna                      - Sempre in camera tua. Non è bello, sai, scusa se te lo dico. Non so come tu faccia a star sola tutto il giorno.

Vincenzo                       - Con questo silenzio. Per me, due cose non sopporto : il buio e il silenzio. Mi fanno paura. Mi danno la sensazione di precipitare chi sa dove.

Giovanna                      - E poi cos'hai? Sei cambiata. Sei diventata umile, sottomessa, si direbbe che de­sideri nasconderti.

Lucia                             - No: che cosa pensate? Forse non sto bene.

Vincenzo                       - Allora chiamiamo il dottore.

Lucia                             - (vivamente) No, vi prego. Il dottore no. Non ne ho bisogno. Posso sentirmi più o meno in forze senza per questo essere malata.

Vincenzo                       - Ma lo vedi che c'è qualche cosa sotto? Parla, perdio!

Lucia                             - (con subita ripresa di autorità) Vin­cenzo!

Vincenzo                       - (smontato) Basta, basta.

Lucia                             - (abbandonandosi di nuovo) Scusa­temi.

Vincenzo                       - (riprendendosi) O io come capo di famiglia sarei terribile. Deve essere piacevole avere un luogo anche piccolo dove poter essere padrone, comandare a bacchetta e far marciare in gamba i ragazzi.

Lucia                             - Che il Signore te li dia sani.

Vincenzo                       - (guarda di sfuggita alla moglie) Lasciamo andare. Dimmi piuttosto francamente e rispettosamente, come se fossi tuo zio, che cosa è accaduto col dottore?

Lucia                             - Ma vi giuro...

Giovanna                      - Non giurare. Non sta bene.

Lucia                             - Scusate, mi è sfuggito. Volevo dire che la cosa non vi può interessare.

Giovanna                      - No zia, oramai che abbiamo in­cominciato è meglio spiegarsi.

Lucia                             - Ma non lo capite che non posso par­lare di queste cose per voi? Oh, mi sembra di commettere, non so, come una impudicizia.

Vincenzo                       - Insomma parliamoci chiari. Il dottore ci ha chiesto ufficialmente la tua mano.

Lucia                             - A voi?

Vincenzo                       - A chi doveva chiederla? Tu sei una signorina.

Lucia                             - E voi gliel'avete per caso accordata?

Giovanna                      - Noi abbiamo risposto come avre­sti risposto tu: che lo ringraziavamo dell'onore che ci faceva e che in ogni modo avremmo la­sciato l'ultima parola a te. Va bene?

Lucia                             - Benissimo.

Giovanna                      - Comunque, adesso bisogna dirgli qualche cosa; tanto più che il tuo contegno non è chiaro.

Lucia                             - Ah, perché, avete anche deciso di dargliela voi la risposta?

Vincenzo                       - Noi? Ma dagliela tu se vuoi. Vor­remmo semplicemente essere tenuti al corrente. Non si sa mai niente di te. Avrò bene diritto di sapere se incontrando quel signore dal ta­baccaio devo chiamarlo zio o no.

Lucia                             - Ma che cosa mi può venire da voi? Un consiglio? Una parola saggia? Da voi?

Vincenzo                       - Oh, se i genitori la finissero di darsi tante arie e accettassero i consigli dei loro figliuoli!

Giovanna                      - E poi, zia, qui non si tratta di amore. Ci sono cose più serie, meno poetiche, ma più preoccupanti.

Lucia                             - Per esempio?

Giovanna                      - Sai, la gente chiacchiera... specialmente i contadini. È vero che vuoi vendere questa villa per un vitalizio?

Lucia                             - Ah, te l'hanno detto?

Giovanna                      - È vero?

Lucia                             - Si, ma che cosa significa? È un pic­colo patrimonio che nelle mie mani non serve più nulla.

Vincenzo                       - To' to'... Ma come? Esiste una zia che vuol vendere una villa di nascosto dai nipoti?

Giovanna                      - Taci tu. Zia, tu sei in difficoltà.

Lucia                             - Ma io non ve ne ho mai parlato.

Giovanna                      - L'ho saputo. E ti giuro, sì la­sciami giurare, che questa volta ci vuole, che io non ho mai tanto desiderato di essere ricca come oggi, per aiutarti.

