Tragedia d’amore

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TRAGEDIA D’AMORE

Commedia in quattro atti

Di GUNNAR HEIBERG

Versione dal testo originale norvegese

di Irina Lonska e Odoardo Campa

PERSONAGGI

erling kruse karen

HARTWIG HADELN

GIOVANNI, servitore

Una vecchia

Una cameriera

Una donna

un bambino

dei viaggiatori

Commedia formattata da

ATTO PRIMO

Interno di una cascina alpestre. Una finestra in fondo: una porta a destra. Sotto la finestra una panca a muro. Davanti, a sinistra, un camino con ceppo e legna che ardono. Sullo stesso lato, più indietro, un tettuccio. Da­vanti al camino una tavola e delle sedie. Una mensola con stoviglie. Di fuori, piove e tira vento. Il vento au­menta sempre durante tatto. Sera oscura d'autunno. Un unico lume sulla tavola. Una piccola betulla è sbattuta dal vento contro la parete.

(Una vecchia si muove affaccendata, mettendo in or­dine. Erling è presso la tavola dove ha posato il sacco da montagna).

 Erling                           - (che ha cominciato a disfare il suo sacco da montagna, con un movimento brusco, si butta il man­tello fradicio sulle spalle) Mi pare di udire qualcuno. (Esce).

La Vecchia                    - E’ la betulla che sbatte contro la fi­nestra. (Pianta una torcia nel muro).

Erling                            - (rientrando) Che tempo orribile!

La Vecchia                    - Sì, sembra si sia scatenata la tregenda.

Erling                            - Buio in cielo e buio in terra.

La Vecchia                    - Stamani era tutto un tappeto di neve.

Erling                            - Questo è un danno anche per la foresta.

La Vecchia                    - Qui tutto è in ordine. Se c'è bisogno di qualcosa, io sono giù nella stalla.

Erling                            - Mille grazie. Buona notte.

La Vecchia                    - (esce. Erling butta il mantello in un an­golo; poi lo riprende e lo attacca perché s'asciughi; tira fuori una bottiglia di vino del Reno e qualcosa da mangiare. Improvvisamente egli si mette le mani sul capo).

Erling                            - (con un sorriso raggiante) Ora essa deve venire. (La porta si apre. Entra Karen avvolta da capo a piedi in un grande scialle. Erling si precipita verso di lei).

Karen                            - (coti un moto di ritrosia) Io gelo.

Erling                            - Qui c'è un bel fuoco. (Aggiunge dell'altra legna).

Karen                            - (resta in piedi).

Erling                            - (volgendosi a lei gaiamente) Sapevo che sareste venuta.

Karen                            - Davvero?

Erling                            - Lo sentivo.

Karen                            - Come lo potevate sapere?

Erling                            - Siete venuta.

Karen                            - (quasi con impeto)  Ma non per quello che credete. Io sono venuta perché voi mi desiderate, non perché io vi voglia bene. Non è cosi forse? Non pensate così anche voi?

Erling                            - Voi siete venuta!

Karen                            - Sono venuta per mantenere la promessa, che cioè dopo un anno sarei tornata, a meno che non fosse avvenuto qualche mutamento,

Erling                            -  Se vi fossi piaciuto oggi come un anno fa. Queste furono le parole. Avete molto desiderato di tornare?

Karen                            - Ogni giorno che passava l'ho desiderato sempre meno.

Erling                            - Fino al giorno in cui siete partita.

Karen                            - ( involontariamente) Sì: allora son partita improvvisamente. (Dopo una breve pausa) Ma non c'è niente da sorridere.

Erling                            - Io non sorrido. Rido forse. Ma venite a mettervi a sedere qua, vicino al fuoco.

Karen                            - (rimanendo in piedi) Ah! Questa gita sui monti!

Erling                            - Quanto tempo avete messo dall'ultima fat­toria nella valle?

Karen                            - Adesso che ore sono?

Erling                            - Le nove.

Karen                            - Allora ho messo cinque ore.

Erling                            - Cinque ore a cavallo e con questo tempo!... Ma voi piangete.

Karen                            - Ho avuto tanta paura. Faceva così freddo e così buio! L'anno scorso il tempo era bello ed eravamo in molti.

Erling                            - Oggi è brutto e siamo soltanto in due. Due persone nel vasto mondo. (Vorrebbe abbracciarla).

Karen                            - (piano) Non fate così! (Lo guarda) Questo è contrario ai nostri patti,

Erling                            - (ridendo) Sì?

Karen                            - Sì» certo, lo dovete sapere voi, che, del resto, avete mantenuto così bene la promessa!

Erling                            - Che cioè per tutto l'anno non vi avrei scritto nemmeno una parola. A questo volete alludere?

Karen                            - Sì.

Erling                            - Siete in collera per questo?

Karen                            - Nemmeno io vi ho scritto. (Compare sulla porta il postiglione).

Erling                            - Un momento! (A Karen) Gli dico di tor­narsene in giù. (Si avvia),

Karen                            - (gli va dietro come per trattenerlo. Poi si ferma. Rimane inquieta).

Erling                            - (tornando indietro) Ma com'è chiaro qui! Avete acceso il lume?

Karen                            - (ridendo) No, non avrei potuto neanche farlo. Le mie dita sono tutte irrigidite.

Erling                            - Ma adesso voi non avete più il diritto di gelare. (Le toglie lo scialle) Il sole esce dalla nebbia.

Karen                            - (sedendosi presso il camino) Veramente non è una cosa facile per una giovine dama dell'alta società venire sola, da un uomo, di notte.

Erling                            - (le versa un bicchiere di vino che essa beve).

Karen                            - Specialmente se si vive con due sorelle e un fratello funzionario dello Stato. Sì?

Erling                            - (ripetendo) Sì.

Karen                            - E a tutte e due le sorelle e al funzionario dello Stato si deve mentire in un modo inverosimile per arrivare fin qui, su queste nude montagne. (Tutto ad un tratto scoppia a ridere) In fondo è orribile!

Erling                            - (ridendo) Sì.

Karen                            - E specialmente quando questa giovine dama venticinquenne ha già deciso di passare il resto della sua vita accanto al fuoco, dove ha già cominciato a trovare la pace e la calma.

Erling                            - Per avviarsi ad una vita burrascosa.

Karen                            - No, per fuggire una vita burrascosa.

Erling                            - (ridendo) Con me?

Karen                            - (voltandosi) No, non è questo. Io non ho paura di voi. E non avrei paura di tornarmene giù sola, se fosse necessario. Come non avrei paura di man­dar giù voi, se fosse necessario. No!

Erling                            - No! Che coraggio!

Karen                            - No. Non son molto coraggiosa! Ho avuto una tal paura, ho avuto, quando, ad un tratto, mi son ritrovata qui. E giacche mi ero proposta di non lasciarmi cogliere così all'improvviso, non è stata certo strana la mia agitazione del primo momento.

Erling                            - Non ho notato affatto la vostra agitazione.

Kaken                           - Ma da che cosa proviene tanta vostra sicurezza? Ah, voi siete così sicuro! Voi siete molto più sicuro dell'anno scorso.

Erling                            - (piano, appassionato) Io vi amo ora mille volte di più!

Karen                            - (cambiando tono) Via, adesso il sole ha fame.

Erling                            - (indicando la tavola) II sole vuole delle ac­ciughe? (Ridono entrambi mettendosi a tavola e man­giando, da prima senza parlare),

Karen                            - Io naturalmente ho tante volte pensato come sarebbe divertente: d'esser ben vestita e di entrare in una bella sala da concerto con un fine e distinto signore al fianco: questo ve lo potete figurare.

Erllng                            - 0 in teatro, al momento del preludio, così che tutta la fila è costretta ad alzarsi.

Karen                            - Sì. « Prosit »!

Erling                            - «Prosit »! (Rimangono per un momento in silenzio).

Karen                            - Ma pensate: io trovo che tutti quelli che amano, o che dicono di amare, stanno male; mentre quelli che non amano sembrano vivere molto bene.

Erling                            - Ma questa è una triste impressione della vita. Da dove vi viene?

Karen                            - Da dove mi viene? Si gira liberamente qua e là, e così qualcosa si vede, qualcosa si sente, ed ecco, che ad un tratto accade un fatto strano che ci incute timore e che noi non riusciamo a comprendere. Io, per esempio, ho l'idea fissa di avere un'idea fissa: ma non so quale. Ah, ah, ah! Con quale sguardo profondo mi scrutate. (Di nuovo una breve pausa).

Erling                            - A me sembra di non essere mai stato così bene come in quest'anno.

Karen                            - E che cosa avete fatto in tutto questo tempo?

Erling                            - Ho provato l'ardente desiderio di rivedervi.

Karen                            - Ma non è stato terribile?

Erling                            - No, è stata invece una cosa meravigliosa.

Karen                            - Allora voi trovate bello il desiderare ar­dentemente?

Erling                            - Voi, Karen, sì.

Karen                            - Io la trovo invece la peggiore cosa che ci sia al mondo. Il desiderare mi strugge. Divento cattiva... Ma, allora, che cosa avete fatto?

Erling                            - Sono stato felice tutto il tempo.

Karen                            - Nient'altro?

Erling                            - Ho lavorato. (Si alza) Mi pareva che tutto il mio lavoro si nobilitasse, divenisse tanto più elevato, perché io pensavo a voi, avevo soltanto davanti agli occhi la vostra immagine. Quando tagliavo, segavo o piantavo alberi, dappertutto e sempre vedevo il vostro viso, i sereni vostri occhi infantili. (Le prende la mano e l'attira a sé, le cinge la vita con una stretta).

Karen                            - (rimane un momento priva di volontà, poi si dirige in un altro angolo della stanza e siede).

Erling                            - (le si mette dietro la seggiola senza trovar parola, poi dice piano) Io voglio bene alle vostre due sorelle e anche al funzionario dello Stato.

Karen                            - (gli porge la mano) Come mi avete parlato bene! (Si alza improvvisamente, fa qualche passo e si volta verso di lui, supplice) Lasciatemi andar via o an­date via voi!

Eklinc                            - (dopo un momento, piano e commosso) Al­lora voi non mi amate, Karen?

Karen                            - (come calmata dalla sua voce, si rimette a se­dere) Ma... ma...

Ekung                           - Che cosa?

Karen                            - Io credevo che tutto questo sarebbe stato molto diverso.

Erling                            - Avete creduto che vi sareste sentita molto più allegra?

Karen                            - No, non più allegra.

Erling                            - Che avreste provato un sentimento più grave, più travolgente?

Karen                            - (un po' più sorridente, titubante) Io mi figu­ravo tutto questo... Non so... più dorato.

Erling                            - (sorridendo un po' anche lui) Vi sentite disillusa?

Karen                            - (più allegra e più forte) Prima di tutto ero sicura, cioè pensavo che, arrivando qui, dopo aver tra­versato questa terribile oscurità, vi avrei trovato in ginocchio ad aspettarmi,

Erling                            - Ed io non l'ho fatto?

Karen                            - (ardita) Che se noi fossimo stati innamo­rati l'uno dell'altro non si sarebbe potuto trovar posto nella stessa stanza. Le mura sarebbero dovuto saltare in aria, per lo meno la stanza si sarebbe dovuta capovol­gere. Questo pensavo io.

Erling                            - (e si fa vicino, animato) Oh, com'è bello! Voi fate tutto più grande. Sento qual ' responsabilità mi vado assumendo. Non sapevo, non sapevo come ti amavo. E solo in questo momento mi accorgo quale meravi­gliosa creatura tu sei: così sicura, così fiera, con la fronte così alta. (Con entusiasmo) Adesso io amo, adesso io amo per la prima volta.

Karen                            - (con gli occhi chiusi, piano e adagio) Oh, com'è bello questo! Com'è bello! Com'è inebriante l'esser pregata,

Ekling                           - (le prende la mano) Vogliamo cominciare, domani?

Karen                            - Domani?

Erling                            - Sì, domani.

Karen                            - E come?

Erling                            - Col sottomettere la terra, col lavoro nella foresta. Noi creeremo nuovi boschi, pianteremo degli alberi utili, degli alberi gioiosi di fronde, degli alberi maestosi d'ombre per i viali delle case felici, degli al­beri da frutta e degli alberi decorativi, E in mezzo a tutto questo sorgerà la nostra casa, la nostra casa nel bosco, Karen.

Karen                            - (piano) Ma prima via per il vasto mondo.

Erling                            - Dobbiamo viaggiare? Sì, certamente. Prima un lungo giro. Tu puoi fare di me tutto quello che vuoi.

Karen                            - Posso?

Erling                            - Tutto. La foresta, la caccia, tutto abban­donerò per te, tutto, se tu vorrai.

Karen                            - Se vorrete voi? (Bussano: la porta sì apre, si sente che il vento e la tempesta vanno facendosi impetuosi ed entra Hartwig Hadeln. Ha uno sguardo fisso, pesante, ma intelligente. Voce bassa, movimenti lenti, andatura un po' curva. Indossa un soprabito leggero, un po' logoro, cappello floscio, che subito non si toglie. Un piccolo sacco tutto bagnato).

