TOMMY
di
Giuseppe Manfridi
A sinistra, in un angolo
prospiciente la platea, sono poggiate in terra alcune bocce; a destra, sono
aggruppate quattro sedie vuote
Più al fondo e al centro della scena (per il resto deserta e immersa nella
penombra) una fitta concentrazione di oggetti (ramazze, fustini di detersivo,
scatole, scatoloni e alcune paia di scarpe) indicano l’interno di uno
sgabuzzino dal quale scorgiamo, a ridosso degli oggetti, la porticina
scorticata e campita nel suo telaio. Al centro di questo minuscolo spazio pende
attaccata a un filo senza copertura una lampadina squallida e nuda che manda un
cono di luce un po’ sciapa.
Pigiato contro la porta, tra la polvere degli oggetti che quasi lo sommergono,
sta Tommy, tutto rannicchiato in se stesso. Parlando dà l’idea di rivolgersi a
qualcuno che lo ascolti da fuori.
Una nota: lo starnuto di Tommy non ricorda affatto il tipico starnuto da
raffreddore. E’ un’espulsione secca, rapidissima, schioccata d’improvviso,
quasi senza la minima inspirazione producendo uno scarto minimo e fulmineo
della testa. Molto simile agli starnuti dei cani, o dei gatti.
UNO
TOMMY: Eh?... - Sì, mi pare bene - insomma, che forse può servire. Io penso; non lo so. (Starnutisce) Ecco, meglio che mi sto zitto. - - No, ma non c’entra - davvero. Questo è così, che ogni tanto magari anche qui mi capita... - Beh, no: fuori sempre, qui ogni tanto. (Silenzio, ascolta) Ma più profondi come?... - - Ma significati, cioè, miei di come vedo io, per me, la cosa che quando sto qui è come se mi passa? - (Correggendosi) Sì, no - non come, ma proprio che mi passa... - Beh, ho capito, ma allora è quello che già più o meno dicevo l’altra volta... (Un colpo di tosse) - - No, per la voce... (Ascolta. Annuisce) Mh, mh!... più forte, no - non capisco... - - Mh, mh... - Eh, appunto! Allora devo ricominciare. ... - No, no, mi dica lei - sì, cioè: te; che con il tu, ecco, mi sembra un po’ buffo. - Vabbè, allora quello dell’altra volta è che io qui, le ho de... (Correggendosi) ti ho detto, venirci è una cosa che mi ha sempre divertito. Oh, chiaro che adesso parlo di quad’ero piccolo; oggi come oggi è diverso, ci sto perché mi serve: come entro mi blocca lo starnuto e allora è per questo che ci vengo. Pure quando c’è stata la televisione l’ho fatto anche vedere, no, di quando prima stavo fuori che starnutivo e poi che entrando mi smetteva. Ora come mai non lo so però succede. - - Sì sì, ti ascolto... - - Beh, ma l’altra volta questo mica me l’ha chiesto... - - No, chiesto tu. Cazzo, mica mi viene. Vabbè, insomma, proprio ricordarmi il giorno esatto come faccio?... - - Ah, beh, se all’incirca sì: è un po’ da sempre che mi ci chiudo. All’inizio, già te l’ho spiegato, soprattutto così per gioco. Come per, capito?, nascondermi e farmi cercare. - - Beh, da mia madre direi, che non mi trovava più e allora mi divertiva sentirla che mi chiamava per tutta casa, Tommy! Tommy! e poi magari che scendeva a cercarmi fuori mentre io me ne stavo qui dentro. Però non è che lo facevo sempre con una ragione precisa, tipo questa. Una volta sì, una volta no. Comunque, al principio, soprattutto per gioco... - - No, che ci potevo stare? Il tempo che mi trovava... mezz’ora, to’, ma al massimo! - Poi che, insomma, io sto parlando quasi di più di-di vent’anni fa, che ero proprio ragazzino, poi dopo è stato diverso; già l’altra volta, no, se ne parlava... (Una pausa) Come cosa? - che magari ci nascondevo