Lucia                             - Sì? Hai pensato a questo? Mi com­pensi di tante pene in questi giorni.

Vincenzo                       - Zia, lo pensavo anch'io, proprio mentre lo diceva lei.

Lucia                             - (sospirando) Cari, avete fatto bene a parlarmi. Sì perché trovo il coraggio di dirvi una cosa. Effettivamente le mie poche rendite non bastano più. Ma se invece di vendere que­sta casa che mi è cara, che mi ricorda tante cose, io la affittassi...

Giovanna                      - Va bene. E poi?

Lucia                             - (con animo) Non ditemi di no. Non Non ho più che voi. Se venissi a vivere con voi a Milano? (Incalzando) Mi occuperei dei vostri bambini. Io so come si fa. No? no? (Pausa).

Giovanna                      - L'idea non è cattiva, ma, vedi... No zia, no zia, aspetta... ragioniamo.

Vincenzo                       - Non sappiamo nemmeno quello che succederà, perché sai...

Giovanna                      - Sì, ci sono molte cose da deci­dere. La vita non è facile.

Vincenzo                       - E poi a Milano, zia, non ti tro­veresti bene. Un frastuono!...

Lucia                             - Oh, io non uscirei mai di casa, sem­pre con voi, coi bimbi.

Vincenzo                       - E dalli! Ma dove sono?

Lucia                             - Verranno. Siete giovani, sani, belli...

Giovanna                      - No, zia, adesso non è possibile. Ti prometto che ci penseremo, ma fino a che la nostra vita non avrà trovata una sistema­zione...

Vincenzo                       - Campa cavallo! Perché sai, con la pittura...

Lucia                             - Ci vuole fede.

Vincenzo                       - Fede? Guarda come lavoro. (Le mostra il quadro).

Lucia                             - Oh, cielo! Che cos'hai fatto?

Vincenzo                       - Un bue in movimento.

Lucia                             - E dov'è?

Vincenzo                       - Un occhio è lì, questo è il vo­mere, le corna si prolungano fin tra i rami de­gli alberi... Movimento ascensionale.

Lucia                             - E con queste cose arriverai alla gloria?

Vincenzo                       - Gloria? Non scherziamo. L'im­portante è non passare per un imbecille.

Lucia                             - Oh, sì, la vostra vita davvero non è ancora sistemata.

Vincenzo                       - Ma se per le tue faccende vuoi che noi tentiamo qualche cosa...

Lucia                             - No. Non importa, non vi è nulla di urgente.

Giovanna                      - Urgente no, ma preoccupante. Perciò quando il dottore...

Lucia                             - (vivace) Ah, no eh! Ho capito. Ma questa è una via sbagliata.

Giovanna                      - Perché tu sogni. E i sogni tra­montano.

Vincenzo                       - Vedi, zia, tu ti ostini a credere che la base del matrimonio ideale debba essere l'amore, come una volta. Levati questo chiodo. Levatelo. Un amore folle, proprio tipo eternità non dura più di due anni al massimo.

Lucia                             - E voi due allora? Mi spiegherete. Voglio sapere. Ne ho diritto. Se è così, allora, voi due non vi amate più.

                                      - (/ due non sanno rispondere. Pausa).

Lucia                             - (tremando e quasi invocando) No, no, se fosse vero... se fosse vero tutta la mia vita sarebbe distrutta; e voi dovreste odiarmi, odiarmi... E io non voglio perché non ho che voi, non ho che voi...

Giovanna                      - Ma zia, non credere...

Vincenzo                       - Cerca di renderti conto delle cose.

Lucia                             - (sempre più sovraeccitata) No, non può essere, venite qui, guardatemi! Siete infe­lici? Non vi amate più? E tutti i sogni che si sono fatti intorno a voi e alla vostra vita fe­lice...

Vincenzo                       - Zia, è inutile che dei nipoti affezionati dicano la verità ad una zia che piange. La verità non si dice che per dispetto.

Lucia                             - Ma allora è vero?

Vincenzo                       - Ma qui adesso si parlava di te. Dobbiamo provvedere alla tua vita.

