Teresina

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Teresina

TERESINA

Commedia in un atto

di ALDO NICOLAJ

PERSONAGGI

Reali:

Lo scrittore

Renata, Sua Moglie

Lalla, Loro Figlia

Pino, Loro Figlio

Immaginari:

Teresina

Ernesto

Nina

Marietta

Gloria

Camilla

Beppe

Pietro

Il caporalmaggiore

La padrona

La portinaia

Uno studio che occupa una piccola parte della scena: una scrivania ingombra di carte, una piccola libreria, due poltroncine di cuoio. A destra una porta, in fondo una finestra. Il resto della scena sarà riservato all'azione dei personaggi evocati. Lo scrittore, un uomo sui cinquant'anni, sta seduto alla scrivania, la testa fra le mani, pensando. Dalla finestra spalancata giunge stridente una musica jazz. Lo scrittore cerca di concentrarsi, ma la musica lo disturba. Si alza e va a chiudere la finestra. Torna al tavolo, siede nell’atteggiamento c.s. Pausa. Prende in mano la penna. Pino, un ragazzo sui diciassette anni, irrompe in scena gridando, inseguito da Lalla, una bella ragazza sui diciotto anni.

Lalla                              - Non fare lo stupido. Restituiscimi il portafogli. per favore. Pino.

Pino                               - (correndo attorno alla scrivania) Stai fresca, tesoro. Guarda quanti soldi. Che te ne fai?

Lalla                              - (sempre inseguendolo) Restituiscimi almeno la fotografia. la fotografia di Ernesto. papà diglielo tu. la foto.

Pino                               - Un momento! C'è anche la dedica. (ridendo) Oh, che dedica. (esce di corsa ridendo)

Lalla                              - Stupido! Stupido! (escono correndo)

Lo scrittore                   - (dopo una breve pausa, riprende la penna in mano per scrivere, ma dall’esterno giungono ancora gli strilli dei ragazzi. Si alza, va alla porta e grida) Volete  smetterla? Sto lavorando! Possibile che vostra madre non si preoccupi di farvi stare zitti? (sbatte con forza la porta e torna a sedere. Il movimento brusco della porta ha fatto riaprire la finestra e si risente la solita musica sincopata. Chiude e risiede)

Renata                           - (in vestaglia e in disordine. Violenta) Falli stare zitti tu che sei il padre. O scegli un altro momento per scrivere le tue stupidaggini!

Lo scrittore                   - Per favore, Renata. non ho voglia di litigare. Lo sai che se non scrivo le mie stupidaggini alla domenica.

Renata                           - Già, proprio alla domenica. E io, chiusa in casa come una carcerata. E non posso nemmeno sentire la TV perché ti disturba.

Lo scrittore                   - Nessuno ti obbliga a stare in casa. Esci, va' al cinema con i ragazzi!

Renata                           - (ironica) I ragazzi? Hanno i loro amici, i ragazzi.

Lo scrittore                   - Allora va' da tua sorella.

Renata                           - Mia sorella alla domenica esce con suo marito. E così mia cugina, mia zia e tutte le mie amiche. Soltanto io alla domenica debbo stare in casa, perché mio marito “scrive”. E devo anche trattenere il respiro per non disturbarti.

Lo scrittore                   - Renata, non ricominciamo: lasciami in pace.

Renata                           - Naturalmente: ti impedisco di concentrarti, di creare, di scrivere. Su, dimmelo, visto che lo stai pensando.

Lo scrittore                   - (trattenendosi) Renata.

Renata                           - E io, poveretta, chiusa in casa, zitta.

Lo scrittore                   - Perché non esci? Va' fuori a distrarti!

Renata                           - E dove? Ai giardini pubblici con le serve?

Lo scrittore                   - Una volta.

Renata                           - (troncando) Una volta era una volta.

Lo scrittore                   - (scattando) E allora lasciami tranquillo, perbacco.

Renata                           - (gridando) Va bene. Va bene. Non c'e bisogno di gridare. Me ne vado. me ne vado. (andandosene) Inutile che mi insulti come una serva. (via. Lo scrittore, evidentemente sollevato, riprende in mano la penna per scrivere)     

Lalla                              - (entrando) Papà, hai di nuovo bisticciato con mamma?

Lo scrittore                   - (secco) Non metterti nelle faccende che non ti riguardano, Lalla!

Lalla                              - Mamma si e messa a piangere e si e chiusa in camera sua.

Lo scrittore                   - Lalla, sto scrivendo e non ho tempo di.

Lalla                              - (guardando la scrivania) Scrivendo? Ma se non hai scritto una parola.

Lo scrittore                   - (spazientito) Senti, Lalla.

Pino                               - (entrando) Salve, papà. Ti arrabbi se non torno a pranzo?

Lo scrittore                   - Pino, tu devi studiare e.

Pino                               - Alla domenica non si studia, papà. È vacanza.

Lalla                              - S'è rubato i miei soldi e adesso va a fare il bello con le ragazzette.

Pino                               - (a Lalla) Tu chiudi il becco. (allo scrittore) Allora, papà, posso star fuori?

Lo scrittore                   - Mettiti d'accordo con tua madre. Io sono contrario al fatto che un ragazzo della tua età.

Pino                               - Non ho quindici anni.

Pino                               - Ma non ne hai ancora diciotto. Domanda il permesso a tua madre.

Pino                               - Già, i permessi si domandano per via gerarchica. Burocrati. Siete antiquati come dinosauri. Va bene. Torno a pranzo. Ma poi uscirò di nuovo. (via)

Lalla                              - (gli grida dietro) Ehi, se vedi giù una fuori serie azzurra, fammi un fischio. È per me.

Pino                               - (dal di fuori) Già, Ernesto, quello della foto con la dedica!

Lo scrittore                   - (a Lalla) Lalla, lasciami tranquillo anche tu. Lo sai che voglio lavorare e.

Lalla                              - (sedendo sulla scrivania) Papà, perché sei così egoista? Tutto il giorno in questo studio a scrivere e la povera mamma tutta sola.

Lo scrittore                   - Resta con lei, tienile compagnia.       

Lalla                              - Che discorsi, papà. Non sono io suo marito (scoppia a ridere) Senti, papà, cos'e che vuoi scrivere? Un'altra commedia? Quante ne hai già nel tuo cassetto?. (pausa) Dimmi, ho indovinato? Una commedia?

Lo scrittore                   - Già.

Lalla                              - Interessante?

Lo scrittore                   - Spero.

Lalla                              - Su, raccontami. sono curiosa. Una commedia d'amore o un dramma? Non una tragedia, spero!

Lo scrittore                   - È. è. una commedia, ma quasi un dramma. È la storia di una persona di servizio. una serva che viene sedotta da un giovinastro che.

Lalla                              - Capisco. Dal figlio del ricco borghese capitalista. Uno spunto polemico: l'ingiustizia sociale, il contrasto tra il sano popolo lavoratore e.

Lo scrittore                   - Niente di tutto questo. Io voglio scrivere solo una storia semplice e comune, un fatto di cronaca.

Lalla                              - E hai scelto la vecchia storia della serva sedotta e abbandonata? A chi vuoi che interessi al giorno d'oggi?

Lo scrittore                   - (risentito) Mia cara Lalla, tutte le storie sono buone se scritte bene! E, poi, non devi credere che.

Lalla                              - I tempi sono cambiati. C’è stata una guerra, ci sono stati.

Lo scrittore                   - (entusiasmandosi) Aspetta, Lalla, non puoi giudicare se non conosci la mia storia. II            personaggio io l'ho dentro di me. Lo sento vivere, ecco. lo vedo, come vedo te. È una ragazza. più o meno sui diciotto-vent'anni. una ragazza che si chiama, non so, Dorina, Giustina. un nome semplice, vecchiotto. Teresina, meglio ancora, si chiama Teresina. È una servetta come ce ne sono tante, insignificante, di un biondo un po' sbiadito e con degli occhi. degli occhi di povero cane bastonato. (si sente il claxon di una macchina). Magrolina.

Lalla                              - (saltando dalla scrivania) Questo è per me. Mi racconterai un'altra volta, papà. Arrivederci! (scappa via di corsa)

Lo scrittore                   - (la segue con lo sguardo, ma non la saluta, troppo occupato a pensare al suo personaggio. Continuando a parlare) Ingenua, molto ingenua e candida. Candida come la virtù! (la luce si attenua)

Teresina                         - (sui diciott'anni, vestita goffamente di celeste, con scarpe basse di vernice nera. Porta sul braccio un soprabito rosa un poco sbiadito. Il viso è pallido, incorniciato dalle trecce bionde arrotolate attorno alla testa) Così?

Lo scrittore                   - (la osserva a lungo) Sì. così. Solo pensavo che. portassi la scriminatura da un lato.

Teresina                         - (docile) Se preferisce. (fa il gesto di sciogliersi le trecce per cambiare la pettinatura)

Lo scrittore                   - No, lascia. Stai benissimo così. (la guarda con attenzione) Finalmente ti vedo gli occhi: castani.

Teresina                         - Quasi gialli. come quelli dei gatti.

Lo scrittore                   - Sono mansueti. buoni.

Teresina                         - (abbassando il capo) È stato lei a volerli così.

Lo scrittore                   - (pratico) Dunque, tu sei.

Teresina                         - Mi chiamo Teresina, sono orfana. Sono cresciuta sola, si può dire, mantenendomi col mio lavoro: faccio la serva.

Lo scrittore                   - (quasi a sé) Ha ragione Lalla. Troppo melodrammatico.

Teresina                         - Ma e così. Glielo assicuro. Mio padre morì quando avevo sette anni e mia madre quando ne avevo otto e mezzo. Così sono rimasta sola, senza affetto. senza amore.

Lo scrittore                   - Quanti anni hai?

Teresina                         - Diciotto. Li ho compiuti una settimana fa e proprio quel giorno ruppi una teiera. Mi cadde dalle mani. non so come. La padrona si arrabbiò. E mi sgridò anche il padrone, lui che non apre mai bocca. Piansi tutto il giorno.

Lo scrittore                   - (quasi a sé) Davvero, questo episodio è polemico e si presterebbe, come dice Lalla a….

Teresina                         - (pronta) Lotta di classe e giustizia sociale?

Lo scrittore                   - E, tu, come le sai, certe cose?

Teresina                         - I giornali. Ormai non parlano d'altro. Ma la politica non c'entra con la mia storia. La mia storia è semplice. Si chiama Ernesto!                 

Lo scrittore                   - Ernesto? Chi è Ernesto?

Teresina                         - (sorridendo) Non mi dirà che non lo sa?!

Lo scrittore                   - Ah, si chiama Ernesto. Io lo chiamavo semplicemente il marinaio.

Teresina                         - (c.s.) Il marinaio che non è marinaio.

Lo scrittore                   - Non lo è, vero?

Teresina                         - Non lo è mai stato. E forse il mare non l'ha visto che da una spiaggia. (un poco triste) È un ladro, lei lo sa.

Lo scrittore                   - (severo) E tu ti metti proprio con lui?!?

Teresina                         - (troncando) Questa è la mia storia.

Lo scrittore                   - Non è gran cosa.

Teresina                         - Certo. detta così! È un fatto di cronaca come se ne leggono ogni giorno. Ma ben raccontato. se lei lo racconta con.

Lo scrittore                   - Non c’è intreccio. La storia è comune, scontata. E poi triste. Tu non fai che piangere dal principio alla fine.

Teresina                         - (pronta) No, non è vero. Se lei dice questo, non capisce nulla della mia storia. Io non piango. Gli occhi secchi, neppure una lacrima. E come potrei piangere? Quando? Dopo? No, vede, questa avventura è il solo raggio di sole della mia vita. Dura poco, lo so, qualche ora. Neppure un giorno intero! Ma che importa il tempo? La vita, per me, è in queste poche ore.

Lo scrittore                   - Però, devi ammettere che in tutto quanto succede non c'è niente di originale. Una storia piatta, banale, comune.

Teresina                         - (candida) Tutte le storie lo sono. Un po' d'amore, un sorriso, qualche lacrima. la morte. La vita non è fatta d'altro. La vita di tutti, voglio dire: degli altri come la mia.

Lo scrittore                   - Sì, capisco. ma tutto quello che ti succede lo si può prevedere fino dalla prima scena.

Teresina                         - Non è colpa mia.

Lo scrittore                   - Lo so. Ad ogni modo proviamo. Quando incomincia la storia?        

Teresina                         - (sorridendo) Lei lo sa, no? Un pomeriggio di domenica, ai giardini pubblici.

Lo scrittore                   - (con ironia) Una domenica di primavera, naturalmente.

Teresina                         - (pronta) No. D'autunno. Fine ottobre, ultimo sole.