della roba, insomma roba così... - - E dai, che non l’ho detto? Sì che l’ho detto - che c’era questa cosa un po’ tra noi della nostra classe, ecco, che s’andava... beh sì, a prendere un po’ di roba dai negozi, ma quello che capitava: stronzatelle, tanto per farlo. Io mi ricordo che ciavevo il trucco di prendere sempre buste di liquerizie a stecche perché sapevo dove e per me era più facile. Poi anche giornaletti che tenevo qui, perché mia madre sapeva i soldi che mi dava e quello che mi potevo comprare e allora se mi vedeva con tutte queste cose poteva pensarlo: le hai rubate - ma io non è che era per rubare che lo facevo ma perché era una cosa tra noi, come una dimostrazione, ecco, non so se mi spiego. - (Starnutisce) E dài! (Ascolta) No: prima; cioè questo era prima. Tipo... erano gli anni ancora delle elementari, non più in là. (Ascolta) Beh, le liquerizie, ovvio, me le mangiavo mentre per il resto invece ficcavo tutto in un fustino vecchio, pieno di cose rotte, che avevo qui dove io ci andavo a mettere tutta questa roba che poteva essere... boh, da qualche giocattolo a un coltello, a un portacenere, così: stronzate. Poi pure, non so, altra roba, per dire, che non mi andava di far vedere... - - Altra roba: in generale. - - Eh, cosa! - Metti che mi si rompeva... ecco, qualsiasi cosa, un bicchiere un piatto - io pigliavo e lo buttavo qui. Pure roba da mangiare che non mi andava, tipo le fettine di carne che a me non mi andavano, io le buttavo qui. Ah, oppure, questo era spiù spesso, (ridacchia) ci nascondevo i compiti quelli che strappavo dal quaderno con i brutti voti. A me era per due cose che mia madre poteva anche darmele - uno, di quando andavo male a scuola - e due, se ciavevo roba sporca addosso. Beh, poi tre, anche se mi scopriva delle bugie - allora, proprio, a quel punto botte. - - Sì, sporca. Magari che non mi pulivo... (Ride) Mò te lo dico perché sto qui dentro sennò mica mi verrebbe. Niente, magari giocavo, dovevo andare al bagno e per giocare non ci andavo e mi sporcavo. (Ascolta) Sì, ho capito. - Beh, in un secondo tempo sai cosa? Mi piaceva mettermi qui dentro per pensare, fare un sacco di fantasie di tutti i tipi. Storie, no, che m’immaginavo io. Come quelle che vedevo al cinema, quasi. Come se stessi a vedere un film che me lo immaginavo e me lo facevo tutto da solo con quello che mi passava per la testa. - - Sì, al cinema ci andavo spesso, mi ci portava mio padre a quello che stava qui vicino a casa. Anche il nonno qualche volta. Comunque... a me divertiva pensare di entrare tipo in un rifugio atomico e che io dentro potevo continuare a vivere mentre fuori non c’era più nessuno. Allora facevo che tutto quello che stava qui dentro era come-come... quello che m’ero portato per restare solo, no: che mi serviva per sopravvivere. Soprattutto, facevo di portarmi tutte le cose che magari non avevo che avrei voluto e di tenerle con me, mentre fuori erano tutti morti. - - Ah, bene mi sentivo. - - Certo che mi dispiaceva per quelli che erano morti ma più importante, per me, era che non lo fossi io sapendo che tutti gli altri lo erano, mi spiego? - Adesso è un po’ difficile perché era quello che ciavevo in testa allora, adesso è difficile da dire. (Ascolta) Ma il resto che? - Cioè altri fatti di cose che facevo qui dentro? ... (Ridacchia nervosamente) Beh, insomma ci fumavo le sigarette qui. Ciavevo un amico a scuola, su alle medie - ma uno che ci avevo fatto