Lucia                             - (scattando affannosamente) Oh, la mia vita!... Ci avevo pensato alla mia vita! Correva tranquilla, eguale, serena... Siete stati voi a sconvolgere tutto, voi che avete portato qui dentro una confusione di pensieri pazzi e affannati, un tormento che non si capisce, una angoscia senza fondo... Io camminavo sul so­lido, sicura della mia coscienza e dei miei sogni, e voi mi avete dato la sensazione di avere sotto di me della sabbia o dell'acqua o nulla... Mi avete comunicato la vostra paura di vivere, quella paura che voi nascondete sotto la impu­denza e la baldanza, mi avete ridotta a uno straccio come voi, meno la giovinezza. Ma an­date via, andate via senza di me... Lasciatemi qui sola a morire di silenzio e di paura, andate via e dimenticatevi di chi vi ha dato il meglio della sua vita, dimenticatevi di me e perdona­temi di avervi insegnato ad avere una fede. An­date via! (Scoppia in pianto; Vincenzo la so­stiene facendo cenno a Giovanna di tacere e la trascina via).

                                      - (Giovanna resta sola. Dopo un attinto cade su una poltrona nascondendo il viso tra le mani. Dopo un poco si ode una voce canterellare un motivo che subito si tace, poi riprende som­messa, ma sensibile. Giovanna alza il capo, si guarda intorno, balza alla finestra e guarda in basso sempre guardinga di non essere scoperta).

Giovanna                      - È lei?

Giangiacomo                 - (dall'interno) Sì.

Giovanna                      - Aspetti. (Rientra con la evidente decisione di fuggire: raccoglie la borsetta, il cappello e un pastrano e si incammina verso la porta. Questi suoi preparativi le impongono di andare e venire dentro la camera chiusa, come un passero in una gabbia. Quando è presso la porta è colta da un'ultima perplessità. Le sue energie l'abbandonano, le sue braccia ca­dono e i suoi indumenti si spargono a terra. Avvilita comprende che non potrà mai fuggire. Ritorna lentamente verso la finestra, si affaccia e mormora) Buon viaggio! (Chiude rapidamente la finestra e vi si appoggia contro).

Vincenzo                       - (entrando) Hai sentito che roba?

Giovanna                      - Come?

Vincenzo                       - La zia non è mai stata più zia di così. Imbattibile. A sentirla pare che abbia ragione lei.

Giovanna                      - (assorta) Già.

Andrea                          - (entrando con cipiglio drammatico) Buona sera.

Vincenzo                       - Oh, dottore!

Andrea                          - (si siede affranto sulla poltrona).

Vincenzo                       - Che ha?

Andrea                          - Ho che non ne posso più. Ah..., prima che mi dimentichi, ho incontrato quel giovanotto che va in Africa. Tanti saluti.

Vincenzo                       - È partito? Pezzo d'animale. (A Giovanna) Hai sentito? Se n'è andato.

Giovanna                      - Se n'è andato...

Vincenzo                       - Dopo tutto, beato lui... Partire, partire... Oh!...

Andrea                          - Ma che storie, che storie! Partire! Partire per scappare, per fare qualche cosa, per non andare in galera, capisco... Ma partire per avere sempre gli stessi affanni, gli stessi pen­sieri. È come star fermi. Sapete che cosa biso­gnerebbe poter fare? Partire per l'Africa e di­ventare un cinese... un selvaggio vorrei diven­tare...

Giovanna                      - Si calmi, dottore. La zia è in camera sua.

Andrea                          - E che me ne importa? Tanto lo so, tanto lo so. Sono un lebbroso. Io sono un essere immondo. Non mi si può ricevere, non mi si può avvicinare...

Vincenzo                       - Stia calmo, dottore. Noi abbiamo fatto tutto quello che abbiamo potuto. Abbiamo detto anche alla zia che lei è innamorato matto.

Andrea                          - Ecco che cos'hanno fatto. Mi hanno fatto diventare ridicolo.

Giovanna                      - Macché ridicolo! Alla sua età non si può prescindere dal romanzesco in certe cose. Se un uomo della sua età non è innamo­rato matto, come si spiega il matrimonio? Sol­tanto i giovani possono fare del buon senso nel matrimonio. Possono rifarsi.

Vincenzo                       - (alla moglie) Come rifarsi?

Giovanna                      - Ma sì, hanno il tempo davanti a sé. Se il marito sa essere affettuoso e deli­cato...

