Veronica e gli ospiti

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VERONICA E GLI OSPITI

Commedia in tre atti

di Giuseppe MAROTTA e Belisario RANDONE

PERSONAGGI

VERONICA DORIOT

LA FUNZIONARIA

BICHETTE

GABY

GREGORIO DORIOT

CARLO GALLANT

Il Colonnello THIBON

Il Barone GASTON DE LA TOUR FLEURY

FAUSTO GOLDOR

Il Prof. KRUMM.

A Parigi, in epoca attuale.

Scena unica: un salone in casa di Gregorio Doriot nei pressi del Trocadero.

Il primo e il secondo atto, un quattordici luglio. Il terzo atto, venti giorni dopo.

ATTO PRIMO

Una grande sala dell'appartamento Doriot. Il tono tradisce la posizione sociale dei padroni, gente che ha relazioni con l'alta finanza, con la politica, con l'ar­te. Milioni dunque profusi con una certa larghezza, ma non scioccamente o senza gusto. È evidente che il signore e la signora Doriot sanno comperare un quadro d'autore o un mobile prezioso alle vendite dell'Hotel Drouot non perché abbiano bisogno di farlo, ma perché l'essere anche clienti dell'Hotel Drouot dà una certa quotazione nella società pa­rigina. Della coppia Doriot, del resto, chi ha più. tempo di darsi alle spese e alla vita mondana, è indubbiamente Veronica Doriot. Questo traspare an­che dall'arredamento, che è grazioso e delicato nel lusso e nel confort quel tanto che rivela una mano graziosa e delicata nei relativi acquisti. Ma qua e là c'è anche la prova delta volubilità di Veronica Doriot, del suo incantevole candore nel considerare le cose e il mondo: in un mobiletto da sostituire — sono forse mesi che se lo propone — o in qualcosa di non terminato: deve proprio decidere un giorno o l'altro. Alla vasta camera danno sulla sinistra la porta che viene dall'ingresso e quella dello studio di Doriot; sulla destra, in primo piano, la porta dei servizi, più oltre, sopra un breve ballatoio cui si accede da una breve scala, le porte padronali: quella della camera di Veronica per prima e quella della camera di Gre­gorio Doriot per la seconda. La sala e il ballatoio fanno in un certo senso parte dell'arredamento del salone. La massiccia balaustra è in massello di noce, rilucente e forse apparteneva a qualche residenza car­dinalizia. Le porte degli appartamenti dei padroni, del resto, sono — un po' sovraccariche — anch'esse di legni pregiati e scolpiti. In fondo alla grande sala, s'apre una vasta porta-finestra fornita di uno o più ricchi tendaggi, di tessuto pesante e foderato — pro­babilmente prezioso anch'esso — e dà su un balcone, fornito di poche ma altere piante. Più oltre il biaccoso cielo di Parigi. Naturalmente si scorge la ba­laustrata del balcone, che è di ferro battuto a foglie e volute legate insieme da raccordi bronzei. Siamo a Passy: la consistenza del conto in banca deve tra­sparire anche da certi dettagli.

A parte i quadri e i tappeti (per i quali abbiamo la­sciato intendere più sopra il nostro pensiero), tutta la sala è ricoperta da una lussuosa moquette di un tono adatto, ma certo non usuale. Il piano a mezza-coda è sistemato a sinistra fra la porta dello studio di Doriot e la porta-finestra, dove il muro quasi inizia, con una risega, una bella curva d'angolo. Il diva­no, con due poltrone di gusto molto moderno e di grande confort, sono esattamente al centro della sa­la, sotto un congegnoso lampadario.

Un mobile-bar dalle linee ricercate, deve essere ben visibile a sinistra, proprio sotto la colonnina d'inizio della scala e li accanto deve essere il carrello del bar. Altri mobili: un modernissimo radiogrammofo­no, che fa pendant col mobile-bar dall'altra parte del­la scala; un elegante secrétaire antico, rammodernato e funzionante, posto fra l'uscio del vestibolo e quel­lo dello studio di Doriot; un telefono vicino al secré­taire; sedie leggere e imbottite dove occorrano.

Nella elegante curva della parete a sinistra, e die­tro la fiancata sinistra della scala, l'architetto dovrà prevedere due passaggi truccati, assolutamente invi­sibili da parte del pubblico e realizzati con opportu­ni accorgimenti di luci e di materiali, passaggi che permettono l'andata e la venuta di taluni personaggi delta vicenda, in modo che il pubblico abbia la preci­sa sensazione di vederli apparire e scomparire "nel muro".

Un'entrata — e uscita — supplementare di tali per­sonaggi, può essere prevista anche sul balcone. Noi raccomandiamo espressamente all'architetto la per­fetta riuscita di questi passaggi invisibili, per la cre­dibilità stessa della vicenda. Egli dovrà inoltre pre­vedere una serie di piccoli trucchi che avvengono du­rante il corso della commedia (come t'improvviso gi­rare del divano) e che debbono essere realizzati con altrettanto impegno.

Chi sono quei personaggi? Il primo è il barone Gaston de la Tour Fleury, un aristocratico del 18' seco­lo, che ostenta, su un volto d'aspetto ancora giovani­le, una candida parrucca impeccabilmente pettinata. Egli indossa un abito costoso da grande cerimonia, con un fracchetto di taglio raffinato e sovraccarico di ricami. Una lucente decorazione sul petto, mantenu­ta da una sciarpa azzurra, lo denuncia possessore di un altissimo e raro titolo cavalleresco. Spadino ce­sellato, scarpe lucide a fibbia, guanti, merletti, fazzo-lettini, flaconi di profumo, occhialino: tutto quello insomma che denoti un nobile tuttora ignaro degli orrori della futura Rivoluzione.

Bichette è stata — lo dice lei — amica della Goulue. Crediamole. Della "belle epoque" porta ancora l'uni­forme che è evidentemente scollacciata e spregiudi­cata. È un vestito da ballerina con improvvise studia-tissime aperture, per le sapienti messe in evidenza di abbondanti attrattive fisiche. Il taglio dell'abito pre­lude allo stile floreale; il colore della stoffa iridescen­te e madreperlacea, è esaltato dai lustrini, dalle per­line, dagli Strass.

Il Colonnello Thibon è un vecchio militare, la cui divisa ricorda quelle del II Impero, con larghi calzo­ni alla "zuava" stretti intorno alla caviglia, di color rosso acceso e grosse bande blu ai lati, frale invaso dalle decorazioni, dai bottoni d'oro, dalle spalline lu­centi e dalla sciarpa azzurra. Il Colonnello inoltre inalbera un immenso képi da alta uniforme e porta lo sciabolone.

La scena è vuota, semibuia. Il campanello delta porta suona ripetutamente. Entra da destra Gaby che apre la finestra. Luce.

Gaby                             - Subito... subito... (Scompare a sinistra. Dal­la finestra appare Bichette che si guarda in giro e va diretta allo specchio. Nel frattempo dalla porta a sinistra entra Gaston)

Gaston                          - Eccoci qua, signori.

Bichette                        - Eccoci qua.

Thibon                           - (apparendo dal muro) Perché avete scel­to la porta, Barone?

Gaston                          - Per ritrovare il piacere di sentirmi ser­vito e riverito.

Gaby                             - (riapparendo a sinistra) I soliti scherzi cre­tini. Suonano, uno va ad aprire e non c'è nessuno.

Doriot                           - (da dentro) Gaby! Gaby! (Gaby scompa­re a destra)

Thibon                           - Signorina Bichette, siamo appena arriva­ti e dove vi trovo? Allo specchio. È sempre lo stesso spettacolo da cinquant'anni e ancora continuate que­sto giuoco.

Bichette                        - Giuoco? E un piacere per una donna, forse l'unico piacere, soprattutto quando sa che nes­suna ruga potrà più devastarla.

Gaston                          - (guardando "attraverso" la parete) Mi sembra piuttosto strana questa casa. Sono le undici del mattino e tutto tace. Il signor Doriot, è nel suo ba­gno. Ha catturato un enorme calabrone, lo ha fissato al muro con un filo e se lo sta passando per giuoco sulla faccia... La signora Veronica (guarda attraverso un altro muro) si è riaddormentata proprio adesso sul divanetto. Fa un altro uso delle sue notti... evi­dentemente.

Thibon                           - Ho paura che Gallant arrivi in anticipo. (Suonano)

Bichette                        - Eccolo.

Gaby                             - (riapparendo e attraversando la scena) Que­sta volta, se non c'è nessuno, stacco il campanello.

Gaston                          - No., non è lui. È un signore sulla cin­quantina, vestito dì marrone, piuttosto magro, con delle scarpe di un giallo vespa... (Gaby rientra pre­cedendo un signore che è del tutto simile alla de­scrizione fatta da Gaston)

Goldor                          - Doriot! Doriot! Ho una fretta del diavo­lo! Dove ti sei cacciato?

Gaby                             - Un minuto. Ve lo chiamo. (Gaby scompare a destra. Goldor si lascia cadere su una poltrona, la­sciata appena libera da Gaston)

Thibon                           - Volete scommettere che questo animale è interessato nella faccenda che ci riguarda?

Bichette                        - Animale? Perché? Io credo che sia mol­to ricco.

Gaston                          - E che interesse ha per noi? (Doriot en­tra. È in vestaglia e sta usando un rasoio elettrico)

Doriot                           - Ti prego tanto di scusarmi, Fausto. Mi sveglio ora, si può dire. Ho aspettato fino alle quat­tro che Veronica rientrasse.

Goldor                          - L'ho vista allo Sheherazade verso le due e mezza, con l'addetto commerciale dell'Ambasciata del Perù.

Doriot                           - Ah si? Quel Ferreira. Me la sentivo.

Goldor                          - Dunque, il nostro affare. Vediamo di con­cludere.

Doriot                           - È prematuro.

Goldor                          - Prematuro o non prematuro, stabiliamo che per tutti gli apparecchi igienici del Centro Urba­no Doriot, l'appalto è mio. Voglio solo due righe di impegno con la tua firma.

Doriot                           - E va bene. Vieni di là. Finisco di rader­mi e concludiamo. (Doriot e Goldor escono a sinistra)

Thibon                           - Sarebbe questo il famoso industriale Gregorio Doriot?

Gaston                          - Volgare e presuntuoso.

Bichette                        - Non si può mai dire. Certi uomini bi­sogna guardarli attraverso i loro denari.

Thibon                           - E chi ve lo impedisce.

Bichette                        - Ma io che c'entro? Hanno estratto a sor­te il mio nome e io sono venuta con voi. Eccomi qua. Ma per fare che? Non l'ho ancora capito.

Gaston                          - Mia cara, spesso la sorte sceglie il peggio, (con un leggero inchino verso Bichette) voglio dire il meno adatto. Eccomi qua, a capo di una delegazio­ne che deve affrontare una questione assai grave, per parecchi nostri amici, e che risulta composta da un colonnello e da una tigre reale della Belle Epoque.

Bichette                        - In che senso tigre reale? Non mi man­cate di rispetto?

Gaston                          - Nemmeno per idea. Avrei deposto anch'io ai vostri piedi la mia persona, se non me lo avessero impedito motivi anacronistici.

Bichette                        - Non vi comprendo.

Thibon                           - Il Barone intende stabilire che nacque un secolo prima di voi. Ciò vi rendeva piuttosto im­matura... ai fini del... Va bene?

Bichette                        - (piccata) Comunque si esprime in un modo che non mi piace.

Gaston                          - (dopo aver sorriso e averla guardata con l'occhialino) Mia cara signorina Bichette, io sono il meno contento di trovarmi qui. Non rivedo volen­tieri l'umanità. Emana cattivo odore. (Si passa un delicatissimo fazzolettino di merletto sotto il naso) Stento a credere che a suo tempo sia stato anche l'effluvio mio.

Bichette                        - Ecco la superbia dei nobili. Sono con­tenta che, oggi come oggi, il mondo sputi sulla vo­stra classe. Vi tolgono i titoli, il fisco vi denuda e co­si via!

Gaston                          - A vantaggio di chi? Quello che tolgono da una parte, si ammucchia dall'altra. E il risultato è identico. Non siete giocatrice, voi? La storia è la più accanita frequentatrice di tavoli verdi che si co­nosca.

Thibon                           - Mi dispiace contraddirvi, barone, ma al­la base della storia non ci sono tavoli verdi. Ci sono campi di battaglia. I tempi si misurano in guerre.

Gaston                          - E non è lo stesso? Voi chi siete? Un mal­destro giocatore che ha puntato sui tavoli verdi del­la storia intere generazioni di uomini, anziché pile di gettoni. Io qualche volta mi sono rifatto. Voi, mai.