Lo scrittore                   - Perché proprio d'autunno?

Teresina                         - A me l'autunno piace più della primavera.

Lo scrittore                   - Anche a me.

Teresina                         - Lo so. (si guardano. Lunga pausa)

Lo scrittore                   - E. voi due soli?

Teresina                         - Beh. se crede ci possono essere altri personaggi.

Lo scrittore                   - Quali?

Teresina                         - Nina, Camilla. Gloria. Marietta. Le mie amiche insomma. E i loro innamorati: il garzone del droghiere, il garzone del macellaio, il ragazzo del tintore. E poi, un caporalmaggiore.

Lo scrittore                   - Un caporalmaggiore? E che c’entra?

Teresina                         - Ai giardini c’è sempre un caporalmaggiore che fa la corte alle persone di servizio. Un caporalmaggiore con i baffi ed i gradi bene in vista sul braccio. (pausa. Ride, poi improvvisamente seria) Ma se la mia storia non le piace, può cercarne un'altra. Forse lei ha ragione. La mia storia è troppo semplice. troppo banale.

Lo scrittore                   - Teresina, che ti prende, ora? Che ti succede?

Teresina                         - Niente, niente. È che, pensandoci bene. (abbassa la testa mortificata). è meglio. è meglio che mi lasci stare. Che non ci pensi più ecco. (si allontana) Mi creda, è meglio così!

Lo scrittore                   - Teresina, dove scappi? Dove vuoi andare? Senti, Teresina, ascoltami.

Teresina                         - Il mio è un fatto di cronaca. una storia senza importanza. Per gli altri. Per me, invece, è la mia storia. Tutto succede in un giorno, lo so. questo amore che non dura che qualche ora. Ma per me è un amore eterno. E non voglio, non voglio che nessuno si diverta con il mio amore. (scoppia a piangere) Nella vita non ho avuto e non avrà altro.            

Lo scrittore                   - Teresina, non piangere, ora. Senti.

Teresina                         - (ostinata) No, scelga un'altra storia. Lasci stare la mia. Ha ragione lei, non vale la pena di occuparsene. Non vale la pena. (scompare nello stesso attimo in cui la luce torna normale)

Renata                           - (accanto al tavolo dello scrittore vestita da passeggio) Hai tu le chiavi della macchina?

Lo scrittore                   - (tornando con fatica alla realtà) Eh? che dici?

Renata                           - Possibile che tu non capisca mai quello che ti si dice? Ti sto domandando se hai tu le chiavi della macchina.

Lo scrittore                   - Ah, sì. (si fruga nelle tasche e ne estrae un mazzo di chiavi) Eccotele.

Renata                           - (offesa e secca) Esco. (prende le chiavi)

Lo scrittore                   - Una buona idea. Divertiti.

Renata                           - Non mi domandi dove vado, con chi esco? Non t’importa sapere cosa fa tua moglie? L'importante è che si tolga dai piedi e che ti lasci tranquillo a scrivere le tue “stupidaggini”!

Lo scrittore                   - (reagendo con collera) Senti, sarà padrone di. (rinunciando a spiegarsi, più calmo) Ognuno ha le piccole manie, non credi?

Renata                           - (felice di sfogarsi e di litigare) Chiamale manie, caro mio. le tue sono.

Lo scrittore                   - (dominandosi, dolce) Renata, ricordi una volta?. Allora eri contenta se restavo a casa a scrivere. Sedevi accanto a me e appena terminavo una pagina, me la prendevi di mano per leggerla e commentarla insieme.

Renata                           - Allora ti credevo un genio.

Lo scrittore                   - (c.s.) Renata, ti prometto che la prossima domenica usciremo insieme. Oggi lasciami scrivere la storia di Teresina. Devo scriverla, capisci? (con affetto) Non vuoi nemmeno sapere chi è Teresina?

Renata                           - Mio Dio, che nome stupido. Non potevi scegliere meglio?

Lo scrittore                   - È il nome di una servetta.

Renata                           - Mai conosciuto una serva che si chiamasse Teresina.             

Lo scrittore                   - Non importa se non l'hai conosciuta. Teresina esiste, è viva.

Renata                           - E come ti è venuto in mente di scrivere la storia di una serva? Ti dai agli amori ancillari ora?

Lo scrittore                   - (scattando) Non fare dello spirito, Renata! (più calmo) Ascoltami: ti racconto la storia di Teresina. È una povera servetta che in un pomeriggio di domenica, un pomeriggio d'ottobre, ultimo sole. incontra ai giardini pubblici un giovanotto che si chiama Ernesto.

Renata                           - Come quel tipo che fa la corte a Lalla.

Lo scrittore                   - Eh?

Renata                           - Già. È sempre giù che l'aspetta con la fuoriserie azzurra. Anche oggi sono usciti assieme. Io per principio non sono contraria al fatto che una ragazza abbia la sua libertà e frequenti chi le piace. Ma anche a questo c'è un limite. Che escano insieme. sempre sempre, sempre, insieme. Sarà un ottimo ragazzo, non lo discuto. Ma non sappiamo neppure chi sia. Pino possiamo lasciarlo andare con chi vuole. Pino è un maschio. La nostra responsabilità non è la stessa. Ma abbiamo il dovere di occuparci di Lalla. Perché poi, devi ammetterlo, Lalla è una ragazza strana. Frivola, leggera, di una superficialità spaventosa. Non so davvero a chi di noi somigli. Mi ascolti? Dico a te, mi stai a sentire?

Lo scrittore                   - (lontano e rassegnato) Sì. sì. Ti sto a sentire.

Renata                           - Come se non fosse di nostra figlia che parlo. Dunque ti dicevo che sono sempre assieme: a ballare, alle corse, al cine, alla partita. Lui, a quanto pare, è ricco. Buona borghesia. Il padre ha una fabbrica di tessuti stampati. Hanno comprato l'anno scorso un villino al mare. non so dove, e mi hanno detto che hanno anche una bella proprietà in provincia. Ma oltre a questo non so assolutamente nulla di loro. Ernesto poi, come ti dicevo, l'ho appena visto una volta o due. Lalla ad ogni modo ne è innamorata. Figurati che l'altro giorno. ehi, è con te che sto parlando. ehi, dico. mi ascolti?

Lo scrittore                   - (deciso) No. E ti dirò che non ho nessuna intenzione di ascoltarti. Io ti parlo della mia storia. di Teresina. e tu mi salti fuori con Lalla e il suo ultimo pretendente!

Renata                           - (con rabbia) Mi stai parlando di Teresina? Ma di che Teresina? Chi è Teresina? Non conosco nessuna Teresina, e non voglio conoscerne, te lo assicuro. Io ti parlo di nostra figlia. di tua figlia e tu. Non solo lasci sulle mie spalle tutto il peso della casa, ma non vuoi neppure che ti parli dei tuoi figli! A volte dubito perfino che tu senta dell'affetto per loro. (si avvia verso la porta) Che non t'importi nulla di me. ne sono sicura. (con un mezzo singhiozzo) Me ne vado. Non so se tornerò. (tornando indietro, aggressiva) Lo so che saresti felice se non tornassi. sei un mostro, un cinico, un vigliacco! (andandosene di nuovo) E dire che a vent'anni mi sembravi il marito ideale. Mio Dio come si è stupidi quando si è giovani. (esce sbattendo violentemente la porta. Questo movimento brusco fa                riaprire la finestra. Una musica dolce, romantica, accompagnerà in sordina la scena che segue. La luce cambia un’altra volta di colore e di intensità)

Teresina                         - (riappare accanto allo scrittore) Scusi.

Lo scrittore                   - Teresina!

Teresina                         - Mi sono comportata come una stupida. Non sapevo. non capivo che.

Lo scrittore                   - Non importa, Teresina. Non parliamone più.

Teresina                         - Allora. se crede che la mia storia valga la pena raccontarla.

Lo scrittore                   - Certamente, che ne vale la pena.

Teresina                         - Allora. possiamo cominciare. Chiamo Ernesto?

Lo scrittore                   - Senti, non si potrebbe chiamare in un altro modo?

Teresina                         - Chi?

Lo scrittore                   - Ernesto.

Teresina                         - È il suo nome. Sarebbe difficile cambiarglielo, ora.

Lo scrittore                   - Non importa, non importa.

Teresina                         - Lo chiamo?

Lo scrittore                   - Chiamalo.

Teresina                         - (chiamando) Ernesto!

Ernesto                          - (entra in scena. un bel ragazzo dal viso simpatico, abbronzato dal sole: ha i capelli ricciuti, a ciuffi scomposti, calzoni da marinaio, un poco sbiaditi e un maglione aperto sul petto) Eccomi qui. Sbarcato dall’Oriente! (allo scrittore, subito aggressivo) Guardi che io non sono quello che crede lei, eh! Io sono.

Teresina                         - (dolce) No, Ernesto, non così. Conoscendoti, lo capirà. Ora dobbiamo spiegargli come ci siamo conosciuti.

Ernesto                          - (sorpreso) Perché? Lui non lo sa?

Teresina                         - Sì, ma dobbiamo fargli vedere come la nostra storia è cominciata.                 

Ernesto                          - (sbuffa, mette le mani in tasca e resterà fermo a gambe larghe in mezzo alla scena) Anche questo!

Teresina                         - Sii buono, Ernesto. Un poco di pazienza.

Ernesto                          - Sì, sì. ma spicciamoci.

Teresina                         - (allo scrittore, piano) È un bravo ragazzo, sa? Ma bisogna conoscerlo. saperlo prendere.

Lo scrittore                   - Sì, Teresina, sì.

Ernesto                          - (impaziente) Allora che facciamo? Si comincia?

Teresina                         - Subito.

Ernesto                          - (allo scrittore, insolente) Un pomeriggio di sole.

Teresina                         - In un viale dei giardini. (la luce si spegne nello studio dello scrittore e si illumina l'altro lato della scena: l'angolo di in giardino pubblico, con due panche l'una di fronte all'altra. Gli elementi decorativi sono stilizzati e funzionali. La luce è violenta come se il forte sole del pomeriggio, filtrasse tra i rami degli alberi. La musica romantica si trasforma in musica di banda lontana, che va e viene, per poi spegnersi del tutto. Sedute su una panchina, Gloria e Marietta)

Voce di Teresina           - Questi sono i personaggi di contorno, come dice lei. Due persone di servizio, anche loro. Chiacchierano come ogni domenica. Quella a destra è Marietta, l'altra è Gloria. (più forte un attimo la musica, poi)

Gloria                            - Naturalmente, hai voglia! I bambini rompono tutto e la padrona se la prende con me. E vorrebbe farmi pagare tutto quello che trova rotto, con quei quattro soldi che dà alla fine del mese.

Marietta                        - Io, in una casa con bambini, non ci resto. Quando la mia padrona partorirà, darò gli otto giorni, vedrai!

Gloria                            - Lo dici, ma poi il marmocchio nasce, ti affezionerai e resterai.

Marietta                        - Piuttosto ritorno al mio paese.

Gloria                            - Io vorrei trovare uno scapolo: stirargli le camicie, fargli da mangiare. senza nessuna padrona che ti stia dietro e che ti dica: “Fa questo. fa quello. ” Le padrone sono tutte vipere.

Marietta                        - Io ho avuto una volta una padrona come si deve. Faceva la mantenuta. Veniva sempre a trovarla un signore vecchiotto, grasso, che le faceva certi regali.        Quando arrivava lui, mi lasciava il pomeriggio libero. Quando tornavo. un casino che non ti dico: bottiglie vuote, piatti sporchi e il letto. avresti dovuto vederlo il letto, un campo di battaglia. Del resto era logico. Faceva la mantenuta e quello era il suo mestiere. Ma buona. aveva un cuore grosso così.

Gloria                            - Io ho conosciuto una mantenuta. Ahi!

Marietta                        - Che ti prende?

Gloria                            - (sfilandosi la scarpa) Le scarpe nuove mi fanno male.

Marietta                        - Fa' vedere! Che belle, di vernice, eh?

Gloria                            - Non sono abituata al tacco alto. E poi mi stringono qui dietro. (un caporalmaggiore passa impettito e con la coda dell'occhio osserva da intenditore le due ragazze. Poi si ferma lisciandosi i baffi)

Marietta                        - Io ho visto un paio di scarpe che.

Caporalmaggiore           - Bella giornata, eh?

Marietta                        - Bellissima.

Caporalmaggiore           - Conosco un posticino, quasi in campagna, dove si balla. Chi di loro due vorrebbe venire a tenermi compagnia? C'è una bella osteria e un ballo a palchetto, sotto gli alberi. È un locale molto elegante.

Marietta                        - Grazie, aspettiamo i nostri fidanzati.

Caporalmaggiore           - Tutt'e due?