Hadeln                          - (rimane sulla porta con la mano sopra agli occhi come per pararsi la luce) Che luce c'è qui. (Breve pausa) Ho perduto la strada della montagna.

Erling                            - Sedetevi al fuoco ed asciugatevi un poco.

Hadeln                          - (guardandosi attorno) Questa deve essere la cascina di Gudbrand Kvaennes.

Erling                            - Sì, appunto.

Hadeln                          - E' così luminosa, festosa, (// viso gli si ria­nima) E voi sembrate così pieni di gioia e di allegria. (E' un po' imbarazzato nel non aver risposta) E' tanto buio fuori!

Erling                            - Ma sedetevi dunque accanto al fuoco e be­vete. (Mesce).

Hadeln                          - (fissa Karen per tutto il tempo)  Se la si­gnora permette?

Karen                            - (gentile, ma secca) Prego, accomodatevi.

Hadeln                          - (rimane in piedi) Io mi sono completa­mente sperduto: eppure sono stato così spesso da queste parti. Sto girando da quasi un anno. (Si siede sulla panca).

Erling                            - No, sedetevi accanto al fuoco. Siete tutto fradicio,

Karen                            - (s'avvicina ad Erling, gli prende il braccio. Breve pausa).

Hadeln                          - Del resto, non è tanto pericoloso perdere la strada qui, nel proprio paese, di cui si conosce la lingua.

Karen                            - (ride involontariamente) E' curioso.

Hadeln                          - Forse questo succede perché noi egoisti difficilmente impariamo le lingue straniere. (Dopo un momento) Ma vedo che la capanna è occupata. (Breve pausa).

Karen                            - Qui c'è soltanto una stanza. Ma può darsi che giù nella stalla... (cerca di spiegarsi e fa un gesto significativo).

Erling                            - (che ha scoperto il suo imbarazzo) Cara... (Volgendosi ad Hadeln) Ecco, vi ho versato da bere.

Hadeln                          - (si alza tutto ad un tratto e togliendosi il cappello) Io sono Hartwig Hadeln.

Karen                            - (involontariamente) Quello che,..

Hadeln                          - (piano e severo) Quello che scrive dei versi meravigliosi.

Erling                            - (porgendogli il bicchiere) Io sono l'inge­gnere Erling Kruse.

Hadeln                          -  La sua signora?

Karen                            - Sì, siamo sposi. (Mette le braccia attorno al collo di Erling: questi l'attira a sé e rimangono così un momento).

Hadeln                          - (li fissa: una dolorosa, quasi dura espres­sione gli appare sul viso, poi, con il bicchiere in mano, dice piano) Al felice esito nella battaglia d'amore.

Karen                            - (voltandosi) Nella battaglia d'amore?

Hadeln                          - Battaglia per il dominio supremo.

Karen                            - (sempre con le braccia attorno al collo di Erling) Ma non esiste nessuna battaglia quando ci si ama.

Hadeln                          - Sempre. E chi ama di più perde sempre, poiché perde ciò che ama.

Karen                            - (lo guarda interrogativamente, con un mezzo sorriso).

Hadeln                          - (pure sorridendo) La signora saprà pure che più cresce l'amore dell'uno e più diminuisce l'amore dell'altro.

Karen                            - Ma prendi le mie difese, dunque, Erling.

Erling                            - (che è rimasto tutto il tempo a guardare Karen, senza badare alla conversazione) Scusatemi, signor Hadeln, io veramente non ho sentito bene.

Hadeln                          - (laconicamente) Dicevo semplicemente che chi prova la felicità in amore non ama, ma dorme soltanto.

Karen                            - Non si può dunque esser felici in amore?

Hadeln                          - (sorridendo) Oh, in amore, non si tratta affatto della felicita. Se c'è bene; se non c'è fa lo stesso. La felicità vera e propria non c'entra.

Karen                            - (con fervore) Ma quando due si amano sono anche felici.

Hadeln                          - Ma due non si amano mai nello stesso tempo. (Karen ed Erling ridono).

Karen                            - (stupita) Mai nello stesso tempo?

Hadeln                          - (subito fissandola) La signora lo dovrebbe pure sapere.

Karen                            - (l'osserva mezza spaventata, poi guarda Erling e, cingendogli il collo, parla rapida e con fervore) Ma ciò accade, ciò accade; forse non subito. Ma poi arriva il momento in cui due si amano contempora­neamente con tutte le forze.

Hadeln                          - (forte) Mai! Nemmeno per un istante. Quando sembra che sia così vuol dire che presto man­cherà l'equilibrio alla bilancia. (Cambiando tono e di­ventando scherzoso) Noi uomini abbiamo una sola con­solazione, che anche questo non durerà a lungo.

Erling                            - (ridendo) L'amore?

Karen                            - Dunque, allora, deve morire, poverino!

Hadeln                          - Sì, l'amore d'oggi dovrà presto morire.

Erling                            - In che giorno, se è lecito?

Hadeln                          - Il giorno in cui saremo sinceri con i nostri figli. Il giorno in cui sulle nostre ginocchia e sulle panche della scuola insegneremo loro a credere in quello che noi crediamo.

Karen                            - Che cosa dovremo, dunque, insegnar loro?

Hadeln                          - Solo una piccola cosa: che è cioè naturale che i nostri corpi si avvicinino.

Erling                            - Sì, ma questo è soltanto un genere d'amore!

Karen                            - (ad Erling)  Zitto!

Hadeln                          - (sorridendo, volto quasi sempre verso Karen) L'anima è una tarda invenzione, gentile signora: dai deliri del corpo viene il senso della vergogna; dal senso della vergogna il mistero; dal mistero ciò che noi chia­miamo l'anima nell'amore. Ma quando noi ne sveliamo il segreto, allora è un dolore per l'anima. E così muore l'amore, il povero santo amore, il più bel sogno degli uomini, la più elevata poesia della vita; la più sublime sciocchezza, la divina pazzia. Via, svelato il segreto, svanisce anche l'amore.

Karen                            - (con fervore) Ma c'è sempre uno che si pre­ferisce, uno che si ama. Non si smette mai di scegliere.

Hadeln                          - (deciso) Quando si comincia a scegliere(fa un gesto con la mano per allontanare qualcosa) al­lora tutto diviene cieco e casuale.

Karen                            - (un po' irritata) E' una veduta molto su­periore.

Hadeln                          - (di nuovo mollo calmo e sorridente) E non devo forse ritenermi superiore, io che ho scritto al re di Prussia? E gli ho dato qualche buon consiglio. (En­trambi lo fissano) Sì, sì, io che sto qui con questo cappello bagnato, io gli ho scritto con le mie proprie mani, e aspetto la risposta. (Ride nervosamente) Sì, la mia mis­siva non ha avuto nessun risultato, non ho avuto la ri­sposta, forse perché non ho dato il mio indirizzo fisso. Appunto perché giro di continuo giorno e notte, tutto l'anno. (Molto calmo) Buona notte e grazie per ora.

Erling                            - Ma con questo tempo orribile?

Karen                            - (che era rimasta assorta) Ma ciò che avete detto è soltanto della poesia, una finzione?

Hadeln                          - Sì.

Karen                            - (più indulgente) Voi stesso non l'avete pro­vato?

Hadeln                          - (sorridendo leggermente) Oh, no! Allora io non mi sarei potuto esprimere con tanta sicurezza!

Karen                            - (ridendo leggermente) Dunque erano sole parole?

Hadeln                          - Solo parole, si: ma nel principio era la parola e la parola era presso Dio. (S'arresta un mo­mento) E la parola può anche uccidere.

Karen                            - Anche?

Hadeln                          - Sì, come l'amore, io credo; accade talvolta che l'amore uccida, specie quando esso è di prima qua­lità. Ma io dovrei accorgermi che è ora di andare. (Con un mezzo sorriso) Mi piacerebbe di ordinare un po' la vita degli uomini e le loro relazioni, prima di andar­mene a riposare. Riesco a metter più ordine fuori, nel buio, che nella luce, tra la vera gente. Buona notte! (Esce silenzioso per la sua strada. Fuori infuria la tem­pesta. Karen si affretta verso la porta e tenta di chiu­derla, ma non le riesce).

Erling                            - Devo aiutarti? (Le va incontro, chiude la porta, mentre le cinge la vita. Karen va piano verso il caminetto, siede con i piedi rivolti al fuoco. Erling, in silenzio, viene piano verso di lei, sorridendo).

Karen                            - (lo guarda).

Erling                            - Gli scarpini di vernice! Tu hai viaggiato a cavallo con gli scarpini di vernice con un tempo simile!

Karen                            - (porgendogli la mano) Ho temuto di non fare a tempo col treno.

Erling                            - (la stringe a se)  Ah! Karen, Karen!

Karen                            - (piano) Io non pensavo ad altro che ad esser desiderata da te. Puoi capire tu questo?

Erling                            - (inebriato) Chiudi gli occhi! (La lascia un momento, giunge le mani e prorompe con passione) Ah, mi sembra che noi dovremo portare la nostra gioia nel vasto mondo, dovunque andremo, noi due!

Karen                            - (stringendosi a lui) Tu ed io, Erling, noi due soli nel vasto mondo!

Fine del primo atto

ATTO SECONDO

Un anno dopo, di primavera. Sala d'aspetto di una piccola stazione della Germania meridionale, in una località alpestre. La stazione è nel punto d'incrocio di due linee. Porte a destra e a sinistra. Una finestra nel fondo. Su di una panca sono allineati vari bagagli.

(Entrano in fretta Erling e Karen. Nello stesso mo­mento si odono i segnali di un treno in partenza).

Erling                            - Il treno parte.

Karen                            - (contemporaneamente) Il treno parte. (En­trambi si buttano ridendo sulla panca) La colpa è tua: sei voluto venire a piedi.

Erling                            - No, la colpa è tua perché non sei voluta uscire in tempo.

Karen                            - Sei stato tu che hai voluto dire addio a tutti i cani.

Erling                            - No, sei stata tu che non sapevi quale cap­pello mettere. (Ridono entrambi) E adesso dovremo aspettare un'ora e trentasette minuti.

Karen                            - Ah, ah, se tu sai perfino a memoria l'orario, perché hai bisogno di consultarlo tutto il giorno? Se dovesse accadere una disgrazia, credo che il tuo primo pensiero sarebbe quello di salvare l'orario.

Erling                            - No, prima di tutto l'erbario, poi te, poi l'orario. (Guarda dalla finestra) Come sono belli tutti questi luoghi montani, proprio come in Norvegia. Tra otto giorni saremo di nuovo a casa, in mezzo alla fo­resta. Urrah!

Karen                            - Sì, sarà bello anche questo...

Erling                            - Povero Henricksen. Sarebbe contento se noi rimanessimo fuori, giacche seguiterebbe ad avere l'in­terinato per tutta l'estate.

Karen                            - Invece, non potrà averlo, il signor Hen­ricksen.

Erling                            - Hai mai osservato il taglio di un albero? Guarda qui. (Tira fuori una lettera) Henricksen ha di­segnato la sezione di un pino silvestre della zona del Moors, da me anteriormente prosciugata, guarda qui. Durante vent'anni di midollo interno era rimasto com­patto assolutamente (segna con un lapis) ma in quest'anno in cui noi siamo stati in viaggio, dopo il prosciu­gamento del Moors, in un solo anno l'albero è cresciuto tanto quanto durante vent'anni presi insieme. Ebbene, che ne dici Karen?

Karen                            - A me è accaduto qualche cosa di più sor­prendente. In quest'anno di vita comune, ho vissuto tanto, quanto durante i venticinque anni trascorsi prima... che io adottassi il trattamento razionale.

Erling                            - Il trattamento razionale è buono, come puoi vedere. Sì, anche tu come il pino silvestre ami l'aria e la luce... Dunque?

Karen                            - Ma esso non cresce nella sabbia.

Erling                            - Oh, esso cresce appunto nella sabbia e al sole! Io, invece, sono un albero d'ombra, come l'abete, che richiede un terreno umido e profondo. Ognuno di noi ha bisogno di un terreno speciale. In altre parole noi non andiamo bene insieme.

Karen                            - (sul petto di Erling) Oh, tu. (Piano) Mi sento così orgogliosa quando penso quale uomo tu sei.

Erling                            - (con un bagliore negli occhi) Soltanto or­gogliosa?

Karen                            - (di nuovo allegra) No, certamente no.

Erling                            - Perché io non sono soltanto un abete.

Karen                            - (accenna a ballare, mentre Erling la segue con lo sguardo sorridente; poi si ferma e lo guarda, sorri­dendo, incerta).

Erling                            - (le si avvicina piano) Dunque?

Karen                            - (imitandolo) Dunque?

Erling                            - (assentendo) Sì.

Karen                            - Io credo che tu sia pazzo a parlare così. In piena luce del giorno!

Erling                            - (l’attira a se) E poi... Ma tutto questo andrà meglio quando sarò tornato di nuovo al mio lavoro.