Thibon                           - Per vostra norma, io ebbi perfino i com­plimenti dell'alto comando germanico, per aver dife­so Sedan fino all'ultimo uomo. Tuttavia non voglio contraddirvi, perché dietro l'ultimo uomo c'ero io.

Gaston                          - Non mi direte, voi proprio, con tutte quelle medaglie sul petto, che la guerra non era il vostro hobby!

Thibon                           - Ve lo dico, invece. La carriera militare era una tradizione nella nostra famiglia. In casa noi mangiavamo pane e assedi, pane e dinamite.

Bichette                        - Usavate dei tovagliuoli, spero!

Gaston                          - Signori, torniamo a noi. Io sono qui e intendo svolgere con la massima energia il compi­to affidatomi. Perciò vi esorto a una maggiore com­prensione.

Bichette                        - (estremamente frivola e sciocca) Com­prensione? Me ne stavo tranquilla in casa mia, per così dire, a guardare giorno e notte il mio ritratto (Bichette calca molto sui possessivi) e a un certo punto cominciano a disturbarmi. Riunioni, assemblee, discussioni, discorsi, signori che parlavano e parla­vano. Io non ci capivo nulla, ma non perché non ci capissi nulla. Gli uomini mi hanno fatto sempre ad­dormentare coi loro discorsi. Il mio amante di mag­gior durata, fu il Duca di Le Saffre, perché era muto.

Thibon                           - (sbuffando) Non vedo che rapporto ab­bia tutto questo con la nostra missione.

Gaston                          - E allora state attenta signorina Bichette, ve lo spiego. La nostra piccola città è minacciata. Noi, che ancora sotto Luigi XV eravamo quasi alla periferia di Parigi, ci troviamo oggi nel cuore stesso della metropoli. Ed ecco che qualcuno ci vuole sfrat­tare.

Thibon                           - Il signor Doriot, per l'appunto, nel salot­to del quale ci troviamo.

Gaston                          - Doriot, è un uomo d'azione e di fantasia. Avete notato come si rade? Col calabrone? Egli dice di noi: "Pigliamoli e trasferiamoli in campagna. Il suolo che in tal modo si renderà libero, avrà un va­lore inestimabile. Vi fonderò un quartiere residen­ziale di lusso, guadagnandoci sopra alcuni miliardi".

Bichette                        - Vogliono mandarci via?

Thibon                           - Siamo corsi ai ripari. Abbiamo vivamen­te protestato a voce e per iscritto.

Gaston                          - L'ufficio Z ci ha risposto: "Possiamo solo concedervi un'azione alla pari. Daremo una vacanza a uno di voi, estratto a sorte. Egli tenterà di far com­prendere al signor Doriot, che il suo progetto è bia­simevole.

Thibon                           - Molto biasimevole.

Gaston                          - Tre di voi lo assisteranno.

Thibon                           - Ed eccoci qua. Noi siamo i tre che fian­cheggeranno il signor Carlo Gallant nella sua azione. (Bichette si tormenta le unghie. Gli altri la osser­vano)

Thibon                           - Non avete capito. (Le fa una carezza)

Bichette                        - No, colonnello. Come lo sapete?

Gaston                          - (seccato, tagliando corto) Forse, mia ca­ra, non è indispensabile che voi comprendiate. Nel 1905 foste incantevole appunto per la vostra maniera di posarvi sulle cose. Vi parlo come si parla a una farfalla.

Bichette                        - Grazie.

Gaston                          - (guarda la parete verso sinistra) Ecco Gallant. (Un attimo dopo, suono di campanello. Gaby attraversa in fretta la scena, da destra a sinistra, e scompare)

Bichette                        - (guardando la parete, verso sinistra) Si si... Adesso lo ricordo. Bell'uomo. Ma perché por­ta quella garza al collo?

Gaston                          - (serio) Se fossi in voi non glielo doman­derei. (La porta a sinistra si apre. Entra Gallant, se­guito da Gaby. Gallant è un uomo giovane, elegante. Porta una garza attorno al collo più su del colletto, con ostentata disinvoltura. Si guarda attorno sorri­dendo ai suoi amici, mentre Gaby gli indica una pol­trona)

Gaby                             - Vi annunzio subito. Accomodatevi.

Gallant                          - Grazie. Vengo da molto lontano.

Bichette                        - Ma se siamo qui a due passi! (Gaby esce da destra)

Gallant                          - Signor colonnello, caro Barone... Signo­rina Bichette... (Inchini e saluti da parte degli altri)

Thibon                           - Carissimo Gallant. Che gioia rivedervi. Dunque, raccontateci. Com'è andata?

Gallant                          - Un mucchio di formalità. Conoscete l'uf­ficio Z. Mi hanno vaccinato e iniettato non so che cosa qui. (Mostra il braccio) Pare che non avrò mai né fame, né sete, né... altro. Per il resto sono vivo come tutti gli altri uomini. (Si batte una mano sul petto, fa una flessione) Vedete? Mi hanno perfino provvisto di denaro. Al deposito ho ritirato il mio vecchio abito blu, ma era talmente fuori di moda, la gente si fermava a guardarmi che ho dovuto re­carmi d'urgenza ai Magazzini Lafayette per rinnova­re un po' il guardaroba.

Bichette                        - Siete impeccabile, non c'è che dire.

Gaston                          - (con una smorfia) Ma sento un cattivo odore. È il vostro, Gallant, non c'è dubbio. La carne! (E annusa con grazia il fazzolettino, dopo averlo co­sparso del prezioso profumo di una fialetta)

Thibon                           - Come contate di agire?

Gallant                          - È molto semplice. Un mio pronipote, che abita a Bergerac, ha ricevuto dal Doriot, una con­vocazione qui.

Bichette                        - Allora starà per arrivare.

Gallant                          - No.

Gaston                          - Perché no?

Gallant                          - Perché è a letto. Per essere precisi, in questo momento si trova a letto, profondamente ad­dormentato.

Thibon                           - Va bene, dorme. E con questo? Può sem­pre svegliarsi e piombare qua.

Gallant                          - Non credo che gli sarà facile. Gli ho procurato un attacco di appendicite acuta con com­plicazioni varie. In questo momento Io staranno squar­tando.

Gaston                          - Un attacco di appendicite acuta con com­plicazioni varie? Benissimo.

Gallant                          - E cosi eccomi qua al suo posto; abbia­mo giorni e settimane per trattare col signor Doriot. La prenderemo con calma e la spunteremo.

Gaston                          - Speriamo. Noi siamo qui per aiutarvi.

Thibon                           - Contate su di noi, Gallant.

Bichette                        - Siete davvero elegante, Gallant. Ma, non so... c'è qualche cosa che stona in voi... Ah si!  Quella fascia al collo.

Gallant                          - E voi, non avete nulla di cui vi vergo­gnate? che preferireste non ricordare?

Bichette                        - Io, vergognarmi? Mai! Ah, si. Mi capi­tò una sola volta, durante una festa in casa della Goulue. Tutti passeggiavano nudi, e io, ero raffredda­ta! Dovetti restare vestita. Mi vergognai tanto! (En­tra da destra Gaby)

Gaby                             - Il signor Doriot si scusa, ma non rammen­ta affatto il vostro nome.

Gallant                          - Glielo ricorderò io.

Gli altri                          - Glielo ricorderemo noi.

Gaby                             - Scusatemi. Devo ancora preparare la cola­zione per la signora. (Esce)

Gaston                          - Questa signora Doriot, sarà un intralcio o un vantaggio per noi?

Gallant                          - Già. Me lo chiedo anch'io.

Bichette                        - Perché non andiamo da lei?

Thibon                           - Nella camera da letto di una signora?

Gaston                          - Troppo giusto. Chiamiamola.

Tutti                              - Veronica. (Si voltano verso la parete, la guardano fissamente e fanno un gesto. Dopo un atti­mo la porta della stanza di Veronica Doriot si apre ed entra Veronica, dormente sul suo letto. È un mo­bile sofisticato. Anche la toilette notturna di Veroni­ca è curiosa, pur essendo estremamente femminile. Gaston e gli altri aiutano Veronica a sedersi, in mez­zo a loro, sul divano)

Gaston                          - (amabile) Prego, accomodatevi, signora. Dormite qui. (Veronica si adagia sul divano, di fianco, con la faccia rivolta al pubblico)

Gallant                          - Purché nel frattempo non entri nessuno.

Thibon                           - Blocchiamo le porte. (Fanno tutti un ge­sto verso gli uscì. Frattanto Bichette si è avvicinata a Veronica e la osserva dalla testa ai piedi)

Bichette                        - Non c'è male. Troppo magra, però. Nel 1910 non avrebbe interessato nessuno.

Gallant                          - Sbrighiamoci. (Si dispongono tutti at­torno al divano e iniziano l'interrogatorio)

Gaston                          - Vorremmo un vostro ritratto, signora Do­riot. Abbiamo una certa premura. (Veronica comin­cia a parlare. La sua voce è quasi priva di espressio­ne, monotona, bassa e spezzata)

Veronica                       - Mia madre disse: "Smettila di occupar­ti dei fatti miei". Fu allora che cominciai ad occupar­mi dei fatti miei. Avevo sedici anni. Il Tenente della Legione Straniera disse: "Mi fermo a Parigi solo ventiquattr'ore". Si fermò tutto l'inverno. Padeloup, il celebre direttore d'orchestra, mi disse: "Ma io sono troppo vecchio per te, bambina mia". Gli dissi: No, non è affatto vero. Due sere dopo mori sul podio. Sta­va dirigendo la sinfonia della "Semiramide". (Ga­ston guarda interrogativamente Thibon)

Thibon                           - Rossini.

Veronica                       - Ebbi presto diciott'anni. L'ingegner Dufy mi disse: "Vi conosco da secoli. Veronica". Ciò mi invecchiava un poco. Preferii il suo cugino. Bara­va al giuoco. Fu arrestato nel mio letto. Non potevo riprendere sonno. Il mio vicino di camera...

Gaston e Thibon           - Doriot?

Veronica                       - ... Lord Greenville, mi tenne compagnia attraverso la porta di comunicazione. Era un effetto curioso. Perciò gli dissi: "Entra". Mise un anello sul cuscino. Sei mesi dopo mi disse: "Perdonami, darling, ma tutta l'aristrocrazia inglese mi fa notare che sono eccessivamente cornuto... Che ne diresti di un divorzio" ? Poi ebbi vent'anni. Dissi a Rhodes: "Vuoi sposarmi tu"? Rispose: "Povera cocca"! Pa­zienza. Vissi con lui otto mesi, in Scozia. Risparmia­va il denaro, e se stesso.

Bichette                        - A me piacciono gli spendaccioni.

Veronica                       - Joselino era uno di questi. Ah, le notti di Rio!

Bichette                        - Che hanno di speciale?

Veronica                       - C'è sempre qualche stella di più. E che fa? Cade. Io espressi il desiderio di avere anche...

Bichette                        - Doriot?

Veronica                       - ... Olaf. Era giornalista, un norvegese, un Vichingo. Lo seguii a Berlino, dove fu trasferito. Avevo ventiquattro anni, ormai troppi per una donna.

Gallant                          - Quanti ne avete adesso?

Veronica                       - Venticinque. A Berlino incontrai Do­riot. (Tutti sospirano di sollievo) Era in viaggio d'af­fari. Gli parlai chiaro: "Vuoi sposarmi? Fallo. Ma la mia vita rimarrà una cosa mia. Disprezzo gli uo­mini, ma sono alla ricerca disperata di un uomo. Quando l'avrò incontrato, ti strizzerò un occhio e ciascuno andrà per la sua strada".

Gallant                          - Volete ripetere, per favore?

Thibon                           - A che vi serve, Gallant?

Gallant                          - Mi pare incredibile che un vero uomo possa accettare una condizione cosi dura!

Bichette                        - Conoscete poco gli uomini, Gallant.

Gaston                          - Va bene. (A Veronica) Volete ripetere?

Veronica                       - (riprendendo a parlare con lo stesso tono di prima) Vuoi sposarmi? Fallo. Ma la mia vita ri­marrà una cosa mia. Disprezzo gli uomini, ma sono alla ricerca disperata di un uomo. Quando l'avrò in­contrato, ti strizzerò un occhio e ciascuno andrà per la sua strada.

Gallant                          - Incredibile! Che uomo!

Gaston                          - Basta. E stanotte signora Veronica?

Veronica                       - Stanotte? Ah si. Stanotte, uscendo da teatro non trovai la Cadillac. Ma trovai Pedro. Lo Sheherazade era a due passi. Decidemmo di andarci a piedi. Decidemmo che odiavamo il ballo. Decidem­mo di andare al Bois de Boulogne. Là, un sergente decise di condurci al commissariato, dove ebbi buo­ne notizie di Pedro. Non è un avventuriero. E l'ad­detto commerciale dell'ambasciata del Perù.

