Un portiere chiamato ghepardo

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Un portiere chiamato ghepardo

                                                     

                       

                          UN  PORTIERE  CHIAMATO  GHEPARDO

                                                         

                                                     Atto unico

                                                            di

                                                 Antonio  Sapienza

       Personaggi:

Cabarettista, narratore

Liliana, figlia del Presidente

Pasquale, magazziniere

Sulla scena c’è il solo cabarettista. Gli altri personaggi, di volta in volta, compariranno a destra del palcoscenico illuminati da un occhio di bue.

Una voce grida al buio: Liliana - Te ne pentirai!-

Cabarettista – Così inizia la storia del portiere Angelino Samperi, detto il ghepardo.

Con questa frase che attraversò la stanza, dove alloggiava il ragazzo, come una lama d’acciaio, andandosi a conficcare nel petto del ragazzo, mentre la donna che gliel’aveva lanciata, usciva  infuriata, sbattendo  la porta dietro di se.

Angelino, aveva sedici anni, ed era alto asciutto, sorriso aperto, occhi profondi; capelli neri, corti, pettinati con la riga a metà, che, come due ali d’antracite, gli ricadevano sulla fronte spaziosa, ombreggiandogli il bel viso, le cui guance erano lievemente azzurrate da una barba d’adolescente ben rasata.

Rimasto solo nella sua stanza semplice, spartana, egli si gettò sul lettino muggendo:

- E’ finita, finita!

Si disperava perché credeva che tutti i suoi sogni, le sue speranze, le sue ambizioni, e, forse, anche la sua vita, stessero per svanire come in un convulso incubo dell’alba - quando i sogni appaiono e sembrano più reali della stessa realtà - per colpa di quella donna, che poteva disporre del suo futuro a proprio piacimento, nel bene e nel male (ma da quella minacciosa frase, sarebbe stato senz’altro nel male): Infatti, quella mantide ventiseenne, belloccia e capricciosa, si chiamava Liliana de Pretis, ed era la figlia del Presidente del suo   Sodalizio Sportivo e un’influente Consigliera della Società di Calcio Esperia.

- Accidenti, accidentaccio d’un accidenti. – gemeva Angelino, picchiando i pugni sul cuscino – io lo sapevo che sarebbe finita così - lo sapevo! Aveva ragione Pasquale.

Pasquale - Stai attento alle donne. Guardati soprattutto da Liliana De Pretis.”-

Angelino -  Ehi, zio, state buono, so badare a me stesso.-

Ed ecco come aveva saputo badare a se stesso. Conclusione: Ora si trovava nella stanza del Villaggio dell’Esperia - forse per l’ultima volta – sdraiato su un letto, che si commiserava per ciò che gli era accaduto; e per quello che gli sarebbe potuto accadere in seguito; e tutto ciò a causa di una donna.

E ripensava - già quasi con rimpianto - a quando giunse nella grande società di calcio e gli sembrò d’aver toccato il cielo con le dita, perchè tutto corrispondeva secondo le sue aspettative: grande Club, grande città, grande pubblico, grande allenatore, grandi campioni per compagni e maestri. Beh, c’erano anche i soldi, e molti, ma per lui questi particolari erano di secondaria importanza: a lui interessava … interessava…- suvvia e dilla! - interessava la fama, la gloria, l’osanna dei centomila del pubblico: l’ovazioneeeee!

Poi le presentazioni, gli allenamenti, le partire di campionato, naturalmente viste dalla tribuna; la gioia, la liberazione, gli abbracci per le vittorie; i sudori, le ansie, i tormenti per le partire che andavano storte; quindi i primi applausi quando fu schierato come portiere titolare della Squadra Giovanile, e poi il naturale debutto nel campionato  “Primavera”; e i primi cori: ghe-par-do, ghe-par-do, ghe-par-do...

-Oddio, oddio, tutto è compromesso, se non definitivamente perduto!- e si disperava ardentemente.

E rivide quel giorno, quando Liliana, al momento delle presentazioni, con un sorriso strano, forse ambiguo, e uno sguardo magnetico, gli profetizzò un avvenire radioso…se fosse stato docile e intelligente.- Ed ora, purtroppo, sapeva cosa ella intendesse per docilità e intelligenza… - E, dopo d’allora, col passare dei giorni, con discrezione, con tatto, ella intensificò sempre più la sua presenza durante gli allenamenti della squadra; rimanendo, qualche volta, fino al termine della preparazione dei portieri; e lodandolo ampiamente per il suo intuito, per il suo stile e per il suo forte e scattante fisico.