Karen                            - (sorridente, mite) Meglio?

Erling                            - Ma non possiamo vivere tutta la vita in tale ebbrezza.

Karen                            - Perché no?

Erling                            - Parlando seriamente: io ho una voglia stra­ordinaria di ritornare a casa e di riprendere il mio la­voro. Non puoi capire tu questo?

Karen                            - Oh, sì, sì! E io ti aiuterò, lo puoi credere!

Erling                            -  Karen, io non temo di dire che il mondo intero ci sta dinanzi pieno di felicità e di sole!

Karen                            - (con profonda espressione) Tutto un rag­giante splendore!

Erling                            - Questo nostro viaggio è come un meravi­glioso preludio di tutto il nostro avvenire.

Karen                            - (piano) E' quello che pensavo anch'io. Ma tu mi hai interrotta. Giacche io mi -esalto se comincio a pensare... a pensare a te. A ciò che sei stato per me... E mi sento tanto riconoscente. Com'ero sciocchina quando pensavo che avrei potuto cessare d'amarti. Tu m'hai risvegliata. Ero così acerba! E' così bello respi­rare liberamente. Tu Io puoi credere. Perché prima era come se tutto ciò che accadeva nel mondo, e la gente stessa fossero per me come ombre che mi passavano indifferenti accanto. Come se io non avessi avuto legami con tutto questo mondo! E ora, ora... (Non trova subito l'espressione, infine) E ora mi pare di capire la gente e le cose molto meglio di te. Giacche spesso te ne stai lì assente e non capisci nulla, tu.

Erling                            - Ma credi tu che io non me n'accorga. Ac­cade spesso che io riesco a capire certe cose soltanto dopo.

Karen                            - Appunto!

Erling                            -  Dio mio, ma quale aria d'importanza ti dai, Karen.

Karen                            - E questa è colpa tua. Di tutto hai colpa tu; perché io sono raggiante di felicità, di gioia, di bontà, di luce solare e... in una continua ebbrezza... Guardami in viso. Fissami lo sguardo profondo negli occhi, guarda il sorriso sulla mia bocca...

Erling                            - (d'improvviso) Ho dimenticato il binocolo. L'hai riposto tu?

Karen                            - No. Corriamo subito all'albergo a prenderlo.

Erling                            - No, tu rimani qui e (indicando) bada al bagaglio; corro io solo. Abbiamo tempo sufficiente. (Esce di corsa).

(Si aspetta il treno. Arrivano alcuni viaggiatori. Dall'interno della stazione entra una contadina tenendo per mano un bambino che piange. Lo scuote e lo sgrida. Karen va verso la donna e le parla: ne ha spiegazioni: Karen siede accanto alla donna e al ragazzo. Poco dopo entra Hartwig Hadeln, con sacco da viaggio e ba­stone. E’ coperto di polvere, appare stanco dal cammi­nare. Scorgendo Karen si ferma ad un tratto indeciso, poi vuole passarle accanto e uscire come se non l’avesse veduta. Karen lo riconosce. Esita un momento, poi lo segue).

Karen                            - Buon giorno, signor Hadeln.

Hadeln                          - (volgendosi rapidamente) Vengo dalla Ga­lizia.

Karen                            - A piedi?

Hadeln                          - Sì, prendo, il treno solo per attraversare le montagne. Qualche volta costa meno andare col treno che a piedi.

Karen                            - Sembrava non voleste riconoscermi.

Hadeln                          - (involontariamente) Già.

Karen                            - (un pò incerta) Sì? (Rimangono un mo­mento senza parlare) Mi vien da ridere. Parlavo ora ap­punto, lì, sulla panca, con quella donna: essa ama tanto il suo bimbo che l'ha picchiato.

Hadeln                          - (rimane immobile guardando fisso davanti a sé, senza alcun segno d'interessamento).

Karen                            - Voi sapete che chi ama il proprio figlio...

Hadeln                          - (come sopra).

Karen                            - Il ragazzo voleva andare sulle rotaie; ap­pena la madre voltava le spalle, egli vi correva su e giù. L'ha tolto di là tre volte, dice. (Karen si guarda in­torno come se spiasse il ritorno di Erling) Sì... (Guarda dalla parte della donna) Adesso sembra che la collera le sia passata. Guardate. (Si vede la donna che parla col ragazzo e lo abbraccia).

Hadeln                          - (nello stesso tono, piano, come sempre) Quella notte, nella cascina, quando sono entrato dall'o­scurità, mi sembrò come se il cielo azzurro e chiaro, nel fulgore della felicità e della giovinezza si fosse ri­versato su voi e su lui: su vostro marito.

Karen                            -  Sì?

Hadeln                          - Io passai come una nuvola nera in quel cielo sereno.

Karen                            - Una nuvola? Oh, no! Una nuvola nera? Noi non, abbiamo notato nulla: ci sembrò così interes­sante l'ascoltarvi.

Hadeln                          - Non potevo non offuscare il vostro cielo.

Karen                            - Come potete dire una cosa simile? Non ab­biamo notato nulla: Solo ci parve così... così... assurdo che voi foste venuto con quel tempo orribile.

Hadeln                          - Avevo promesso a me stesso che avrei fatto il tentativo di spiegarmi nel caso che vi avessi incon­trato un'altra volta.

Karen                            - E quando mi avete incontrata non avete voluto riconoscermi.

Hadeln                          - L'incontro mi ha messo a dura prova.

Karen                            - Voi non sembrate per niente un uomo pratico.

Hadeln                          - No.

Karen                            - Voi che scrivete con tanta superbia. Perché adesso ho letto i vostri versi, come potete immaginare.

Hadeln                          - E' solo nei miei versi che sono così altero e orgoglioso.

Karen                            - Andate sempre vagando così solo per il mondo? Ditemi, perché?

Hadeln                          - (seguendo il suo pensiero) Allora non sa­pevo nemmeno chi voi foste.

Karen                            - Se io ne ero degna: questo intendete dire?

Hadeln                          - Sì. O forse ho voluto semplicemente pro­vare il piacere di stare davanti a voi ed umiliarmi. Poi, siccome oggi sono già stato schernito una volta, così ho creduto che fosse abbastanza. (Karen lo guarda senza capire) Sì, un'ora fa ero davanti ad un abisso, quando ad un tratto ho sentito ridere.

Karen                            - Chi rideva?

Hadeln                          - Io.

Karen                            - (piano, quasi ansiosa) Ma, allora perché avete riso?

Hadeln ---------------- - Si deve ridere quando si assiste al levar del sole e non si sa che vestito mettere, quale atteggiamento prendere! (Dopo una pausa) Io non sapevo de­cidermi, se baciare la suola delle scarpe alla gente o se onorare la terra con la mia regale maestà. Il tempo era così bello e il sole rifulgeva così limpido e le mon­tagne mi stavano d'intorno in aspetto così benigno, che mi sentivo spinto con ugual forza a far una delle due cose. Era già un pezzetto che stavo lì a conversare con me stesso quando ho udito quella risata.

Karen                            - (dopo una pausa, a un tratto) Voi dovreste innamorarvi.

Hadeln                          - (dopo averle gettato un rapido sguardo) Di una donna?

Karen                            - Sì, di chi dunque?

Hadeln                          - Perché no? Oppure di un grand'uomo o di un vecchio armadio. 0 di tutti gli uomini o di tutte le bestie 0 forse soltanto di un piccolo agnello bianco, che porta i peccati del mondo. La soluzione sarà iden­tica come con una donna. O ci si inginocchia nell'ombra o si innalza il proprio «io» sfolgorante nel sole.

Karen                            - (dopo un po' dì riflessione) Sì, sì. Ma al­lora voi dovreste sentirvi magnificamente bene.

Hadeln                          - Ma è appunto questo che non posso.

Karen                            - Perché?

Hadeln                          - (in preda ad una grande agitazione) Perché io non credo in nulla.

Karen                            - Voi non credete in nulla?

Hadeln                          - No, io non credo in nulla. (Dopo una breve pausa) Questo vuol dire che io non credo in una cosa più tosto che in un'altra. E allora si crede che tutto sia lo stesso (Altra breve pausa) Ma quella sera, nella cascina...

Karen                            - (vivamente) La sera delle mie nozze.

Hadeln                          - (le getta un'occhiata rapida, fulminea, poi) Io venivo dalle tenebre e voi eravate lì, così raggiante, così piena d'orgoglio, di giovinezza, così piena di vita... così radiosamente sicura, così sicura.

Karen                            - (sorride) Allora anche voi avete creduto in qualche cosa.

Hadeln                          -  Sì.

Karen                            - Che io ero così sicura.

Hadeln                          - Sì.

Karen                            - Ma allora vi siete sentito felice?

Hadeln                          - No, io mi sentii cattivo.

Karen                            - (come se ricevesse un colpo) Cattivo? Ma perché?  Perché?

Hadeln                          - Perché non potevo avvicinarvi.

Karen                            - Ma voi non mi avete fatto nulla di male!

Hadeln                          - Ho provato.

Karen                            - Come?

Hadeln                          - (depresso) Con la mia unica arma. Con la mia povera unica arma avvelenata. Con le mie parole. Ho provato a togliervi la vostra sicurezza.

Karen                            - (con gioia oppressa)  E io ero così sicura, credete?

Hadeln                          - (duro) Sì, voi mi avete colpito proprio negli occhi.

Karen                            - (come prima) Io non ero affatto sicura, siete stato voi che mi avete resa sicura.

Hadeln                          - Io?

Karen                            - Sapete, quando Erling ed io abbiamo deciso di sposarci?

Hadeln                          - Forse quella sera stessa?

Karen                            - Sì, ma quando?

Hadeln                          - (sempre più interessato)  Poco prima che io arrivassi... Forse nello stesso momento in cui io entravo.

Karen                            - Dopo che siete arrivato.

Hadeln                          - Dopo che sono arrivato?

Karen                            - Mentre voi eravate lì. La vostra presenza, le vostre parole, forse il vostro tentativo di rendermi meno sicura di come non supponevo nemmeno di essere, questo... questo mi ha determinato, questo mi ha reso sicura, mi ha portato a decidere, a scegliere... scegliere la mia felicità, la mia meravigliosa felicità. Di questo voi siete quasi colpevole, Hadeln, e io ora, provo una tale gioia, per cui sento che non c'è nulla di uguale al mondo. Voi potete davvero esserne lieto.

Hadeln                          - (s'avvia per prendere il suo sacco da viaggio).

Karen                            - (come se ad un tratto pensasse a qualcosa; a se stessa con voce lenta e grave) Oh, oh!

Hadeln                          - (torna indietro e in tono dolce) Io non mi sono avvicinato mai alla gente coni l'intenzione di far del male.

Karen                            - (commossa) Ma oggi mi avete avvicinato Hadeln. Trovo che siete stato così buono, così fine con me! Mi sento fiera che voi vi siate confidato! (Dolce­mente) Siate dunque allegro, Hadeln; voi dovete essere molto allegro, voi che avete guidato alla felicità due creature. Ah, se potessi soltanto vedervi allegro! Voi avete degli occhi così tristi! E io mi sento così felice, così infinitamente felice! Hadeln, non dovrei forse dire in questo modo se è veramente così?

Hadeln                          - (commosso, piano) Ma sì, ma sì.

Karen                            - (lentamente, come a se stessa) Sì, io sono felice. (Ad un tratto) Perché ora, nello stesso tempo, in­sieme a lui. Credetemi.,. (Hadeln la guarda) Voi negaste che si potesse esser felici nello stesso tempo.

Hadeln                          - (un po' tormentato) Si diviene così poco naturali quando ci si trascina soli per il mondo!

Karen                            - (senza ascoltarlo) Oh, Erling è il più grand'uomo sulla terra.

Hadeln                          - (la guarda e sorride un po')

Karen                            - Sì, perché l'uomo che mi ama è sempre il più grande. (A un tratto quasi spaventata) Se mi do­vesse abbandonare, credo che allora mi precipiterei in un abisso. (Una breve pausa) Egli è forte e non teme nulla. E' come un abete che sorge svelto nei raggi del sole, un albero luminoso, come diciamo noi, gente della foresta. (Mette la mano sul sacco di Hadeln appena questi fa per andarsene) No, voi dovete aspettare che Erling ritorni. Egli sarà molto contento di salutarvi: gli siete piaciuto subito! (Ad un tratto) Se aveste sentito come vi richiamava.

Hadeln                          - Mi richiamava?

Karen                            - (con agitazione) Sì, sì, eravate appena an­dato via che noi ci precipitammo fuori della porta e, nel buio della notte, chiamammo: «Hadeln! Hadeln!». Ma era troppo tardi. Voi eravate già lontano. O forse fu il vento che inghiottì la nostra voce? (Con esclama­zione di gioia) Ecco Erling! (Erling entra con un bi­nocolo; Karen gli si butta al collo e l'attira vicino a Hadeln) Non riconosci il signor Hadeln? (Hadeln che era seduto con il viso voltato, si rigira).