Bichette                        - E questa sarebbe una donna perbene!

Gaston                          - Per me, non ho mai incontrato una don­na più candida della signora Doriot. (Bichette sta per reagire, ma Thibon che ha guardato verso la parete, le fa un gesto perché taccia)

Thibon                           - Arriva il signor Doriot.

Gaston                          - (rivolgendosi, sempre educatamente, alla signora Veronica) Grazie, signora Veronica. Ora tornatevene a letto. (Veronica si alza e, sempre ad occhi chiusi, si adagia sul letto che scompare oltre la porta. Mentre Gallant riprende tranquillamente il suo posto, le porte vengono "sbloccate" ed entrano Doriot e Goldor)

Doriot                           - Ma che diavolo hanno, queste porte! (Gal­lant si alza educatamente. Rivolgendosi a Gallant) Ah. scusate un momento. Congedo il signore.

Gallant                          - Prego. (Doriot e Goldor se ne vanno in un angolo, dove è un piccolo, ricco secrétaire. Doriot si siede, apre il cassetto, ne trae alcune carte e un libretto d'assegni che comincia a riempire. Frattanto gli altri continuano a parlare)

Bichette                        - Danaro. Ai miei tempi l'assegno ban­cario non era di moda. I veri maschi usavano l'oro, borse di napoleoni, di luigi, di sovrane, di marenghi. Era un piacere toccarli. Ci ritrovavo tutto il mio va­lore.

Gaston                          - Forse non bisognerebbe imprimere sulle monete i volti dei re e degli imperatori, ma quelli delle più celebri mondane. Esse sono alla base dei grandi movimenti finanziari. Chi si rovina per un re?

Bichette                        - (guardando Goldor che sta mettendo l'as­segno nel portafogli) Quanto vorrei andarmene con lui!

Gaston                          - Vi piace il signor Goldor?

Bichette                        - Mi piacerebbe rovinarlo. Ma ci pensate? L'uomo scrive poemi, inventa macchine, costrui­sce città, sconfigge eserciti, e io, Bichette, lo rovino! (Goldor è ormai sulla porta con Doriot. Bichette lo osserva con invidia mentre egli si licenzia da Doriot ed esce. Doriot, dopo aver salutato il suo amico, e chiusa la porta, torna verso Gallant che è seduto sul divano. Gli altri gli fanno posto accanto a Gallant e si raggruppano poco distanti)

Doriot                           - (sedendosi accanto a Galloni) Eccomi a voi... Il signor?...

Gallant                          - Gallant. Carlo Gallant. Da Bergerac.

Doriot                           - A che debbo il piacere...?

Gallant                          - Ho una lettera della vostra società.

Doriot                           - Ah si. Vi abbiamo convocato... Si tratta di una faccenda complessa e delicata. Voi avete un prozio a Parigi.

Gallant                          - Si. Giace qui. Qui sotto. (Fa' un gesto verso la finestra, oltre la quale si scorgono i cipressi di Passy)

Doriot                           - Bravo. Prego accomodatevi. Voi, signor Gallant, siete, uno dei pochi proprietari di tombe del cimitero dì Passy, cimitero che ha smesso di accet­tare ospiti fin dal 1910. Ciò per rfte ha semplificato molto le cose.

Gallant                          - Non vi seguo. (Nel frattempo, Doriot si è alzato, è andato al piccolo secrétaire e vi ha preso un fascicolo, tornando quindi verso Gallant e seden­dogli accanto)

Doriot                           - Il mio progetto - voi sapete che sono un uomo d'affari - è questo. Eliminare il cimitero. Di­sporre di questa località preziosa nel cuore di Parigi. Ho l'autorizzazione del Comune e del Governo- (5/0-glia il fascicolo) e l'adesione di quasi tutti gli eredi. Volete essere cosi gentile, signor Gallant, di aderire anche voi?

Gallant                          - (secco) No. (Doriot ha un sussulto. Se­gue una pausa, durante la quale Doriot esamina Gal­lant come un maestro d'armi esamina l'avversario del quale aveva sottovalutato le capacità)

Doriot                           - Perché no, signor Gallant?

Gallant                          - Perché, al contrario di voi, non sono un uomo d'affari.

Doriot                           - (alzandosi improvvisamente e con un sorri­so cordialissimo) Un whisky, signor Gallant?

Gallant                          - (un po' preoccupato) No no.. Grazie, no.

Doriot                           - (che è già al mobile bar e sta preparando i bicchieri) Insisto, signor Gallant.

Gaston                          - (dando di gomito a Gallant) Perché no? Mostratevi cortese.

Gallant                          - Grazie si. (Doriot ritorna coi due bic­chieri e ne porge uno a Gallant, che si è alzato, edu­catamente. Intanto il colonnello Thibon si è avvicina­to al mobile-bar, e ha "materializzato" un bicchiere vuoto)

Doriot                           - (toccando il bicchiere di Gallant) Alla vo­stra salute.

Bichette                        - Eterna.

Gallant                          - (con un vago sguardo verso Bicchette) Grazie. (Thibon, accanto a Gallant, sostituisce il bic­chiere pieno con quello vuoto. Indi, va tranquillamen­te alla finestra e scaraventa fuori bicchiere e conte­nuto. Doriot si volge a Gallant che ha il bicchiere vuoto alle labbra e finge di aver finito di bere. Gal­lant sorride e siede nuovamente accanto a Doriot)

Doriot                           - Bevitore? Eh! Mi permetterò di mandar­vi una cassetta di questo raro whisky, fabbricato ap­positamente per me in Scozia.

Gallant                          - Grazie. Mi aiuterà a dimenticare la biz­zarra proposta che mi avete fatto.

Doriot                           - (sussultando) Bizzarra? Ragioniamo, si­gnor Gallant. La cosa ha due aspetti. Il primo non manca di un suo contenuto sentimentale, persino pa­triottico. Amate Parigi, voi?

Gallant                          - L'adoro. Come tutti i provinciali.

Doriot                           - Bravo! E che cosa voglio io? Voglio far­la più bella. Voglio dotarla di un'altra meraviglia. Ie­ri l'Arco di Trionfo, il Louvre, la Tour Eiffel. Do­mani, il Centro Urbano Doriot. I più geniali archi­tetti stanno lavorando per me. Vi si troverà tutto. Il mare di St. Tropez in una piscina di cristallo boemo.L'aria balsamica delle Alpi Marittime in ogni camera. Teatri, cinema, giardini pensili, un galoppa­toio aereo e perfino... (Si interrompe un attimo, beato)

Gallant                          - (approfittando dell'interruzione) Non ne dubito. La vostra faccia mi dice che tutto ciò è possibile. E il secondo aspetto, quale sarebbe?

Doriot                           - (un po' preoccupato) Il secondo aspetto... Già. Ah, si. È la sistemazione degli antichi... ospiti della zona. Io mi propongo di trattarli col massimo riguardo. Ho già comperato per loro un delizioso pic­colo bosco a Lebon, alle porte di Parigi, dove io li trasferirò. (Violente reazioni dei tre) Credo che sia un'idea eccellente. Ho notato che l'infittirsi degli edi­fici, attorno al vecchio cimiterino, ha mortificato il luogo. (Doriot si alza e seguito da Gallant va verso la finestra. Continua a parlare indicando l'esterno e spesso appoggiandosi al davanzale) Fiorì, uccellini e via dicendo lo hanno abbandonato. Gli urli dei clac­son rimbalzano contro i marmi. Il custode beve e trascura la pulizia. D'altronde per chi lo farebbe? Ben pochi sono i visitatori. (Pausa) Nel bosco di Lebon invece, tutto è diverso. Ogni sepolcro avrà il suo fe­dele usignuolo. La luna leggerà ogni notte, lettera per lettera, compitandole, le belle epigrafi. Non è magnifico?

Gallant                          - (staccandosi dalla finestra e andandosi a sedere) No.

Doriot                           - (dopo un sussulto, seguendo Gallant) Per­ché no, signor Gallant?

Gallant                          - Perché voi, signor Doriot, osservate la cosa da un punto di vista oggettivo. Ma c'è anche il lato soggettivo, no?

Doriot                           - Temo di non capire.

Gallant                          - Gli ospiti, signor Doriot.

Doriot                           - Gli ospiti?

Gallant                          - (facendo un cenno verso la finestra) Sa­ranno contenti, gli ospiti, dello sgombero che voi avete deciso per loro? Forse si, forse no. (Thibon e gli altri fanno ripetuti cenni di no) Non avete an­cora capito. (Pausa) In Lapponìa non trovate che ge­lo, renne, foche. Pure, i lapponi vi abitano volentieri. Uno si affeziona al proprio ambiente. Non solo, ma si adatta man mano alle trasformazioni che l'ambiente subisce. Questa è una legge naturale.

Doriot                           - Ma io non sono un lappone, signor Gal­lant!

Gallant                          - (guardandolo severamente) Già. (Pausa) E neanche morto. Siete mai morto, voi, signor Doriot?

Doriot                           - Certo no!  Ma neppure voi, suppongo. Ah!  ah!

Gallant                          - Naturalmente. Ma ho una certa imma­ginazione. Ritengo che al defunto signor Carlo Gal­lant, mio prozio, il bosco di Lebon non piaccia. Egli e tutti i suoi colleghi, si trovano ormai benissimo qui a Passy. Non darebbero un sassolino di quei vialetti per l'intero Jungfrau o per il Lago di Ginevra. Non desiderano usignuoli e, quanto all'urlo rimbalzante dei clacson di Parigi, essi, caro signor Doriot, se lo godono.

Doriot                           - Diamine! E come fate a saperlo?

Gallant                          - (superando un attimo d'imbarazzo e inco­raggiato dai suoi amici) Vecchie carte di famiglia.

Doriot                           - (astutamente pensoso) Ah si? E allora ditemi, che effetto gli fa - scusate - gli faceva, al vostro prozio, il denaro?

Gallant                          - Ottimo e pessimo. Lo amava e lo disprez­zava. Saprete, spero, che il mio prozio fu il massimo attore dei suoi tempi.

Thibon                           - Smettetela buffone!

Gallant                          - (eccitato, a voce alta) Infinitamente su­periore a quelli di oggi.

Gaston                          - Venite al fatto, e non pavoneggiatevi!

Gallant                          - (seccato, ai suoi amici) Ma lasciatemi in pace!

Doriot                           - Che dite?

Gallant                          - Stavo dicendo che il denaro nelle tasche di mio zio era un fatto fluviale, torrentizio; passava e basta. Tutti vi attingevano, tranne, probabilmente, lui stesso.

 Doriot                          - In ogni caso gli era necessario.

Gallant                          - Non lo nego.

Doriot                           - Bravo. Questa dichiarazione ci avvicina. Signor Gallant, tal quale mi vedete, io sono unicamen­te ed essenzialmente denaro. Soltanto che il mio, al contrario di quello del vostro prozio, è denaro calmo, organizzato. Non un torrente, ma un immenso bacino artificiale che si trasforma in energia, in lavoro, in benessere.

Gallant                          - Bravo! Ma a me che me ne importa del vostro bacino?

Doriot                           - Quanto vale, secondo voi, il vostro con­senso?

Gallant                          - Quale consenso!? Non vedo...

Doriot                           - Vi aiuterò io, a vedere. (Pausa) Un grande finanziere è anche un rabdomante. Un rabdomante delle coscienze. (Si astrae un momento) Allora indo­vino che al vostro caro prozio sarebbero molto pia­ciuti... ottocentomila franchi.

Gaston                          - Ridicolo!

Thibon                           - Vergogna!

Bichette                        - Ma signori!  Ottocentomila franchi sono ottocentomila franchi!

Gallant                          - Il mio amato prozio li avrebbe scostati con la punta del piede!

Doriot                           - (che è rimasto un po' scosso, giocherella con la matita) Questo vostro prozio mi imbarazza. Sbri­ghiamocela fra noi. Qual è, signor Gallant, la vostra attività in provincia? (Gallant, impreparato questa vol­ta nella discussione, rimane un po' perplesso)

Gaston                          - Diamine! Non è pretore a Bergerac, vo­stro nipote?

Gallant                          - Sono pretore a Bergerac.

Doriot                           - (con un'espressione di compatimento) Pre­tore a Bergerac!  Trentamila franchi al mese. Una sordida pensione, un abbonamento ai pasti in una bettola. Un vecchio film una volta alla settimana. Saltuari convegni d'amore con qualche servetta. Mai una signora, mai una contessa, mai una ballerina, mai una donna di classe, insomma!

Bichette                        - Povero ragazzo!

Doriot                           - Capite ciò che possono rappresentare ot­tocentomila, anzi... un milione di franchi?