Vincenzo                       - Ma ci vuole la moglie che sap­pia essere buona, gentile...

Giovanna                      - Appunto per due giovani che si piacciono non è difficile fare di un matrimonio non felice una convivenza serena e forse anche poetica.

Andrea                          - Lo dice a me lei?

Vincenzo                       - Giovanna, senti, riconosci one­stamente che per quanto mi riguarda io ti ho sempre detto che noi due...

Andrea                          - Se disturbo me ne vado.

Vincenzo                       - Per carità, dottore, non è ve­nuto per sfogarsi? E si sfoghi. Ma non abbia quell'aria tragica.

Andrea                          - Cosa credono, che io non sappia ingoiare le pillole amare? Sono medico. Io guardo in faccia alla realtà! Ah, dovevo ca­pirlo! Ma come si fa? Ha un modo di fare, due occhi... Non sono due occhi meravigliosi? Paiono due finestre sopra un mare sereno. A proposito di finestre... Sanno che cosa mi disse una volta, proprio rivolta a me, con quel suo sorriso, guardandomi bene? « La vita è una bella casa bianca con le finestre a levante ». Dico, quando una donna sì esprime in questa guisa con un uomo che... Mi pare che debba essere per incoraggiarlo a sperare. Se no, che c'entra il levante? Maledizione, mi ha preso in giro, si è burlata di me... Ah, ma non deve ridere, non deve godere, perché io non resisto. Dichiaro francamente che non resisto... Per quel che me ne importa di vivere. Che ci sto a fare a questo mondo?... Ah, un bel funerale di prima classe...

Vincenzo                       - Bravo, questo è bello...

Giovanna                      - Andiamo, non si disperi. Lei ha i suoi malati, la sua missione...

Andrea                          - Va bene, ma sentano questa. Quando ritornai dalla guerra...

Vincenzo                       - No, lasci stare la guerra...

Andrea                          - In treno con me c'era un solda­tino del '99 che era stato ferito sul Montello e che era appena uscito da un ospedale della zona di guerra. Appena smontato alla stazione, ecco la fidanzata. Abbracci e baci e via di seguito. Faceva una mania...

Vincenzo                       - Che cosa vuol dire?

Andrea                          - Si dava delle arie. Aveva appena finito di sbaciucchiare che, come se scoprisse i tesori di Golconda, alza la benda che gli fa­sciava la testa perché la sua bella potesse ve­dere la ferita. Bene. Bene: bisogna avere ve­duto in quel momento lo sguardo di quel ra­gazzo per capire: un lampo di gioia, di su­perbia, di strafottenza, scusate, insomma ai capiva che per quell'attimo di soddisfazione egli sarebbe andato a farsi spaccare le ossa un'altra volta. Ecco: lei dice i miei malati... i miei malati... ma quando ritorno a casa, dopo avere lottato con la morte, dopo avere salvato una vita, a chi le mostro io le mie ferite?... (Pausa). Che il diavolo mi porti, se esco di qui senza averla veduta. La vadano a chiamare. Non ho alcuna fretta adesso. La signorina può ricevermi quando vuole, anche domani, anche fra un mese. Ma io aspetto qui un mese.

Giovanna                      - E i suoi malati?

Vincenzo                       - Quelli c'è caso che guariscano.

Giovanna                      - Bene. Tenterò. Ma non pro­metto. Un momento solo. (Via).

Vincenzo                       - Ha ragione, dottore. È una cosa seccante. Anche per noi che eravamo interessati quanto lei...

Andrea                          - Oh, per questo, intendiamoci io avevo deciso di non farne niente. Ma che dia­volo! Vuole che io avessi cominciato l'opera di far felice sua zia, facendole sapere questo po' po' di cataclisma che le scoppiava in famiglia? No, no; se la cavino per conto loro.

Vincenzo                       - Ah, certo...

Andrea                          - Come fanno?

Vincenzo                       - Non so. È mia moglie che fa tutto. Quanto a me, dopo tutto, non mi dispia­cerebbe... Mia moglie quando vuole è carina...

Andrea                          - Ah, certo.

Vincenzo                       - Ha notato che l'aria della cam­pagna le ha dato un occhio più smagliante? L'ha notato?