pure le elementari insieme: di quelli con cui andavamo a prendere la roba nei supermercati, però lì non è che fossimo amici. Pierfranco si chiamava, che mi rompeva perché mi diceva che non ciavevo nemmeno il coraggio di provare a fumare una sigaretta di nascosto quando lui lo faceva pure per strada davanti a tuttio e anche davanti ai suoi genitori. Io non ci credevo a questa dei genitori, ma che fumava per strada era vero. Poi difatti ho scoperto che imbrogliava perché i genitori erano morti e lui, così, si dava le arie di poter fare tutto quello che voleva. Io, comunque, gli dicevo no, che le avevo fumate ma che non mi andava. Lui un giorno stava a casa da me e mi dice: ti voglio vedere. Dài, tira fuori il pacchetto di tuo padre. Io ciavevo paura perché sapevo che se lui lo diceva era capace comunque che avrebbe fumato e se a casa s’accorgevano sarebbe stato come se avessi fumato anch’io. Allora l’ho portato nello sgabuzzino e lui m’ha detto: ora fuma o chiamo tua madre. A me scocciava (Starnutisce) - a me scocciava di averlo portato qui dentro. Ciavevo rabbia. E lui diceva: io qui ci fare un sacco di cose; pure tu mi sa che ci fai un sacco di cose. Voleva accendere la luce, ma io gli dissi che non c’era la luce e siamo rimasti al buio. Io non è che mi sentivo bene a fumare ma con la luce spenta riuscivo a non farmi capire. Lui s’agitava e non so che fece. Cioè, questa è una cosa che poi, a ricordarlo, m’ha sempre fatto una gran rabbia perché io l’ho capito dopo che si stava toccando. Lui mi diceva che si poteva fare come con le donne, che pareva lo stesso. (Starnutisce) Delle sigarette nessuno se n’è mai accorto. Io pensavo che si sentisse il fumo, ma qui per l’odore che c’è non si capiva. No, la rabbia è che lui che c’è venuto solo quella volta nel mio sgabuzzino se l’è preso come fosse più suo che mio. Come se fosse lui il padrone. Ma poi, dopo, qui dentro non ci è più entrato nessun altro. Solo io.
DUE
TOMMY: Ma no, non è che ci giro intorno alla questione dei giornaletti. (Uno starnuto) Che significa che ci giro intorno! Solo non mi pare che serva a un granché. (Pausa) No, è che mi scoccia che sembro quello che vuole nascondere le cose, che cià paura a dirle. - - Come sarebbe: allora perché lo faccio?... - - Ma sì, lo faccio anche perché mi diverte e perché tutti hanno insistito. - - Tutti, non solo mia madre, e anche lei se ha voluto farmi provare con l’analisi è perché sono gli altri che hanno insistito. - - Eh, gli altri chi: gli altri. Da dopo che s’è visto il pezzo in televisione, pure quelli dei giornali. - - Certo che ho detto che mi fido, però se deve essere una cosa così: che mi diverte, mica troppo seria... - - Ho detto mica troppo seria. (Uno starnuto, una pausa e altri due colpi di starnuto consecutivi) ... - - Di notte sì, forse meglio: riesco a dormire un po’ di più, ma il giorno peggio. Cioè, peggio: sempre uguale: ogni sei secondi, ma fisso. (Tira un respiro) Comunque... (Un altro respiro, poi uno starnuto) oggi forse mi viene più facile non con il tu. - - Sì, preferisco. (Una pausa) Comunque io ci ho pensato a tutto quello che ti ho... che le ho raccontato. Non è che mi vergogno. Forse m’ha fatto bene. Forse è che dei giornaletti... beh, non capisco che ciavrebbero di più importante i giornaletti di tutto il resto!... - No, quelli che compravo, almeno le prime volte, non erano con le fotografie. (Ascolta) Adesso no... sì... poco. Perché certo mi