Gallant                          - No. Fuori del vostro immenso bacino artificiale, questo denaro si guasterebbe. Non voglio scrupoli. Tenetevelo.

Doriot                           - Rifiutate due milioni di franchi?

Gallant                          - Si, ho proprio l'impressione che dovrete rinunciare al vostro progetto. Vogliamo andare? (Si alza, immediatamente imitato dagli altri, tutti assu­mono un'aria di congedo)

Doriot                           - (prendendo per una mano Gallant e costrin­gendolo a sedere nuovamente) Ma via! Ancora un momento. (Gallant malvolentieri ubbidisce) Riesami­niamo con calma la situazione. Il denaro non è fine a se stesso. Voi siete giovane. Non ci sono limiti ai vostri desideri, alle vostre ambizioni. Lasciamo un momento da parte la questione finanziaria. Chi ha cenato ieri sera col Ministro della Giustizia? Io. Chi con due parole potrebbe farvi trasferire da Bergerac a Parigi? Io. Chi potrebbe assicurarvi in pochi anni una brillante carriera? Sempre io. Io posso farvi di­ventare il magistrato più elegante e più mondano di Francia. Eccovi in breve deputato e più tardi mini­stro! (Doriot, durante la lunga battuta, si è alzato, ha cominciato a passeggiare attorno a Gallant - che è rimasto seduto, come isolato - pesando abilmente le frasi, puntando sugli effetti volta a volta che gli si presenta l'occasione, come un giudice con l'accu­sato, spesso agitando il dito teso su Gallant, dolce e autoritario, irresistibile) Pensate soltanto al piacere, alla gloria di vivere a Parigi!  Parigi, è il dizionario delle occasioni! Signor Gallant, siete un virtuoso? Parigi sarà il vostro chiostro. Siete invece un vizioso? Parigi sarà il vostro Eden. Gli altri luoghi della terra sono stati creati da Dio, Parigi no. Parigi l'ha fatta l'uomo. E la donna. (Una breve pausa, poi improvvi­samente Doriot spinge sotto il naso di Gallant il foglio) Firmate! (Gallant, come soggiogato dalle parole di Doriot, ha un impercettibile accenno ad ob­bedire)

Gaston                          - Ma che diavolo fate?

Thibon                           - Siete pazzo!?

Gallant                          - (riscuotendosi e scartando col gesto il fo­glio mentre la penna gli salta via prodigiosamente dalle dita) No!

Doriot                           - (dopo aver guardato Gallant con profondo disprezzo) Signor Gallant, siete un imbecille!

Gallant                          - (immediatamente alzandosi) Signor Do­riot, nei panni vostri non mi servirei di questa parola.

Doriot                           - Insisto. E idiota, il vostro atteggiamento. Siete un autolesionista. Non è solo denaro che voi pigliate da me! Non sentite nelle mie parole una vi­brazione di umana solidarietà? Anch'io sono stato gio­vane come voi e ho avuto il vostro fascino!  Perciò la mia amicizia può costituire per voi la fortuna. Vi piace il potere? Posseggo i due più importanti quotidiani. Dunque il governo sono io! Vi piacciono le donne? Posseggo due compagnie cinematografiche, tre cabaret e un balletto di fama internazionale. Vi piacciono gli uomini? Posseggo tre vivai di pugilisti e due Accademici di Francia!

Bichette                        - Quest'uomo comincia a interessarmi.

Doriot                           - E voi rinuncereste a tutto questo per di­fendere le ceneri di un povero attorucolo del passato?!

Gallant                          - (con un ruggito) Povero attorucolo del passato?! Basta. Io sono un imbecille. Voi però siete una canaglia. (Gli altri si avvicinano a Gallant e cercano di trattenerlo)

Gaston                          - Moderatevi!

Thibon e Bichette         - Andiamo! Che fate? Calma­tevi!

Gallant                          - (scaldandosi) Zitti tutti! !  La misura è colma. Nessun dialogo è possibile fra noi. Canaglia, ripeto. Gli uomini come voi sono nocivi come i fun­ghi velenosi. Chi snatura e corrompe tutto quello che tocca? Il commendatore Doriot! Chi riduce tutto, il lavoro, la giustizia, l'amore, le stelle in cielo e per­fino i morti sottoterra a cifre, a numeri, a elementi della propria ricchezza? Sempre il commendatore Do­riot! (Cercando le parole) Voi... Voi... Non c'è niente di pulito nella vostra vita!  Nemmeno il vostro letto coniugale! (Veronica è entrata da poco e si è fer­mato ad ascoltare Gallant che le dà le spalle e non può averla vista)

Doriot                           - (torvo) Che intendete dire?

Gallant                          - (con estrema ironia) Che siete becco. E ciò non vi imbarazza, né fra gli amici di vostra moglie, né fra le sue stesse braccia.

Doriot                           - Mi avete spiato, signor Gallant? Orec­chio alle serrature, eccetera? Vi occorre altro?

Gallant                          - Oh no. Ne ho abbastanza. Siete quella specie di uomo al quale una donna potè dire: "Vuoi sposarmi? Fallo. Ma la mia vita rimarrà mia!"- (Vero­nica che lentamente è avanzata di qualche passo guar­dando la scena, si ferma. Trasalisce alla frase che viola la propria intimità - deve averla chissà quante volte ripensata da sola - e non sa spiegarsi come Gallant la possegga)

Gaston                          - Gallant!

Thibon                           - State perdendo la testa!

Bichette                        - Ssst! Veronica è qui! (Gallant si volta e si trova di fronte Veronica. La donna lo guarda con calma e lo schiaffeggia con violenza, ma senza precipitazione. Doriot scoppia a ridere)

Doriot                           - Ah!  ah! (Poi torna cortese ed ironico come sempre) Cara, ma che fai? Il signor Gallant è nostro ospite e deve diventare un nostro amico. Si­gnor Gallant, permettete? La signora Doriot. Veronica, questo è il signor Gallant. (Gallant e Veronica resta­no imbarazzati a guardarsi) È qua per... la faccenda del Centro Urbano Doriot... (Veronica prende una sigaretta e porge l'accendino a Gallant, il quale, im­barazzato, non ne conosce l'uso. A ciò ovvia la onni­scienza degli altri, che gli suggeriscono i gesti da fare)

Gaston e gli altri           - Premete quel bottone!  Su, co­raggio!... Col pollice! No! Non cosi! Ecco, sii Bravo! {Gallant esegue e sussulta al magico funzionamento.

 Allunga quindi la fiamma a Veronica. La donna ac­cende la sigaretta e fa un lieve inchino a Gallant)

Doriot                           - (mondanissimo e approfittando di questo at­timo di elegante dialogo) Veronica, vuoi aiutarmi a convertire il signor Gallant? Io ho molto da fare. D'altronde vedo che i vostri rapporti sono avviati be­nissimo. (Si avvicina a Veronica, la bacia affettuosa­mente ed esce)

Veronica                       - (offrendo il portasigarette a Gallant) Fumate?

'Gallant                         - (distratto sempre dal funzionamento dell'accendino, sta per prendere una sigaretta, ma Gaston gli dirotta la mano)

Veronica                       - (dopo una pausa e un lungo sguardo) Mi perdonate?

Gallant                          - (galante) Una bella donna nasce per­donata.

Veronica                       - Grazie. (Lo guarda) È strano... C'è qual­cosa, in voi, che m'imbarazza.

Gallant                          - (evasivo) Ho l'aspetto e le maniere di un provinciale. Questo è tutto.

Veronica                       - (pensosa) No, no... c'è ben altro. Par­lando con mio marito, voi avete detto, poco fa, certe parole che... che... mi appartenevano. Una frase che io effettivamente gli dissi un giorno e che spesso mi torna in mente. (Sinceramente emozionata) Come mai essa è uscita dalle vostre labbra?

Gallant                          - Ma se l'avete detta voi!

Gaston e gli altri           - Ssst!

Gallant                          - (correggendosi) Non so proprio come sia potuto accadere.

Veronica                       - (riflette e poi si illumina) A me non dispiacciono certi prodigi, anzi!  E normale che due persone si vedano per la prima volta e parlino. Ma è anche straordinario. Può sempre succedere una pic­cola cosa che significhi: la vostra conoscenza finisce qui, oppure: voi due vi rivedrete ancora.

Gallant                          - (pensando alla sua "condizione") Nel nostro caso è impossibile... (Si corregge) Voglio dire... Io non vengo mai a Parigi...

Veronica                       - Ma quando ci venite vi pigliate il mal di gola. (Delicatamente gli mette a posto la garza che si è spostata) Permettete?

Thibon                           - Mi sembra inopportuno continuare le trattative con questa Veronica.

Gaston                          - Di che vi preoccupate, Colonnello? Gal­lant è immunizzato. (Gallant sbircia i suoi amici)

Veronica                       - Vi duole?

Gallant                          - (cominciando a interessarsi a Veronica) No, no, tutt'altro.

Veronica                       - (allontanandosi un poco da Gallant e sbat­tendo le ciglia) ... Che cosa stavamo dicendo?

Gallant                          - (che ha notato il turbamento di Veronica) Stavo per chiedervi scusa.

Veronica                       - Non dovete farlo, io sono molto peg­giore di quanto non immaginiate.

Gallant                          - Viviamo in tempi confusi, signora. Oggi niente è migliore del peggio e niente è peggiore del meglio.

Veronica                       - (lo considera un momento interessata. Poi, con decisione improvvisa) Voglio che mi cono­sciate, signor Gallant. Ho un'istintiva, profonda fidu­cia in voi. Voglio dirvi la verità.

Gallant                          - La verità? Ma voi siete bella, signora. Che bisogno avete di dire la verità?

Veronica                       - La mia bellezza? Possono valutarla die­cimila franchi o un viaggio di tre mesi, essa per me non ha alcun valore. Ne dispone il caso. Io non de­cido mai niente, signor Gallant. Decidono per me, a volte un bicchiere di whisky, a volte il vento.

Gallant                          - (senza dar peso all'aspra autocritica) Siete cosi disperata?

Veronica                       - (anch'essa leggera, sorridendo) Non so­no affatto disperata. Ho gli stessi piaceri e gli stessi guai di tutti. E poi, può anche darsi che un giorno incontrerò l'uomo che mi restituirà la ragazza che ero... Lo riconoscerò, non dubitate. Saranno piccoli segni... Voi non immaginate quali!... II lobo dell'orec­chio... la forma delle labbra, gli occhi... Sono certa che improvvisamente negli occhi di un uomo, di quell'uomo, si accenderà qualcosa, che so? una pepita d'oro. Allora saprò che è lui. Volete che vi riveli un fatto curioso? La prima volta che vedo un uomo gli faccio pronunciare le parole "anemone" e pistillo .

Gaixant                         - E perché mai?

Veronica                       - (infinitamente assorta) Non lo so... Ane­mone... Pistillo... Mah...

Gaby                             - (entra) Signora, mi scusi... La chiamano al telefono.

Veronica                       - Chi è?

Gaby                             - Il dottor Ferreira.

Veronica                       - Mandalo al diavolo, non so chi sia... Ferreira... Ah, Pedro!  Digli che lo chiamerò più tardi.

Gaby                             - Ha molto insistito. Mi ha detto di ricor­darle le parole... aspetti... anemone e pistillo...

Veronica                       - Caro... ma ora non posso. Lo chiamerò io. Diglielo.

Gaby                             - Signora, mi scusi, ma il dottor Ferreira è in una situazione grave. Pare che stanotte abbia avuto un piccolo incidente al Bois, con una signora. Il suo ambasciatore Io ha minacciato di trasferimen­to. Perciò la prega di far intervenire d'urgenza il Quai d'Orsay.

Veronica                       - Va bene. Allora vengo. (Gaby esce) Po­vero Pedro! Lo tireremo fuori da quest'impiccio. Bi­sognerebbe soltanto che lo consolassi un poco, almeno per telefono. Ma non so staccarmi da voi. Permettete un momento signor Gallant?

Gallant                          - Come dire di no, signora Veronica? Pre­go... Prego... (Veronica si allontana voltandosi due o tre volte a guardare Gallant, sul quale frattanto sono piombati Gaston, Thibon e Bichette)

Gaston                          - Il vostro contegno è insopportabile.

Thibon                           - Vi state comportando come un uomo vivo!

Bichette                        - Ma se le ha toccato soltanto un braccio!

Gaston                          - (a Gallant, autoritario) Siamo qui in missione, e voi... .

Gallant                          - (fa un cenno a Gaston perche taccia, li guarda tutti e poi, lentamente, dirigendosi verso il mobile-bar) Accade qualcosa di straordinario.

Gaston                          - A chi? .