Gloria                            - (ridendo) Proprio, tutt’e due.

Caporalmaggiore           - Militari?

Marietta                        - Guarda, arriva Camilla!

Gloria                            - Con la carrozzina? Che le sarà successo? (il caporalmaggiore esce impettito)

Camilla                          - (entra spingendo la carrozzina) Mi hanno tolto la domenica. A mezzogiorno quella stupida della padrona mi dice: “Camilla, invece di oggi uscirai giovedì, perché io vado in campagna questo pomeriggio”. Capite?

Marietta                        - Oh, proprio oggi che andiamo a ballare.        

Gloria                            - Vieni lo stesso. Porti il marmocchio.

Camilla                          - Con questo piscialetti? No grazie. Sul più bello si mette a frignare e addio!

Voce dello scrittore      - Tu entri in questo momento, Teresina?

Voce di Teresina           - Sì, con Nina.

Nina                              - (entra con Teresina. È una ragazza sui trent'anni, rotonda, vestita chiassosamente, tipo di donna pratica, simpatica e volgarotta) Alla domenica ci si ritrova sempre, eh? (saluti a soggetto) Conoscete Teresina?

Gloria                            - Sì, di vista.

Marietta                        - Ci incontriamo quasi ogni giorno al mercato.

Gloria                            - Perché non venite a ballare con noi? Camilla non può, le hanno tolto la domenica.

Nina                              - Vuoi che andiamo, Teresina?

Teresina                         - (timida) Non so ballare!

Marietta                        - Se non sai, impari.

Gloria                            - È facile, basta muovere i piedi e il resto viene da sé. (un fischio prolungato) Viene Pietro!

Pietro                            - (entrando) Buongiorno a tutti.

Gloria                            - Questo è Pietro, il mio fidanzato. (saluti) È un ragazzo in gamba. Fa il macellaio, guardate che mani.

Pietro                            - Signorine, svelte. C'è la macchina che ci aspetta.

Tutte                             - La macchina?

Pietro                            - Cesco è venuto col furgoncino della tintoria. Andiamo, allora?

Camilla                          - Che rabbia! Io non posso venire.

Pietro                            - Perché?

Camilla                          - Mi hanno tolto la domenica. (a Teresina) Mi tieni un momento il ragazzino? Vado a salutare Giacomo e torno. (passa la carrozzina a Teresina ed esce)    

Gloria                            - (a Teresina e a Nina) Venite, allora?

Teresina                         - No, grazie. Sarà per un’altra volta.

Marietta                        - Allora arrivederci!

Pietro                            - A presto, belle signorine. (saluti. Tutti escono meno Nina e Teresina)

Nina                              - (siede su una panchina) Perché non hai voluto che andassimo con loro?

Teresina                         - Non so ballare. E poi. non conoscevo nessuno.

Nina                              - A ballare si impara e amici si diventa. Hai paura di tutto, tu.

Teresina                         - Non e che abbia paura. È che.

Nina                              - Alla tua età io avevo già avuto quattro fidanzati. Tu, invece, ancora non sai come sia fatto un uomo. Vero che non lo sai? (ride)

Teresina                         - (arrossisce. Dopo una lunga pausa, indicando il bambino) Quanti mesi avrà?

Nina                              - Oh, non è che un rospetto.

Teresina                         - Che mani piccole. E guarda che unghie.

Nina                              - Aspettami. (si alza) Vengo subito.

Teresina                         - (allarmata) Dove vai?

Nina                              - A comprarmi delle caramelle alla menta. Fanno la bocca fresca.

Teresina                         - Sbrigati allora.

Nina                              - Va là, che nessuno ti ruba. (esce)

Caporalmaggiore           - (che la stava osservando di lontano, le si avvicina) Scusi, signorina. (Teresina abbassa il capo, confusa) Cosa fa qui tutta sola? (pausa) Oggi è domenica, bisogna divertirsi, non le pare? (pausa) Non risponde? Forse perché non mi conosce. Ma sappia che un militare lo presenta l'uniforme che porta. Vede? (indica i gradi) Caporalmaggiore, quattro anni di servizio, diciotto mesi di grado. Fra qualche settimana sarò promosso sergente. Capisce? Sergente! (lunga pausa) Senta, signorina, invece di starsene qui tutta sola, perché non viene con me? Può portare anche il bambino, se vuole. Conosco un posto fuori città dove si balla. Un locale elegante, sa? C’è un bel palchetto sull’erba sotto gli alberi e dei tavoli attorno. Che ne pensa? (lunga pausa) Eh, quante arie. Ne conosco cento di            ragazze che non aspettano che una parola per corrermi dietro. (esce seccato ed impettito mentre Ernesto entra in scena con Beppe) BEPPE (un pezzo d'uomo grande e grosso, rumoroso). Sì, alla domenica tutti a divertirsi e noi. a fare il giro delle panchine come due stupidi.

Ernesto                          - (sedendo sulla panchina, di fronte a quella di Teresina) Che c'è di più bello che scaldarsi al sole?

Beppe                            - Ti piace di più eh, il sole, ora che non lo vedi a scacchi?

Ernesto                          - Il sole è sempre il sole. Ma là dentro ci arrostiva. Hai una sigaretta?

Beppe                            - Nemmeno una cicca.

Ernesto                          - Va' a comprarne, allora.

Beppe                            - Con che? Non ho un centesimo.

Ernesto                          - Arrangiati, allora. Datti da fare.

Beppe                            - Come?

Ernesto                          - Su, dai. ho voglia di fumare! (lo spinge allegramente fuori dalla panchina)

Beppe                            - E perché ci devo proprio andare io?

Ernesto                          - (ridendo gli dà una spinta) Svelto, bestione!

Beppe                            - (urtato, va a sbattere contro la carrozzina. Il bambino si sveglia piangendo) Oh, scusi. (esce)

Teresina                         - (cercando di calmare il bambino) Su, bello. zitto, zitto, su.

Ernesto                          - (si avvicina) Il mio amico è un animale!

Teresina                         - Non importa. Su, dormi stellina, su bellino.

Ernesto                          - Aspetti, lasci fare a me. (si china sul bambino, gli fa smorfia. Il bambino si calma) Vede? (intona una canzone che parla di mare, appena un ritornello; poi) Dorme già.

Teresina                         - (confusa e contenta) Grazie.

Ernesto                          - (torna a distendersi sulla panchina) Sono o non sono una buona balia?       

Teresina                         - (c.s.) Sì.

Ernesto                          - Al marmocchio piace la musica. Diventerà un cantante.

Teresina                         - Era così bella la sua canzone!

Ernesto                          - (spaccone) Dovrebbe sentirla quando la cantiamo sulla nave, tutti in coro. In mezzo al mare, di notte col cielo pieno di stelle.

Teresina                         - (con ammirazione) Lei è marinaio?

Ernesto                          - Sì. Sono arrivato ieri dall’Oriente.? Lei sa dov’è l’Oriente?

Teresina                         - (arrossendo) No.

Ernesto                          - (indicando) Da quella parte. Ma lontano, eh? Uh, hai voglia di com'è lontano, mamma mia. Ce ne vuole di tempo per arrivarci. In Oriente non lo crederà, ma la gente è gialla. Gialla come la luna, sa? E le donne più gialle ancora degli uomini. E hanno una pelle così liscia. Aspettano i marinai cantando, nel porto, ed hanno dei fiori nei capelli.

Teresina                         - (ascolta a bocca aperta) Davvero?

Ernesto                          - In Oriente tutto è profumato, non solo le donne. Perché ci sono fiori dappertutto. Fiori grandi. grandi come le ruote di una bicicletta ed anche di più. Dovrebbe vedere: ci sono fiori persino sul mare. Immensi fiori colorati che galleggiano sulle onde. E l'acqua è verde come quella foglia, guardi. più verde ancora. E il cielo. Eh, bisogna averlo visto, l'Oriente. (rimane sulla panchina senza parlare. Teresina lo guarda incantata)

Nina                              - (rientrando) Quella del chiosco è mia amica e mi attacca sempre certi bottoni. Figurati che sua sorella ha vinto al lotto ed ha perso la ricevuta. Vuoi una caramella?

Teresina                         - Sì, grazie

Nina                              - E Camilla? Non farà conto di lasciarci qui con questo arnese! (indica il bambino) Dorme?

Teresina                         - (chinandosi sulla carrozzina) Oh, guarda, si è svegliato e io non me ne ero accorta. È tutto umido, bisognerebbe cambiarlo. (il bambino strilla. Un attimo)

Ernesto                          - Devo mettermi di nuovo a cantare?

Teresina                         - (confusa) No, grazie, non piange più.             

Nina                              - (indicando Ernesto) Chi e? Lo conosci?

Teresina                         - Un marinaio. (pausa) Com'è caldo, com'è morbido. (prende il bambino tra le braccia) E che occhietti! (lo rimette nella carrozzina) Guarda come sorride!

Nina                              - È maschio o femmina?

Teresina                         - (confusa) Non so.

Nina                              - (solleva il bambino scoprendolo) E maschio, guarda. (Teresina arrossisce. Nina rimettendo il bambino nella carrozzella) Quando ti decidi a impararle, certe cose? (Ernesto scoppia a ridere. Camilla appare in un angolo chiacchierando col caporalmaggiore. Nina a Ernesto) Non le pare? (ride, poi vedendo Camilla) Ehi, Camilla, non farai conto di lasciarci qui col marmocchio!

Camilla                          - (avvicinandosi) Che c'è?

Nina                              - Noi ce ne andiamo.

Camilla                          - (prendendo la carrozzina) Giacomino era furioso.

Nina                              - Ma tu ti consoli, eh?

Camilla                          - Sss! È un militare. Non gli do retta, ma lui insiste. (andandosene) Grazie, eh? E arrivederci.

Teresina                         - (salutando il bambino) Ciao, bello, ciao stellina.

Caporalmaggiore           - (spingendo la carrozzina ed uscendo con Camilla) Come le dicevo conosco un posto dove si balla. un po' fuori città. C'è un palchetto sull'erba. Può portare anche il bambino, se vuole. (via con Camilla)

Nina                              - Al Politeama c'è un film con quell'attrice. come diavolo si chiama. Quella che canta. Vuoi che andiamo al cine?

Teresina                         - Se è un bel film!

Ernesto                          - (senza muoversi) È una porcheria. Io l'ho già visto.

Nina                              - Quel film con quell'attrice che canta così bene?

Ernesto                          - (c.s.) Non vale una cicca.

Nina                              - Sempre così, alla domenica non danno che porcherie. (a Teresina) Allora, cosa facciamo? (parla piano con Teresina)      

Beppe                            - (rientra con una sigaretta in bocca che passerà a Ernesto) Ecco! (siede sulla panchina) Ah! (piano) Perché non ci facciamo sotto con quelle due? Una per ciascuno. A te lascio la più giovane e io mi prendo l'altra.

Ernesto                          - Non mi metto con le ragazzine. Quella poi, basta guardarla per capire che è ancora vergine.

Beppe                            - Che discorsi! Tutte le donne nascono vergini. Non è colpa loro.

Ernesto                          - Beh, a me non piace mettermi con le vergini.

Beppe                            - Dici così, ma se quella ci stesse non ti faresti pregare. Dopo tre mesi di cinghia tutte le sottane sono buone. Guarda la più grassa. Mi ha l'aria di una cuoca. T'immagini se fosse una cuoca? Solo a pensarci, mi viene l'acquolina in bocca. Dai, attacchiamo con quelle!

Ernesto                          - E va bene. Se è per farti piacere! (si avvicina alle ragazze) Io ho detto che quel film è brutto, ma non vorrei che per colpa mia.

Nina                              - No, no. ha fatto bene a dircelo.

Beppe                            - (avvicinandosi) Di che diavolo di film state parlando?

Ernesto                          - C'è un po' di musica e alla fine i due si sposano, tutto lì.

Beppe                            - Cosa stai dicendo? (Nina e Teresina ridono divertite)

Ernesto                          - (siede accanto alle ragazze) Non facciano caso al mio amico. Non mangia da tre giorni e la fame lo rende un po' stupido.

Teresina                         - Non mangia da tre giorni?

Nina                              - Come mai?

Ernesto                          - Non mangia da ieri. È che lui, poveretto, è ancora un po’ debole. È appena uscito dall'ospedale. Ha fatto il tifo. Una sporca malattia il tifo. (strizza l'occhio a Beppe)

Beppe                            - Una sporca malattia, miseria!

Nina                              - Ma quando uno è in convalescenza, deve mangiare, no?

Ernesto                          - Lo so. Ma che posso fare? Neppure io mangio.

Teresina                         - E perché?       

Ernesto                          - (a Beppe) Glielo devo dire?

Beppe                            - Fai come vuoi.