spassano. Cioè, all’inizio fu lì che, insomma, scoprii tutto, no... - Eh, delle donne: le sise delle donne, i peli delle donne (ride) - tutto. (Starnuto) Mia madre aveva tolto la lampadina qui dentro per non farmici più venire ma io ciavevo una torcia e ci venivo con quella. Poi non li buttavo, li tenevo. Tanto non è che ci venivo più a mettere altra roba ma solo que- (starnuto) solo quelli, e alla fine io ciavevo sempre un po’ l’angoscia perché si erano fatte delle pile che era un problema tenerli nascosti. Però io l’avevo trovato il modo come sistemarli bene. C’è un angolo qui (starnuto) - che va un po’ più dentro il muro e non si vede, dove ciò messo uno scatolone per tenerci i giornaletti... - - (Ridacchia) Sì che c’è ancora. - - Beh, qualcuno. Ma che c’entra? Perché sono ancora quelli: ché di buttarli non mi viene, ecco. Ogni volta che mia madre apriva qui, e ancora quando viene per tirare fuori o per metterci dentro della roba, io mi sento sempre un po’ così. - - (Ascolta) - - No, non sento. (Ascolta) Beh mò non mi ricordo esattamente: quindici, sedicianni, più o meno; di tempo ne è passato un sacco. - (Ascolta) Che bisogno? - - Beh, come tutti, penso, a una certa età... (Ridacchiando) E vabbè, dài, se hai capito... - - Ma sì, se hai capito che glielo dico a ... - - No, che però, ecco, io allora, sai con le ragazze - io non è che ne conoscessi molte di ragazze, io. (Starnuto) Oh, non lo so, e poi non mi ricordo! - Occhei, ricordo. Vabbè, questo sì. Ma che cavolo di domande pure tu! E perché poi, secondo te, sarei stato l’unico? Certo, a sentire lei... - No, non lei: cioè, mia madre. (Respira) Una volta mi beccò proprio... - Ma devo dirlo come fu? - Niente, che mi beccò, insomma qui dentro che... sà saà... - E sì, dài... zà zà. (Ride e starnutisce) Cazzo che roba! - Lei apre la porta di botto, io ci stavo contro ma non la reggo e casco avanti. Stavo al buio ma lei fa tutto con un gesto che apre la porta e accende la luce. Io cadendo mi ero come girato, no, e ce l’avevo in mano, ecco, e ciavevo un asciugamano addosso, sulle gambe. Così lei mette dentro la testa e mi vede (starnutisce) - e fa: che schifo! Tutto il giorno a riempirti la testa di scemenze e questi sono i risultati. Che schifo! - E’ lì che m’ha tolto la luce e voleva anche mettere un lucchetto ma non l’ha messo. Ma io ci sono tornato con la pila. (Starnutisce) ... - - Eh, ogni tanto; ma adesso a me è per questo che mi serve: per farmi passare un poco lo starnuto... - - No, poche, te l’ho detto. Gliel’ho detto... - - Cioè, un attimo: ora mi scoccia di avere un po’ tirato fuori queste cose... - - Occhei, avanti. - - Sì, poche. (Una pausa. Impugna una torcia, l’accende) C’era però... (Si tira sù. Muove innanzi a sé la torcia) C’è stata però una ragazza. Dai tempi della scuola, un anno che andavo la mattina più presto con mio padre. Mi accompagnava lui prima di andare in ufficio così entravo presto, quasi alle sette, e in classe ci trovavo ‘sta ragazza che pure arrivava più o meno a quell’ora. (Ascolta) Eh?... - No, non è che di mio padre non ne parlo mai; è così, non mi viene. - - Ma non è che non mi va, che non saprei neppure da dove cominciare; Poi non è che ci siano state, tra me e mio padre, grosse cose da raccontare... - Ecco, giusto da bambino, ma proprio un sacco di tempo fa, poteva succedere di fare qualcosa insieme, tipo che si passava le estati noi due, in montagna. Tutto qui. (Fissa la torcia verso un