Gallant                          - A me. L'ho notato fin dal primo istante in cui ho rimesso piede a Parigi. L'aria stessa che re­ spiravo ebbe per me l'effetto di un liquore. Tutto, lo stormire delle foglie sui Campi Elisi, gli splendori delle vetrine, i marciapiedi affollati, gli odori che uscivano dalle botteghe, tutto era per me vivo, vivo, vivo! (Toccandosi la persona per dare l'impressione che queste sensazioni gli giungano per le vie pm am mali possibili) Il piacere che ho avuto al contatto con la seta di questa camicia! (Tutti lo guardano sba­lorditi) E meraviglioso! E quel whisky! Perche mi avete buttato via quel whisky? Il suo semplice odore mi aveva sconvolto!  E poi ho un buco qui. Non sarà mica fame?! E fame!!! Sapete che vi dico? Ho una fame e una sete del diavolo! (Va al bar e comincia a bere e mangiare con ingordigia)

Bichette                        - E sbalorditivo!

Thibon                           - Sul serio? .

Gaston                          - (dopo una breve pausa, fissando Gallant iro­nicamente) Gallant smettetela! Niente di ciò che dite e che fate può essere vero. Lo leggo chiaramen­te! Sapete che cosa avete ritrovato intatto sulla fac­cia della terra? Il piacere di recitare! Voi! Doveste rinascere cento volte, sareste sempre un attore!

Gallant                          - (ride) Recitare per voi? E che gusto ci sarebbe? (Sempre con il bicchiere del whisky e dei biscotti in mano. A Bichette) Datemi un pizzico qui! (Bichette esegue con forza. Gallant, deliziato) Ahi!

Thibon                           - Deponete quel bicchiere.

Gaston                          - Voi falsate e compromettete tutta la no­stra missione. Vi siete perso dietro quella donnetta...

Gallant                          - Donnetta un corno! L'avete guardata?

Thibon                           - La sua bellezza, non ha nessun peso sulla nostra bilancia.

Gallant                          - Colonnello, da uomo a uomo: quella, sulla mia bilancia, pesa.

Gaston                          - In che senso?

ATTO SECONDO

 (La stessa scena. È sera. Gaby, in abito nero e cre­stina bianca, sta telefonando.)

Gaby                              - Ho terminato adesso di servire il pranzo. C'è un invitato, un certo Gallant... Non ho mai visto uno mangiare e bere con tanta ingordigia. Non si in­terrompeva che per guardare nella scollatura della signora Veronica. Il signor Doriot? ... No... no... tutt'altro. Ne sembrava lusingato. Da quanto ho potuto capire ha affidato alla moglie l'incarico di convincere il signor Gallant a firmare un certo documento. In cambio ha salvato dal trasferimento nel Pakistan il dottor Ferreira, quello dello scandalo al Bois de Boulogne  Come?... No... Cosa vuoi che gliene importi alla signora. Per me, lei vuole solo andare a letto col signor Gallant. È questione di ore, forse di giorni. Stanno arrivando. Ti richiamo. (Riattacca e fa per versare il caffè. Entrano Veronica e Gallant, seguiti da Doriot e poi da Goldor)

Veronica                       - Lascia Gaby, faccio io.

Gaby                             - Si, signora. (Via. Gli uomini hanno indos­sato lo smoking, Veronica una diafana, scollatissima toilette da sera. Goldor e Doriot fumano grossi sigari, Gallant sta sbucciando una banana e la mangia bea­tamente. Doriot porge la scatola di sigari a Gallant)

Doriot                           - Fumate?

Gallant                          - (precipitandosi) Volentieri. Con gioia! (Veronica si fa dare l'accendisigari dal marito e sta per farlo scattare. Gallant glielo toglie dalle mani, divertito)

Gallant                          - Grazie! Faccio da me! (Accende pre­mendo il bottone con la gioia di un bambino. Colpiti da questa euforia, Veronica, Doriot e Goldor guarda­no Gallant con stupore e ammirazione)

Doriot                           - Non posso dire che non abbiate fatta onore alla mia tavola, signor Gallant.

Goldor                          - E vero che siete giovane, ma non avere nemmeno un po' di mal di fegato...

Gallant                          - E una fortunata anomalia.

Gaston                          - Vorremmo un vostro ritratto, signora Doriot. Abbiamo una certa premura.

Veronica                       - Mia madre disse: "Smettila di occuparti dei fatti miei." Fu allora che cominciai ad occuparmi dei fatti miei. Avevo sedici anni. Il tenente della Legione Straniera disse: "Mi fermo a Parigi solo 24 ore." Si fermò tutto l'inverno. Padeloup, il cele­bre direttore d'orchestra, mi disse: "Ma io sono troppo vecchio per te, bambina mia." Gli dissi: "No, non è affatto vero." Due sere dopo mori sul podio... A Berlino incontrai Doriot. Era in viag­gio d'affari. Gli parlai chiaro: "Vuoi sposarmi? Fallo. Ma la mia vita rimarrà una cosa mia. Disprezzo gli uomini, ma sono alla di­sperata ricerca di un uomo. Quando l'avrò incontrato ti strizzerò un occhio e ciascuno andrà per la sua strada."

Gaston                          - ... La nostra piccola città è minacciata. Noi, che an­cora sotto Luigi XV eravamo quasi alla periferia di Parigi, ci tro­viamo oggi nel cuore stesso della metropoli. Ed ecco che qualcu­no ci vuole sfrattare.

Thibon                           - Il signor Doriot, per l'appunto, nel salotto del quale ci troviamo.

Gaston                          - Doriot, è un uomo d'azione e di fantasia. Avete notato come si rade? Col calabrone? Egli dice di noi: "Pigliamoli e tra­sferiamoli in campagna. Il suolo che in tal modo si renderà libero, avrà un valore inestimabile. Vi fonderò un quartiere residenziale di lusso, guadagnandoci sopra alcuni miliardi.''

Bichette                        - Vogliono mandarci via?

Thibon                           - Siamo corsi ai ripari. Abbiamo vivamente protestato a voce e per iscritto.

 Veronica                      - A me non dispiac­ciono certi prodigi, anzi! È nor­male che due persone si vedano per la prima volta e parlino. Ma è anche straordinario...

Doriot                           - Bravo. Prego, accomodatevi. Voi, signor Gallant, siete uno dei pochi proprietari di tombe del cimitero di Passy, cimi­tero che ha smesso di accettare ospiti fin dal 1910. Ciò per me ha semplificato molto le cose.

Veronica                       - Voglio che mi co­nosciate, signor Gallant. Ho una istintiva, profonda fiducia in voi. Voglio dirvi la verità.

Gallant                          - La verità? Ma voi siete bella, signora. Che bisogno avete di dire la verità?

Thibon                           - Signor Gallant, non dimenticate che siete morto nel 1901!

Gallant                          - Si. Ma avevo trent’anni! Io mangio! Io bevo!... Io vivo... Io vivo!...

 Veronica                      - È straordinario. Più vi guardo e più mi incanto. Voi state trasformando le mie abitudini. Per la prima volta, do­po anni, mi piacciono di nuovo i segreti. Che uomo siete, Gal­lant? Avete poteri magici? Ballate con le streghe di notte, nella foresta di Bergerac?

Gallant                          - No, no, Veronica. Di notte dormo. Sapeste quanto si dorme in provincia!

 Gallant                         - Oh, Veronica!... Che cosa c'è nel tuo nome?... Il fiore che chiamano rosa anche con un altro nome sarebbe sem­pre una rosa e riempirebbe l'aria di profumi ugualmente soavi...

Veronica                       - Dove trovi parole cosi?...

Gallant                          - Le rubo, come rubo al tempo i suoi minuti pre­ziosi...

Veronica                       - Non ho mai visto un uomo più vivo di voi! (Accompagnati da una fragorosa risata, ap­paiono dal muro Gaston, Thibon e Bichette)

Gaston                          - Disgustoso!

Bichette                        - Come è andata la cena?

Thibon                           - Vi siete rimpinzato a quanto pare. (Im­provviso crepitare di fuochi d'artificio. I tre hanno un istintivo moto di paura)

Doriot                           - (a Veronica) Andiamo a vedere, cara.

Thibon                           - Che diavolo accade? I tedeschi?!

Gallant                          - Colonnello, è il 14 luglio! Non vi ricor­date? È la presa della Bastiglia.

Gaston                          - La Bastiglia? Hanno preso la Bastiglia? Chi è stato? Come è stato?

Bichette                        - Ah si, ora rammento. Balli in piazza e un po' d'allegria. L'ultima volta che vi presi parte, che feci? Ah si! Mi misi a nuotare nella fontana di piazza della Concordia.

Gaston                          - Con i vestiti indosso, spero!

Bichette                        - Naturalmente, Barone, senza i vestiti!

Thibon                           - Allora, Gallant. A che giuoco giuochiamo?

Gaston                          - È vero. Durante il banchetto non avete nemmeno sfiorato l'argomento che ci sta a cuore.

Bichette                        - (a Gastone e Thibon) Non siate cosi pes­simisti. Il terreno è favorevole. Doriot conta su Ve­ronica perché Gallant firmi il documento. E Gallant conta su Veronica per non firmarlo.

Gallant                          - È proprio cosi. (Veronica, Doriot e Gol­dor, che nel frattempo si sono avvicinati, lo guar­dano)

Veronica                       - Che cosa?

Gallant                          - Pensavo all'aroma ineguagliabile del caf­fè. Un seme abbrustolito... (guarda con intenzione i suoi amici) morto e risorto. Perciò è cosi buono. (Entra Gaby con una grande scatola che depone da un lato)

Goldor                          - Doriot, ecco la sorpresa alla quale ti ave­vo accennato! (Si avvicina alla scatola e la apre. Si tratta di un lussuosissimo bagno in miniatura, com­pleto di tutti i suoi accessori in trasparente materia plastica. Mentre Doriot e Goldor si curvano sul mo­dello per esaminarne i vari pezzi, Veronica guarda verso il vano buio della finestra, nel quale si dise­gnano gli arabeschi di una girandola, punteggiati da una serie di attutite esplosioni)

Veronica                       - Gallant, guardate!  Che meraviglia!  Non sembrano parole di gioia? (Gli sorride, accostandosi un poco a lui) Venite!

Gallant                          - No, per carità, Veronica, non mi guar­date cosi, altrimenti non torno più a Bergerac!

Veronica                       - (ride lusingata, mentre esplode un'altra bellissima girandola) Venite! venite! (Veronica prende per mano Gallant e lo conduce alla finestra. Si protendono un poco sul davanzale e lei mette una mano sulla spalla di lui. Doriot è intanto rimasto as­sorto nell'esame dei vari pezzi della miniatura della stanza da bagno)

Doriot                           - (con la vasca in mano, a Goldor) E dal punto di vista idraulico?

Goldor                          - (soddisfatto) Un miracolo. Tutto regolato automaticamente. Vuoi l'acqua a ventisei gradi? Ba­sta premere il bottone numero ventisei. E questi due pulsanti gialli? Riempimento e svuotamento fulmi­neo... E guarda qua... Hai una prese di corrente?

Doriot                           - Si, vieni, vieni con me. (Ambedue escono da destra)

Gaston                          - (che ha seguito con gli altri, da vicino, le spiegazioni di Goldor e che si è interessato alle varie parti della miniatura con tono disgustato) Mi do­mando se sia un bene o un male questo progresso dell'igiene intima. Il bagno, nel 1760, era un privilegio dell'aristocrazia e dell'alto clero.

Bichette                        - E il popolo?

Gaston                          - Per la plebe c'erano le inondazioni. Quan­to a me, non ho dimenticato la mia tinozza d'argento. La prima domenica del mese era dedicata alle ablu­zioni. Cinque servitori andavano e venivano con le brocche. Bottoni? Se la temperatura eccedeva, facevo frustare il maggiordomo. Volete mettere la preziosità di quella poca acqua che scorreva sulla pelle come una mano amica? Intanto altri servitori mi massag­giavano, mi insaponavano, mi profumavano...

Bichette                        - Quanta gente, barone. E il vostro pu­dore?

Gaston                          - Il pudore di un gentiluomo esiste solo alla presenza di un altro gentiluomo.

Thibon                           - Io feci un bagno a Orleans, in occasione delle mie nozze. Era acqua di fossato, non ne ho un ricordo gradevole. Per lavare un vero soldato bastano la neve, la pioggia, qualche volta il sangue. (Goldor e Doriot rientrano)

Goldor                          - (esaltandosi, con la miniatura in mano) E ai fulgori del mosaico, risponde la nota grave del marmo nero della vasca. Ma dimmi tu, dov'è la Mes­salina, dov'è la Poppea degna di immergersi nell'in­comparabile bagno del Centro Urbano Doriot?