Ernesto                          - È una stupidaggine. Non vale nemmeno la pena di parlarne. Il fatto è che io sono un marinaio.

Teresina                         - Venuto dall’Oriente.

Ernesto                          - Appunto. Proprio ieri. Sbarco e vado all'ospedale a trovare questo bel tipo. Anche lui è marinaio. Ci conosciamo da quando io ero alto così. Si ammalò di tifo, proprio il giorno prima che la nave partisse per l'Oriente.

Beppe                            - Una sporca malattia, il tifo!

Ernesto                          - Beh, per farla corta sono arrivato quando lui faceva fagotto e lasciava l'ospedale. Mentre eravamo. dove eravamo, Beppe?

Beppe                            - Quando?

Ernesto                          - Quando mi hanno rubato il portafogli!

Teresina                         - Rubato?

Ernesto                          - Già. Ma quando ce ne siamo accorti, chissà il ladro dov'era!

Beppe                            - (che ha finalmente capito dove porta il giuoco di Ernesto) E così siamo rimasti senza un soldo.

Teresina                         - E non mangiano da ieri?

Ernesto                          - (spaccone) Oh, siamo abituati a digiunare. La fame non ci fa paura. Una volta, due anni fa, ricordi Beppe? La nostra nave naufragò nel Pacifico. Rimanemmo tredici giorni sopra una zattera senza mangiare né bere. E nudi come vermi. Tra certe ondacce, con certi pescioni attorno. Quella volta sì che fu fame!

Beppe                            - Due giorni di digiuno ci fanno appena il solletico allo stomaco!

Ernesto                          - E quell’altra volta, ricordi? Vicino all’Africa, quando mangiammo scarafaggi! Meglio il digiuno che gli scarafaggi!

Beppe                            - (imitando Ernesto) Eh, se ne avessimo il tempo, potremmo raccontarne delle belle davvero.

Nina                              - Anche lei?     

Ernesto                          - Non le ho detto che anche lui è marinaio? Siamo sempre stati insieme come il mare e i pesci.

Beppe                            - Io e lui, lui ed io.

Nina                              - (pratica) Invece di restar qui a contarcela, perché non andiamo tutti a far merenda?

Teresina                         - Questa sì che è una buona idea.

Ernesto                          - Ci mancherebbe. E con che pagheremmo?

Nina                              - Stavolta paghiamo noi, la prossima pagheranno loro. (a Beppe) Non le pare?

Beppe                            - Per me, d'accordo!

Ernesto                          - Io per principio non accetto mai da una donna. Ma dal momento che lui è ancora mezzo malato.

Nina                              - Su, su. poche storie.

Ernesto                          - Forza, allora, andiamo. (Beppe si avvia con Nina lentamente. Le dice qualcosa nell'orecchio. Nina sbotta in una risata. Ernesto a Teresina) Allora?

Teresina                         - (si alza) Non. non le fa male lo stomaco a restare tanto tempo senza mangiare?

Ernesto                          - Oh, ci si abitua a tutto. (Teresina lo guarda con dolcezza) E poi, fra poco non ci sarà più bisogno di mangiare. In America hanno inventato una pillola, grossa come un chicco di riso. Si butta giù quella e non c'è più bisogno di mangiare per dieci giorni.

Teresina                         - Davvero?

Ernesto                          - Come mangiare tre volte al giorno, e abbondante, per dieci giorni. In una pillola c’è tutto; carne, verdura, frutta, minestra, pane, dolce, vino, per dieci giorni. In un boccone, come una medicina. Ahm! Ed è fatta. (sospirando) Bisogna girare il mondo per vederne di belle!

Teresina                         - Io, invece, non mi son mai mossa di qui. E non so niente di niente.

Ernesto                          - (galante) Lei è una ragazza!

Teresina                         - Sì, ma.

Ernesto                          - Una ragazza non ha bisogno di sapere troppe cose. Basta che abbia le trecce bionde e le labbra rosa. (avvicinandosi) Come si chiama, lei?

Teresina                         - Teresina. E lei?

Ernesto                          - Ernesto. (la luce si spegne improvvisamente per riaccendersi nello studio dello scrittore, che è seduto al tavolo con la testa fra le mani)

Lalla                              - (accanto a lui) Papà. tu non mi ascolti.

Lo scrittore                   - (ancora lontano) Sì, ti ascolto.

Lalla                              - E che ne pensi? Perché mi ama, capisci? Anche lui mi ama.

Lo scrittore                   - Lui? Chi?

Lalla                              - (candida) Ernesto.

Lo scrittore                   - (sbigottito) Eh?

Lalla                              - Ma di chi credevi che stessi parlando?

Lo scrittore                   - (riprendendosi) Di Ernesto. Certo, di Ernesto. (pausa) E ti ama?

Lalla                              - Non mi sono sentita mai così felice come oggi. Me lo ha detto con tanta dolcezza. Aveva quasi le lacrime agli occhi.

Lo scrittore                   - Ma sei sicura anche tu di volergli bene?

Lalla                              - Non capisci, papà? Non ti accorgi guardandomi negli occhi che il mio è amore? Vero amore, unico, grande.

Pino                               - (entrando) Hai visto, papà? Sembra un romanzo a fumetti! È ricco almeno il tuo Ernesto?

Lalla                              - E che importanza può avere che sia ricco o no? Lo amo. Anche se fosse un indio dell’Amazzonia, un polinesiano, un.

Renata                           - (entra subito dopo Pino) Basta, Lalla, non continuare a dire delle sciocchezze.

Lalla                              - Mamma, ti giuro che. lo amo e.

Lo scrittore                   - Non dicevi la stessa cosa un mese fa quando uscivi con quel biondino. come si chiamava?                  

Lalla                              - Papà, per favore, non tormentarmi, oggi!

Pino                               - Vado a prendermi un bicchierino. Non resisto alle scene forti. (esce)

Lalla                              - Pino, quando anche tu sarai innamorato, allora.

Renata                           - (categorica) Ascoltami, Lalla: ho molte ragioni, come ti dicevo, per credere che quel ragazzo non sia adatto per te. Appunto ieri, giocando a canasta, parlavo di lui e mi dicevano che.

Lalla                              - Se dai retta alle vecchie che giocano a canasta!

Renata                           - Tra quelle vecchie c’è tua madre, Lalla. E ti voglio dire che anche la vedova del generale Belice mi ha detto che.

Lalla                              - Forza, sentiamo, cos'ha il coraggio di dire quella vecchia balorda.

Renata                           - Che il “tuo” Ernesto, è un dongiovanni, un ubriacone ed un fannullone! (lo scrittore sbuffa impaziente)

Pino                               - (rientra con un bicchiere in mano) Allora, a che punto siamo? (beve)

Lalla                              - Non e vero, diglielo tu, papà, che non e vero!

Lo scrittore                   - E che vuoi che ne sappia, io?

Lalla                              - E va bene, saprò difendere il mio amore.

Pino                               - Brava. Faccio un altro brindisi. (si avvia per uscire)

Renata                           - Pino, smettila di bere. Sarebbe meglio che andassi a studiare.

Pino                               - Figurati se mi perdo questa bella scena di famiglia.

Lalla                              - Idiota!

Lo scrittore                   - (dando un pugno sul tavolo) Basta, dico!

Renata                           - (allo scrittore) Ti proibisco di essere violento!

Lo scrittore                   - Possibile che dobbiate venire tutti qui, proprio mentre lavoro a.

Renata                           - La colpa e tua. Se io quand'ero ragazza avessi parlato a mio padre come Lalla sta parlando a te.           

Pino                               - Su, mamma, fa lo strillo finale e andiamo a tavola perché ho fame.

Renata                           - Villano! Dimentichi che sono tua madre.

Lo scrittore                   - Andate fuori a gridare. Vi prego di lasciarmi in pace.

Renata                           - Sei di un egoismo, tu! Non pensi che a te stesso, alla tua tranquillità, al tuo benessere. Ti disinteressi perfino dei tuoi figli!

Lalla                              - Non litigate tra voi, non mi rovinate questo giorno.

Pino                               - Non essere isterica, Lalla, quante storie perché un uomo vuole portarti a letto!

Renata                           - Pino, stai parlando a tua sorella! Sei di una volgarità ripugnante, peggio di un facchino, di un carrettiere.

Lalla                              - Papà, almeno tu che mi conosci, che mi capisci, di tu che io amo Ernesto perché.

Renata                           - (troncando) Perché è un bel ragazzo. Ma ricordati, cara Lalla che il matrimonio non si esaurisce nell’atto sessuale che.

Lo scrittore                   - (scattando) È questo il discorso da fare a tua figlia? Se avessi un po' di sale in zucca.

Pino                               - Beh, si mangia? Altrimenti me ne vado. (si mette a fischiare)

Renata                           - (allo scrittore) Non ammetto che tu mi faccia delle osservazioni davanti ai ragazzi. E tu, Pino, smettila di fischiare come un fattorino!

Lalla                              - Tanto e inutile discutere. Amo Ernesto e lo sposerò.

Renata                           - Se tuo padre fosse un uomo ti prenderebbe a schiaffi!

Lo scrittore                   - Di anche che non sono un uomo. ora.

Pino                               - E pensare che ho lasciato un pezzo di bionda. per venire a casa! Insomma, lasciatela andare a letto con chi vuole. A voi cosa importa?

Renata                           - Pino!

Lo scrittore                   - (deciso) Basta. Tua madre e io rifletteremo insieme e ti diremo le nostre decisioni. Se questo Ernesto è un bravo ragazzo come dice Teresina.

Tutti                              - Teresina?

Lo scrittore                   - Voglio dire. se questo Ernesto è un bravo ragazzo.

Renata                           - Ridicolo, un bravo ragazzo. È un mascalzone e io non permetterò mai che mia figlia sposi un mascalzone. (uscendo) Mai, mai e poi mai!

Lalla                              - (correndole dietro) Non dire così, mamma. Anche tu sei donna e. (via)

Pino                               - (guarda Lalla, fermo in mezzo alla scena e scoppiando a ridere) Quella è scema. quella è scema. (la luce si spegne nello studio e si riaccende parte della scena, dove appare, molto stilizzato, un angolo di campagna: due alberi con foglie rossicce e un fondo di colline)

Ernesto                          - (è fermo in mezzo alla scena nello stesso atteggiamento di Pino) Quella è scema, quella e scema.

Beppe                            - Perché?

Ernesto                          - Si e innamorata di me. In quattro e quattr'otto, come una stupida.

Beppe                            - Te l'ha detto?

Ernesto                          - No.

Beppe                            - E allora come Io sai?

Ernesto                          - Non vedi come mi guarda? Beve tutto quanto le dico. Mi crederebbe se le dicessi che ho la luna in tasca.

Beppe                            - Sfido, le racconti d'un modo, tu, le storie. Vorrei sapere fai ad inventarle!

Ernesto                          - Chi lo sa! Certo è che uno ci prende gusto e poi non ne può più fare a meno. Io, per esempio, a furia d'inventare la mia vita sempre in un modo diverso, non so neppure più come sia stata!

Beppe                            - Sei un fenomeno, tu. Io, invece tutto quello che ho fatto lo so. E come, lo so.

Ernesto                          - (sincero) E, poi vedi. inventare e quasi come vivere le cose che inventi. Davvero. Perché qualsiasi cosa tu faccia. l'amore con una donna, per esempio. Poi, dopo che l'hai fatto, che ti resta? Il ricordo. E se tu, l'amore invece di farlo veramente, lo inventi. inventi di averlo fatto con una donna così e così. una donna magari che hai visto una volta sola e nemmeno conosci. ma lo inventi bene con tutti i particolari. con tutti i contorni. Bene, anche di questo te ne rimane un ricordo. Forse più forte ancora dell'altro perché hai impiegato per costruirlo più tempo ancora che se lo avessi vissuto, capisci?             

Beppe                            - (lo guarda preoccupato) No.

Ernesto                          - Il mar dei Sargassi, per esempio: io lo conosco solo con la fantasia. Ma se ne parlo, ci penso, me ne ricordo come se lo avessi visto sul serio. Mi basta chiudere gli occhi. così. perché mi appaia davanti, azzurro sotto il sole, poi grigio. e di notte scuro da far paura.

Beppe                            - Va là che sei un bel tipo, tu! Però non me la bevo se mi racconti che, invece di far l'amore con le donne, lo inventi con la fantasia!

Ernesto                          - Stupido! Io invento solo quello che la vita non mi dà

Beppe                            - (dopo una pausa) E, ora, che ci farai con la ragazzina?

Ernesto                          - Che domande! Sono un uomo, no?

Beppe                            - È niente male. Giovane, giovane, con quei capelli biondi e quella pelle così bianca.