punto lontano e buio del palcoscenico) - - (Starnutisce) Lui mi ha insegnato a giocare a bocce, questo sì. (Starnutisce) Giocavamo spesso insieme, in montagna. (Starnutisce. Avanza verso l’angolo che illumina) A me era una cosa che piaceva, stare con lui a giocare a bocce; poi... (Respira profondamente) Whow! - (Si volta a scrutare l’angolo opposto della scena, frugando con il raggio della torcia nell’oscurità. Torna a illuminare il punto dove si trova) Poi un po’ m’ha stufato. Non mi andava giù. Non mi piaceva. (Illumina affianco ai suoi piedi una boccia. La impugna e, con un gesto lento e mirato, la fa rotolare parallela al boccascena verso l’angolo spiato precedentemente. Ne segue la traiettoria con la pila. Sta immobile a guardare innanzi a sé, oltre la boccia ormai ferma in prossimità delle sedie. Poi, come a qualcuno) Ciao... (Lancia un’altra boccia) - Una volta, mentre giocavamo, venne a mettersi ai bordi del campo una ragazzina. Oh, io lì non ciavrò avuto più di-di nove anni. Beh, basta: questa ragazza si era messa lì a guardarci. A me colpì che pure (starnutisce) - il modo come pure mio padre si mise a guardarla. Praticamente questo, però mi colpì. E tutte le mattine che andavamo al campo dopo un po’ arrivava anche lei. Con mio padre ogni tanto si dicevano qualcosa, ma io non ciavevo il coraggio. Questa era una che vedevo anche nell’albergo dove stavamo noi. Una caruccia, ma una cosa, per me, finita lì. (Starnutisce) Tranne che dopo un po’ nell’albergo tutti cominciarono a scherzarci con questo fatto e una mattina che io a mio padre gli dico... lui mi stava dicendo di sbrigarmi a mettermi il cappotto, a prepararmi che il campo ce l’avevamo per le dieci e io gli chiedo com’è che quella notte lui era uscito dalla stanza, e lui dice che non era vero e io gli dico invece di sì: che non dormivo anche se era tardi e l’ho sentito che se n’era uscito. (Starnutisce) Uno allora, stavamo giù nel salotto, si mette a ridere e dice forte: eh, dottore, deve stare attento. Le fa la guardia, eh! - E lui che mi voleva trascinare via: finché si scherza si scherza (starnutisce), ma che davvero vuoi farmi fare una figuraccia! - (Starnutisce; ride) E tutti lì a fare gli spiritosi: e via, che suo figlio le scopre gli altarini! - E c’era pure la ragazza a fare la spiritosa, con i suoi genitori che stavano pure a fare gli spiritosi e le dicevano che quel pomeriggio bisognava andare in seggiovia insieme. Poi di sera, quando uscivo dalla stanza, l’ho trovata nel corridoio che m’aspettava. Un po’ è quasi come un so- (starnutisce) un sogno, perché a me sembra di ricordarla come se ciavesse una boccia in mano e me la mette sotto il naso. Ma questo è come la penso io. (Starnutisce) Nel corridoio allora mi fa, questo però vero - non è che me lo penso: guarda che ti posso fare male, sai. (Starnutisce) E basta. E scappa via. Mio padre invece di questo niente, non ne ha più parlato. Ma io poi ho capito sai quando? - (Starnutisce) Ho capito quando... Ti dicevo - le dicevo di Luisa, no - che era quella che mi trovavo in classe la mattina. A me piaceva. (Starnutisce) Insomma, Luisa dopo un po’ di tempo ha preso a venire qui da me, così si studiava insieme e tante volte capitava che stava qui a mangiare. Mia madre non ci doveva essere e io preferivo che non ci fosse perché quando c’era lei era tutto... per me era sempre tutto peggio. Mi sentivo bloccato. (Starnutisce) Io poi non credo che a mia madre