Liliana - Ehi, Lino Ghepardo, uno di questi giorni ti sbranerò: Ahum, ahum!-

Cabarettista - Ed imitava l’atto del gatto, nel graffiare ( o nell’afferrare il topo).

Egli rideva, le ricambiava il gesto e si affrettava ad entrare negli spogliatoi.

Poi ci fu quell’episodio: S’era attardato a lavorare con l’allenatore dei portieri, Taddei - il quale voleva irrobustirgli quelle sue già forti e grandi mani d’avorio – e quando finalmente terminarono i suoi “supplizi”, Angelino, sudatissimo, si recò subito a far la doccia, ma sotto il getto d’acqua,  con sorpresa, intravide Liliana che lo spiava.

-Ehi, guardona!-

Le gridò, beffeggiandola mostrandole la lingua, quindi, allegramente e incurante, le girò le spalle, insaponandosi velocemente. Intanto arrivò Taddei, e allora lei, con un gesto deliziosamente civettuolo, lo salutò con due dita e uscì dallo spogliatoio.

Da quel momento, però, le stava sempre più vicina;  gli diceva che lo faceva per studiare il suo carattere, nell’interesse della Società.

Però Giorgio e Pasquale, gli “zii”, i due magazzinieri del Club, che l’avevano preso a ben volere e  che intravedevano per lui un futuro da campione, conoscendo la fama di quella Circe, e sapendo cosa ella intendesse per “Interesse della Società”, gli si strinsero a protezione.

Pasquale non lo lasciava mai più solo negli spogliatoi, e Giorgio lo tallonava fino alla sua abitazione nel Villaggio del Club, dove spesso si soffermava fino a tarda ora, con la scusa di vigilare sui suoi studi. E gli diceva:

-Tuo padre mi ha raccomandato di sorvegliare sull’andamento dei tuoi studi. Ecco il libro, siediti e studia! March!-

Ora ci mancava proprio questa scenata:

Era solo nella sua stanza, quella domenica mattina, e stava studiando - aveva ancora due ore a disposizione, prima di recarsi allo stadio per assistere all’ultima e decisiva partita della prima squadra; la quale doveva assolutamente vincere per potersi fregiare, nuovamente,  dello Scudetto di Campioni d’Italia - ed egli era nervoso- chi non lo sarebbe stato?- ma ciononostante, caparbiamente, voleva farsi lo stesso i due capitoli giornalieri di Ragioneria- come aveva promesso a Giorgio –  e, quindi, stoicamente, si applicò a leggere e a ripetere le  prime paginette della materia più ostica di tutto il ciclo dei suoi studi.

Immerso nello studio, non si accorse che la porta della sua stanza si era aperta e che, silenziosamente, era entrata Liliana; la quale, avvicinandosi da tergo in punta di piedi, gli tappò gli occhi e gli domandò con una vocina infantile: “ Indovina chi è?”

Angelino prima sobbalzò per la sorpresa, quindi schizzò quasi fino al soffitto - quando ella  lasciandogli finalmente liberi gli occhi, gli si offrì alla sua vista quasi nuda - poi cadde a sedere e spalancò la bocca, mentre il cuore gli balzò in gola, mozzandogli il fiato ( Beh, insomma, per la decenza, proprio nuda non era: aveva una minigonna, molto, ma molto mini e una camicettina trasparente, poi... nient’altro).

Subito dopo il suo giovane cuore (come diceva una famosa canzone canticchiata da suo padre), si mise a battere a mille all’ora, il suo viso d’adolescente si smarrì tra il rossore, le sue gambe vacillarono perché, insomma, era evidente, ella gli si offriva! E i suoi ormoni questo lo captarono molto chiaramente.

Ma Pasquale l’aveva messo in guardia:

Pasquale -  Angelino, la donna, anzi la femmina ti riduce a pappamolla: perdi la forza, lo scatto, i riflessi, e per un portiere è meglio morire!-

E lui, memore, aveva resistito prima a lei: facendo il finto tondo, poi il pudico, infine respingendola apertamente; poi ai suoi ormoni: recitando un Padre Nostro dietro l’altro.