Ernesto                          - È una povera bestia, di quelle che prendono botte tutta la vita.

Beppe                            - I suoi padroni non tornano fino a domani e lei ha le chiavi di casa. Se potessimo convincerla a farci entrare.

Ernesto                          - Non mettiamola nei pasticci.

Beppe                            - Perché pasticci? Mangeremmo, berremmo, faremmo l'amore e poi. ce ne andremmo con le tasche piene!

Ernesto                          - Non credere che sia stupida e che ci lasci fare.

Beppe                            - Basta farle perdere la testa. Quella un uomo, non l'ha mai visto da vicino.

Ernesto                          - Zitto, arrivano. (sdraiandosi sull'erba) Quella bistecca mi ha proprio messo a posto lo stomaco!

Nina                              - (entrando con Teresina) Guardate Teresina. Non l'ho mai vista allegra come oggi. Si è persino lasciata mettere il rossetto sulle labbra. (Teresina scuote la testa ridendo. L'aria di campagna e quel poco di rossetto la rendono quasi carina)

Ernesto                          - Dai, Teresina, siediti sull'erba, qui con me, e diamoci del tu.

Beppe                            - (strizzando l'occhio a Nina) E noi andiamo dall'altra parte a vedere le vacche. (agli altri) A Nina piacciono le vacche.

Nina                              - A me? E perché dovrebbero piacere le vacche?

Beppe                            - Perché sono delle belle bestie e si lasciano mungere!

Nina                              - (che non capisce) Ma perché dovrebbero piacermi?

Beppe                            - (piano) Sei dura, eh? Per lasciarli soli. (si avvia)

Nina                              - (seguendolo) E non potevi trovare un'altra scusa? Dirmi che mi piacciono le vacche! (via)

Ernesto                          - Allora, Teresina, contenta?

Teresina                         - Sì. (pausa) E, tu, non hai più fame?

Ernesto                          - Con tutto quello che ho mangiato? (ride) Bisogna dire che abbiamo passato una bella giornata. Ed ancora non è finita!

Teresina                         - Non venivo in campagna da anni!

Ernesto                          - Perché? Non ti piace?

Teresina                         - Se non mi piace? Ci sono nata. I miei erano contadini: affittavano la terra e la lavoravano. Abitavamo in una cascina grande, tappezzata di pannocchie. E, io, i primi passi, li ho fatti tra le gaggie ed il granoturco: tutto era così allegro. Vicino alla casa passava un fiume, piccolo. come quello. (indica ad un lato) Forse a lei, che è abituato al mare, questo fiume non dice niente. Ma a me.

Ernesto                          - Certo il mare è un'altra cosa. È grande: non si arriva a vedere dove finisce.

Teresina                         - Oh, mi racconti del mare. Mi piace tanto quando racconta. Chiudo gli occhi e mi par di vedere.

Ernesto                          - Nel Pacifico c'e un’isola. E in quest’isola c’è una spiaggia con la sabbia rosa. Rosa sul serio, sa? Proprio rosa.

Teresina                         - (chiudendo gli occhi) Rosa.

Ernesto                          - E l'acqua del mare è viola. Viola e verde. E c'è un silenzio, una pace. È l'isola bella del mondo. Basti dir questo: l’isola più bella del mondo.

Teresina                         - E che c’è nell’isola?

Ernesto                          - Niente: palme, uccelli, elefanti. E la gente è sempre felice: non lavora, non si stanca. Vedi, Teresina, io voglio andare in quell’isola a vivere. Per sempre.              

Teresina                         - Davvero?

Ernesto                          - Un mio amico ha una nave. Una grossa nave da carico che mi può portare. Non vorresti venirci con me, Teresina?

Teresina                         - È lontana?

Ernesto                          - Bisogna navigare mesi e mesi, senza fermarsi mai, senza vedere altro che mare. A volte si incontrano i pirati. Le loro navi hanno bandiere orribili, con teschi bianchi che ondeggiano al vento. (interrompendosi) Ma tu non racconti nulla? Che fai? La domestica, m’ha detto Nina.

Teresina                         - Sì.

Ernesto                          - E l'innamorato, ce l'hai? (Teresina scuote la testa confusa) Non essere timida. A furia di essere timida, puoi sembrare anche scema. Nessuno t'ha mai detto che sono belli questi tuoi capelli biondi? (la luce si spegne e si riaccende nello studio dello scrittore)

Renata                           - Ancora Tutto il giorno chiuso qui come un matto in gabbia!

Lo scrittore                   - (si alza e va alla finestra) Piove?

Renata                           - Già, piove. Non te n'eri accorto vero? Almeno gli strilli di Lalla li avrai sentiti, spero! (pausa) Senti, caro, devo dirti sinceramente che questa storia non mi piace.

Lo scrittore                   - (sorpreso) Non ti piace? Perché?

Renata                           - Santo cielo! È facile spiegarsi. Lei è ancora una bambina; lui invece, è un mascalzone che sa cos’è la vita.

Lo scrittore                   - Una bambina sì e no: in fondo ha diciotto anni.

Renata                           - Va bene, ha diciotto anni. Ma questa non è una buona ragione perché si metta con Ernesto.

Lo scrittore                   - Vedi, Renata. lo ha incontrato in un momento particolare. Lui è uno di quegli uomini che sanno parlare, raccontare. tenere allegra una ragazza. Perciò lei se ne innamora. Non fa nemmeno in tempo ad accorgersi che lui è un mascalzone!

Renata                           - Appunto. Lei è un'ingenua e quella canaglia ne approfitta.

Lo scrittore                   - (alza le spalle) Cose che succedono ogni giorno.

Renata                           - Ma perché dovremmo permettere che succedano a nostra figlia?

Lo scrittore                   - (disorientato) A nostra figlia?

Renata                           - Santo cielo! Non è di Lalla che stiamo parlando?

Lo scrittore                   - Di Lalla? (c.s.) Allora perché hai detto che questa storia non ti piace?

Renata                           - Perché effettivamente non mi piace. E se Lalla si mette in testa di sposarlo? Se ci fa una sciocchezza e.

Lo scrittore                   - (tornato alla realtà) Certo, hai ragione tu.

Renata                           - Perciò dobbiamo intervenire. E tu, con la tua autorità, con la tua energia.

Lalla                              - (entra e si getta al collo dello scrittore) Non lasciarti convincere, papà, non credere a quello che ti sta dicendo la mamma.

Lo scrittore                   - Che c’è, passerotto, perché piangi così?

Renata                           - Magnifico, mettiti dalla sua parte, lasciati commuovere da lei. Io sono solo una povera stupida, non so quello che dico. Prima mi dai ragione e poi.

Lalla                              - (abbracciando lo scrittore) Gli voglio tanto bene, papà!

Pino                               - (entrando) Statemi tutti allegri. Io me ne vado. Buona notte!

Renata                           - Pino, tu non esci. (allo scrittore) Diglielo anche tu. Il padre in fondo dovrebbe essere il vero capo della famiglia! (questa scena dovrà essere recitata, rapidissima, concitata. Tutti i personaggi parleranno insieme, muovendosi e gesticolando)

Pino                               - Ma cos’è questa? Neanche alla domenica non si può più uscire? Che vi prende?

Lalla                              - Papà, papà, tu devi difendermi, almeno tu. io amo Ernesto!

Renata                           - Pino, va' in camera tua e mettiti a letto. Tu, Lalla, non tormentare tuo padre.

Lalla                              - Se non me io lasciate sposare, scappo con lui. O mi ammazzo.

Pino                               - Io me ne vado. Mi scoccia arrivare tardi ad un appuntamento.

Lalla                              - (scappando via) Farò una sciocchezza, ecco quello che farò.

Renata                           - (inseguendola) Lalla, Lalla, per amor del Cielo. ti rovino, se fai una sciocchezza. E tu, Pino. (esce dietro a Pino)

Pino                               - (prima di andarsene) Bella cosa la famiglia, eh papà?

Renata                           - (di fuori) Aprimi, Lalla, sono tua madre, in fondo!

Lalla                              - (di fuori) Lasciami stare, ti prego, lasciami stare.

Renata                           - (di fuori) Pino, ti proibisco di uscire.

Lalla                              - (di fuori) Si, Pino vattene, questa casa è un inferno. Anch'io scappo con te!

Renata                           - (di fuori) Mio Dio. Mio Dio. impazzisco. impazzisco. (lo scrittore si lascia cadere su di una sedia. Le voci, parlando a soggetto, aumenteranno di tono, poi, nel silenzio)

Ernesto                          - (appare dietro allo scrittore) Nel Pacifico, c'è un’isola. la sabbia è rosa. Ci sono delle palme, degli uccelli e degli elefanti.

Teresina                         - (accanto a lui) Ed è lontana?

Ernesto                          - E un silenzio. un silenzio. (sulle ultime parole cala la tela) ATTO SECONDO Un angolo di camera da letto sostituisce lo studio. Pochi elementi indicativi: un letto, una poltroncina, una specchiera davanti alla quale sta seduta Renata.

Renata                           - (spalmandosi il viso di crema. È in camicia da notte e vestaglia e parla allo scrittore che è fuori scena, nel bagno) Come? Sì, appunto. Sul pianerottolo che faceva lo stupido con la figlia del portinaio.

Lo scrittore                   - (dal di fuori) È una bella figliola!

Renata                           - La bellezza dell'asino. A vent'anni chi non è bello? Dopo, bisogna vedere. Quando cominciano le rughe, le zampe di gallina, i capelli grigi. È allora che si può giudicare la bellezza. Vorrò vederla alla mia età, quella ragazzina: al primo bambino si sfascerà e addio. (verso l'interno) È mai possibile che per fare la doccia tu debba bagnare tutto il pavimento?. Come?. Sì, sono vent'anni che mi trovi la stessa scusa. Che ti dicevo? Ah, sì, di Pino e della figlia del portinaio. Facevano gli stupidi sul pianerottolo. E Pino la guardava in un modo. Per questo non volevo che uscisse stasera.              

Lo scrittore                   - (entra in pigiama asciugandosi la faccia) In fondo è naturale che.

Renata                           - Naturale? E se ci fa un bambino con la figlia della portinaia? E se poi gli tocca sposarsela? E se poi.

Lo scrittore                   - La figlia della portinaia è una brava ragazza!

Renata                           - Ingenuo: al giorno d'oggi s’è perso lo stampo delle brave ragazze. A dodici anni, l'amichetto ed a quindici, l'amante. Tutte, tutte, tutte!

Lo scrittore                   - Non esageriamo. Quella si guadagna la vita onestamente. Fa la dattilografa da un avvocato! (torna nel bagno)

Renata                           - Appunto. Lavora da un avvocato, figurati! Saprà il codice a memoria. Se resta incinta, siamo freschi! Come?. Esagero? Già, esagero, sono una visionaria! (si alza e fa qualche movimento di ginnastica) Cassandra, sono come Cassandra! Ma ricordati che Cassandra vedeva le cose chiare. Come?. Già, ma ricorda quella volta della serva.

Lo scrittore                   - (tornando in scena) Quale serva?

Renata                           - (sempre continuando a fare dei movimenti di ginnastica) Quando andammo in campagna e lasciammo la casa in mano della serva. Non ti dicevo che al nostro ritorno avremmo trovato la casa vuota?

Lo scrittore                   - E invece non mancava un fazzoletto!

Renata                           - Bravo, perché tornammo un giorno prima del previsto. Se avessimo tardato altre 24 ore. Io le cose, me le sento. (si distende a terra e flettendo in alto le gambe) Tu no. Tu vivi nelle nuvole, sospeso in aria come un palloncino volante. Io ho i piedi ben piantati a terra. Sono nella realtà, capisci? Tu scrivi cose immaginarie, assurde. Io mi guardo attorno, ascolto, medito, ragiono!

Lo scrittore                   - (pensieroso) Me n’ero completamente dimenticato.

Renata                           - Di che?

Lo scrittore                   - Di quella volta. Dimmi, non era per caso bionda con le trecce attorno alla testa, la serva che lasciammo a casa?

Renata                           - No, era un donnone bruno, coi baffi. Lenta come una marmotta.

Lo scrittore                   - Strano?

Renata                           - Che c’è di strano? Non avevamo trovato di meglio!              

Lo scrittore                   - (accendendo la pipa) No, vedi lo strano è che.

Renata                           - (coricandosi) Possibile che tutte le sere quando vado letto debbo appestarmi con quella orribile pipa? Mi fai morire con quell'odore di tabacco! (accende una sigaretta) Spegni la luce e vieni a letto. A proposito, come va la tua commedia?

Lo scrittore                   - (spegne la luce e siede sulla poltrona) Sono contento della mia storia. Vedi, c’è.

Renata                           - A proposito di storie. Lalla mi preoccupa. Se n'e andata gridando e piangendo.