Doriot                           - (si volge verso Veronica che sta rientrando) Che te ne sembra, cara?

Veronica                       - I vostri problemi idraulici non potreste risolverli di là?

Doriot                           - Come vuoi, cara. Vieni, Fausto. (Prende il bagno in miniatura e si avvia) Bisogna tuttavia te­ner presente i costi... (Escono. Veronica chiude la porta, guarda a lungo Gallant. È un po' turbata)

Veronica                       - E allora, signor Gallant?

Gallant                          - E allora, signora Veronica?

Veronica                       - Posso dire quello che penso? Parlare francamente?

Gaston                          - (suggerendo a Gallant) Perché no?

Gallant                          - Perché no?

Veronica                       - È straordinario. Più vi guardo e più mi incanto. Voi state trasformando le mie abitudini. Per la prima volta, dopo anni, mi piacciono di nuovo i segreti. (Parlando come a se stessa) Che uomo siete, Gallant? Avete poteri magici? (Sorridendo) Bal­late con le streghe di notte, nella foresta di Bergerac?

Gallant                          - (sorridendo a sua volta) No, no, Vero­nica. Di notte dormo. Sapeste quanto si dorme in provincia! 

Veronica                       - Sognate, almeno?

Gallant                          - Molto.

Veronica                       - Che specie di sogni?

Gallant                          - È sempre la stessa vicenda. Ho l'età che ho, ma non sono pretore a Bergerac. Vivo invece qui, a Parigi.

Veronica                       - E chi siete?

Gallant                          - Prima la scena. Parigi, si, ma non quel­la di oggi. Non esiste ancora l'automobile. Non vedo che landeaux, tiri a quattro... Passano donne dalla cintura sottile come un anello. Falbalas, gale, veli... Anche l'aria è tutta una sciarpa...          - (Si incanta)

Gaston                          - Ci siamo. Il solito dramma.

Thibon                           - Lo sappiamo a memoria.

Gaston                          - Una partita, colonnello?

Thibon                           - Con piacere.

Bichette                        - Volentieri.

Gaston                          - Come? Anche voi giocate?

Bichette                        - Sono imbattibile nell'écarté. Altrimenti come avrei potuto intrattenere il mio primo amante, il marchese de la Forbe? (Breve pausa) Aveva novant'anni. (I tre si mettono tranquillamente a giocare attorno a un tavolo poco distante)

Veronica                       - (richiamandolo) Continuate Gallant.

Gallant                          - (continuando, dopo aver lanciato un'oc­chiata infastidita verso i suoi amici) Io sono il famoso attore Carlo Gallant. Ogni sera il teatro des Bouffes Parisiens è gremito per me. Recito Ibsen, Sardou, Scribe. Chi viene spesso ad abbracciarmi nel mio camerino, dicendomi: "Carlo, sei stato ineguaglia­bile" ? Dumas, o Zola, o Feydeau... Anche Edwige Duverfoix, la prima donna, mi abbraccia spesso.

Veronica                       - Vostra moglie?

Gallant                          - No. Suo marito è Roger Duverfoix, pro­prietario e direttore dei "Bouffes Parisiens". Edwige chiederà il divorzio. La spunteremo? Duverfoix è una peste. Infatti, ecco, ci ha sorpresi.

Bichette                        - (senza distrarsi dal giuoco) A letto.

Gallant                          - A letto.

Veronica                       - (col gusto del melodramma) Impugna un revolver e spara!  E il sogno finisce qui.

Gallant                          - No no. Duverfoix sorride storto e dice: "Volete rivestirvi? Io vi attendo in salotto". Vuole la nostra pelle. Solo che è un chimico della vendetta. Tre sere dopo, Edwige sviene per la prima volta sul­la scena. Ciò si ripete spesso nei successivi tre mesi. (Gallant tace per un attimo)

Veronica                       - E poi?

Gallant                          - Muore. La morte di Edwige non persua­de i medici. Infatti nel mio camerino viene scoper­ta una boccetta di veleno. Un anno dopo, io cambio palcoscenico. Accidenti a me, si tratta del patibolo. Del pubblico non posso lagnarmi. Ne ho più che ai "Bouffes Parisiens". Cerco di recitare passabilmente la mia ultima parte. Il curioso è che vedo la mia te­sta rotolare nel paniere, come se fossi a mia volta uno spettatore. E continuo a vedere: vedo Duver­foix, il vero assassino, raggiungere felicemente gli ottant'anni, vedo sulla sua tomba le parole: "Gloria del teatro francese, dedicò la sua vita ad alte opere di giustizia umana. Amò sua moglie, che qui ingenero­samente volle precederlo, come se stesso. Fulgido esempio di carità ed altruismo, angelo di bontà". Ah, Veronica, vorrei che l'inferno consistesse per Duver­foix nel dover essere eternamente come la sua epigra­fe lo descrive!  Angelo di bontà!

Veronica                       - (sorpresa del tono doloroso di Gallant) Ma questo è un dramma!  Altro che sogno.

Gallant                          - (con altro tono) E voi, Veronica, non sognate mai?

Veronica                       - Come no. Anche adesso, sto sognando. Ad occhi aperti.

Gallant                          - Che cosa?

Veronica                       - Non so se ho il coraggio di dirvelo.

Gallant                          - Ditelo.

Veronica                       - Sto sognando... voi! ...

Gallant                          - Me?... (È un po' confuso e di nuovo guar­da, turbato, le belle forme di lei)

Veronica                       - (dopo una pausa, parlandogli senza guar­darlo in faccia) E sciocco, quello che sto per dir­vi, ma non posso impedirmelo.

Gallant                          - Coraggio.

Veronica                       - (abbassa il capo e si copre il volto con te mani) Per favore, dite lentamente le parole... ane­mone e pistillo. (Gallant trasalisce. Anche i suoi ami­ci che, pur continuando a giuocare, hanno seguito evidentemente il dialogo, depongono ora le carte, si alzano, si avvicinano)

Gallant                          - È proprio necessario?

Veronica                       - Si.

Gallant                          - (rassegnandosi, ma con tono inespressivo) Anemone.

Veronica                       - Avanti.

Gaston                          - Volete uno specchio?

Gallant                          - (allarga le braccia guardando i suoi ami­ci, come per dire: "Che ci posso fare? Sono in bal­lo") Pistillo.

Thibon                           - Idiota!

Veronica                       - Ora ditelo con più dolcezza.

Gallant                          - (con l'intonazione voluta da Veronica) Anemone. Pistillo.

Veronica                       - (come rispondendo a un'interna doman­da) Si si... Adesso, come ribattendo a un'ingiuria, a uno schiaffo.

Gallant                          - Anemone. Pistillo!

Thibon                           - (con la stessa intonazione) Cretino! 

Veronica e Gallant        - Anemone... Pistillo!... Pistil­lo... Anemone... Anemone... Pistillo... (Veronica rialza infine il volto. Fissa Gallant. Ha pianto. Sempre più sorpreso, Gallant le si avvicina premurosamente, le asciuga gli occhi con il fazzoletto, vorrebbe dire qual­cosa, ma Veronica glielo impedisce abbracciandolo improvvisamente, baciandolo con violenza sulla bocca. Inutilmente Gaston, Thibon e Bichette tentano di separarli. I fuochi d'artificio della Torre Eiffel man­dano riflessi variamente colorati dalla finestra. Gal­lant, che in un primo momento è rimasto passivo, si avvinghia a sua volta a Veronica. L'abbraccio, per quanto ostacolato dai tre personaggi incorporei, è co­si forte, che Veronica e Gallant cadono riversi sulla poltrona, continuando a baciarsi. Gaston Thibon e Bichette raddoppiano i loro tentativi di separarli. As­sistiamo a una piccola serie di fenomeni: un vento vorticoso investe la poltrona sollevando i capelli di Veronica e agitando i vestiti di Gallant. Bichette af­ferra un tagliacarte e punzecchia con esso ora l'uno ora l'altro, senza il minimo risultato. Gaston fa allo­ra un cenno e la poltrona comincia a girare su se stessa. Ma nemmeno questo vortice ha effetto sulla coppia che rimane allacciata)

Bichette                        - È inutile. L'amore è più forte di qua­lunque cosa!

Gaston                          - Presto! Chiamiamo Doriot! (L'uscio a si­nistra si apre e, come evocato, appare Doriot. Gal­lant e Veronica non si accorgono della sua presenza. La poltrona continua a girare su se stessa. Doriot si pianta a gambe larghe presso la poltrona impazzita e la ferma con un piede. La piccola scossa finalmente fa riscuotere i due. La prima a riprendersi è Vero­nica)

Veronica                       - (sorride riprendendo il suo tono frivolo) Oh caro! Avevo dimenticato che eri in casa!

Doriot                           - Ora lo sai. Vuoi avere la cortesia di la­sciarci soli?

Veronica                       - (a Gallant) A più tardi, Gallant. (Mol­to tenera) Vado di là a riflettere. (Si avvia lentamen­te verso destra. Poi si ferma. Si volta. A Doriot) Ti ricordi il nostro piccolo patto di Berlino?

Doriot                           - (cupo) Che patto?

Veronica                       - Stabilimmo che un giorno ti avrei striz­zato l'occhio.

Doriot                           - Ebbene? (Veronica, senza una parola, gli strizza l'occhio. Si riavvia. Si ferma di nuovo. Si vol­ge e strizza nuovamente l'occhio al marito. Esce)

Bichette                        - E adesso cosa succederà?

Thibon                           - Cribbio!  Da noi non accade mai niente!

Gaston                          - Dovremmo pigliarlo a calci ed eccoci in­vece qui, col fiato sospeso. (Thibon, Gaston e Bichet­te prendono tre sedie, alle spalle di Doriot, e le di­spongono in fila, sedendovisi)

Doriot                           - (che è rimasto tutto il tempo a guardare Gallant, gli rivolge finalmente la parola, con ostenta­ta calma e gentilezza) Signor Gallant...

Gallant                          - Prego.

Doriot                           - Vi piace la mia casa?

Gallant                          - Bella.

Doriot                           - Il mio pranzo?

Gallant                          - Eccellente.

Doriot                           - I miei liquori? le mie sigarette?

Gallant                          - Squisite.

Doriot                           - E mia moglie? (Silenzio di Gallant. In un attimo, Doriot ha cambiato espressione, le sue ma­scelle si contraggono. Quasi gridando) Un pretorucolo di Bergerac! Un ignobile sfruttatore di antenati, che vorrebbe estorcermi una fortuna per il trasloco del suo lercio prozio! Sia ben chiaro che io non vo­glio più la vostra adesione al mio progetto. (Gaston, Thibon e Bichette si rallegrano di questa dichiara­zione. Ma Doriot continua) Eliminerò il cimitero di Passy, doveste intentarmi tutti i processi del mondo! Non avrete un soldo! (Gli si è avvicinato minaccio­so, quasi mettendogli le mani addosso) Un volgarissimo individuo che si getta sulle mense come un giaguaro!  Un uomo che si veste... (gli solleva il bave­ro della giacca) lo avrei giurato! ai Magazzini Lafayette! Che bacia una donna facendo volteggiare le poltrone!  Che altro sapete fare, mentre baciate una donna?

Gallant                          - (freddissimo) E voi? Mentre baciano vostra moglie?

Doriot                           - (estraendo la pistola e puntandola su Gal­lant) Questo! (Gaston, Thibon e Bichette sono bal­zati in piedi. Gaston si precipita verso i due e arriva in tempo a tendere la mano, mentre parte il colpo. Fuori si odono gli spari dei fuochi del 14 luglio. Ga­ston afferra al volo la pallottola e la consegna a Gal­lant, il quale la solleva fra due dita, mostrandola a Doriot e porgendogliela. Doriot macchinalmente pren­de la pallottola e la considera)

Gallant                          - Signor Doriot, non vi riconosco più. Con un gesto simile avete rischiato trent'anni di galera e fors'anche la vedova dalla gamba di legno... (posan­dosi un dito nella fascetta) la ghigliottina. D'altron­de, incidenti come quelli di poco fa, a voi capitano tutti i giorni. Debbo far nomi? (Doriot, che sta in­fantilmente considerando, sbalordito, ora la pistola ora il proiettile restituitogli, ha un secondo puerile scatto. Punta di nuovo la pistola e preme il grillet­to, netto stesso istante in cui Gaston tende la mano a intercettare il proiettile, che viene nuovamente ri­messo a Gallant)

Gallant                          - (prendendo il proiettile all'altezza del suo petto) Neppure una mitragliatrice otterrebbe l'ef­fetto che desiderate.