E fu allora che ella, abbottonandosi furiosamente la camicetta, gli lanciò quella terribile tagliente frase: - Te ne pentirai! Adesso, addio sogni? No! Perbacco! forse sarebbe ritornato alla sua ex società di C1, quindi niente addio ai sogni; ma solo un breve rinvio. Certamente, sarebbe finita proprio così. Può darsi… ma, ma e se mi cedessero a una  Società minore? E se mi mettessero in naftalina? Oddio. Oddio, ma perché, perché?-

E giù pugni sull’incolpevole cuscino e…qualche timida lacrima. Lacrime? Beh, si. E allora  diciamo la verità, in fondo era ancora un adolescente, e quindi, senza vergogna, qualche lacrimuccia poteva starci benissimo, no?

Ma, fortunatamente, le emozioni, la stanchezza, la giovinezza ebbero il sopravvento e, dolcemente, gli regalarono un sonno ristoratore.

Ed egli sognò. Sognò la sua viuzza, nella piccola cittadina di provincia, piena di ragazzini che inseguivano un pallone. E c’era lui, che già giocava in porta; e c’era pure Vincenzino, il suo alto e magro compagno di terza elementare, che lo chiamava: “Ghepardo! Ohè, para questo, Angelino Ghepardo!” E giù un tiraccio  all’angolino che Angelino parava in tuffo. 

Ghepardo: Quel soprannome l’aveva inventato proprio quel fantasioso spilungone, dopo aver visto, in Quark, un servizio su quei saettanti felini.

Gli disse: “Angelino, tu sei come un ghepardo, balzi e arrivi dappertutto, parola mia!”

E da quel giorno, per tutti i suoi compagni, fu Angelino, ghepardo, portiere gagliardo.

“ Ghepardo, para questo!” e Angelino parava. “Para questo rigore, ghepardo.” E Angelino, silenziosamente, si metteva tra le due pietre che segnavano la porta, si concentrava osservandosi le scarpe slabbrate, poi guardava negli occhi Vincenzino e gli diceva: “Tira.”

E rivide anche quel signore elegante che volle sapere chi fosse suo padre e dove abitasse. E il padre che gli comunicava che gli era stata offerta la possibilità di entrare, gratuitamente, nella scuola di calcio della Società calcistica locale, la Sportul, che militava in C1.

 “ Angelino, vedi papà tuo, che fortuna?”

Eppoi vide, fumosamente, il primo giorno nella Scuola di Calcio; si vide dietro la grande porta della Direzione; sentì ancora i colpi delle nocche della mano del padre, sulla porta: Toc toc…toc toc…

Entra Pasquale-

Pasquale - Alzati! Grandi notizie! Devi scendere subito nel salone. Sei stato convocato, forse devi andare in panchina! Ci pensi, moccioso? In panchina! Alzati! Il Mister t’aspetta!-

Cabarettista -E ad Angelino incominciarono a tremare le gambe. E intanto che si asciugava il viso, vedendosi allo specchio diceva: Non è possibile. Non è vero. Sto ancora sognando – e giù la testa sotto il rubinetto – bruh bruh… Non ci posso credere: in pochi minuti, da che il mondo sembrava crollarmi addosso, sono passato a questa grande notizia…e chissà…Whuau! Whuau!!! Pasquale, Angelino ghepardo è pronto, anzi prontissimo!-        

Pasquale – Senti questa notizia: Il Mister, quello che consideri un  flemmatico allenatore, famoso, con quel suo strano accento mi ha detto ha detto a Taddei: Samperi, verrà con la squadra, e si terrà  a disposizione in panchina. Lei le darà ulteriori disposizioni. E adesso che vada a pranzo insieme ai suoi compagni.-

Cabarettista - I suoi compagni! Ci pensate? Aveva detto proprio così: i suoi compagni. E quei compagni comprendevano, nientemeno, che sette nazionali, cinque campioni stranieri, più cinque “spiccioli” di classe, tanto per gradire… 

Immediatamente, il super portierone, Annibaldi, Capitano, “zio” e Nume Tutelare dello “spogliatoio”, lo accolse con il solito buffetto in viso, invitandolo, quindi, a sedersi al suo fianco. Quello era un onore riservato a pochi eletti; quel posto in effetti era molto importante: era destinato al personaggio del giorno. Ma, nella sua modestia, Angelino pensò che il Campione glielo avesse offerto proprio perché, per quella partita, egli sarebbe stato il suo sostituirlo in caso - corna facendo - …di necessità: insomma, forse, si trattava di un atto di fiducia, d’incoraggiamento o di solidarietà di ruolo.