Lo scrittore                   - Non dovevi lasciarla uscire.

Renata                           - Ci mancherebbe! Invece aveva bisogno di distrarsi, di andar fuori.

Lo scrittore                   - Con Ernesto?

Renata                           - Assurdo! Dopo quanto gli ho detto di quel ragazzo non lo vorrà più vedere. Piangeva di rabbia, d'orgoglio. Oh, io la conosco. Ma mi dicevi della tua storia. Cos'hai scritto?

Lo scrittore                   - Ho cominciato con.

Renata                           - Ricordami di pagare il telefono, domani. Dio mio, come passa il tempo! Siamo già alla fine del mese.

Lo scrittore                   - (dopo una pausa) Renata, pensa che coincidenza. Anche il protagonista della mia storia si chiama Ernesto.

Renata                           - Davvero?

Lo scrittore                   - Ed anche quello è un poco di buono. Conosce un pomeriggio ai giardini pubblici una ragazza. Teresina, e allora. Mi ascolti, Renata? (Renata si è già addormentata. Lo scrittore dolcemente) Renata. Renata. (accende di nuovo la pipa. Accanto a lui appare Teresina)

Teresina                         - No, mi creda. Non so l'altro Ernesto, ma il mio non è un poco di buono. Non si lasci influenzare dai nomi.

Lo scrittore                   - Eh? Come dici?

Teresina                         - Ernesto è un ragazzo come ce ne sono molti. Un po' debole, ecco tutto.

Lo scrittore                   - Tu non puoi conoscere Ernesto. Sei come Lalla, lo ami.

Teresina                         - Un uomo cattivo non parla come Ernesto. non se ne sta zitto a guardare il cielo.  

Lo scrittore                   - Sostieni che non è cattivo, eppure tu sai cosa ti succederà, con lui.

Teresina                         - Non importa, io.

Lo scrittore                   - Tu non puoi giudicare.

Ernesto                          - (appare tra di loro) E lei sì?

Lo scrittore                   - Ernesto, basta guardarti per capire chi sei. E poi, fra poco, quando andrai da Teresina e.

Ernesto                          - E che colpa ne ho? Sono forse io a volerlo? In un modo o nell'altro bisogna pur vivere.

Lo scrittore                   - Bel modo di vivere, il tuo!

Teresina                         - No, per favore, non discutete. Ernesto ed io ci siamo appena conosciuti. Siamo seduti sull’erba, chiacchieriamo. Mi lasci vivere questo momento, prima. sia buono.

Lo scrittore                   - Va bene, allora. Continuate.

Ernesto                          - (prepotente) Certo che continuiamo.

Teresina                         - Vieni, Ernesto?

Ernesto                          - (c.s. sfidando lo scrittore) Eccomi! (la luce si accende nell’angolo di campagna della scena precedente)

Teresina                         - (seduta a terra, contro un tronco. Allo scrittore) Il sole sta scomparendo e la luna sta spuntando. (immediato cambio di luci)

Ernesto                          - (siede accanto a lei) Di che ti stavo parlando?

Teresina                         - Dicevi che chi lavora è un traditore.

Ernesto                          - Certo, perché chi lavora, prepara la guerra. Ascoltami bene: se tu lavori, se io lavoro, se tutti quanti lavoriamo, cosa succede? Che si produce. E allora il nostro paese si riempie di roba che bisogna vendere a tutti i costi agli altri paesi. Se anche gli altri paesi lavorano, se anche gli altri paesi producono, anche gli altri paesi cercheranno di vendere. Chiaro? E allora cosa succede? Noi non compriamo dagli altri paesi e gli altri paesi non comprano da noi. E allora, tac, scoppia la guerra. Come l'ultima, ricordi? Con le bombe e la fame. A te piace la guerra? (Teresina fa segno di no con la testa) Naturalmente, a nessuno piace la guerra. La guerra vuol dire miseria, fame, morte. Ora fai attenzione: se nessuno lavora invece, cosa succede? Non si produce e non è necessario vendere. E perciò non si                 parla di guerra, capisci? Tu, per esempio, lavori troppo: hai le mani rosse e dure a furia di lavare. (Teresina ritira mortificata le mani) Non lo dico per me. A me non importa.

Teresina                         - Mi comprerò una crema per farle ridiventare bianche.

Ernesto                          - Un mio amico ha scoperto una crema, che fa diventare bianchi i negri. Hai mai visto dei negri, tu, Teresina?

Teresina                         - Sì.

Ernesto                          - E ci credi alla storia della crema che li fa diventare bianchi?

Teresina                         - Sì.

Ernesto                          - (scoppia a ridere) Invece è una bugia.

Teresina                         - Perché dici bugie?

Ernesto                          - Tutti ne raccontano. Anche tu.

Teresina                         - Io? A chi?

Ernesto                          - Non ti racconti mai alla sera, quando vai a dormire, che sei una regina e che tutti ti fanno delle riverenze? Non sogni mai, voglio dire?

Teresina                         - Sognare non significa dire bugie.

Ernesto                          - È la stessa cosa. Tu pensi, tu sogni. E il sogno cos'e? Una cosa vera, forse? No, è una bugia che racconti a te stessa. Innocente, ma una bugia. Non ti pare?

Teresina                         - Io non sogno di esser una regina. Sogno di trovarmi in un prato pieno di fiori, vicino a un fiume. È un sogno che non fa male a nessuno. (pausa) Ernesto!

Ernesto                          - Eh?

Teresina                         - È vero che un suo amico ha una nave che va nell’isola più bella del mondo?

Ernesto                          - Come? (riprendendosi) Ah, sì certo!

Teresina                         - E potrei partire con lei?

Ernesto                          - Ti piacerebbe? Perché

Teresina                         - (candida) Perché non sognerei più, non direi più bugie. Vivrei tra le palme, gli uccelli e gli elefanti e sarei felice.

Ernesto                          - Sei un bel tipo, tu!

Teresina                         - E lei è buono con me, signor Ernesto!

Ernesto                          - (scoppiando a ridere) Signor Ernesto! Perché non mi dai del tu? Hai paura? Su, prova. Dimmi, come va, Ernesto?

Teresina                         - (timida) Come va, Ernesto?

Ernesto                          - Brava. E ora mi dai un bacio. Stupida, perché diventi rossa? Così fa tutta la gente di questo mondo. Si dà del tu, e poi un bacio. Ché, hai paura? (la bacia)

Teresina                         - (staccandosi da lui, felice) Oh, Ernesto!

Ernesto                          - Non ti va?

Teresina                         - (alzandosi) S’è fatto buio.

Ernesto                          - Devi già tornare a casa?

Teresina                         - I padroni non ci sono. Mi hanno lasciato le chiavi.

Ernesto                          - Potremmo andare tutti da te a passare la serata.

Teresina                         - Tutti da me? Chi?

Ernesto                          - Nina, Beppe, io. Fa freddo a star fuori.

Teresina                         - È che. non ho chiesto il permesso ai padroni.

Ernesto                          - Che importa il permesso. Loro non ci sono.

Teresina                         - E tu non hai una casa?

Ernesto                          - Qui bisogna essere ricchi per avere una casa. Nell’isola invece non c'e bisogno di case. Si dorme sulla spiaggia fra le conchiglie e le alghe.

Teresina                         - E quando piove?

Beppe                            - (entrando) Guardali, gli innamorati!                

Nina                              - (entrando con lui) E dove andiamo, ora?

Teresina                         - In casa mia i padroni non ci sono.

Nina                              - Teresina, e se poi lo vengono a sapere?

Teresina                         - Appena tornano, glielo dirò.

Beppe                            - Brava, Teresina, ottima idea. Ho voglia proprio di mettere le gambe sotto la tavola e di far casino.

Teresina                         - Nina, tu pensi che poi i padroni mi sgrideranno?

Nina                              - (con filosofia) In fondo, una sgridata in più, una in meno. (si apparta con Teresina)

Beppe                            - (a Ernesto) È un appartamento di lusso, sai? Nei quartieri alti. Me lo ha detto Nina. Sono dei signori, i padroni! Se riusciamo ad entrarci, (si frega le mani ridendo)

Ernesto                          - Però non tocchiamo niente, eh?

Beppe                            - Lo vedi come sei scemo? Se non approfittiamo delle occasioni quando ci sono.

Ernesto                          - Mangiamo, beviamo. staremo allegri con le ragazze, che vuoi di più?

Beppe                            - (pratico) Oggi. Ma domani, dovremo mangiare anche domani, no?

Ernesto                          - Teresina è una brava ragazza e.

Beppe                            - Anche tu sei un bravo ragazzo. Tutti siamo dei bravi ragazzi. Però bisogna vivere. Se il cuore ti diventa tenero perché una donna si lascia stringere un poco di più, stai fresco nella vita!

Ernesto                          - Con Teresina, è un’altra cosa!

Beppe                            - Perché? Le donne sono tutte uguali. Facci l'amore e poi mi dirai se sbaglio! (alle ragazze) Ehi, voi due che state complottando?

Nina                              - (tornando in scena con Teresina) Si faceva un po' di conti. Qualcosa si dovrà pur comprare, no?

Beppe                            - Non c’è da bere in casa? O sono astemi i tuoi padroni, Teresina?

Teresina                         - No, ma.

Beppe                            - E, allora, due bottiglie in più, due in meno. E qualcosa in dispensa ci sarà. O digiunano i tuoi padroni?

Teresina                         - No, ma. (tutti scoppiano a ridere)

Beppe                            - Stasera mangeremo alla faccia dei tuoi padroni, crepi l'avarizia! (prendendo Nina alla vita) Andiamo, bella!

Nina                              - Giù le mani, scimmione. Con chi credi di avere a che fare?

Beppe                            - (indicando le rotondità di Nina) Lo vuoi tenere tutto per te questo ben di Dio?

Teresina                         - Guardate l'autobus, sta passando ora!

Nina                              - Non importa. Fra dieci minuti ne passa un altro.

Beppe                            - (uscendo con Nina) Un pollo arrosto. Ecco quello che vorrei: un pollo arrosto e una buona bottiglia. E dopo aver mangiato, mangiato e ben bevuto. (via con Nina)

Ernesto                          - Andiamo, Teresina: che hai? Perché non mi guardi?

Teresina                         - Ho vergogna. Che penserai di me che mi sono lasciata baciare?

Ernesto                          - Senti, in tempo di guerra, quando le bombe piovevano come coriandoli. (la luce si spegne e si accende nella camera da letto dello scrittore, che troviamo nella stessa posizione in cui lo avevamo lasciato nella scena precedente)

Renata                           - (sedendo sul letto) Che fai? Non vieni a letto? (accende la luce sul comodino)

Lo scrittore                   - Sì, vengo. (si alza e comincia a passeggiare)

Renata                           - Non ti corichi più per dormire?

Lo scrittore                   - È ancora presto.

Renata                           - Presto? Fra poco spunta il sole.

Lo scrittore                   - Dormi, non discutere.

Renata                           - Sei tu che discuti. Io sto dormendo.

Lo scrittore                   - E allora svegliati e sta' zitta.                

Renata                           - Mi svegli nel cuore della notte per metterti a litigare? (pausa) È tornata, Lalla?

Lo scrittore                   - (guardando dalla porta) No. E Pino neppure.

Renata                           - Sono giovani, che si divertano. Beati loro!

Lo scrittore                   - Non ti pare che esagerino? È mezzanotte passata!

Renata                           - Su, non discutere! Spegni la luce e vieni a letto.

Lo scrittore                   - (continuando a passeggiare) Non ho sonno.

Renata                           - Naturalmente, se continui a passeggiare avanti e indietro un leone in gabbia, il sonno non ti viene. Devi coricarti sul dorso, respirare adagio, gonfiando bene i polmoni e pensare: ho sonno e voglio dormire!

Lo scrittore                   - (con calma forzata) Non preoccuparti. Spegni luce e dormi.

Renata                           - (alzandosi dal letto) Non tormentarti per Lalla. (si avvicina allo scrittore) Domani prenderò informazioni più esatte di quel ragazzo. Può darsi che poi non sia quel mascalzone che tu credi. In fondo non sappiamo niente di lui. Non si deve giudicare le persone che non si conoscono. Bisogna essere cauti, mio caro. Ad ogni modo la scenata di oggi ha fatto bene a Lalla. Per lo meno la farà riflettere. A volte è indispensabile dimostrarci energici per farci rispettare dai nostri figli! Vieni a letto.

Lo scrittore                   - (rassegnato) A letto. (non si muove)

Renata                           - (spingendolo verso il letto) Su, su, a dormire. (spegne la luce. Entrambi si coricano. Pausa lunga) Hai spento la pipa?