Erling                            - Perfettamente. Non gli vedevo il viso. O come mai siete da queste parti? Fa tanto piacere incon­trare un compatriotta.

Karen                            - Io ho presentato al signor Hadeln le nostre scuse, perché fummo così poco ospitali lassù sulla mon­tagna; gli ho anche raccontato come lo richiamammo mentre si allontanava.

Erling                            - Come?

Karen                            - (ridendo) Non te ne ricordi?

Erling                            -  No.

Karen                            - (a Hadeln) Ma io ho completamente di­menticato di domandarvi se partite ora per la Norvegia.

Hadeln                          - Non prima dell'autunno.

Erling                            - Per noi è meglio ritornare a casa e rico­minciare a lavorare. Questo genere di vita addormenta completamente.

Karen                            - Proprio?

Erling                            - Si * anche uomini.

Karen                            - Proprio?

Erling                            - Si è in questo mondo per fare qualche cos'altro.

Hadeln                          - (con un sorriso particolare) E specialmente voi. (Karen ed Erling lo guardano) Non siete dunque il più grande uomo sulla terra?

Karen                            - Oh, come tradisce i segreti!

Erling                            - (ridendo) Come? Come?

Hadeln                          - La signora dice che voi siete il più grand'uomo sulla terra.

Erling                            - Che idea!

Karen                            - Ma no, guarda Hadeln: di che ridete?

Hadeln                          - (ridendo) Ho sentito dire di una signora che ogni volta che amava di nuovo credeva di aver trovato l'uomo più intelligente del mondo. Faceva addi­rittura collezione di uomini intelligenti, e l'ultimo era sempre il più intelligente. E così una volta, quando s'in­namorò di uno scienziato, ah! ah! raccontava dapper­tutto che era lui che aveva scoperto la legge di gravità. Ah! ah! E la signora ci credeva. (Anche gli altri ridono un po' per il contagio del riso così raro in Hadeln) Ma il più bello è che alla fine cominciò a crederci anche lui!

Erling                            - Lo scienziato? (Ridono tutti e tre).

Karen                            - (lo minaccia con il dito) Adesso voi volete adombrare il sereno del cielo con una nuova nuvola nera.

Erling                            - Come? Come?

Kaben                           - Ah, questo è un segreto fra il signor Hadeln e me.

Hadeln                          - (diventato di nuovo calmo e sereno prende il suo sacco da viaggio).

Erling                            - (ancora in pieno buon umore) Ma io non ho scoperto nessuna legge di gravità. Questo solo voglio dirti.

Karen                            - (ridendo) Non c'è nessuno che ti sospetti di questo. (A Hadeln) Ma volete già andarvene?

Erling                            - Non partite col nostro treno?

Hadeln                          - No, mi dirigo verso il sud.

Erling                            - Verso Glatz?

Hadeln                          - Sì.

Erling                            - Ma allora il vostro treno parte sette mi­nuti dopo il nostro.

Karen                            - (ridendo) L'orario!... (A Hadeln) Non di­menticate quello che mi avete promesso. (Hadeln la guarda interrogando) Se n'è già dimenticato! Appena di ritorno a casa venite a farci una visita.

Erling                            - Già, dovreste farlo veramente. (Gli strin­gono la mano. Hadeln s'avvia lento a destra. Erling va verso i bagagli. Karen rimane immobile e segue Hadeln con lo sguardo).

Karen                            - E' straordinario.

Erling                            -  Cosa?

Karen                            - (si copre il viso con le mani e scoppia in pianto).

Erling                            - (avvicinandola) Ma che c'è, Karen?

Karen                            - Mi pare di comprendere soltanto ora come sono felice. (Si butta sul petto di Erling) E' quasi im­possibile che questo possa durare!

Erling                            - Ma... sì, dunque, sì, sì, Karen.

Karen                            - Ecco, è già passato...

Erling                            - Presto, ora arriverà il treno. Abbiamo tutto? (Va di nuovo presso i bagagli, ridendo) Ma tu, vera­mente, sai mentire abbastanza bene.

Karen                            - (che non capisce) Mentire?

Erling                            - Non hai detto che noi lo richiamammo?

Karen                            - (ridendo) Non ti ricordi che lo chiamammo: Hadeln! Hadeln!

Erling                            - No.

Karen                            - No?

Erling                            - No, è una vera menzogna.

Karen                            - Menzogna? Menzogna è un po' esagerato! Egli era così triste. Ho voluto fargli piacere.

Erling                            - (scherzando) Ah, vi siete fatte delle con­fidenze? Gli hai forse permesso di farti la corte, mentre io correvo sotto il sole a prendere il binocolo?

Karen                            - E allora perché sei andato?

Erling                            - (ridendo) E il binocolo?

Karen                            - Ah, sì, il binocolo. (Dopo un momento) E intanto mi hai lasciata sola.

Erling                            - (volgendosi) Io ti ho lasciata sola?

Karen                            - Sì. (Lentamente gli si avvicina, gli getta le braccia al collo e con intimità) Puoi tu supporre che un giorno potrai, forse, cessare d'amarmi?

Erling                            - Come puoi domandarmi una cosa simile? Così assurda? (La bacia in fronte).

Karen                            - (s'allontana un po' da lui e si ferma) Senti! Non ritorniamo a casa.

Erling                            - Come?

Karen                            - Sì, non ora, subito. Andiamo a Parigi; ne abbiamo tanto parlato.

Erling                            - No: nemmeno per idea. Adesso dobbiamo tornare a casa.

Karen                            - Ancora sei mesi!

Erling                            - Sei mesi?

Karen                            - Cinque, quattro, tre! Ti prego. Non ti ho mai amato tanto come ora. (Gli stringe d'appresso con astuzia).

Erling                            - Ma questo è assurdo, Karen.

Karen                            - Henriksen seguiterà... volentieri a sosti­tuirti. Noi ci possiamo fidare.

Erling                            - Ci possiamo fidare; ma non si tratta di questo. Io non sopporto più questa vita, non posso più stare senza lavorare. E' meglio così. Per me è indispen­sabile non sentirmi un essere inutile.

Karen                            - Io tutto potrei fare per te. (Forte) Tutto.

Erling                            - Anch'io per te, Karen. Ma questo è assurdo.

Karen                            - (spaventata)  Erling!

Erling                            - No, Karen! (In questo momento si sente la voce della donna che poco prima, da sinistra, era uscita sotto la tettoia, emettere un grido penetrante e si vede precipitare fuori. Nello stesso tempo si sente avvi-cinare un treno. Karen ed Erling corrono verso si­nistra).

Karen                            - Il ragazzo è sulle rotaie! (Si precipita fuori).

Erling                            - (dietro a lei) Karen, sei pazza, Karen! (La rincorre. Dopo una breve pausa si sente l'acuta pene­trante voce di Karen) Erling! Erling! (Voci e rumori fuori. Dopo qualche tempo entrano sotto la tettoia esterna molte persone, parlando, concitate, ad alta voce. Prima di tutti entra la donna col ragazzo. Quando son nel mezzo della sala la donna si volta ad un tratto, buttan­dosi su Erling e Karen, i quali entrano in quel mo­mento. S'inginocchia e bacia il lembo della veste di Karen).

Karen                            - (si volta di scatto verso Erling, si getta fra le sue braccia) Ti amo! Ti amo fino a morirne!

Fine del secondo atto

ATTO TERZO

Due anni dopo, in una chiara sera d'una estate avan­zata. Comoda e piacevole stanza nella villa di Karen ed Erling, in un distretto della foresta. E' arredata con gusto e riccamente. Oggetti di caccia come decorazione. Busto di Karen. In fondo una porta aperta con portiera che conduce su una altana; al di sopra della linea degli alberi si gode di un'ampia vista sulle montagne. La stanza è posta al primo piano. Servizio di caffè su una piccola tavola verso il proscenio.

(Karen va su e giù inquieta, indecisa. Siede e comincia di nuovo a camminare. Si ferma davanti al proprio busto. Lo guarda, ne accarezza le guance. Poi mette qualcosa nel sacco da viaggio che è sulla sedia. Si raccoglie quando entra Erling con il servitore Giovanni).

Erling                            - (staccando un fucile dalla parete e porgendolo a Giovanni) Credo che l'abbiamo già provato una volta.

Karen                            - (versa il caffè) Il caffè. (Si sente fuori l'ab­baiare di cani).

Erling                            - I cani sono inquieti.

Giovanni                       - Si sono accorti dei preparativi. (Esce).

Karen                            - Dunque ho messo dentro ciò che ti piace di più.

Erling                            - (sempre intento al fucile) Grazie.

Karen                            - Sai che cosa voglio dire?

Erling                            - No.

Karen                            - (sorridendo) Tu non sai che cosa ti piace di più?

Erling                            - Non Io so davvero.

Karen                            - (mettendo il sacco da viaggio davanti alla porta) Tu non sei mai tanto assorto e distratto come quando vai in giro per i boschi.

Erling                            - Sì. (Improvvisamente) Anche gli animali e gli alberi fanno parte di quello che amo. Ma s'intende che amo specialmente le piante. Perché tu non vuoi mai venire con me?

Karen                            - Credo che sarei di troppo.

Erling                            - (distratto, prende un altro fucile e lo prova) Credi? A ognuno il suo mestiere!

Karen                            - (ride).

Erling                            - Perché ridi?

Karen                            - In questi ultimi tempi hai cominciato a servirti di tanti proverbi.

Erling                            - Davvero? Però è strano!

Karen                            - Prima dicevi che i proverbi sono soltanto per ilvolgo.

Erling                            - E che convengono a tutti i gusti. Sì... E ora io stesso me ne servo. Tanto in basso si può spro­fondare!  Ma che cos'era quello che volevo dirti?  Si parlava dei boschi. Sì! Volevo confidarti un segreto. Ed è che non ti voglio mai così bene come lassù, nella foresta.

Karen                            - Io ti voglio più bene quando sei qui.

Erling                            - (ride) Tu dici questo così asciutto e breve. Eppure non sei mai così attraente come quando vado a caccia e che sto per partire per la montagna. Tu non sei mai così carina come adesso! Direi quasi che c'è in te, in queste occasioni, una specie d'incanto legger­mente malinconico. E' così affascinante che devo for­zarmi di liberarmene. E questa specie di tua tenue e fine malinconia, a dire il vero, mi lusinga un po'.

Karen                            -  Sì, e tu non sei mai così allegro come quando stai per lasciarmi.

Erling                            - (lascia i fucili e si siede alla tavola dov'è ser­vito il caffè) Ma che temporale questa notte! Vorrei sapere cos'è avvenuto di quei giovani alberi nella Valle di Losse: hanno solo quattr'anni.

Karen                            - Poveri alberelli!

Erling                            - Sì. Avresti dovuto vedere sulle alture i pali del telegrafo. (Tira fuori dalla tasca un lapis) I fili si sono spezzati fra i due estremi dov'è passata la tempesta.

Karen                            - (fa un movimento) E pendono giù.

Erling                            - (disegna) Sì, così!

Karen                            - Come lo capisco bene.

Erling                            - Ma qui non c'è nulla di difficile da capire!

Karen                            - (ridendo) Come devono sentirsi i pali del telegrafo! No? (Un po' duro) Faceva un tempo simile anche in quella nostra prima notte.

Erling                            - (che ha preso un giornale, ridendo) Non la dimenticherò mai. Che sera meravigliosa, Karen!

Karen                            - E la notte!

Erling                            - E quello straordinario Hadeln che soprag­giunse allora.

Karen                            - Egli non è così entusiasta come te.

Erling                            - No; hai ragione. Egli arde nel suo intimo: non si accende come me. E' stupido che non venga mai quassù a trovarci; lui che gira sempre! Era così sim­patico quando veniva da noi la sera in città. Ci ha pro­messo che quest'estate verrà una volta a trovarci.

Karen                            - Io lo posso facilmente sciogliere da questa promessa...

Erling                            - Come sei strana... E' quasi morboso, mi sembra, che tu possa davvero fare a meno di tutta la gente!

Karen                            - Sì, quasi di tutta.

Erling                            - Eccetto di me.

Karen                            - Eccetto di te, sì. (Pausa).

Erling                            - Oggi sei di nuovo carina: tu sei così differente! Perché qualche volta sembri messa propria come una...

Karen                            - Che si trascura...

Erling                            - (ridendo) Sì, per non usare un'altra espres­sione. (Si sentono i cani. Si alza) E' arrivato Giovanni.

Karen                            - Ma no, rimani ancor un po'. Se partirai anche fra un'ora arriverai sempre prima dì notte. Io rimango già abbastanza sola.

Erling                            - (rimettendosi a sedere) Questo dipende da te. Non devi restare così sola per tanto tempo. Spesso penso che questo posto è un po' solitario.

Karen                            - Quando non ci sei tu.

Erling                            - Sì. Perché non preghi una delle tue so­relle, o tutt'e due o chiunque tu vuoi, di venire quassù?

Karen                            - Io non mi curo della compagnia. Sono stata appunto io a voler venire qui quest'anno più presto degli altri anni. Sono stata io a volerlo.