Il cibo era buono, ma non scendeva nell’esofago di Angelino: vi restava a mezz’aria, come sospeso, non si decideva a scendere giù, nonostante i suoi volenterosi e ripetuti tentativi di deglutizione forzata.

- Accidenti – pensava il giovane – qui mi strozzo per l’emozione. Ma, ahò! Che cos’è quest’emozione? No! Non è roba per me! Angelino, stai calmo, rilassati, mangia quello che devi, e concentrati tutto per affrontare decorosamente quest’avventura – sia pure in panchina!-  

Dopo il pasto, tra l’allegria generale degli atleti - che mascherava un certo nervosismo dovuto alla importanza della partita e dalla posta in gioco - tutta la comitiva lasciò la sala da pranzo e si recò nel salone in attesa del pullman che doveva condurla allo stadio. 

Pasquale- …La squadra era appena partita, quando, con uno stridore di freni, arrivò nel vialetto un’auto sportiva rosso fiamma. Ne scese Liliana. Era cupa e nervosa. Con rudezza mi spinse da parte quando,all’ingresso, le andai premurosamente e “disinteressatamente” incontro. L’indemoniata , salì le scale che portavano agli alloggi degli atleti e si recò nella stanza di Angelino. Allora io usciì velocemente all’aperto e trafficai nei pressi dell’auto sportiva rossa. Terminato di armeggiare, ciondolando, si recò presso la sua vecchia utilitaria parcheggiata nei pressi, che aveva appena terminato di lavare, e ne controllò l’interno, poi aprii il cofano trafficai e velocemente richiusi.

Come una Valkiria imbufalita, per non averlo trovato, scese gli scalini a balzi veloci e feroci; quindi mi affrontò con occhi fiammeggiati.-

Liliana - Dov’è? (puntando il dito come una spada della vendetta)-

Pasquale - Dov’è chi? –

Liliana - Dov’è Angelino! Dimmelo subito o sei nei guai!- 

Pasquale - Ah, Angelino.  Dev’essere in camera sua a studiare, mi pare…-.

Liliana - Ehi, cialtrone! Su non c’è! Ti ho detto già che passerai dei guai? No? Bene, te lo dico adesso. Dimmi immediatamente dov’è il Ghepardo!-

Pasquale- Aspetti, mi pare che abbiano detto che doveva andare allo stadio…-

Liliana - Alo stadio? Così presto? Perché?-

Pasquale - Non saprei, signorina, è andato con la squadra. L’ho visto salire sul pullman…-

Liliana - Con la squadra? E come mai?-

Pasquale- Non saprei… forse deve andare in panchina… credo… forse…-

Liliana - In panchina? E Vitale? –

Pasquale- Ah, lui ha avuto proprio due ore fa una colica renale, signorina. E’ all’ospedale.- Liliana - Il Ghepardo in panchina…già…già. ..Grazie! Bene! Con te faremo i conti dopo.-

Pasquale – Ed esce come il vento, per rientrare come una tempesta-.

Liliana - La ruota è a terra! Maledizione! Pasquale cambiamela!-

Pasquale – Subito signorina (simulando prudentemente fretta, prese gli attrezzi e procedette, apri il cofano) Signorina, per la miseria, questa ruota di scorta è scoppia. ( per simulare rabbia, scaraventò per terra il suo berrettaccio)-.

Liliana - Come scoppia? Ma se l’ho fatta riparare due giorni fa.-

Pasquale - E vuol dire che sarà stata riparata male; ci sarà rimasto un buchino e si è sgonfiata…-

Liliana - Me ne frego! Montala lo stesso. Debbo arrivare allo stadio prima che inizi la partita!-

Pasquale - Signorina, ma rovina tutto…voglio dire, oltre al copertone si rovina il cerchione, la trasmissione, la carburazione, la testata…E’ un peccato rottamare quest’auto così bella, così preziosa…-

Liliana - Va bene, maledizione! Allora vengo con voi del seguito.-

Pasquale - Signorina, noi ancora non siamo pronti, poi usiamo il furgone…(poi, come se fosse stato  colto da un’idea) potrei… potrei prestarle la mia auto alla signorina per recarsi allo stadio…Gliela presto con tutto il cuore.(mostrando le chiavi dell’auto in mano e consegnandole a Liliana con un inchino)-

Liliana –( resta per un attimo perplessa, poi prende le chiavi, sale a bordo, mette in moto e parte a razzo) Grazie a buon rendere.-

Pasquale- E ma la rese benissimo, infatti percorse il vialetto, prese la provinciale e, poi, s’inoltrò per una scorciatoia di campagna; fece appena tre chilometri e mandò cinque o sei grandiosi moccoli contro la vecchia auto; la quale, stanca, malinconica, asfittica - s’era arresa - fermandosi senza più una goccia di benzina, tra un incurante gregge di pecore. Giustizia è fatta!