Lo scrittore                   - Sì. (pausa)

Renata                           - Sei sicuro di averla spenta?

Lo scrittore                   - Sì. (pausa)

Renata                           - Se non puoi dormire conta le pecore bianche.

Lo scrittore                   - Eh?

Renata                           - È un sistema infallibile per fare venire il sonno. Immaginati un ovile: da questo ovile stanno uscendo delle pecore. Conta quelle bianche, così. una pecora bianca. un'altra, due pecore bianche. tre pecore bianche. Se arrivato a mille non ti sei addormentato ricominci da capo. Capito?              

Lo scrittore                   - Sì. (pausa)

Renata                           - Vuoi che ti aiuti?

Lo scrittore                   - A far che?

Renata                           - A contare le pecore bianche.

Lo scrittore                   - No, grazie. Dormi.

Renata                           - No, contiamo insieme, vuoi? Una pecora bianca, un’altra a destra, due. Un'altra a sinistra, tre. quattro. cinque. (sempre più lentamente) sei. sette. otto. nove. dieci. (si spegne completamente la luce e si riaccende dall'altra parte della scena: una piccola ed elegante stanza da pranzo. La tavola è ancora imbandita con i resti del festino. In fondo, un balconcino. Sono in scena Ernesto, Teresina, Nina e Beppe)

Nina                              - (sostituirà la voce di Renato, continuando a contare) Undici, dodici, tredici, quattordici, quindici.

Ernesto                          - Forza, Beppe, ce la fai.

Teresina                         - Attento, si soffoca.

Nina                              - Sedici, diciassette, diciotto, diciannove, venti!

Beppe                            - (che stava bevendo a una bottiglia, si arresta e fa vedere agli altri la bottiglia vuota) Ecco, ho finito!

Nina                              - (ammirata) Accidenti, ha scolato la bottiglia!

Beppe                            - (allegramente, un poco brillo) Come possono vedere, signore e signori, non c'era trucco e non c'era inganno. Il vino è passato direttamente dalla bottiglia alla mia pancia.

Ernesto                          - Ebbene, sei una spugna!

Beppe                            - Il vino è come le donne. Se non ci fosse, bisognerebbe inventarlo. (dando uno scapaccione a Nina) Non è così, vitellino?

Nina                              - Sta' fermo, ubriacone.

Ernesto                          - Lascialo fare, Nina, oggi è domenica.

Nina                              - Ha mangiato come un porco e ora il porco lo vuol fare,        

Beppe                            - L'arrosto era tenero come burro fresco. E quella roba in scatola si scioglieva in bocca come il bacio di una vedova. E la crema, Ernesto, la crema con quei biscotti.

Nina                              - Tutta la scatola ti sei finita!

Ernesto                          - (battendosi la pancia) Anch'io devo dire che non ho mai mangiato così bene in tutta la mia vita.

Beppe                            - (battendosi la pancia anche lui con ostentazione) Sentite la mia pancia. Suona come un tamburo.

Nina                              - Attento che non ti scoppi!

Ernesto                          - Se scoppiasse, annegheremmo nel vino.

Nina                              - (scoppiando a ridere) Ma tu sei marinaio e sai nuotare. Mi salveresti, Ernesto?

Ernesto                          - Io non ho mai nuotato nel vino. Ma devo dire che mi piacerebbe. (l'allegria è ora generale. Ognuno parlerà gridando e gesticolando)

Beppe                            - E, adesso, un bel brindisi.

Nina                              - Hai ancora il coraggio di bere, tu?

Beppe                            - Questo è l'ultimo bicchiere. Ma beviamo tutti. Anche Teresina.

Nina                              - Anche tu, Teresina! Forza, dalle il bicchiere pieno.

Teresina                         - (che, zitta ed allegra, è restata finora senza parlare) Non ho voglia, io, di bere.

Nina                              - Su, allegra! Non pensare ai padroni. Ai padroni penserai domani.

Beppe                            - Del resto, se ti licenziano un altro posto te lo trova Ernesto, vero, Ernesto?

Teresina                         - Non penso ai miei padroni. Non sono mai stata tanto allegra in tutta la mia vita!

Ernesto                          - Non c’è niente da dire. Solo i marinai sanno tenere allegre le ragazze. E questo perché in ogni marinaio c’è un pezzo di mare con le onde e tutto. (bevendo) Viva il mare!

Nina                              - (a Beppe) Non vuoi che mettiamo un po' di musica? Sai ballare? (esce e va ad accendere il giradischi)

Beppe                            - (dando una gomitata a Ernesto) Questa è vita, accidenti alla miseria. Mangiare, bere, divertirsi. Di', hai visto il bagno? Sembra un altar maggiore.

Ernesto                          - E l'acqua? Calda che scotta. Fa venir voglia di mettersi sotto il rubinetto e.

Beppe                            - Sei matto? Vuoi annegare le tue pulci?

Nina                              - (di fuori) Beppe! Vieni, ci facciamo un balletto!

Beppe                            - Vedi, Ernesto? Ci scappa anche il balletto. (a Nina) Vengo, vengo, vitellino! (esce)

Ernesto                          - (ha il viso melanconico) Sai, Teresina, mio padre aveva una casa come questa. Più bella ancora. Poi, è venuta la guerra e sopra c’è caduta una bomba. In un momento la casa è sparita. Ed è stato allora che mio padre mi ha mandato a fare il marinaio. Mio nonno non voleva. Mio nonno era senatore!. Su, bevi, Teresina un goccio, almeno un goccetto.

Teresina                         - Non posso, mi gira la testa.

Ernesto                          - Questo è il bello. Lasciala girare. (va a stendersi sul divano)

Teresina                         - (va a sedersi vicino) Ernesto. davvero tuo nonno era senatore?

Ernesto                          - Quand’è morto i cannoni non finivano di sparare. E le campane suonarono tre giorni di fila.

Teresina                         - E dimmi, i genitori, non li hai più?

Ernesto                          - (sincero, con tristezza) La guerra. Me li ha portati via tutti e due insieme. (pausa. Ora divaga in stato di ebbrezza). La mia mamma era una principessa. Bella! Gli occhi, due violette. E quando cantava, quando cantava, Teresina, spegnevano le luci e tutti zitti a guardarla, come fosse la Madonna. I domestici, vestiti di rosso, tenevano una torcia in mano e nel bosco vicino trecento tamburi si mettevano a rullare. E poi. e poi, accendevano l'albero di Natale. Non dire di no, Teresina, tutto questo è vero, me lo ricordo come se lo vedessi ancora. L'ho qui davanti agli occhi, come l'Oriente. come il deserto. come il mar dei Sargassi. Tutto si confonde un poco, è logico. ma lo ricordo benissimo. So dove sono. in casa mia. E tu sei mia moglie. Ed abbiamo tredici bambini tutti gemelli. (sbadiglia) Su, parla, di' qualcosa. Non mi racconti mai niente, tu!

Teresina                         - Che vuoi che ti racconti? Non ho niente da dire. (pausa) Posso dirti quello che vorrei. quello che mi piacerebbe. Vuoi?

Ernesto                          - (mezzo addormentato) Sì.

Teresina                         - Vorrei essere padrona di una latteria. E starci dietro il banco con un grembiule rosa o celeste. Mi ascolti Ernesto?

Ernesto                          - Sì.

Teresina                         - Mungere il latte e venderlo. A lei signora un litro. a lei mezzo litro. Sì, è fresco. di oggi. (pausa) E alla domenica andare in campagna con te. Come oggi. (accarezza i capelli di Ernesto che si è addormentato, lievemente)

Beppe                            - (entrando) Ernesto!

Teresina                         - Sss! Dorme.

Nina                              - (entrando dietro di lui) È tardi, Teresina, devo scappare.

Teresina                         - Che ora è?

Nina                              - Quasi mezzanotte. Cerco la mia borsa. (esce)

Teresina                         - Era di là. (esce con lei)

Beppe                            - (svegliando Ernesto) Ehi, amico. sveglia!

Ernesto                          - Che c'è?

Beppe                            - Senti bene: io me ne vado. Ti lascio solo con la ragazza e tu ci fai i tuoi comodi. Poi alle tre, torno. Ti faccio un fischio dalla strada e tu mi butti le chiavi. Allora vengo su e facciamo piazza pulita. L'argenteria è di là, in un cassone. In camera da letto, dietro a un quadro c'è la cassaforte. Nell'armadio ho visto tre pellicce. Tu, sbrigati con la ragazza. Se non dormisse, la farai dormire, va bene?

Ernesto                          - (siede sul divano, sincero) Senti, Beppe, abbiamo mangiato e bevuto, perché cercare ancora di più?

Beppe                            - Non fare il sentimentale. Poi, ti mangeresti le mani dalla rabbia! Dobbiamo arrangiarci, lavoro noi non ne troviamo. E bisogna vivere. Questo è un colpo rapido, sicuro, pulito. Staremo bene per mesi!

Ernesto                          - Sì, ma Teresina.

Beppe                            - Noi non rubiamo a Teresina. Rubiamo ai padroni.

Ernesto                          - Ma la metteranno dentro e.

Beppe                            - E poi la rimetteranno fuori. Cosa vuoi che le facciano? Non sa nemmeno chi siamo!

Ernesto                          - Per lei siamo dei marinai e.

Beppe                            - Bravo, dei marinai. (scoppiando a ridere) Sei un fenomeno, tu! Con le puttane ci sai fare e con le ragazzine un cuore d'agnello! Allora intesi, eh? Facci l'amore, stordiscila bene e alle tre.

Nina                              - (rientrando) Andiamo, allora?

Teresina                         - (che è entrata dietro di loro) Ed Ernesto?

Beppe                            - Accompagno Nina e poi vengo a prenderlo. Così ti lasciamo in buona compagnia. Andiamo, bellezza!

Nina                              - Mio Dio, com'è tardi. La mia padrona non vorrà più aprirmi. E tu, Teresina, fa' come dico io. Metti tutto a posto e, domani, quando vengono i padroni, acqua in bocca, capito? Ciao. (andandosene) E grazie, eh!

Beppe                            - Buonanotte! (via con Nina)

Teresina                         - Buonanotte! (siede accanto ad Ernesto che continua a dormire. La luce si spegne e si illumina la camera da letto)

Renata                           - Chi è?

Lo scrittore                   - Eh?

Renata                           - Hanno chiuso la porta. (chiamando) Lalla! Pino! (allo scrittore) Scendi, vedi chi è!

Lo scrittore                   - (scendendo dal letto) È questa l'ora di entrare? Chi è? Sei tu, Pino?

Lalla                              - (entrando decisa) No, sono io.

Lo scrittore                   - Di dove vieni?

Renata                           - Rispondi a tuo padre, Lalla. Perché a quest'ora? Da dove vieni? Cos’hai fatto?

Lalla                              - (candidamente) Sono stata a letto con Ernesto!

Lo scrittore                   - Anche tu?

Renata                           - Vuoi scherzare? (Lalla esce) Lalla! Lalla! Lalla! (scende dal letto)                 

Lalla                              - (tornando indietro) Oh, sono felice. Non sapevo cosa volesse dire essere felice. Oggi lo so. (via. Renata si precipita dietro di lei) (riappare la sala da pranzo. Teresina ed Ernesto li troviamo come li abbiamo lasciati)

Teresina                         - Essere felice. Non sapevo cosa volesse dire essere felice. Oggi lo so. È quella gioia che scorre dentro assieme al sangue. Quella ebbrezza che dà voglia di cantare. Oh, Ernesto, tu sei venuto e per me è stata domenica. La sola domenica della mia vita. Ti ho visto nell'ombra azzurra del viale e l'amore è nato dentro di me. Lasciati accarezzare. Dammi le tue mani, sono dolci le tue mani. e calde le tue carezze. E tu sai di sale come il mare e. tu. (ribellandosi) No! Non è possibile. Non posso continuare in questo modo!

Lo scrittore                   - (illuminato da un riflettore, seduto sulla solita poltroncina) Perché?

Teresina                         - (avvicinandosi a lui) Non le posso pronunciare queste parole. Non le capisco, non so che vogliano dire. Sono una serva, io. devo dire quello che sento, quello che so. Parole facili, sentimenti semplici.

Ernesto                          - (andando anche lui verso lo scrittore) Ed io, mi dica un po’, che figura ci faccio, sdraiato su un divano, a sentirla parlare? Sono forse di quelli che con una donna rimangono con le mani in mano? Ho la faccia da fesso?

Lo scrittore                   - Ernesto, tu in questo momento ti rendi conto che forse le vuoi bene e.

Ernesto                          - Che bene e bene! Sono un uomo semplice, io, un proletario! Non mi complico la vita con le parole, io, ci mancherebbe! Ed anche Tersina è come me. Siamo povera gente, noi, e diciamo le parole che sappiamo.