Andrea                          - No.

Vincenzo                       - La guardi bene. Stia attento so­prattutto se guarda in alto, così...

Andrea                          - Ma le pare che io abbia la calma che ci vuole per certe osservazioni sperimen­tali?

Vincenzo                       - Capisco, ma, mi dica la verità. A lei che impressione le fece la prima volta che la vide? Sì, perché, dico io, non è cattiva, creda. È bizzarra. E alle volte la prima impressione è la più giusta. A lei che effetto le fece?

Andrea                          - Una rassomiglianza straordinaria con sua zia.

Vincenzo                       - Con la zia? No, senta, non me lo dica. Può essere fatale...

Giovanna                      - (entrando) La zia sta per di­scendere.

Andrea                          - Sì?... Che cosa le ha detto?

Giovanna                      - Niente. Ha detto che scende e che vuole restare sola con lei.

Andrea                          - E lei, come interpreta la cosa?

Giovanna                      - Non saprei...

Vincenzo                       - E noi, che si fa?

Giovanna                      - Quello che vuoi. Se vuoi salire in camera tua... Se vuoi uscire...

Vincenzo                       - Adesso? Ma è buio...

Giovanna                      - (con intenzione) C'è la luna. Vieni...

Vincenzo                       - E andiamo a vedere la vecchia luna. (Escono),

Lucia                             - (entra accigliata e soletta) Sono usciti?

Andrea                          - Sì. Buona sera.

Lucia                             - (invitandolo a sedere). Prego.

Andrea                          - (scoppiando) Senta un po'...

Lucia                             - La prego, sottovoce. Potrebbero udirci.

Andrea                          - Ma che cosa vuole che me ne im­porti? Io non ne posso più. Se vuol saperlo, io sto male, male.

Lucia                             - Un momento. (Va a vedere se c'è nessuno). E adesso lasci parlare me.

Andrea                          - Ma se parla sempre lei.

Lucia                             - Lei vuol dirmi che non si sa dar pace del mio silenzio, della mia ostinazione, della mia decisione. Vero?

Andrea                          - Naturale.

Lucia                             - Vede? Le dico subito: anzitutto noi due avemmo un colloquio che io avevo tutto il diritto di ritenere definitivo.

Andrea                          - Storie.

Lucia                             - Ma in amore, lei dice, non c'è nulla di definitivo. E ha ragione. Avrei preferito par­larle di queste cose con più calma. Con più tempo. Ora i miei ragazzi possono ritornare da un momento all'altro, ma cerchi di capirmi...

Andrea                          - Se è per dirmi che lei ha deciso di consacrarsi ad un uomo che non esiste, non sa... In tal modo non capirò nemmeno una pa­rola. Lei mi deve dire che non ha... che non mi vuol bene insomma... che non mi può ve­dere e che piuttosto che avere che fare con me preferisce la compagnia del primo manigoldo che passa per la strada. Ci vuol tanto a dire delle cose così semplici e così chiare? Me ne vado subito e poi...

Lucia                             - (con lieve ironia) E poi?

Andrea                          - So io. Vedrà. Mi dica intanto.

Lucia                             - Ecco: io ho lungamente pensato a lei in questi ultimi giorni.

Andrea                          - Posso alzarmi di quando in quando ?

Lucia                             - Faccia pure.

Andrea                          - (in piedi) Che cosa ha pensato dunque?

Lucia                             - Ho voluto misurare la natura dei miei sentimenti verso di lei. Mi sono rivolta alcune domande. La prima è questa: « Che cosa farei io se il signor dottore se ne andasse, se non lo dovessi rivedere mai più?». Che cosa farei? Mi ucciderei?

Andrea                          - (si protende nell'attesa della risposta).

Lucia                             - No. Penserei sempre a lui?

Andrea                          - (c. s.).

Lucia                             - No. Mi sentirei più sola.

Andrea                          - No.

Lucia                             - Invece sì.

Andrea                          - Ah..

Lucia                             - Un momento. Poi mi sono doman­data: «Se morisse?». Mi sono figurata di ve­derla sul letto di morte, coi fiori, poi il fu­nerale...

Andrea                          - (preoccupato) Lasci andare...