Cabarettista - Nello spogliatoio, tra il vocio allegro degli atleti intenti a indossare le divise del Club, tra l’andirivieni del personale addetto, tra i capolini che facevano i giornalisti più audaci, tra gli ultimi consigli ( o disposizioni) che il Mister dava al Capitano della squadra, tra l’imbarazzo del Cappellano che voleva a tutti i costi far pregare gli atleti, Angelino Samperi, detto Ghepardo, quasi incredulo e con la testa che lievemente gli frizzava, gustava uno spicchio abbastanza ampio dei suoi sogni più audaci.

Ma si ricompose in fretta quando, preceduto da uno svolazzo di dirigenti e seguito dai suoi famigliari, tranne la figlia Liliana misteriosamente assente, fece il suo ingresso nientemeno che “papà” Bernardo De Pretis, Presidente del glorioso Sodalizio.

Il suo sorriso innocente e largo, lo sguardo mite, gli occhi buoni, fecero il giro di tutti gli atleti e si soffermarono, brevemente e benevolmente, anche su Angelino; il quale, senza un preciso motivo, si mise quasi sull’attenti.

De Pretis terminò la sua panoramica puntando il Mister e stringendogli calorosamente la mano; quindi, formulando gli auguri di rito - seguiti, come d’uso, dagli scongiuri di tutto lo spogliatoio – si accinse ad uscire. Ma ebbe un’esitazione; quindi si voltò e si avvicinò ad Angelino. Il giovane portiere impallidì perché pensò: “ Ci siamo, adesso mi dirà: giovanotto sei stato ceduto alla “ Pro – Casamicciola” . Ma il gentile signore, invece, gli si parò innanzi, gli pizzicò la guancia e gli disse:

Ragazzo, benvenuto in prima squadra. Sostituisci Vitale? Allora in gamba, eh?

Che differenza - pensava Angelino, intanto che faceva qualche esercizio per scaldare i muscoli, prima d’entrare in campo- tra questo gentile signore e il sanguigno Presidente del  sodalizio Sportul, dov’era cresciuto calcisticamente e al quale doveva praticamente tutto.

E gli venne in mente quando esordì nella “ Berretti”- dopo aver giocato qualche partita nel campionato Regionale Allievi,  che lo Squadra aveva disputato con un discreto successo – e nello spogliatoio fece la sua comparsa il Presidente Padrone Vitantonio Brachetto, con un sigaro in bocca, e senza tante cerimonie, subito, attaccò il suo discorsetto galvanizzatore:

Ragazzi, questo è il momento della verità! Vi dovrete impegnare al massimo e dare sempre di più. Questo campionato lo voglio vincere! Manca solo questo trofeo dalla mia bacheca. Tu, ragazzo – e si rivolse ad Angelino – l’hai mai visto la mia bacheca? No? Bene, la vedrai dopo la partita, se non ti fai segnare gol; altrimenti che stronzo di Ghepardo saresti? Dico bene ragazzi? Allora dateci dentro e non fate i cacasotto!

Gli altri ragazzi, conoscendo il soggetto, stavano zitti e ascoltavano senza svelare il loro stato d’animo, ma Angelino restò turbato e confuso da quel crudo linguaggio: Non seppe cosa pensare, cosa dire, ne cosa fare. Ma in campo una cosa la fece: fu strabiliante perché, quella volta, inventò parate grandiose. Ma non vide la bacheca misteriosa: persero quella partita su autogol.

 Ecco che le squadre entravano in campo preceduti dalla terna arbitrale. Il pubblico si agitava, applaudiva, intonava cori, mentre gli altoparlanti annunciavano le formazioni. Angelino, in tuta nuova fiammante,  entrò al seguito della Squadra, insieme ai suoi cinque compagni di panchina e prese subito posto accanto a Taddei.