Erling                            - (si alza) Ma in primavera andremo a Parigi.

Karen                            - Non per mio desiderio.

Erling                            - Come? Non vuoi andare neanche a Parigi?

Karen                            - Quando lo desideravo io tu non l'hai vo­luto...

Erling                            - Ma io volevo anche allora.

Karen                            - No, prima... quando, sai... io mi comportai così eroicamente.

Erling                            - Sì, tu, gran Dio! Quando solo ci penso mi sento orgoglioso di te. (Gestendo) Tu volasti sopra le rotaie come un uccello. Rapisti con le grinfe il bambino, e continuasti il tuo volo. (Con meraviglia) Allora tu eri felice, Karen, di aver salvato quel bambino.

Karen                            - Oh, non m'importava di lui...

Erling                            - Che cosa dici? (Ride forte).

Karen                            - Lo feci per te.

Erling                            - (ridendo sempre) Ah, sei veramente grande! (Va alla finestra a sinistra) Senti, che cosa vuoi fare ora con la tua doccia? Anche il tramezzo è stato por­tato via dal vento.

Karen                            - Non importa. L'unico posto da dove io potrei esser veduta mentre sto sotto la doccia, è dalla veranda. Ma in casa non ci siamo che io e la donna. (Si sente Giovanni che schiocca la frusta. Erling va alla veranda).

Erling                            - Sì, vengo subito, Giovanni. (Ritorna alla finestra) Ora di acqua ce n'è abbastanza. Questa non è una doccia, è una cascata. Veramente sarebbe bello vederti là dentro, in mezzo alla schiuma.

Karen                            - Ti pare?

Erling                            - Sì, ora, al tramonto del sole. Ma via, tor­niamo alla vita seria. (L'accarezza) Dopo domani mi riavrai di nuovo.

Karen                            - Allora salutami anche...

Erling                            - Chi?

Karen                            - Gli alberi.

Erling                            - Porterò loro il saluto dell'albero più bello di tutti. (L'abbraccia) Addio.

Karen                            - Addio. (Erling si avvia. Karen sta un mo­mento in mezzo alla stanza. Il suo viso si contrae; le palpebre battono indecise).

Erling                            - (dal di fuori) Karen, addio, Karen; a dopo domani.

Karen                            - Addio. (Si sente che Erling parte. Karen dalla veranda chiama con tutta forza) Erling, Erling! Torna su un momento! (Va su e giù per la stanza in­quieta).

Erling                            - (entra con la frusta in mano. Rimangono un momento a guardarsi. Quando egli sta per parlare essa dice).

Karen                            - Tu non mi ami più?

Euling                           - (scherzando) Allora addio, Karen, (Fa per andarsene).

Karen                            - Rispondimi: Tu non mi ami più?

Erling                            - Ma sì ti amo!

Karen                            - Come prima?

Erling                            - (pensa un po', quindi, prudente) In un altro modo, diverso da prima.

Karen                            - (gridando) Battimi con la frusta! (Indietreggia un po', si ferma, poi come se si destasse e con grande meraviglia, dice con un mezzo sorriso e voce soffocata, lentamente, come a se stessa) Tu non mi ami più, Erling.

Erling                            - (verso di lei) Ma sì, ti amo, Karen.

Karen                            - (c. s.) Stanotte, quando eri da me, sembrava che io mendicassi il tuo amore.

Erling                            - Signoriddio, Karen; Karen, ma così accade sempre sulla terra, (Prende il lapis e disegna qualcosa sul giornale che è sulla tavola).

Karen                            - Come le linee delle onde.

Erling                            - Sì, da prima sono stato io l'amante infelice.

Karen                            - Perché mi hai preso allora se io non ti amavo quando tu amavi me? Io mi opposi, io lottai per la mia vita.

Erling                            - (calmo, quasi un po’ severo) Ti penti?

Karen                            - (con forza) Pentirmi d'essere stata felice? Non posso pentirmi anche se ora non lo sono più.

Erling                            - (va su l'altana con calma) Sella il cavallo, Giovanni.

Karen                            - (pure su l'altana) Non sellare il cavallo, Gio­vanni. (A Erling) Sì, puoi disegnare anche questo con la tua pedanteria. (Gli mostra il lapis che Erling mette in tasca).

Erling                            - (calmo e piano) Tu sai bene che, all'infuori di te, non esiste per me nessun'altra donna.

Karen                            - Oh, se esistesse una che io potessi odiare, schiacciare, superare!... Credimi, potrei vincere. Ti avrei ingelosito. Un po' con la carne, un po' con l'anima... un po' qui, un po' là. Così come tutte le altre. Ma io non lo posso. Perché io ti amo.

Erling                            - (fa un movimento verso di lei).

Karen                            - Non mi toccare. Io ascolto e ascolto e non sento nessun aiuto. (Dolce e quasi a se stessa) Io vorrei provare qualche cosa di nuovo nella mia carne per rive­larmi a te, (Si getta a terra davanti a lui) Cerca in te stesso; cerca, forse tu hai nascosto qualcosa? Noi non conosciamo noi stessi; come avrei potuto sapere che un giorno sarei stata qui, prostrata davanti a te!

Erling                            - Alzati, Karen.

Karen                            - (si alza a metà, scuote la testa) Perché?

Erling                            - Questo non sì addice ne a te ne a me.

Karen                            - Non devo io implorare per la mia vita?

Erling                            - (deciso) Alzati. (Vuole aiutarla. Essa si alza da sé e siede. Egli siede dall'altra parte della stanza. In tono pacato) Io credevo che noi fossimo già abbastanza cresciuti per poter demolire quell'arco di trionfo, carico di ornamenti di fiori e di ghirlande, che abbiamo iniziato quando ci lasciavamo andare all'ebbrezza, suppo­nendo di essere noi due soli in tutto il mondo. Ma ci sono altri uomini, c'è qualcos'altro nel mondo oltre al nostro amore. (Forte e convinto) Se io ti amo adesso in modo diverso da quello del primo tempo, questo si­gnifica che io ti amo più profondamente, più ampiamente, più umanamente, e posso dire, con maggior convinzione. Quando, vedi, vado lassù nella foresta, appena oltrepas­sata la siepe, comincio già a sentire la nostalgia di te. Anzi ancor prima che io parta di qui, come già durante la colazione, sento che proverò questa nostalgia. E quando, sano e gioioso, seguo la mia strada, come era in questa tarda estate, quando tutta la foresta risuona come un immenso organo, allora fremo di gioia infinita. Mi sento come un eletto fra gli uomini: cammino e sorrido, fiero del mio grande e gioioso segreto. Io, io sono tra quelli che han vinto nella vita. Quando sono lassù comincio a vedere anche più chiaro, di quel che non veda in città o qui con te. E più distinto vedo e più ti amo. E sapevo - credevo - sì, sapevo che, compresa d'uno stesso sentimento, tu mi aspettavi qui a casa. Io sapevo. Non è vero, Karen?

Karen                            - (china la testa senza guardarlo, appena percet­tibile)  Sì, t'ho aspettato.

Erling                            - (si alza) Ho spogliato d'ogni ornamento il nostro arco di trionfo, dove tu eri unica ed io ero unico. E ad ogni rosetta che gettavo tu mi venivi sempre più vicina. (Sorride) Molte volte questo è stato un la­voro difficile, perché avevamo costruito solidamente. Fi­nalmente fu per me un vero piacere quando gettai via gli ultimi pezzi, perché finalmente ti vidi così come sei in realtà; così vera, così splendida, così armonica. Sì, Karen, perché è come se la tua anima e il tuo corpo cantassero insieme. (Va verso di lei) Mai il tuo braccio fu più bianco, più rotondo, mai più ho veduto la tua bocca tremare, mai più ho veduto l'amore irrompere dal tuo sguardo come...

Karen                            - (come sopra) Come lassù, nella foresta.

Erling                            - Sì, come lassù. Qualunque coppia inebriata può costruirsi un arco di trionfo. Ma una vera, una rara felicità, appartiene solo a coloro che sanno costruirsi una casa come la tua e la mia. (In preda a forte agita­zione) Guardati intorno: osserva quasi tutti quelli che conosciamo         - (siede commosso) sì, quasi credo che noi dovremmo metterci in ginocchio e ringraziare il nostro destino. (Karen nasconde la testa con tumultuosa agi­tazione. Le siede accanto) Piccola mia Karen, credi tu che io non sappia che nel fondo di ogni anima c'è qual­cosa di straordinario, qualcosa di enigmatico, di cui noi non sappiamo niente e che è difficile dominare. Ma è appunto qui che dobbiamo aiutarci. (L'abbraccia) E io sono così contento e così orgoglioso di poter sedere qui, accanto a te; e parlarti con tale calma. Sento che sono io, proprio io che posso aiutarti ora ed in ogni tempo, a mettere l'equilibrio nel tuo spirito, dopo una crisi come quella di oggi. E questo, Karen, questo io posso fare perché ho imparato a vederti così come sei veramente: ora che (sorride) l'ebbrezza è passata. (Va in fretta verso la veranda) Giovanni! (Si ferma ad un tratto e ride) Karen, vieni a vedere Giovanni; si è ad­dormentato. Oh, questa è la placida vita, questa! (Ri­torna a Karen e con grande gioia) Karen, sento che dopo quest'oggi, la gioia si riverserà su di noi in nuovi raggi. (Siede acanto a lei; le pone le mani attorno al collo e posa la testa sul suo petto) Karen, come mi fa bene appoggiare la testa sul tuo petto. (La guarda) Noi festeggeremo stasera nuove Bozze. Come quella prima sera sulla montagna. Accendiamo tutte le luci. Met­tiamo lo spumante sulla tavola. Beviamo in tutte le nostre coppe d'argento. Avanti tutte le onorificenze! (L'attira appassionatamente a se) I pensieri e tutto il male ti hanno fatto mille volte più bella. Non sei mai stata cosi mia come in questo momento.

Karen                            - (si discioglie dolcemente, va verso la veranda e guarda fuori. Parla dapprincipio in un tono un po' oppresso e lontano) Ma allora ero felice.

Erling                            - Allora?...

Karen                            - Allora, quando noi due eravamo unici in tutto il mondo.

Erling                            - (un po’ stanco) Ma noi non siamo stati soli nemmeno allora.

Karen                            - Ho pensato fino ad oggi che lo siamo stati.

Erling                            - Non credi che ciò che ti ho detto poco fa sia la verità?

Karen                            - Sì, disgraziatamente!

Erling                            - Disgraziatamente?

Karen                            - E' proprio questo che lo fa così indicibil­mente disperato.

Erling                            - Che cosa dunque è così disperato?

Karen                            - Ciò che hai detto ora.

Erling                            - Che io adesso ti voglio più bene?

Karen                            - Più bene di quando mi amavi?

Erling                            - Amare. Amare. Tu devi pur diventare un po' più ragionevole. Tutto nel mondo, nella natura, nel cuore umano, si sviluppa. Noi diventiamo diversi con gli anni che passano, l'amore diventa diverso.

Karen                            - Allora non è più il «mio amore».

Erling                            - (un pò1 più vivace) Ma noi non rimaniamo sempre ugualmente nuovi l'uno per l'altro.

Karen                            - Tu sei rimasto ugualmente nuovo per me nel corpo e nell'anima.

Erlinc                            - Questo non è altro che una tua invenzione. Non serve a niente opporsi alla stessa vita. Anche tu non sei sempre la stessa. Ad ogni modo tu diverrai un'altra.

Karen                            - Già, forse una che io non conosco, con la quale non divido la felicità. Una nemica che pensa diversamente da quello che per me è l'unico.

Erling                            - Ma anche tu arriverai a vedere tutto di­versamente.

Karen                            - Ma a cosa mi serve ora questo?

Erling                            - Si direbbe che parli nel vuoto. La tua parola suona così lontana.

Karen                            - Sì.

Erling                            - Sei ostinata. Tu chiudi gli occhi. Non vuoi vedere. Non vuoi. (Si alza e si mette diritto davanti a lei. Karen non gli risponde: guarda soltanto, indifferente, al di là di lui) Che cos'è quello che hai da rimpro­verarmi?

Karen                            - Niente.

Erling                            - Ma è veramente troppo fanciullesco andar contro la vita stessa.

Karen                            - La mia vita è anche la vita.

Erling                            - La nostra vita è anche la vita, Karen. (Parla con tono sottomesso e mite) Tu, col tuo fine sentimento, tu che vai intorno così virtuosa e piena di senno, non senti che qualche cosa di dolce, come di soffocato, che avvolge la nostra vita degli ultimi tempi, ha un valore molto più grande di quello che, nei primi tempi, ci veniva dall'ebbrezza dei sensi? Ciò non si discute nem­meno! Ripensa a tutto quello che abbiamo passato in­sieme: tutto quello che abbiamo vissuto in comune non significa niente per te? Le nostre gioie comuni, le mostre lotte comuni. I nostri ricordi! I nostri segreti! Il nostro lavoro! La nostra fede comune nell'avvenire! La nostra casa! Il nostro nido!