Luisa piacesse molto. Comunque era andata così. Io a Luisa ormai già glielo avevo detto di restare poi mia madre, che a me aveva detto che non doveva esserci, invece è rimasta e allora ci siamo ritrovati tutti insieme, con Luisa e con i miei. (Starnutisce) Così per tutto il pranzo si parlò poco. C’era mia madre che aveva certe battute, cazzo - ma poi quello che successe fu una cosa che, ecco... peggiore: (starnutisce. Illumina le sedie nell’angolo) quando vidi che mio padre, se ci stavo attento, guardava Luisa, ogni tanto, con lo stesso sguardo che ricordavo di anni prima al campo delle bocce. Forse nemmeno che me lo ricordavo ma così, a quel momento, me lo rividi subito; come un lampo, no - (Starnutisce due volte) E anche lei: io me ne accorsi di come tirava sù gli occhi dalla tavola ma senza muovere la testa e lo guardava, lo guardava dalla parte che mia madre non poteva vederla - e muoveva la bocca, come una smorfia, solo da quella parte. Tipo un sorriso ma non proprio un sorriso, che lui poteva vederlo e lo vedevo anch’io. (Starnutisce) E mi dicevo: cazzo, è niente. Cazzate. però mi sembrava sporco, contro di me, e pure che stavamo a casa nostra. E contro mia madre che, cazzo, in fondo io mi sentivo di odiarla mia madre (starnutisce), più di mio padre e di Luisa messi insieme - e lei che chiacchierava come per prenderla in giro a Luisa. Che ne so, ad esempio, Luisa le parlava di dove andava al mare, un posto che lei ci teneva molto per via di una casa che ciaveva da tanti anni e mia madre gli fa: no, quella zona la conosco appena ma immagino che caos! - (Starnutisce) Io, poi per dire, glielo avevo detto che Luisa adorava il formaggio, allora lei fa portare su un piatto sa quei triangolini piccoli, tipo Kramer, un po’ schifosetti - insomma, come per prenderla in giro, e io mi sentivo proprio... allora quasi contento di quello che lei e mio padre stavano facendo, perché anche se era contro di me ma io pensavo che ancora di più era contro mia madre. (Starnutisce tre volte. Punta rigido la luce sulle sedie. S’accovaccia fremente. Impugna la torcia con entrambe le mani. Starnutisce tre, quattro volte di fila) Quello fu l’ultimo anno che mio padre passò prima di ammalarsi. Qualche altra volta ci sono stati dei pranzi insieme, poi Luisa mi venne a dire che non voleva tornare da noi, da me. Che si era sentita cacciata, diceva - che non era per lei ma era mia madre che non voleva. E io lo sapevo che era vero perché le avevo sentite loro quello che si erano detto, ma di smetterla con quei pranzi schifosi ero contento, che non sapevo se era peggio quando si parlava o quando non si diceva niente, perché pure quando nessuno diceva niente c’era lo stesso qualcosa che succedeva. (Starnutisce) Cristo, basta con quelle occhiate e con un sacco di cose che... bah! - (Starnutisce) ... - - Eh, lo so io che dico. Però avevo rabbia perché lei, Luisa, a me piaceva e c’era in questa cosa che provavo tutto un mucchio di altre cose che si mischiavano e non riuscivo a capire. (Starnutisce) Però non m’importava, cioè m’importava di più che tutto tornasse a come-come... a quel buco, a quel nulla dentro, non so se mi spiego, che poi - (starnutisce) che poi, alla fin fine, lo preferisco a tutto. (Starnutisce) - - Sì, per me il nulla è buio. E’ tutto buio. Come il buio di qui dentro. (Starnutisce. Spegne la torcia)
TRE