Doriot                           - Inaudito (Con gli stessi occhi sbarrati, Doriot si avvicina a Gallant, gli apre la giacca sul petto, come per assicurarsi che non abbia un corset­to d'acciaio. Doriot arretra di qualche passo, barcol­lando)

Gallant                          - (afferrandolo per un braccio) Non in­tendete rinunciare al Centro Urbano Doriot?

Doriot                           - No!

Gallant                          - Allora state bene a sentire. Il defunto Carlo Gallant, sepolto nella tomba che sapete, qui sotto, e che volete profanare, sono io.

Doriot                           - (cade a sedere, lo guarda, poi scoppia in una risata nervosa) Storie! In quale circo lavorate? Ho capito con chi ho a che fare!  Voi...

Gallant                          - (molto serio, non mollando la- presa) Datemi retta!  Non vi parlo soltanto in mio nome.

Gaston, Thibon, Bichette - Non ci seccate!

Gallant                          - Non sostituite un filo d'erba. Altrimen­ti... (Fa un cenno ai suoi amici)

Doriot                           - (ride ancora, ma il nervosismo si è accen­tuato) Istrione!  Saltimbanco!  Zingaro!  Credete di spaventarmi?

Gallant                          - Come volete. Allora, a voi! (Gallant si siede tranquillamente, prende la scatola delle siga­rette, accende, fuma. Gaston. Thibon e Bichette en­trano in azione, dando una raggelante rappresenta­zione delle loro facoltà soprannaturali. Oggetti vola­no da un punto all'altro della stanza, precipitano mo­bili e candelabri, appaiono luci e fosforescenze sui muri, eccetera. Doriot è infine sconvolto e persuaso. Madido di sudore freddo, si asciuga ripetutamente col fazzoletto)

Gallant                          - Basta cosi?

Doriot                           - Basta cosi.

(Tutto si cheta e Gallant porge a Doriot un bicchie­re di cordiale)

Gallant                          - E ora supponete di trovarvi nel sontuo­so Centro Urbano Doriot. In ogni camera accade ciò che avete visto accadere qui. Ogni vostro inquilino subirà lo stesso trattamento. Chi vorrà più abitarvi?

Doriot                           - (che via via sta riacquistando una certa pa­dronanza di sé) Non nego che la vostra esibizione mi abbia colpito, signor Gallant! Abbiamo trasceso, entrambi, ma per fortuna senza apprezzabili conse­guenze. Tutto è accaduto perché ciascuno ignorava la vera situazione dell'altro.

Gallant                          - Dove volete arrivare?

Doriot                           - Voi subiste un processo e una condanna infamanti. Posso ottenervi una solenne riabilitazione.

Gallant                          - Me ne infischio.

Thibon e Bichette         - Ce ne infischiamo.

Gaston                          - Mentalità da rigattiere.

Doriot                           - Posso fare intitolare al vostro nome una delle più belle strade di Parigi. Posso farvi elevare un monumento. Non eravate un attore?

Gallant                          - Grandissimo.

Doriot                           - Fondiamo un teatro che abbia il vostro nome! Fondiamo un teatro!

Gallant                          - Non siate ridicolo! (Riscaldandosi) Che volete che importi a me, che importino a noi tut­te queste cose? Avete un metro? Moltiplicatelo per un miliardo di miliardi di anni-luce. A quella distan­za noi siamo dai monumenti, dai teatri, e dal diavo­lo che vi porti!

Doriot                           - (rosso di collera) Distanze? Disinteresse? Perché, allora, poco fa, vi ho sorpreso abbracciato a mia moglie? (Gallant è visibilmente centrato dalla botta di Doriot. Ma non reagisce perché la porta a destra si apre ed appare Veronica)

Veronica                       - Avete finito? (Si siede con disinvoltura sul divano, guarda i due uomini che tradiscono an­cora una forte emozione e cerca femminilmente di trarli d'impaccio) Qualcuno mi offre da bere? (Doriot e Gallant si precipitano al bar e gareggiano a chi pre­para prima il whisky per Veronica. Doriot è più pronto di Gallant, ma Veronica, prende il bicchiere che le porge Gallant. Bevono)

Veronica                       - Debbo parlarti, Doriot.

Gallant                          - In questo caso, me ne vado.

Veronica                       - Ma no, Carlo. Voi siete parte in causa.

Gallant                          - Allora rimango.

Veronica                       - (a Doriot) So che non occorrono molte parole con te. Il nostro matrimonio è stato una lunga e salda amicizia. Conoscevi le mie inquietudini e le mie speranze. Ebbene, Carlo finalmente è venuto.

Doriot                           - (vagamente divertito) Si chiama Carlo?

Veronica                       - Si, lo so adesso. Ero certa che lo avrei riconosciuto da un piccolo segno, da una sfumatura della voce, da una luce impercettibile...

Bichette                        - Da una pepita...

Veronica                       - (accettando il soprannaturale suggerimen­to) Da una pepita d'oro... (Gallant, a queste paro­le, non può non pavoneggiarsi un poco. Thibon gli sferra un calcio. Gallant ritira di scatto la gamba. Ve­ronica lo guarda sorpresa. Doriot, al contrario, intui­sce di che si tratta)

Doriot                           - Cara, posso informarti che se c'è al mon­do un uomo distante... hai un metro?... miliardi di an­ni-luce dall'idea che tu ti sei fatto del signor Gallant, è proprio il signor Gallant.

Veronica                       - Ti prego. La nostra posizione non è facile. Dobbiamo risolverla rapidamente. Ho riflet­tuto a lungo. Non possiamo più vivere insieme, io e te. Devi concedermi il divorzio. Amo Carlo. Voglio Carlo, subito. (Gallant ha un sussulto, mentre Doriot scoppia a ridere)

Doriot                           - Divorzio? Ma lui che ne pensa? Ti ha fat­to una regolare domanda di matrimonio, forse?

Veronica                       - Come no? Poco fa, su questa poltrona. C'eri anche tu. Il signor Gallant è un gentiluomo. Chi può pensare che lui, un magistrato, un uomo di leg­ge, vada arraffando baci in casa d'altri? No. Egli mi ama!... (Nuovamente a Gallant) Carlo... Carlo...

Gaston                          - (intervenendo, a Gallant) Voi le direte immediatamente che si sbaglia.

Gallant                          - Io non le dirò mai niente di simile!

Veronica                       - Come?

Gallant                          - No, dicevo... Siete voi, Veronica che do­vete decidere.

Doriot                           - (a Veronica, serio) Non precipitiamo, Ve­ronica. Niente divorzio. Io sono convintissimo che tu ti sbagli sul suo conto. Egli non ha la pepita. Non può averla, no, non può averla.

Gallant                          - (a Doriot un po' impacciato) Mi vuole!...

Doriot                           - Lo vuoi? Prendilo. Io me ne vado. Gli la­scio il posto per un mese. Farò un viaggetto in Gre­cia. Raggiungerò a Cannes, domani, il mio panfilo. Non rientro stanotte. Signor Gallant, vi affido Vero­nica.

Veronica                       - Dove dormirai stanotte?

Doriot                           - Al circolo. Ho voglia di bere.

Veronica                       - Non devi essere in collera con me. Ci siamo sempre intesi.

Doriot                           - Non sono in collera. Solo un po' preoccu­pato. Questa volta è diverso, molto diverso. (Infatti Doriot vede Gallant che, oltre le spalle di Veronica, tenta di sfuggire a Gaston. Thibon e Bichette, divin­colandosi)

Veronica                       - (illuminandosi) Lo credo, lo spero!

Doriot                           - Non vuoi riflettere ancora un poco?

Veronica                       - No.

Doriot                           - Allora... buona notte.

Veronica                       - (Doriot è già sull'uscio) Ti faccio pre­parare la valigia da Gaby? Te la mando al Circolo.

Doriot                           - Si. Grazie. (Prima di uscire, a Gallant) Signor Gallant, non spaventatela!

Gallant                          - (brillante, accompagnandolo) Per cari­tà! Prego... Da questa parte!.... (Doriot esce)

Veronica                       - Carlo, un minuto e torno... Un minuto solo... (mandandogli un bacio sulla punta delle dita, esce da destra in p. p. chiamando) Gaby! Gaby! (Appena Veronica è scomparsa, i tre afferrano Gal­lant e lo tengono fermo)

Gaston                          - - Se credete di poter arrivare in fondo a questa lurida storia, vi sbagliate. Colonnello, datemi il cordone di quella tenda. (Thibon taglia il cordone della tenda con una sciabolata)

Gallant                          - (preoccupato) Che volete fare?

Gaston                          - Vi legniamo e vi portiamo via.

Thibon                           - La nostra missione è fallita.

Gaston                          - (cominciando, aiutato da Thibon e da Bichette, a legare Gallant) Doriot se n'è andato, e voi state per offrire alla signora Veronica un vago, de­nigratorio spunto per la sua ennesima notte nuziale.

Gallant                          - (mentre Gaston, sempre aiutato dagli al­tri, gli stringe la corda alle mani e ai piedi) Ma non potete far questo... non potete far questo... La­sciatemi! È una crudeltà... Una sopraffazione!... Ahi! Basta! Ahi!

Bichette                        - Ma come lo portiamo via?

Gaston                          - Usciremo dalla finestra. (Entra Gaby da destra con una valigia. Si ferma divertita a guardare Gallant)

Gaby                             - Signor Gallant!  Lei diventa sempre più stravagante! (Esce da sinistra)

Gallant                          - (che è stato rovesciato a pancia sotto sul divano) Ahi! Aiuto! Mi volete far morire?

Gaston                          - Perché no? Il vostro corpo ci ha seccati abbastanza. (Stanno proprio per sollevarlo legato mani e piedi in modo che non possa sciogliersi, quan­do la porta a destra si apre ed appare Veronica)

Veronica                       - (che si ferma sbalordita dalla situazione di Gallant) Carlo! (Si guarda attorno) Chi è en­trato qui? (Corre a sinistra, apre la porta, guarda fuori) C'è qualcuno? (Torna verso Carlo) Che vi han­no fatto?

Gallant                          - (che è riuscito intanto, con difficoltà, a ro­vesciarsi su un fianco e a sollevarsi, cerca di darsi un contegno disinvolto. Con tono frivolo, ridendo) Vi piace? E un giochetto di mia invenzione. Lo faceva­mo in collegio. Ma ho dimenticato il meglio. Non so più sciogliermi.

Veronica                       - (china su di lui, comincia a scioglierlo) Benedetto ragazzo, ma come vi è venuto in mente?

Gallant                          - (con le gambe già libere, e mentre Veroni­ca gli scioglie i nodi dei polsi, annaspa alquanto nei concetti che sta per esprimere) Vi dirò. Era un momento cosi importante, cosi bello della mia vita... Ho sentito che mi sfuggiva... E allora l'ho voluto fer­mare. (La guarda appassionatamente) Ci sono riusci­to!  Eccovi qua. L'espressione del vostro volto non è cambiata! Voi mi amate, Veronica... (Libero final­mente balza in piedi, si avvinghia a Veronica e la ba­cia forsennatamente. Gaston, Thibon e Bichette si guardano sgomenti)

Gaston                          - Bisogna immediatamente provvedere! (A Thibon e Bichette) Voi due, tenetelo d'occhio. Io mi reco all'ufficio Z. (E impettito scompare attraver­so il muro. Veronica e Gallant si staccano ansiman­do)

Veronica                       - (balbetta) Amor mio!...

Gallant                          - (che nel frattempo ha versato due whisky, euforico) Brindiamo!

Veronica                       - (toccando col suo il bicchiere di Gallant) A te!

Gallant                          - A noi due!

Veronica                       - (beve un sorso) No, aspetta! (Intreccia il suo braccio a quello di Gallant per fare il brindisi della fratellanza. Bevono) Ancora!

Gallant                          - Ancora! (Rifanno il brindisi. Vuotano il bicchiere. Poi, con una risata, Veronica lancia il suo bicchiere contro la parete. Bichette lo afferra al volo e lo fa dissolvere oltre la finestra)

Veronica                       - (infantilmente sorpresa: è già un po' brilla) Hai sentito? Non è caduto!

Gallant                          - E non cadrà mai. Sta volando. Guarda. Eccolo là... (e indica la finestra che dà sul balcone)

Veronica                       - (allacciata a lui, avvicinandosi alla fine­stra) Si, si... hai ragione... Lo vedo... Porta nostre notizie alle stelle. (Lo bacia rapidamente, teneramen­te su una guancia, restando al suo fianco) Ah, che notte! (Si volge, poggia le spalle sul suo petto) Hai un orologio? Fracassalo. Ho voglia di fare mille cose in un attimo!

Gallant                          - Mangiamo! (Veronica si stacca da lui, si guarda attorno, come alla ricerca di qualcosa di ec­cezionale da fare)

Veronica                       - Come mangiamo? No., no...