Era frastornato dai Centomila,  si guardava attorno incredulo e sorrideva a tutti quelli che gli venivano a tiro, finanche ai poliziotti di servizio. Poi, quando apparve il suo nome sul cartellone, la vista quasi si appannò per la felicità. E lesse e rilesse decine di volte la formazione della sua squadra incisa su quel magico schermo luminoso:

ESPERIA: Annibaldi, Corsi, Geronetti; Ecc. Ecc.

In panchina: Samperi, Ortolani, Fazio, Ecc. ecc.

Samperi. Com’era scritto bene il suo cognome. Come luccicavano quelle sillabi, Come era dolce quella pronuncia: Sam-pe-ri: Che nome!

-Ehi, Ghepardo, che parli da solo?-

Era la voce stridula di Ortolani che, grazie anche ad una gomitata, lo riportava alla realtà: l’incontro stava per iniziare. Infatti, in quell’istante, l’arbitro dette il via alle ostilità.

La squadra avversaria si dimostrò subito, come d’altronde era stato ampiamente previsto, forte e ben organizzata, e i suoi compagni stentavano a trovare il bandolo della matassa per prenderle le misure. E il Mister dava ordini a gesti e a segni convenzionali, che i suoi giocatori ben conoscevano; e gli avversari, naturalmente, no.

I ragazzi ce la mettevano tutta: La classe non mancava, l’inventiva neanche, la voglia di vincere pure, ma i minuti passavano e il sospirato gol non arrivava.

Tutto il primo tempo fu un duello al fioretto: finte, schivate e affondi. Ma il risultato restò, purtroppo, inchiodato sullo zero a zero. E questo punteggio, mentre andava benissimo per gli ospiti, per L’Esperia, che doveva vincere a tutti i costi, era inaccettabile: addirittura raccapricciante! solo a pensarlo…

Nell’intervallo il Mister parlò ai giocatori molto pacatamente; analizzò i fatti, le azioni, gli errori commessi da alcuni compagni, e spiegò la nuova tattica per sfondare le retrovie di quell’ostica squadra.

Infatti, nel secondo tempo, i giocatori si buttarono all’arrembaggio ma con giudizio; agendo a fisarmonica, con una pressione costante, insidiosa, instancabile.

E la nuova tattica del Mister, unita allo sforzo degli atleti in campo - a parte qualche brivido corso in contropiede - diede i suoi frutti: Nicola Zardo, piccolo saettante attaccante opportunista, con un guizzo da serpente, affondò il piede su una palla fiondata da destra e spinse il pallone in rete.

Il boato che si levò al cielo fece tramare lo stadio, e Angelino si trovò abbracciato al poliziotto Carvagna, suo baffuto compaesano. Era il trentesimo minuto del secondo tempo.

Ora tutto sarà più facile, pensava Angelino: la squadra ospite si sarebbe aperta e loro avrebbero raddoppiato, mettendo al sicuro il risultato, la vittoria e lo scudetto.

Ma non fu proprio così.

Come una maledizione di qualche dio invidioso, sui suoi compagni piombò la paura di vincere: Divennero nervosi, sbagliavano i passaggi più facili, sembravano senza più forze,  le gambe legnose. E, come se ciò non bastasse, Zardo si “mangiò” un gol già quasi fatto!

E gli avversari, purtroppo, lo capirono; si presero di coraggio e fecero vedere i sorci verdi ai suoi spiritati compagni, al Mister - che aveva perso il self-control -; al pubblico e, forse forse, anche al nobile Presidente.

Come Dio volle, si arrivò al novantesimo minuto, e il risultato era sempre sull’uno a zero. Sembrava già fatta; anche se, dal bordo campo, segnalarono all’arbitro che si dovevano recuperare tre minuti di gioco. E pazienza, quindi, ancora tre minuti d’angoscia. Tre interminabili minuti di sofferenza per centomila cuori; tre minuti per esplodere di gioia o per strapparsi i capelli.