Teresina                         - Io sono una serva e lei, lo sa. Mi sono innamorata di lui (indica Ernesto) appena l'ho visto! Gli sono stata accanto tutto il giorno e ora, capirà. è logico che.

Ernesto                          - Ci mancherebbe che facesse delle storie! E poi, per far l'amore non occorrono le parole. Si sta zitti. In quel momento non c’è nulla da dire.

Teresina                         - Io gli sono vicino.

Ernesto                          - E io l'abbraccio, la bacio e. la prendo. Poi, quando si torna a parlare è perché già tutto è passato.

Lo scrittore                   - Sì, però tu, Teresina, sei una ragazza sana, onesta, di buoni principi e.

Ernesto                          - Cosa pretende, lei? Che la violenti? Anche Teresina ha voglia di far l'amore.

Lo scrittore                   - Per te, tutto è semplice, eh?

Ernesto                          - Certo che è semplice. Sono giovane, ho mangiato bene, bevuto meglio. Sono appena uscito di prigione. Ci sono rimasto tre mesi. Tre mesi, capisce? E tre mesi per uno come me sono qualcosa. E, ora, ho qui fra le braccia una ragazza che si lascia stringere così. perché le fa piacere e pretenderebbe che. Che vuole che faccia? Che le dica poesie?

Teresina                         - E, poi, un poco di bene me lo vuoi, no?

Lo scrittore                   - Non farti illusioni, Teresina. Ernesto è un animale, un bruto.

Ernesto                          - E che ne sa lei di quello che sono io? Vuol sapere cos’è per me Teresina? Ecco, glielo dico: Teresina per me è l'anima. L'anima, capisce?

Teresina                         - Così è la storia e così deve raccontarla. Non può cambiarla.

Ernesto                          - Piuttosto racconti “dopo. ”.

Teresina                         - Quando siamo là, su quel divano, stanchi, calmi e felici.

Lo scrittore                   - Questa storia è più complicata di quanto pensavo.

Ernesto                          - (insolente) Complicata? Perché è lei che la complica. Se certe storie non le capisce, perché ci si mette?

Teresina                         - No, Ernesto, non così. sii buono.

Ernesto                          - (allo scrittore) Là, su quel divano, vede? Teresina si è seduta accanto a me. Io dormivo. Lei mi ha accarezzato i capelli. Allora ho aperto gli occhi e l'ho stretta a me. Ecco tutto. Lei metta un attimo di buio. La gente capirà Un attimo di buio così. (si spegne completamente la luce). e poi, quando la luce si riaccende tutto è passato. Come dice Teresina, siamo stanchi e. e.

Teresina                         - Stanchi, calmi e felici.

Ernesto                          - Ecco, proprio così. (la luce si riaccende: Teresina ed Ernesto sono abbracciati sul divano)

Teresina                         - Davvero ci rivedremo domenica? Non parte la tua nave?

Ernesto                          - La mia nave? Non parto più.

Teresina                         - Non dire così. Tu sei marinaio. (pausa)

Ernesto                          - Teresina!        

Teresina                         - Dimmi.

Ernesto                          - Non ti spiace?

Teresina                         - Cosa?

Ernesto                          - Quello che è successo. (Teresina risponde abbracciandolo. Ernesto dopo una pausa) Se domenica non potessi venire, mi aspetterai la prossima.

Teresina                         - Anche se non tornassi che fra dieci anni, continuerò ad aspettarti, sempre!

Ernesto                          - Quando tornerò. non me ne andrò più via.

Teresina                         - Se è così non voglio vederti domenica. Torna solo quando potrai restare sempre con me.

Ernesto                          - E partiremo per l'isola, allora. Vedrai la sabbia rosa, l'acqua viola.

Teresina                         - E le palme, gli elefanti.

Ernesto                          - . i gabbiani. le onde che si rompono sulla spiaggia. Tu non farai più la serva e io non farò più il marinaio. Felice, stupida?

Teresina                         - Sì.

Ernesto                          - Sonno?

Teresina                         - Sì.

Ernesto                          - Dormi, allora. (la fa coricare)

Teresina                         - (dopo una pausa) Ernesto!

Ernesto                          - Eh?

Teresina                         - Grazie.

Ernesto                          - Di che?

Teresina                         - Di tutto. (pausa) Quando ci rivedremo?

Ernesto                          - Una domenica, ai giardini. appena sbarcherò (pausa)

Teresina                         - Ernesto. Sei buono tu. (si addormenta)

Ernesto                          - No, Teresina, non lo sono. Ma in questo momento, sì. in questo momento lo sono. Ma forse. fra cinque minuti non lo sarò più. e allora. allora, Teresina. Teresina! Si è addormentata. (pausa lunga. Accarezza Teresina dolcemente. Poi, si sente un fischio prolungato e ripetuto. Va al balconcino e fa verso l'esterno un gesto di intesa. Torna in scena, prende dal tavolo un mazzo di chiavi e lo butta giù in strada. Poi torna accanto a Teresina e la prende tra le braccia) È meglio che tu vada a dormire nel tuo letto, ora. così sognerai. Sognerai l'isola, la spiaggia. sognerai che Ernesto è buono. (esce con Teresina fra le braccia)

Beppe                            - (entrando) Ernesto! Ernesto! Dove sei?

Ernesto                          - (rientra solo) Sono qui.

Beppe                            - Bisogna far presto. sbrigarsi. Cosa fa la ragazza?

Ernesto                          - Dorme. L'ho portata in camera sua.

Beppe                            - E. com'è andata?

Ernesto                          - Era vergine.

Beppe                            - Bel colpo! Ed ora, sbrighiamoci.

Ernesto                          - Senti, Beppe, io non voglio che.

Beppe                            - (minaccioso) Cos'è che non vuoi, tu?

Ernesto                          - Ce ne andremo di qui senza toccare niente.

Beppe                            - Ehi, dico, che ti credi? Di comandare tu? Pensi di continuare a vivere alle mie spalle, come prima? E tirar la cinghia. e dormire sulle panchine? Non abbiamo un soldo, non la vuoi capire? E dobbiamo vivere, dobbiamo mangiare. Una occasione come questa, non ci capiterà più. È un colpo sicuro che, se vogliamo, ci permetterà di rifarci una vita.

Ernesto                          - Ma Teresina.

Beppe                            - A lei che portiamo via? Niente. Su, muoviti, la cassaforte è in camera da letto. Una mezz'oretta di lavoro e poi di corsa alla stazione a prendere il primo treno che ci capiterà. (spinge Ernesto fuori di scena) Tu incaricati della cassaforte, io tiro fuori le pellicce. (la luce si spegne e si riaccende nella camera dello scrittore. Teresina si avvicina allo scrittore nell’atteggiamento con cui la abbiamo vista entrare la prima volta, aria timida, soprabito sul braccio)             

Lo scrittore                   - E tu dormivi, eh? (Teresina fa un gesto affermativo) E quando ti svegli, che fai?

Teresina                         - Chiamo Ernesto. lo cerco. e poi. Poi capisco quello che è successo. Ma ormai non posso far altro che piangere.

Lo scrittore                   - Come una mazzata in testa, eh?

Teresina                         - Peggio, peggio!

Lo scrittore                   - E allora?

Teresina                         - Mi chiudo in camera mia. Come una matta. Piango, mi dispero e poi.

Lo scrittore                   - Poi?

Teresina                         - Poi mi metto a pensare a tutto quello che è successo. a come è stata bella la mia giornata. Rivedo ogni cosa. mi ripeto ogni parola. l'isola. la sabbia rosa. il mare viola.

Lo scrittore                   - E allora?

Teresina                         - E allora capisco che tutti e due, io ed Ernesto, non abbiamo fatto altro che sognare. Sognare per un giorno intero. Ma, io, ora, non sono più capace di tornare indietro, nella realtà. Non posso, non ci riesco più! (pausa) E intanto spunta il sole. cominciano nelle strade a passare i tram. suonano le sirene delle fabbriche. la strada e la gente si risvegliano. E improvvisamente. improvvisamente la voce della mia padrona mi chiama.

Voce della padrona       - Teresina! Teresina!

Teresina                         - Mi rendo conto che e tornata, che mi cerca.

Voce della padrona       - Teresina, dove sei?

Teresina                         - Poi, sento la voce della portinaia. Una voce dura, aspra, rauca.

Voce della portinaia      - Teresina! Teresina!

Teresina                         - E poi altre voci ancora, che parlano forte, che gridano. E la padrona non si calma, continua a chiamarmi. (la scena si oscura e si illumina la stanza da pranzo)

La padrona                    - L'ho cercata da tutte le parti. Non c’è!

La portinaia                   - Io l'ho vista entrare ieri sera. Era con un'altra ragazza e due uomini. Sembravano avanzi di galera: uno era della teppa, vestito da marinaio, e l'altro un bestione grande e grosso. Mi hanno anche salutata.

La padrona                    - Perché li ha lasciati entrare?

La portinaia                   - Io faccio la portinaia, mica il carabiniere. Cosa potevo sapere, io? Credevo fossero parenti della ragazza. Perché lei non mi ha detto che andava in campagna e l'appartamento restava solo?

La padrona                    - Un giorno fuori, s'immagini. Un giorno in campagna con degli amici e.

La portinaia                   - Se lei mi avesse avvertito.

La padrona                    - Tutta la casa, mi hanno svuotato. Tutto mi hanno portato via. Anche la mia pelliccia di visone. Me l'aveva regalata mio marito per Natale.

La portinaia                   - I ladri non possono scappare alla giustizia, vedrà!

La padrona                    - E io che avevo fiducia nella ragazza, che credevo.

La portinaia                   - Hanno l'aria di avemaria, ma sono puttane qualsiasi, e peggio ancora.

La padrona                    - E hanno fatto anche festa. Guardi la tavola. guardi le bottiglie vuote.

La portinaia                   - Ha provato a vedere nella camera della ragazza?

La padrona                    - Andandosene ha chiuso e si è portata via la chiave.

La portinaia                   - Sfondiamo la porta. E se le fosse successo qualcosa?

La padrona                    - No, aspettiamo la polizia. Lasci stare. Tanto, ormai, il mio visone, non lo troveremo più!

La portinaia                   - Io sfondo la porta, mi lasci. Meglio non perdere tempo. (esce)

La padrona                    - (rimanendo in scena) Piano, mi raccomando. attenta.

La portinaia                   - Guardi, già cede. Questione di una spinta. Ecco. (rumore di una porta sfondata e un urlo lunghissimo) Oh!

La padrona                    - Mio Dio, cosa succede?

La portinaia                   - (entra in scena sconvolta) Vergine del Rosario. Si e buttata dalla finestra. Proprio mentre entravo. (le luci si spengono e si illumina la poltrona dello scrittore)

Teresina                         - Così è stato. Mi sono buttata dalla finestra.

Lo scrittore                   - (pratico) Che piano? Il terzo?

Teresina                         - No, il quinto.

Lo scrittore                   - (c.s.) Morta sul colpo?

Teresina                         - Sì. (lunga pausa)

Lo scrittore                   - Ed Ernesto?

Teresina                         - (tristemente) Ernesto non sa nulla di quanto è successo. È partito. è lontano. Chissà dov'è, ora, Ernesto, e se si ricorda di me. dell'isola della sabbia rosa. dell'isola che abbiamo sognato insieme.

Lo scrittore                   - Teresina, voglio ancora sapere molte cose. Non mi hai ancora detto tutto. Devi parlarmi ancora di te e di Ernesto perché.

Teresina                         - E cosa posso dirle di più ormai? La mia storia è quella che le ho raccontato. Non ho altro da aggiungere. Una storia come tante, un fatto di cronaca, fragile e comune. Tutto quello che potevo dirle, ormai gliel'ho detto. Posso andarmene, ormai.

Lo scrittore                   - No, Teresina, che fai? Non te ne andare. La storia è appena abbozzata. Mi manca ancora molto per scriverla. Devi ancora spiegarmi molte cose, Teresina, dimmi di te, di Ernesto. Dopo che ha rubato, senti, dopo che se ne è andato.

Teresina                         - (allontanandosi) La storia è finita. Ed è finita come le ho detto. Cosa potrei ancora aggiungere? Niente. Mi lasci andare per favore. (scompare)

Lo scrittore                   - Teresina. Teresina. (il riflettore che illumina lo scrittore si spegne del tutto e gradatamente si illumina la scena. Lo scrittore è addormentato sulla poltroncina, Renata dorme nel suo letto. Quando la luce raggiunge l'intensità normale, la sveglia che è sul comodino suona allegramente. Lo scrittore sobbalza e Renata svegliandosi, siede sul letto e comincia a parlare agitandosi, mentre cala la tela)

FINE