Karen                            - Che ha a che fare l'amore con la casa, con il nido e con tutto il resto?

Erling                            - (dapprima non può rispondere) Dio mio: ho paura... non ti riconosco più. Ma tu non hai inten­zione di distruggere tutto? Ciò che dici è così invero­simile che io non posso risponderti.

Karen                            - (più decisa, ma con voce ancor soffocata) No. La verità è che ti sei allontanato ogni giorno di un passo da me. Ed io ti ho seguita, passo a passo. Ho sci­volato dietro di te e ti ho voluto sempre più bene, per ogni passo che facevi, perché ti amavo e perché tu t'al­lontanavi da me.

Erling                            - Karen, tu sei ammalata.

Karen                            - Non più, non più da oggi, da quando mi hai detto che non mi ami più come prima, che tu mi ami diversamente. Lo sapevo anche avanti, l'ho capito una notte dietro l'altra, mentre tu dormivi. Ma non lo volevo confidare a me stessa.

Erling                            - Povera mia Karen, questa è soltanto una tua immaginazione.

Karen                            - Ma oggi, con le tue belle parole, oggi, ti sei allontanato dì molti passi da me. Come lassù nella foresta, chiuso in te stesso, andavi lontano, al di là delle montagne di Nore. E io non posso più seguirti. (Tende le dita contratte verso di lui) E tu non puoi più vedermi. Tu andavi, e andavi e non mi vedevi più.

Erling                            - Io non ti vedevo?

Karen                            - No, non mi vedevi.

Erling                            - Ma questo è soltanto un'idea ammalata che si è impossessata di te.

Karen                            - (crescendo nella sua irritazione) Tu chiami un'idea ammalata il fatto di non vedermi più?

Erling                            - Sì, sì, sì.

Karen                            - Mi hai veduto tu nella notte, quando io stavo accanto a te con le dita tese sulla tua gola?

Erling                            - Karen!

Karen                            - (fa un movimento) Sì, ti avrei strozzato: ogni notte lo pensavo. Volevo fermarti quando potevo ancora seguirti. (Si fissano l’un l'altro. Dopo poco, con voce di canto) Questa ero io, la vera! (Un pò dopo: forte) Tu sei stato colui che mi ha dato tutta la felicità della terra! E come tale dovresti morire.

Erlinc                            - (finalmente può parlare) Questo, qui, nella nostra stanza. (Fa un movimento della mano) Nella mia e tua stanza. Questi siamo tu ed io che stiamo qui, e parliamo così, insieme. (Con scatto) Ma è una pazzia!

Karen                            - Ma questa pazzia sono io. E l'arco di trionfo, e l'ebbrezza dei sensi, e l'idea ammalata sono io: tutto questo sono io. Per me tutto questo è la vita: l'unica degna d'essere vissuta. Perché io non ho niente a che fare con i tuoi alberi, con i tuoi libri, con il tuo lavoro, all'infuori del tuo amore per me. Una sola cosa era seria: noi ci amavamo l'un l'altro. Tutto quello che non è il nostro amore è brutto, brutto, brutto. Che importa se fossimo rimasti infelici nel più profondo della nostra anima (forte e chiaro) se ci volevamo bene? Allora, quando tu mi amavi... non adesso che rimani su nella foresta, dove sogni di me, allora io sentivo la vita: «la bella vita », piena di pericoli; la vita sopra la quale si libra la morte. Tutto era maestoso e raggiante. Tutto era chiaro e ragionevole. Ed io capivo tutto. Volevo bene a tutto... ai tuoi alberi e al tuo lapis, perché tutto era comprensibile, e tutto era egualmente gioioso, come le piccole cose care, le quali aumentavano soltanto la potente, eterna onda che ci trasportava: noi due unici esseri nel vasto mondo. (Più forte e con crescente im­peto) Questo era per me il senso magnifico della vita! (Un pò dopo, con le braccia protese e terrorizzata) Ed ora, qui, sono io, in questa chiara, terribile sera, in questo silenzio di deserto: qui, davanti a me stessa, come ad una estranea... come una pietra fredda che gela la mia anima. (Selvaggia ed appassionata) Ah, se fossi in un de­serto, con migliaia di chilometri intorno a me e con mi­riadi di stelle sopra di me! Io sola! Nuda! Senza un velo. E un leone pronto a scagliarsi su di me, per sentire di nuovo la vita che palpita in me e la morte che mi minaccia!

Erling                            - (che per tutto il tempo è rimasto a -fissarne il volto, finalmente e con tono quasi infantile, come se non fosse abituato a parlare) Posso io aiutarti, Karen?

Karen                            - (calma e fredda) No. Parti per la foresta. Là è il luogo degli entusiasmi. L'amore non può ser­virsene. Esso ha bisogno soltanto degli uomini e delle donne che sanno amare. Tu non hai saputo amare, Erling.

Erling                            - (quasi implorante) Ah, Karen!

Karen                            - (di nuovo selvaggia ed appassionata) Non avresti voluto vedermi nuda, là, sotto la doccia, al tra­monto del sole? Tu mi vedi qui, senza pudore, senza velo, disonorata. Mi sono spogliata completamente: Mi vedi adesso? Vedi la donna perduta? (Erling siede co-prendosi il viso con le mani. Karen emette un lungo sospiro, poi va verso Erling, lo guarda con un sorriso tra il sardonico e il triste) Ora sono vuota. (Le sfugge ancora) Finche la notte di nuovo non mi riempirà delle sue tenebre paurose. (Poi quasi tenera) Ma questa, forse, non è neanche colpa tua, Erling.

Erling                            - (alza la testa, parla sincero e deciso) Io non capisco. Non capisco. Mi sento povero e piccolo. Ma questo è perché io non comprendo. Non immaginavo che potesse esistere tutto ciò che hai detto.

Karen                            - Ma no: come potevi sapere?

Erling                            - (si alza. Forte e appassionatamente mentre va verso di lei) E io ti amo. Ti amo tanto che potrei strappare le penne a quell'uccello selvaggio che sta sul tetto della nostra casa bruciata.

Karen                            - (lo guarda con gli occhi accesi, con espressioni di pazza gioia; dall'attesa può appena prender fiato) Erling!

Erling                            - Ma io non posso, non posso, perché ti amo. (Siede sfinito).

Karen                            - (di nuovo calma) Sì, Erling, allora farai quello che ti chiederò, lo farai?

Erling                            - Sì, tutto.

Karen                            - Ti prego allora di partire per la foresta.

Erling                            - No.

Karen                            - Ma tu me lo hai promesso.

Erling                            - No, io non parto.

Karen                            - Ti prego tanto.

Erling                            - Credi che ti lascerò adesso?

Karen                            - Questo è gentile da parte tua. Ma ora puoi lasciarmi; io rimarrò volentieri un po' sola!

Erling                            - Mi ritirerò in un'altra stanza; non hai bi­sogno di vedermi.

Karen                            - No, non così: voglio sentirmi sola.

Erling                            - (con paura) Ma, Karen!

Karen                            - Non devi spaventarti, adesso sono calma, assolutamente calma.

Erling                            - No, io non mi fido di questa calma.

Karen                            - Quando una tale crisi, così come io la posso chiamare, passa, allora è finita. Tu sai che noi donne esageriamo facilmente. Adesso sono io che ti prego di essere ragionevole: farà bene a tutti e due rimaner soli. Tu parti per i boschi, prenderai un po' d'aria pura; io rimango qui e farò una doccia fredda. (Con un debole sorriso) Perché proprio di questo ho bisogno, non è vero, perché il mio spirito ed il mio corpo possano can­tare insieme? E, quando domani ci incontreremo di nuovo, saremo come tutta l'altra gente. (Va verso l’altana) Giovanni, ora viene. (Ride) Dio mio, che idillio. (Abbraccia Erling) Addio, va'.

Erling                            - Veramente, non devo rimanere?

Karen                            - No, Erling.

Erling                            - (la prende per la mano) Karen... (Si di­stacca) No, io non voglio dir niente.

Karen                            - Tu non lo devi nemmeno. Io sento quello che tu senti. (Dopo una breve pausa) E non pensar mai diversamente di me. (Erling sorride, freme in tutto il viso. Si avvia. Karen rimane in mezzo alla stanza senza muoversi. Dopo un pò di tempo si sente fuori la voce di Erling).

Erling                            - Karen!

Karen                            - (va verso Voltano) Si

Erling                            - Buttami giù la frusta.

Karen                            - (s'affretta verso la sedia dove c'è la frusta: ad un tratto si ferma: ripensa, ritorna verso la veranda e grida) Puoi mandare Giovanni a prenderla. (Dopo poco arriva Giovanni),

Giovanni                       - Prima di buio non arriveremo a posto.

Karen                            - (mostra la frusta, Giovanni la prende e va via. Dopo poco di fuori).

Erling                            - Addio, Karen!

Karen                            - (senza farsi vedere, scuotendo il fazzoletto) Addio. (Poi si sente partire Erling. Si riscuote) Parte? (Si riprende, rimane rigida, orgogliosa, poco dopo, nella rilassatezza della tensione giunge le mani) Oh, Dio, Dio. (Giunge le mani, si butta su di una sedia e nasconde il viso. Poco dopo da destra entra la cameriera).

La Cameriera                - C'è di sotto una persona che do­manda della signora.

Karen                            - (guardando e del tutto calma) Chi è?

La Cameriera                - Non lo conosco.

Karen                            - E' un impiegato?

La Cameriera                - Non lo conosco. E' arrivato proprio al momento in cui Giovanni svoltava.

Karen                            - Ha domandato di me?

La Cameriera                - Ha chiesto del signore e della si­gnora Kruse.

Karen                            - Fatelo entrare. (Esce dalla prima porta a destra. La cameriera esce dalla seconda porta della stessa parte).

Hadeln                          - (entra un momento dopo. Egli mette il cappello e il sacco su di una seggiola e rimane fermo un momento presso la porta. Poi scorge il busto di Karen. Gli si avvicina. Lo guarda: gli accarezza le guance. Nel frattempo la porta della stanza di Karen rimane un po' aperta. Si è intravveduto come lei ha spiato. Poi ha chiuso la porta. Poco tempo dopo Karen, avvolta in un lungo accappatoio, scivola fuori non ve-data da lui).

Karen                            - (dietro Hadeln) Finalmente, avete trovato la strada per venire da noi. (Tende il braccio nudo e gli dà la mano) Ritorno subito, esco, un momento solo per prendere un bagno di ringiovanimento. (Esce dalla sinistra. Un po' dopo si sente la cascata dell'acqua) Hadeln!

Hadeln                          - (s'avanza rimanendo incerto) Sì.

Karen                            - (dopo una breve pausa) Hadeln!

Hadeln                          - (va verso la finestra).

Karen                            - (contemporaneamente) Non è bello così? Nel tramonto del sole.

Fine del terzo atto

ATTO QUARTO

Lo stesso giorno, dì sera. La stanza. Luce accesa sul tavolo all'avanscena. Spumante e frutta. La grande porta della veranda è aperta. La portiera è sul davanti.

(Karen, in un leggero abito estivo, siede a tavola. Ha­deln cammina agitato su e giù per la stanza. E' molto animato, parla con gran calore).

Hadeln                          - E voi mi avete scelto come confidente, per affidarmi il vostro segreto! Mi pare quasi di esserne stato io stesso testimone; quasi come se io stesso avessi preso parte in tutta questa cosa straordinaria successa stasera. Come ringraziarvi per questa fiducia, per questa amicizia?

Karen                            - Ho sempre sentito che voi mi siete amico.

Hadeln                          - Eppure ho sempre saputo così poco di voi. Non avevo mai supposto nulla; non m'ero mai avvisto di nulla; oh! sono stato un cattivo amico.

Karen                            - No, voi non siete stato un cattivo amico, Hadeln! Voi mi avete ascoltato con tanta attenzione.

Hadeln                          - (felice) V'ho ascoltato con tanta attenzione? Grazie! Grazie!

Karen                            - E mi avete fatto delle domande in modo tale che per me è stato così facile rispondere. E mi avete guardata con i vostri occhi così che io ho capito che se avessi detto qualcosa di diverso dal vero voi mi avreste interrotta. E' bene anche per me - lo potete cre­dere - di aver potuto parlare di ciò che è avvenuto. Adesso è quasi come se tutto fosse diventato diverso.

Hadeln                          - (involontariamente arrestandosi) No, no. Diverso no.

Karen                            - Per lo meno un po' meno grave.

Hadeln                          - (camminando di nuovo) Eh, come grande e forte è Erling nella sua fede! (Sorride un po') Lo chiamo Erling anch'io.

Karen                            - Sì, perché non mentisce mai.

Hadeln                          - Così forte e così superiore, così cieco e così risoluto!

Kauen                           - Oh, ma noi si voleva bere lo spumante non appena finito il mio racconto.

Hadeln                          - Il vostro racconto... una vera novella, nello stesso tempo così verosimile e così strana.