Pasquale- Buon Dio dei calciatori: Tre minuti, solo tre minuti di protezione. Come? tre secoli? No, macchè: solo tre miserabili minuti, centottanta secondi. Poi un cero alto come una porta non te lo leva nessuno!-

Ma era tempo di Cresime e il Buon Dio del  “pio e disinteressato” magazziniere, probabilmente, era impegnato altrove; e il Maligno, sempre secondo Pasquale, ne approfittò per fargli uno sgarbo personale, sgambettando la Squadra col suo caprino zampino: Infatti, nonostante fossero già trascorsi i tre minuti di recupero, l’arbitro, perché ispirato proprio da Belzebù, non si decideva ancora a fischiare la fine della partita. E, purtroppo, come spesso accade, ecco il fattaccio:

Da un rimpallo casuale, un atleta avversario – un campione che sembrava un fauno - di contropiede, s’involò verso la porta difesa da Annibaldi. Corsi  fu tagliato fuori, di slancio; Geronetti tentò, invano, di placcarlo prima che quel demonio entrasse nell’area di rigore; mentre  Angelino, d’intuito, gridò al suo portiere:

-Esci!-

Sempre velocemente, quell’indiavolato attaccante, approfittando anche della piccolissima esitazione dello “zio” nell’uscita, con  una diabolica finta lo superò. Senonchè, prima di depositare la palla in rete, quel satanasso commise l’errore di girarsi a guardare, con sguardo mefistofelico, il grande  Annibaldi - che aveva “mandato a spasso”. Ma  il portierone, lo punì! Con un tuffo disperato piombò sui piedi di quel luciferino e arrogante avversario – travolgendolo.

Rigore ed espulsione, non c’era rimedio.

Lo stadio ammutolì. Il silenzio era così profondo che si udì lo zufolare di un merlo nel vicino parco. Ma tutto durò pochi attimi, forse un secondo, poi esplose un finimondo di proteste contro l’arbitro: reo, secondo i tifosi, d’aver prolungato ingiustificatamente la durata dell’incontro; d’essere stato eccessivamente severo fischiando il calcio di rigore;  e d’aver espulso l’incolpevole portierone.

Annibaldi e poi  Geronetti, a cui passò la fascia di Capitano, e gli altri compagni, protestarono energicamente con l’arbitro. Ma era più che evidente che fossero  proteste sterili, inutili: l’arbitro, irremovibile Minosse, non si mosse di un centimetro dal dischetto del rigore.

E il Mister, intanto fece l’unica mossa possibile: fuori Zardo, dentro Samperi.

Angelino - che era rimasto calmo e compassato durante tutta la fase critica della partita - al cenno del Mister, e al grido di Taddei: “ Vai Ghepardo!”, silenziosamente e rapido si alzò dalla panchina, prese a volo i guanti che gli lanciò Pasquale, aspettò l’autorizzazione per entrare nel terreno di gioco, e ottenutala, con naturalezza entrò in campo.

Un grido di donna squarciò l’aria: “Ghepardo!”

Quindi ancora silenzio.

Angelino, incurante delle esortazione dell’arbitro che lo invitava a far presto, impassibile, a lunghi e felpati passi, si diresse verso la sua porta: la porta del suo Destino.

Il suo viso era di pietra, lo suo sguardo ardente, i suoi movimenti felini; e, mentre procedeva, il suo pensiero era rivolto solo al pallone, alla sua probabile traiettoria e alla forza che vi avrebbe impresso il giocatore avversario incaricato del tiro.

Poi fece il vuoto attorno a se: rimase  solo tra i Centomila.

E come ai tempi delle interminabili partite a palla nelle strade del suo quartiere - quando Vincenzino gli gridava:” Ghepardo, para questo rigore!” - egli, raggiunta la porta, si piazzò tra i pali; poi, guardandosi la punta delle sue scarpette bullonate, attese che il giocatore designato a calciare il rigore si recasse sul dischetto; e quando l’avversario si accinse a battere, egli alzò la testa e lo fissò dritto negli occhi coi suoi occhi felini; poi,  pacatamente, gli disse:

-Tira.-

Il giocatore sferrò uno di quei tiri  che i giornalisti definiscono imparabili: il pallone, cento all’ora, filò verso l’angolino alto della porta, a destra, proprio all’incrocio dei pali:

- Amen!- voi direste.

Ma il Ghepardo scattò: si erse in tutta la sua altezza, saettando con tutti i muscoli tesi fino allo spasimo, quasi allungando le sue membra, snodando le ossa, stirando i tendini, dilatando le cartilagini, violentando le leggi fisiche e anatomiche; quindi con i polpastrelli della mano destra sfiorò la palla, ed essa schizzò, innocua, sopra la traversa.

L’urlo della folla coprì il triplice fischio dell’arbitro, che decretava la fine dell’incontro.