Lucia                             - Ecco: una profonda malinconia mi prendeva e qualche lacrima spuntava nei miei occhi. Caro dottore, avrei messo tanti fiori sulla sua tomba, avrei tanto pregato, e con tanto fer­vore per la sua pace.

Andrea                          - Bene, grazie. E allora?

Lucia                             - Ma poi, sì, non se ne abbia a male, la mia vita sarebbe andata innanzi come prima, con un altro dottore che avrei stimato meno di lei.

Andrea                          - Senta! (Si alza).

Lucia                             - Aspetti. Ho finito. Poi mi sono do­mandata. E se cadesse ammalato?

Andrea                          - Ma c'è proprio bisogno di imma­ginare tutte queste disgrazie per sapere che cosa si sente?

Lucia                             - C'è sempre bisogno di parlare con la propria coscienza. Se cadesse ammalato? Se si facesse del male? A questo pensiero le fiam­me mi sono salite al viso, il cuore ha cominciato a battere...

Andrea                          - Oh, ma allora... (Fa per prenderle una mano, ma Lucia la ritira).

Lucia                             - E l'amore? Lei dimentica l'amore. Lo vede come è sventato? E dire che non è una settimana, proprio qui, io le confidavo un se­greto, le dicevo una cosa che non avrebbe do­vuto dimenticare, l'ha dimenticata?

Andrea                          - Dimenticata? Nemmeno per sogno, ma sa... Io non credo agli spiriti, ai fantasmi.

Lucia                             - Perché è medico. È troppo medico. (Pausa). Andrea...

Andrea                          - Mi ha chiamato Andrea. (Le prende la mano che ella gli abbandona).

Lucia                             - Andrea... Sto per dirle una cosa molto grave, molto importante per me e anche per lei. Si tratta di lui.

Andrea                          - Di lui, lo spirito?

Lucia                             - Esiste, esiste. L'ho trovato!

Andrea                          - Ah, cr... (Si alza e si mette a cam­minare su e giù). Anche i miracoli per farmi dispetto.

Lucia                             - Ma stia fermo; come è possibile in­tendersi fino in fondo, se lei non sta fermo un minuto? Non capisce che proprio adesso io ho bisogno di lei?

Andrea                          - Io? E che c'entro io?

Lucia                             - E chi può ascoltami se non lei? Perché non mi tiene più la mano? Sì, sì, così ho più coraggio. Ecco. Esiste. Io mi sono all'improvviso trovata dinanzi alla realtà della sua vita. Avrei potuto forse pronunciare quella parola che mi avrebbe messo davanti a lui, come è, o come era, non importa. Non l'ho fatto.

Andrea                          - Perché?

Lucia                             - Non so. Dapprima un'ansia, uno stordimento, quasi una ebbrezza. Eppoi... A un tratto... avevo appena teso la mano... Mi sono sentita vuota. M'è parso di vederlo fuori di me, lì, a guardarmi, curioso e straniero.

Andrea                          - E allora?

Lucia                             - La verità è che mi sono sentita su­bito piena di buon senso. Proprio come i miei ragazzi... Il buon senso è una cosa triste. Ora temo che il pensiero di quell'uomo possa tor­nare un giorno a tormentarmi, quando avrò dimenticato la sofferenza di oggi. Lei mi deve difendere da quel pensiero. Ecco, lei sa tutto. Se lei mi vuol bene come dice, sa ciò che può essere per me e ciò che posso essere io per lei. Non parliamo d'amore. Non diciamo cose ridi­cole. Io sarò semplicemente la sua compagna... Andrea.

Andrea                          - Compagna? Moglie.

Lucia                             - (lieve) Sì.

Andrea                          - (scoppiando d'entusiasmo) Ah, senta!

Lucia                             - (frenandolo) Silenzio!

Andrea                          - Non c'è nessuno.

Lucia                             - Andrea...

Andrea                          - Come dice bene il mio nome. Lu­cia. L'ho detto bene?

Lucia                             - (guardandosi intorno vergognosa) Credo di sì.

Andrea                          - Ah, la vita! Una bella casa bianca con le finestre a levante. Quella là  (indica la fi­nestra a sinistra).

Lucia                             - Come ricorda bene ciò che le dico!