Karen                            - (gli porge una bottiglia di spumante, egli si prova ad aprire, ma non ci riesce. La rimette sulla ta­vola e comincia a camminare).

Hadeln                          - Sì, questa è la più bella ora che ho vis­suto.

Karen                            - (lo guarda, poi) Lo spumante?

Hadeln                          - (riprova ad aprire la bottiglia).

Karen                            - Dovete prendere un coltello.

Hadeln                          - (riprova con un coltello) No, non posso. Bisognerà chiamare la donna.

Karen                            - La donna è già andata a letto da parecchie ore. (Prende la bottiglia) Non avete mai aperta una bot­tiglia di spumante?..,

Hadeln                          - No.

Karen                            - Neanche mai bevuta?

Hadeln                          - Sì, spesso. Per lo meno più spesso.

Karen                            - (mesce e sorridendo alza il bicchiere) Dunque, al felice esito nella battaglia d'amore!

Hadeln                          - (quasi spaventato come se cercasse di sfuggire un pericolo) No, no, no! Non pensiamo ora a questo. Ora che tutto intorno è così solenne. (Dopo breve pausa, riferendosi alle parole di Karen) Strappiamo le penne all'uccello selvaggio che si è posato sul tetto della nostra casa in fiamme.

Karen                            - (si siede un po' stanca) Ho raccontato anche questo? Vi ho raccontato tutto, come si è svolto, per non dimenticare nulla. (Fa qualche passo verso la veranda. Piano) E' già così tardi, che per questa notte ormai non può ritornare.

Hadeln                          - Egli crede che tutto finirà bene. Va su fra ì suoi alberi con la sua nostalgia.

Karen                            - (involontariamente) E s'allontana sempre più per la sua strada.

Hadeln                          - (quasi animato) Sì, sì, e non lo suppone nemmeno. Egli va verso l'ignoto e nell'ignoto. Egli non è preparato a tutto ciò che deve succedere. Per lui il nuovo è nuovo. E' differente da me che giro e rigiro tutte le cose di continuo come farebbe un vecchio avaro. Mi sono occupato di voi per due, tre anni. Vi ho attri­buito delle immaginarie capacità; vi ho ornato, vi ho for­mato. E nel fondo della mia anima una gioia segreta si celava di poter un giorno presentarmi a voi in tutta la mia superiorità. E allora, nel mostrarvi i miei doni, le mie scoperte e le forme più complete dell'umanità voi vi sareste inginocchiata unicamente davanti a me. E allora mi avreste detto supplice ed ansiosa: Guarda che essere sublime tu sei. Ed io non sono che una pic­cola cosa; ma avrei potuto essere eguale a te se avessi saputo adattarmi alle forme superiori da te create. (I suoi occhi fiammeggiano) Invece ora! La prima volta che vi dò la mano, tutto è svanito, tutto è atterrato, tutto è rovina. E resto qui a mani vuote. Tutta la costruzione artificiale è caduta in rovina, ma neanche caduta, è sem­plicemente svanita, come svanisce la nebbia davanti al sole e davanti alla vita. (Con grande gioia) Perciò non mi sono mai sentito così libero, così ricco e così felice come ora.

Karen                            - (sorride) E tutto questo perché io sono infelice?

Hadeln                          - Sì, nessuna fantasia potrebbe penetrare lì dove io sono arrivato a vedere oggi.

Karen                            - Dunque vi ho procurato in un certo modo un nuovo tema?

Hadeln                          - Sì, sì, ma non soltanto questo. Io non sono più fuori della vita. Sono diventato anche io un anello di questa catena. Ora « credo » in qualche cosa. Due esseri umani mi hanno superato. Ho potuto conoscere due creature animate dal desiderio d'innalzarsi, come due bianchi meravigliosi fiori slanciati. No, no, due grandi meravigliosi esseri umani si sono avvicinati l'uno all'altro e si sono allontanati, ma continuando ad innal­zarsi sempre più in alto, senza avere offuscato la loro anima, senza aver perso il loro mutuo incanto. In alto, in alto, verso il cielo.

Karen                            - (un po' impaziente) E che cosa volete fare con tutte queste idee? Semplicemente continuare il vostro lungo cammino, alimentandovi di tali pensieri?

Hadeln                          - Sì, con la speranza che forse anch'io un giorno potrò innalzarmi e raggiungere il termine ignoto. (Si siede).

Karen                            - (si precipita verso l'altana) Zitto! (Ascolta, torna e si mette a sedere di faccia a lui) Ma voi stesso?

Hadeln                          -  Io stesso? Che cosa volete dire?

Karen                            - Ma anche voi siete un essere vivente, seduto qui e che mi fissa con i suoi occhi profondi, così, che i miei debbono cercare di evitarli.

Hadeln                          - (la guarda con grande emozione) Se io pro­vassi ora un forte dolore, questo non sarebbe qualcosa di morto che giacerebbe inerte entro il mio animo, ma qualcosa di vivo, di potente. (Si alza) Addio, signora Karen!

Karen                            - (si alza prontamente) Volete andarvene? Siete pazzo? Volete anche voi fuggire, anche voi avete paura della vita?

Hadeln                          - (quasi spaventato) Lo vedete? Sì, io sono vile, terribilmente vile. Io pensavo di poterla sfuggire...

Karen                            - (con occhio scrutatore) Voi pensavate di poter sfuggire che cosa?

Hadeln                          - Avevo paura di avvicinarmi ad una de­cisione.

Karen                            - (e. s.) Quale decisione?

Hadeln                          - (giunge le mani) Se voi lo amate ed egli vi ama e se ciò nonostante non potete voi avvicinarvi l'uno all'altro, allora. Allora...

Karen                            - (va verso una vecchia credenza, prende due boccali d'argento, ritornando alla tavola si ferma ad un tratto con i boccali uno per mano. Va verso l'altana. Ascolta. Torna alla tavola) Credete voi che sarebbe partito se mi avesse amato?

Hadeln                          - No. Se voi me lo domandate io non lo posso capire, ma forse se lui stesso me lo avesse spiegalo...

Karen                            - (interrompendolo) Si ama o non si ama...

Hadeln                          - Ma voi l'avete pregato di andar via...

Karen                            - L'ho pregato, l'ho pregato. Va bene. Adesso vuotiamo insieme un boccale, un boccale d'argento. (Me­sce) La coppa d'onore. (Leva il bicchiere) Alla salute di un fanciullo candido e pensoso che ha molto più bisogno d'aiuto e di cura di me.

Hadeln                          - (abbassa la testa fra le mani) Oh, signora Karen, Karen!

Karen                            - (piano, tenera, come in attesa che egli debba dire qualcosa) Sì.

Hadeln                          - Ah, come voi l'amate.

Karen                            - (nello stesso tono con una punta di scherno) Perciò voi siete così infelice?

Hadeln                          - (guardandola rapidamente) No, no, non Io credete.

Karen                            - (si allontana impaziente da lui, ritorna, si ferma davanti a lui) No, no, sentite. Io non l'amo. Così come stava lì quel grande, debole uomo con le lacrime agli occhi. Neanche quando stava con la frusta in mano davanti a me,

Hadeln                          - (alzandosi) Con la frusta?

Karen                            - Sì, con la frusta. Egli pure non mi ama. La sua amante ero io. Era comodo per lui avermi nella sua casa ben arredata... una compagna per i suoi sensi sono stata.

Hadeln                          - E voi che non sapevate trovare le parole per esprimere come egli fosse nobile e giusto, fine e pieno di attenzioni e come vi amasse a suo modo.

Karen                            - A suo modo, sì. Come condizione del suo benessere, come qualche cosa di bello, di cui non si può fare a meno. Ma mi ha mai visto lui? Ha mai avuto uno sguardo per quello che io sentivo e soffrivo? Ha mai saputo lui di tutte le mie lacrime notturne? 0 di tutti i miei morti sorrisi di giorno? Ha mai notato lui ch'erano morti?

Hadeln                          - (con fervore) Ma egli doveva imparare dalla vita. Non sappiamo noi tutto in una volta.

Karen                            - (sempre più forte) Sì, noi sappiamo tutto in una volta: noi non possiamo fare sempre qui, nella vita, la prova per una rappresentazione che non avrà mai luogo. Io credo anzi ch'egli vedeva, supponeva ciò che io sentivo. Ma non ha voluto vedere. Egli non si fidava di guardare. Questo l'ha spaventato. Egli sperava che tutto sarebbe passato, e che io, costretta dal mio amore, mi sarei piegata verso la terra. Allora sarebbe stato nobile il rialzarmi. Ma era vile, non fine e pieno di premura come voi dite.

Hadeln                          - (serio, con forza) Voi non dovete dire male di Erling Kruse, che mi avete insegnato ad amare. Voi vi sentite offesa nel vostro amore e ne parlate male. Non sono così in basso per poterne dir male anch'io. E questo faccio ascoltandovi, calmo, mentre egli non può difendersi.

Karen                            - (con riso freddo e breve) Chi è lontano non esiste.

Hadeln                          - (la guarda tristemente) Io capisco che voi raspiate la terra, che cerchiate nuove forze per poter vivere.

Karen                            - (con espressione) Le nuove forze sono lì, io le sento, le nuove forze per prendere la vita così com'è.

Hadeln                          - (intimamente) Non dite tutte queste cose brutte; non riprendetevi quello che m'avete dato. La­sciatemi vedervi di nuovo nell'alto, nella bellezza come un'ora fa. Questa è l'unica cosa che è per me diventata la vita.

Karen                            - Noi dobbiamo dunque trascinare la nostra disgrazia, Erling ed io, mentre voi siete seduto lì per godere lo spettacolo? Solo perché voi forse ne potrete trarre il soggetto per una poesia?

Hadeln                          - (stupito, poi con grande ammirazione) E perché no? Ma questo non era il più importante. Perché Karen... Karen...

Karen                            - (interrompendo) Perché voi mi amate.

Hadeln                          - Amo... con una sola parola. Ah, se non fossi mai venuto qui!

Karen                            - (rigida, con negli occhi lo stesso sorriso freddo) E’ straordinario che non siate venuto prima.

Hadeln                          - (si mette a sedere, vinto).

Karen                            - Ed è perciò che vi ho chiamato quand'ero lì sotto la doccia.

Hadeln                          - (ripensa... poi) L'avevo dimenticato.

Karen                            - Ah! C'è sempre qualcosa in un povero es­sere umano anche quando esso non ne dubita nemmeno.

Hadeln                          - (si alza cammina su e giù, privo di volontà).

Karen                            - (lo segue con lo sguardo,, poi dura e fredda dice) E allora?

Hadeln                          - (si precipita ad un tratto verso di lei, poi sì trattiene e s'allontana).

Karen                            - (incrocia le braccia; come prima) E allora?

Hadeln                          - (di nuovo verso di lei) Una cosa sola ho veduto io oggi. Una sola cosa sento io nel più intimo della mia anima. Una sola cosa mi riempie di gioia, e che io non so dominare...

Karen                            - (con tensione) Cioè, cioè...

Hadeln                          - E lo vedo nel vostro occhio selvaggio, Karen.

Karen                            - Che cosa vedete voi, spiegatevi!

Hadeln                          - Che l'amore uccide.

Karen                            - Uccide?

Hadeln                          - Sempre.

Karen                            - Chi uccide?

Hadeln                          - (ritardando) Qualcheduno, o l'uno o l'altro.

Karen                            - Chi, domando io.

Hadeln                          - Uno ch'esso non può vendere a piccoli pezzi; uno per cui l'amore non è diventato abitudine. (Con crescente espressione) E questo voi non avete. Questo voi non potete. Voi siete forte, ma l'amore è più forte. Voi siete in suo potere. Esso vi domina.

Karen                            - E questo vi riempie di tanta gioia?

Hadeln                          - (il suo viso si contrae, ma dopo egli dice con gioia, raggiante) Si,

Karen                            - (lo fissa, un sorriso quasi impercettibile le sfiora il viso)

Hadeln                          - (si siede, scuotendo la testa) Ah, perché mai sono qui, perché non sono rimasto io presso le mie povere idee con la gente informe. Quando entro nella luce vengo sempre in un momento falso. Scusatemi, scusatemi. Io non l'ho voluto. Questa fu solo una cattiva suggestione. Voi eravate così fredda, come un cadavere e m'avete tentato. Questo è accaduto solo per un'invidia affamata, per un orgoglio impotente, il quale s'impos­sessa di noi quando si va per il mondo così soli, e quando si vuol esser più veri e più diritti dell'altra gente. Credetemi, credetemi, queste erano solo parole velenose. Perché voi eravate così riboccante di vita e di vigore. Oh, io non volevo farvi altro che del bene; io vi ho fatto del male. Perdonatemi, perdonatemi.

Karen                            - (si avvicina silenziosa e inosservata, si china su di lui, mite e calma) Ah, questa voce dolce che voi avete!

 

Hadeln                          - (trema tutto).

Karen                            - E' come se mi accarezzasse dolce e lieve le guance. Accarezzatemi. (Afferra la sua mano) La vostra mano è fine e bianca. Voi non avete il pugno ruvido; la vostra palma non è callosa. Accarezzatemi. (Gli prende la mano e se la passa sulla guancia).