TOMMY: (di nuovo accovacciato presso la porta) No, quando mi è venuto lo starnuto non è che mi sono accorto subito che se entravo qui mi passava. (Starnutisce) Prima mi sono accorto che mi passava quando andavo nei passaggi della metropolitana. (Starnutisce) Adesso non capisco perché mi sta venendo pure qui. Però non è ancora come fuori, perché fuori ce ne ho uno ogni sei - (starnutisce) ogni sei secondi; e anche meno: di secondi, mica di starnuti. Poi quando ci sono entrato per la prima volta, dico dopo che mi è successo, beh, ho visto che si calmava, che quasi mi smetteva. Adesso non capisco, è già dalle ultime volte che mi ha un po’ ripreso - (Starnutisce) Oh, merda! - Vabbè, dài: cos’è che mi chiedevi? (Breve pausa) (Starnutisce) Dio, ancora con quella storia! E’ una settimana che mi ci fa tornare sopra. - - Sì, che mi ci fai tu. (Starnutisce. Ascolta) - Nooo! T’ho spiegato, è mia madre che l’ha cacciata. - - Sì che l’ho sentito. Te lo dicevo che l’ho sentito, ma mica di nascosto - (Starnutisce) Anzi lei, no anzi: loro tutte e due, lo sapevano che le sentivo (starnutisce) , perché io stavo in bagno ma non è che stavo fuori e loro invece in camera mia. (Starnutisce) C’era mia madre che le urlava delle cose, tipo puttana, perché - perché qualcosa forse... forse l’ha vista di quelle cose a tavola. Almeno penso. (Starnutisce) Beh, quando ho sentito dirle così a me è venuta rabbia, ma mica solo contro di lei in fondo, no: anche per l’altra. (Starnutisce) Che poi quella le rispondeva e alzavano la voce. Intanto io nel cesso tiravo l’acqua come per far credere che non sentivo, e ho aperto il rubine-(starnuto) - binetto, ma sentivo perché mia madre poi gridava forte. (Un doppio starnuto) E io mi lavavo la faccia ma la sentivo: puttana, vatteli a trovare altrove i tuoi passatempi! (Starnuto) - i tuoi passatempi. Questa è una casa pulita. (Starnuto) E Luisa qui mi ricordo che ha detto pulita come una bara. (Starnuto) Ma non si pensi di averci solo morti qui dentro, ha detto. (Starnuto) E ha riso. Mia madre le ha urlato puttana un mucchio di volte e che per suo figlio una come lei era buona solo- (starnuto) buona solo da essere portata a letto. E poi puttana e ancora questa cosa. (Starnuto) E Luisa che poteva stare tranquilla perché non correvo nemmeno questo rischio. - - No, Luisa che l’ha detto a mia madre. Io avevo sempre la testa sotto l’acqua. (Starnuto) Sono uscito con tutti i capelli bagnati ma molto tempo dopo. (Starnuto) Quando sono uscito Luisa non c’era più. (Starnuto) Per la casa tutte le porte e tutte le stanze erano chiuse e mia madre non l’ho vista per tutto il giorno e poi l’ho rivista solo il mattino dopo. (Starnuto) Quello è stato meglio, i capelli così - (starnuto) mi erano tornati asciutti sennò non avrei saputo cosa dirle. (Uno starnuto, una pausa, poi un altro starnuto) Qua però lo vedi che va peggio: se comincia a prendermi anche qui dentro!... (Starnuto) - - Sì che sto calmo. - - Sì che respiro... espiro, sì. (Starnuto) Però è dall’inizio che va sempre peggio. - - Ma sì che sto respirando. - - Sì, forte. (Starnuto) Ora forse mi scappa. Che faccio? Esco? (Starnuto) - (Una breve pausa) Provare cosa?... - Ma devo farlo (starnuto) a voce alta? - - No, perché me lo - (starnuto) io me lo vedevo con l’orologio... - Aspè allora: adesso che mi to - (starnuto) dicevo, ora che mi torna. (Trattiene il respiro. Starnutisce) Uno, due, tre, qua - (starnuto) . Uno, due, tre, quattro - (Starnuto) . Uno, due, tre - (Starnuto) . Uno, du -(starnuto) .
Buio.