Andrea                          - Ma sa che se lei continuava a non volermi vedere io morivo? Ma fortunatamente non ho l'arteriosclerosi. Se l'avessi avuta sarei scoppiato proprio qui quando lei parlava di tutte quelle disgrazie e non capivo dove volesse andare a parare. Lucia...

Lucia                             - Dica.

Andrea                          - Ho voglia di cantare.

Lucia                             - Canti.

Andrea                          - La musica è il mio debole. Non musica moderna, sa. Puah! Ricorda le belle ro­manze di un tempo? Tosti, Denza... (Intona con tutta coscienza: «Torna, caro ideal, torna un istante a sorridermi ancora »).

Vincenzo                       - (entrando in fretta) C'è qualcuno che sta male, qui?

Lucia                             - Perché?

Vincenzo                       - Ma, ho sentito il dottore cantare e quando canta lui...

Lucia                             - (per tagliar corto) Via! Dov'è Gio­vanna?

Vincenzo                       - È in giardino che mi aspetta.

Lucia                             - E allora non farti aspettare troppo.

Vincenzo                       - Vado subito. Ma guarda che faccia allegra ha il dottore.

Lucia                             - Il dottore non ha niente affatto la faccia allegra. È vero, dottore, che lei non ha nessuna ragione d'essere allegro?

Andrea                          - Io no.

Lucia                             - Cos'hai sulla spalla? Sei tutto bianco.

Vincenzo                       - (ripulendosi con una mano) Luna, un raggio di luna.

Lucia                             - Cipria! Non so perché le giovani donne debbano coprirsi di farina come dei mugnai.

Andrea                          - Allora diremo: luna di miele.

Vincenzo                       - (si avvicina al dottore e gli scuote a lungo la mano, scuotendo la testa, come per dire: Ci siamo capiti. Poi se ne va ridendo).

Lucia                             - Ma che fa?

Andrea                          - Scherza. Ma, dica un po', non po­tevano dirgli...

Lucia                             - Niente, non si deve dire niente.

Andrea                          - Ma ha capito, sa?

Lucia                             - Lo dice lei. Ha altro da pensare. Non vede? E adesso se ne vada.

Andrea                          - Torno domani mattina.

Lucia                             - Niente affatto. Lei ritornerà quando i ragazzi se ne saranno andati. Verrò io domat­tina alla chiesa: l'aspetto. Pregheremo insieme.

Andrea                          - Pregare, io?

Lucia                             - È senza fede? Un uomo senza fede...

Andrea                          - Sì, sì, va bene. Ho fede. Credo in Dio Padre. Ma me ne devo andare proprio così, senza... (Accenna a un bacio).

Lucia                             - (pudicamente) Via, senza. (Prende dalla tasca il medaglione e glielo consegna) Tenga: è la stessa cosa.

Andrea                          - (stringe la mano con sentimento a Lucia e se ne va).

Lucia                             - (sola, si guarda intorno e va ad aprire la finestra dalla quale entra la luna).

Andrea                          - (voce cantante) Torna caro ideal...

Lucia                             - Buona notte.

Andrea                          - Buona notte. (Il canto si allon­tana).

                                      - (Lucia resta appoggiata allo stipite della fi­nestra facendo con la mano un languido segno di saluto. In questo momento entra cautamente Vincenzo stretto al braccio di Giovanna: si fer­mano un attimo a guardare la romantica scena della zia, poi, andandosene:)

Vincenzo                       - Questi ragazzi!

FINE

Rappresentata con grande suc­cesso dalla Compagnia TOFANO RISSONE DE SICA.

« I tre atti del Gherardi sono piaciuti battuta per battuta. Sono pensati con finezza e scritti con sottile sensibilità, con attenta scelta delle parole, con un cauto e trepido uso dei silenzi, con sobrietà di e-spressione. La malinconia che li ispira è nascosta da frequenti e spontanei sor­risi; ma anche nei momenti più gai, brilla sempre il tremolar d'una lacrima. Dolce e mite lacrima che si dissolve su­bito, perché il dolore non esplode mai in parole acri e la gioia non prorompe dai cuori di questi personaggi con la festo­sità delle sonagliere. Tutto è contenuto in un timido riserbo, eppure ogni cosa appare manifesta come se fosse urlata alle cantonate».

RENATO SIMON! (Corriere della Sera)