Hadeln                          - (debole, come difendendosi) No, no, no.

Karen                            - Oh, come questo mi dà calma e pace! Come è squisito sentire che il vostro intimo sale fino al mio. E' così dolce, così dolce.

Hadeln                          - (debole) Io non sono che uno che è passato per caso davanti alla vostra porta.

Karen                            - (nello stesso tono) E non è tutto casuale, Hartwig Hadeln, quando l'amore è pronto? (Breve pausa) Allora, lassù nella capanna, io non l'amavo. Egli mi ha forzata. Nonostante che io lottassi. Ah, come è diverso! (Gli passa la mano sul capo) Voi non mi forzate. Voi siete come una morbida cera dove ancora una volta io posso imprimermi così come sono. Voi credete di far male agli altri, e voi solo siete quello che soffre' maggiormente. Voi comprendete tutto. Ah, s'io potessi aiutarvi e con­solarvi!

Hadeln                          - (lamentoso) Ah, Karen, Karen, perché dite tutto questo? Voi che siete sua in tutta la vostra anima, in ogni fibra del vostro cuore?

Karen                            - (piano) Noi non viviamo più insieme come marito e moglie. (S'allontana in silenzio da lui, va verso l’altana e guarda fuori).

Hadeln                          - (le guarda dietro, si precipita verso di leila prende per le braccia, le riversa il capo all’indietro e la bacia selvaggiamente) Io ti amo, ti amo, ti amo.

Karen                            - (non oppone nessuna resistenza).

Hadeln                          - (la lascia un momento libera).

Karen                            - (rimane calma e rigida. Hadeln la guarda a lungo, poi con un grido).

Hadeln                          - Ah! Cos'ho fatto io! Ora soltanto vedo quanto immensamente infelice siete voi.

Karen                            - (fissa, assorta e calma come a se stessa) E tanto più ho bisogno io dì tenerezza e d'amore! (Si prende la testa fra le inani, tutto ad un tratto, in uno scoppio passionale) E « lui » non è qui? (Scoppia in singhiozzi) Perché lui non è qui? Perché lui non è qui? (Si abbandona su di una sedia).

Hadeln                          - (rimane senza parola; si guarda intorno smar­rito. Si sente che qualcuno sta per arrivare, Karen balza in piedi. Entrambi ascoltano. La carrozza si avvicina sempre più).

La Voce di Erling         - (si sente da lontano) Karen! Karen! (Sempre più vicino) Karen! (Karen vuole ri­spondergli, ma non può, le tremano le guance, ad un tratto spegne la luce così che rimane nella penombra).

Karen                            - (ad Hadeln) Sedetevi là. (Accenna al sofà. Anch'essa si dirige verso il sofà per mettersi a sedere).

La Voce di Erling         - (nelle vicinanze) Sei di là, Karen?

Karen                            - (come se si fosse decisa altrimenti) No. (Ri­prendendosi) Andate sull'altana e rimanetevi fino a che non vi chiamerò.

Hadeln                          - Ma...

Karen                            - Questa è la prima e forse l'ultima volta che io vi prego.

Hadeln                          - (va sull'altana. Karen sta in mezzo alla stanza rivolta verso la porta. Erling entra precipitoso).

Erling                            - Io non ho potuto, non sgridarmi. Ho do­vuto tornare a casa, da te. Languivo, languivo e pen­savo solo a te; a te nel deserto con tutte le stelle sopra di te.

Karen                            - Nuda? (Erling le ha afferrato la mano, vuole abbracciarla) Tu arrivi tardi.

Erling                            - Mi sono affrettato.

Karen                            - Troppo tardi.

Erling                            - Troppo tardi?

Karen                            - Si deve badare al momento giusto in questo breve mondo.

Erling                            - (senza capir bene) Chi è qui? La donna mi ha detto che ci sono visite. (Guarda sul tavolo, vi si avvicina) Chi è dunque, Karen? (Siccome essa non risponde, egli aggiunge sorridendo) Dev'essere un se­greto? (Breve pausa) Tu sei così... Che significa ciò?

Karen                            - Lo vedi? C'è lo spumante sulla tavola. Ci sono tutte le argenterie, tutte le tue coppe d'onore,

Erling                            - (piano) Ma Karen, io non capisco, vera­mente.

Karen                            - Io ho festeggiato stasera le mie nuove nozze.

Erling                            - (incerto) Ma questo non è altro che un bellissimo scherzo. (Le si avvicina tenero) Ti senti male, Karen?

Karen                            - Io sono libera! Noi due abbiamo cessato di vivere insieme.

Erling                            - Abbiamo cessato di vivere insieme?

Karen                            - Sì, così lontano tu sei da me. (Erling la guarda interrogativo) Non sono io libera? Non sono io padrona della mia anima e del mio corpo? Non ti ho detto io prima che tu partissi che io mi sarei denudata senza pudore di onestà?

Erling                            -  Io non capisco.

Karen                            - (va via indicandogli il sofà con selvaggi occhi lampeggianti) Là, là è successo...

Erling                            - (si precipita su di lei. Essa afferra un coltello da caccia appeso alla parete).

Karen                            - Perché non hai la frusta con te?

Erling                            - (emette un roco grido, come spaventato per quello che essa gli può confidare, poi più calmo) Tu non hai bisogno di nessun coltello per difenderti da me.

Karen                            - Sei sicuro che io volessi usarlo contro di te? (Si fissano l’un l’altro).

Erling                            - Chi è?

Karen                            - Questa è la prima cosa a cui tu pensi.

Erling                            - (corre verso la camera a destra. Ritorna, prima guarda lei. Siccome mantiene l'attitudine di prima) Chi è? (Come prima si precipita verso la porta di si­nistra) Se n'è andato? (Erling si ferma).

Karen                            - Capisci tu ora che cosa vuol dire amare?

Erling                            - (con disperazione) Ma cos'è questo, che cosa significa questo? (Poi, come affranto, verso di lei) Abbi compassione di me.

Karen                            - (gemendo) Aiutami, Perché adesso ne ho bisogno. Tu hai promesso di aiutarmi. (Grida) Aiutami!

Erling------------------ - (è diventato più calmo) Tu mi hai gettato nell'acqua e stai sul ponte a chiedermi aiuto. Tu devi parlare, Karen, spiegare che significa questo. Non vuoi? Chi c'è stato qui? Non vuoi? (Egli rimane soprapensiero) Non può essersi allontanato molto da casa. (Si precipita da sinistra. Karen lascia cadere a terra il coltello da caccia. Si copre gli occhi con le numi. Hadeln esce dall'altana, è affranto, agitato. Karen non sì accorge che è entrato).

Hadeln                          - Signora Karen.

Karen                            - (si rimette; appena si volta e lo vede, è come se subito non lo riconoscesse).

Hadeln                          - (mite, intimo) Voi non avete più bisogno di me?

Karen                            - No.

Hadeln                          - Io posso andarmene?

Karen                            - Sì.

Hadeln                          - (fra se) Posso andarmene.

Karen                            - (volta la faccia altrove. Hadeln, scorgendo il coltello da caccia, lo raccoglie, poi lo getta su un tavo­lino di marmo che sta accanto a lui e sul quale risuona tintinnando. Karen lo guarda rapidamente. Hadeln guarda altrove. Prende il cappello e il sacco ed esce silenzioso. Karen per un momento resta sconcertata, poi sussurra) Erling. (Sempre più forte) Erling! Erling! (S'avvicina al tavolino, afferra il coltella, lo lascia e si precipita verso l'altana e guarda fuori. Sulla scala, da­vanti alla porta di destra si odono voci: Karen ritorna rapidamente nella stanza, afferra il coltello, sì precipita nuovamente sull'altana, rimane dietro la tenda di destra, si vede solo la sua mano sinistra stretta a pugno. Erling entra, tiene Hadeln forte per un braccio).

Erling                            - (chiama sulla porta) Karen! (Siccome nes­suno risponde, si rivolge ad Hadeln) Così voi volevate sparire?

Hadeln                          - Sì.

Erling                            - Perché?

Hadeln                          - Perché vostra moglie mi aveva detto che potevo andarmene.

Erling                            - Perché voi... perché voi siete il suo amante. Forse questo già da molto tempo.

Hadeln                          - (drizzandosi e con grande forza) No!

Erling                            - Essa stessa l'ha detto.

Hadeln                          - Questo l'ho sentito.

Erling                            - Voi l'avete sentito?

Hadeln                          - Sì, io ero fuori sull'altana.

Erling                            - Voi avete origliato?

Hadeln                          - Lei mi aveva pregato di rimanere.

Erling                            - Fate voi tutto ciò che essa vi prega di fare?

Hadeln                          - (con ispirazione che a fatica può reprimere) Sì.

Erling                            - Allora avete anche sentito che lei stessa l'ha detto.

Hadeln                          - Questo lei ha detto nella più profonda di­sperazione della sua anima, perché essa vi ama e perché crede che voi non l'amiate.

Erling                            - (fa un passo) Karen! (Un po' dopo) A che cosa devo io credere, voi siete costretto a mentire.

Hadeln                          - Credetemi, Erling Kruse. Credetemi. Io non voglio farvi del male. E' vero ciò che dico.

Erling                            - Che cosa volete voi qui? Che cosa avete da fare qui? Che abbiamo da fare noi uno con l'altro? (Breve pausa) Come posso io di nuovo trovare un minuto di calma nel mio cuore? Tutta la nostra pace e felicità! Io non posso sapere quale sia la verità e quale non sia. Io non posso più credere. Questo sarà un in­ferno del tormentoso ignoto. (Col singhiozzo nella voce, piano) Karen! Karen! (Si getta su di una sedia vicino all'altana. Si ode un grido fuori sull'altana: un lungo, lamentoso grido. Entrambi si precipitano).

Karen                            - (casca all'indietro pesantemente nella stanza, e nella caduta trascina con se la tenda» Si vede qua e là il cielo seminato di stelle fra leggere strisce di nebbia. In tutto il loro splendore fiammeggiano le cinque ul­time stelle dell'Orsa Maggiore, limitata dalla corona degli alberi).

Erlinc                            - (sopra Karen) Karen, Karen. (Ad Hadeln) Dell'acqua!

Hadeln                          - (prende una coppa sulla tavola).

Erlinc                            - Rispondimi,

Karen                            - (Le bagna la fronte con l'acqua. Dopo breve pausa, osservando la mano, spaventato grida) Qui c'è del sangue!

Hadeln                          - (grida) Sangue?

Erling                            - (chiama) Giovanni! Giovanni! Il dottore!

Hadeln                          - (cammina su e giù in preda ad una folle agi­tazione. Vorrebbe parlare ma non può. Si preme la mano sulla fronte. La cameriera entra).

Erlinc                            - La signora s'è fatta male, Giovanni deve su­bito correre a chiamare il dottore, più presto che può.

La Cameriera                - (mentre esce) C'è pericolo?

Erlinc                            - (le fa capire che deve andare, poi si china su Karen si drizza ad un tratto sulle ginocchia, fissa nel vuoto) Essa è morta!

Hadeln                          - (si avvicina in punta di piedi, si piega su Karen, grida a voce alta) Sì. (Si precipita di nuovo nella stanza) Io lo sapevo.

Erling                            - (senza capire sussurra indistintamente) Voi lo sapevate?

Hadeln                          - Io glielo avrei potuto impedire.

Erling                            - Come?

Hadeln                          - (non può dominarsi) Non ho buttato io il coltello sulla tavola in modo ch'esso risuonasse?

Erling                            - E voi non glielo avete impedito?

Hadeln                          - No. No. Perché io amavo lei ed essa amava voi,

Erlinc                            - (alzandosi) Sì, per me.

Hadeln                          - (in estasi) Non è più bello che l'amore uccida invece di morire?

Erlinc                            - (senza ben capire, sordamente) Karen è morta!

Hadeln                          - (gli va incontro: nei suoi occhi risplende la pazzia) Sii orgoglioso, Erling Kruse!  Traccia una croce sulla tua porta, poiché il vero amore ha visitato la tua casa. (Gli mostra il cielo, con voce giubilante) Guarda le stelle, le sue stelle.

Erling                            - (si ricorda le sue parole, e continua, mentre fissa Hadeln) E' il deserto.

Hadeln                          - Sì, il deserto con le stelle. Guarda la grande Orsa, si è già allontanata. Guarda il sarcofago d'oro. Lì devono trovare pace tutti quelli che l'amore ha uc­ciso. (Grida con selvaggio e folle trasporto) Noi ve­niamo, noi veniamo! (Salta con le braccia alzate fuori dell'altana. Come se volesse afferrare le stelle).

Erlinc                            - (rimane stordito. Poi gira intorno lo sguardo smarrito e dice trasognato) La nostra stanza! (Si tra­scina sul cadavere di Karen, s'inginocchia sul suo fianco, piega la testa sopra il suo volto e dice piano, come se aspettasse una risposta) Karen?

FINE