Gallant                          - (prendendo una scatola di fiammiferi e ac­cendendone uno) Incendiamo tutto?

Veronica                       - (dopo aver considerato un attimo la pro­posta) Si! No no... prima balliamo! (Veronica cor­re al radiogrammofono, mette un disco. Si odono le prime battute di un mambo e Veronica accenna, sen­sualissima, ad alcune figure della danza. Gallant la guarda sempre più eccitandosi, ma, non conoscendo il mambo, dice fra sé)

Gallant                          - Che roba è questa? (a Veronica) Non hai... in quella scatola... un bel valzer di Strauss?

Veronica                       - Certo, certo... Un valzer, come no!

Gallant                          - Sono cinquant’anni che non ballo.

Veronica                       - Cinquant’anni?

Gallant                          - Voglio dire, è tanto di quel tempo che non ballo... (A Thibon e a Bichette) E voi perché non ne approfittate per andarvene a fare un giretto? Che ci state a fare qui?

Thibon e Bichette         - No! No! Noi restiamo qui. (Veronica corre nuovamente al radiogrammofono, in­terrompe il mambo, lo sostituisce con un celebre val­zer viennese. Alza un lembo della gonna, getta in aria le scarpe, inizia il movimento. È fra le braccia di Gallant. Cominciano a ballare con passione, bacian­dosi ripetutamente. La musica e lo spettacolo della coppia che danza, hanno su Bichette un effetto im­prevedibile. Poi, di colpo, si abbandona a sua volta alla danza, percorrendo nei volteggi tutto il palcoscenico, e sfiorando spesso Veronica e Gallant)

Thibon                           - (con scarsa convinzione) Mi vergogno di voi, Bichette.

Bichette                        - (sempre volteggiando) Ed io di voi, Co­lonnello.

Thibon                           - Cribbio! Il mio vecchio sangue militare, si intorbida e ribollisce! A me, Bichette! (Bichette si avvicina. Thibon, staccato dalla cintura lo sciabo­lane, fa un corretto inchino e, con estrema delicatez­za, prende per la vita Bichette. Danzano presto scom­parendo oltre il muro. Veronica cambia ancora la musica. Si tratta ora di un valzer lentissimo)

Gallant                          - Veronica... torno a sognare...

Veronica                       - Io continuo a sognare...

Gallant                          - Come farti comprendere... Io... io sono ancora qui e tutto ha l'aspetto che ha, solo che sem­bra un miracolo...

Veronica                       - E un mio potere.

Gallant                          - Lo so, amore... Oh, Veronica!... Che co­sa c'è nel tuo nome?... (Come per una lontanissima reminiscenza) Il fiore che chiamano rosa anche con un altro nome sarebbe sempre una rosa e riempireb­be l'aria di profumi ugualmente soavi...

Veronica                       - Dove trovi parole cosi?...

Gallant                          - Le rubo, come rubo al tempo i suoi mi­nuti preziosi...

Veronica                       - No! No! Voglio che il tempo si dimen­tichi di noi! (Sì stacca bruscamente da Gallant)

Gallant                          - Che c'è?

Veronica                       - Niente!  Tutto!  Raggiungimi fra cinque minuti... no no... Vieni quando ti chiamerò io... Ti di­rò una parola...

Gallant                          - Quale?

Veronica                       - Mah... (Ride) Ecco: Bagdad... e solo allora tu entrerai! Ricorda: Bagdad! Non prima... (E scompare. Thibon e Bichette ricompaiono improv­visamente dalla parete, si avvicinano a Gallant che sta versandosi ancora da bere)

Thibon                           - Siete ubriaco.

Gallant                          - No.

Thibon                           - Si!

Gallant                          - Si!

Thibon                           - Fino al punto da rispondere affermativa­mente ai... bagdad della signora Veronica?

Gallant                          - Si.

Thibon                           - Seguitemi. Ora basta!

Gallant                          - Colonnello, non mettetevi contro di me.

Bichette                        - Mi pare che adesso abbiate passato ogni limite.

Gallant                          - Bichette, faccio appello alla vostra memoria, ai vostri ricordi personali. Quante volte nella vi­ta un uomo può ricevere un dono simile? Forse una sola volta, forse mai. Colonnello, voi foste uomo. Che avreste fatto se un amico vi avesse impedito di ri­spondere ai bagdad di una donna come Veronica?

Thibon                           - Lo avrei passato da parte a parte con la mia spada!

Bichette                        - Bravo colonnello!

Thibon                           - Caro Gallant... Io mi metto nei vostri panni, ma non posso danneggiare la mia pace eter­na per voi. Me ne vado.

Bichette                        - Io pure me ne vado. Ma avete lasciato la valigia all'albergo. Come farete? (Dopo un attimo di riflessione) Aspettate un momento... (Bichette con un gesto fa apparire dall'atmosfera un pigiama che rimette a Gallant)

Gallant                          - Grazie, Bichette... Arrivederci.

Bichette                        - Arrivederci!...

Thibon                           - Ho idea che vi si possa dire addio... Mah... Comunque, per il momento, beato voi!

Bichette                        - Beata lei. (Scompaiono attraverso il muro)

Gallant                          - (si guarda attorno, felice) Io bevo... Io fumo... Io amo... Io amo... (mormorando queste paro­le, si avvicina, con passo di danza, alla camera di Ve­ronica. In questo momento dalla finestra entrano Gaston e un nuovo personaggio. È una donna, vestita di celeste, con una borsa in mano)

Gaston                          - (indicando Gallant) Eccolo. (Gallant si volge, li vede, sussulta. Lentamente, come dominato dalla volontà del nuovo personaggio, si avvicina)

La funzionaria               - (dopo aver guardato verso la porta di Veronica) Signor Gallant, la vostra condotta è inqualificabile. Non nego che un errore sia stato com­messo dall'ufficio Z. Il vaccino AF 32 fu confuso con l'additivo 323. Comunque, rimediamo subito.

Gallant                          - Che volete fare?

La funzionaria               - Scopritevi il braccio.

Gallant                          - (angoscialo, guardando verso la porta di Veronica) Volete immunizzarmi? Adesso...

La funzionaria               - Naturalmente. Obbedite. (Gaston toglie la giacca a Gallant, mentre la funzionaria apre la valigetta, ne estrae una siringa)

Gallant                          - Vi scongiuro!  Non adesso!  Non adesso!  Fra dieci giorni non è la stessa cosa?

La funzionaria               - No.

Gallant                          - Domani? Fra un'ora? (Gaston gli ferma il braccio. La funzionaria, scuotendo la testa, pratica l'iniezione. Una grande calma si fa repentinamente in Gallant)

La funzionaria               - Come vi sentite adesso?

Gallant                          - (con tono di voce completamente diverso, pieno di una vaga mestizia) Bene.

La funzionaria               - Anche l'ubriacatura vi è passata?

Gallant                          - Si.

La funzionaria               - Vi terrete a disposizione del Ba­rone de la Tour Fleury. Addio! (Si avvia e scompare dalla finestra)

Gaston                          - (ironico) Volete salutare la signora Doriot? (Ride. Scompare nella parete)

Veronica                       - (da dentro) Bagdad! Bagdad! (Gallant si avvicina alla porta di Veronica, esita)

Veronica                       - (da dentro con qualche tono di preoccu­pazione nella voce) Bagdad! Bagdad! (Gallant fa un grande gesto sconsolato, volge le spalle alla porta di Veronica, si allontana)

Veronica                       - (accentuando nervosamente il richiamo) Bagdad! Bagdad!...

ATTO TERZO

(La scena e vuota. Squilla il telefono. Gaby va a rispondere).

Gaby                             - Pronto? Buongiorno, signor Goldor. No, il signor Doriot è sempre fuori Parigi. Non so quando rientrerà. Anche il signor Gallant non fa che chie­dermi: Quando ritorna il signor Doriot?... Sissignore, il signor Gallant abita qui. No. Non sta troppo bene, anzi. La signora lo tiene quasi sempre a letto... Come? Mangia troppo? Un attacco di fegato? Si figuri. Da quando abita qui, non tocca cibo. È sempre più stra­vagante. Fa lunghi discorsi con le pareti. L'armadio per esempio, lo chiama colonnello. I medici non ci capiscono nulla. Vanno e vengono. La signora ha de­ciso di consultare uno psicanalista. Il professor Krumm... È bravo? Meglio cosi. (Entrano Gallant e Veronica) Devo salutarla signor Goldor. (Riattacca) Come va oggi il signor Gallant?

Gallant                          - Grazie, va... È tornato il signor Doriot?

Gaby                             - No. (Esce da sinistra)

Veronica                       - Hai sete caro?

Gallant                          - Sete? No

Veronica                       - Come ti senti, meglio?

Gallant                          - No, sempre lo stesso.

Veronica                       - Allora ti vado a preparare lo zaba­glione.

Gallant                          - No, lo zabaglione no... Ti prego...

Veronica                       - Ti farà bene... Siedi qui... (Esce a de­stra)

Thibon                           - (apparendo dal muro) Buona idea, la vo­stra, di fingervi ammalato. Vi sono trincee che nem­meno una donna come Veronica può espugnare...

Gallant                          - A che punto siamo con Doriot?

Thibon                           - Abbiamo affrettato il suo ritorno. È fu­rioso. Crociera? Vita d'inferno! Il Barone gli ha te­nuto gli occhi aperti con due dita ogni notte. Bichet­te gli ha fatto perdere, con errate ispirazioni, venti milioni di franchi alla roulette. Cosi egli ha rinunzia­to al Peloponneso, è tornato a Cannes, ha preso un aereo e sta per atterrare a Orly.

Veronica                       - (entrando con lo zabaglione) Ecco lo zabaglione. Ti farà bene. (Gli porge il bicchiere) Be­vilo tutto, però! (Thibon intanto sta richiamando dall'atmosfera un bicchiere vuoto identico a quello di Gallant. Suonano. Veronica si avvia un istante verso la porta e la sostituzione dei bicchieri e ope­rata. Thibon va a gettare il bicchiere fuori del balco­ne, mentre Gallant finge di aver bevuto)

Veronica                       - Deve essere il professor Krumm.

Gaby                             - (entrando) C'è il professor Krumm.

Veronica                       - Fallo entrare.

Gaby                             - Subito. Io intanto, signora, vado a fare delle spese. (Gaby introduce il professore e scompare a sinistra)

Krumm                          - (è un quarantenne molto elegante, che cer­ca di fondere in sé un filosofo e un ballerino: cerimo­nioso, grazioso, e tuttavia abbastanza solenne) Buongiorno. Buongiorno...

Veronica                       - Vi ringrazio di essere venuto, professo­re. Vi presento il signor Carlo Gallant. (Gallant ac­cenna ad alzarsi) Carlo, il professor Krumm.

Krumm                          - (poggiando una mano sulla spalla di Gal­lant e sedendoglisi accanto) Comodo. Comodo.

Veronica                       - Prego, professore. Dunque i professori Simonin e Lefebvre trovano il signor Gallant perfet­tamente sano e perfettamente ammalato. Da venti giorni cercano una definizione precisa di questa con­dizione. La troveranno?

Krumm                          - Non lo escludo. Tuttavia preferisco pre­scindere dai loro studi e dalla loro stessa esistenza. Immaginiamo che il signor Gallant sia infermo o sano da poche ore e ne parli adesso per la prima volta con me.

Gallant                          - (dopo aver scambiato un'occhiata con Thi­bon, guarda divertito il professore) Volete auscul­tarmi?

Krumm                          - No no no... Vi guardo, conversiamo ed è tutto. (Indicando il balcone) Che magnifica gior­nata! Ho fatto un lungo tratto a piedi, venendo qui. Adoro, quando Parigi è cosi limpida, le viuzze di Montmartre dipinte da Utrillo. A voi piace Utrillo, signor Gallant, o preferite dipinti di grosso impian­to? Che so?... Delacroix, Michelangelo?

Gallant                          - (intuendo che in questa domanda ci siano sonde psicanalitiche) Ora come ora, sono per una pittura discreta, umile.

Krumm                          - Miniature?

Gallant                          - Eh, eh...

Krumm                          - (che ha corrugato un po' la fronte per evi­denti motivi di studio torna mondano) Ne ho una collezione e ve la mostrerò. Conoscete bene Parigi, signor Gallant?

Gallant                          - Si... (Thibon gli batte la mano sulla spalla; Gallant si corregge) No... Vengo da... (Ha un'esitazione) Bergerac.

Krumm                          - Peccato. Una domanda, signor Gallant. Avete mai sofferto, da bambino, di balbuzie?

Gallant                          - Mai.

Krumm                          - Nemmeno il timore di non riuscire a pronunciare correttamente una parola un po' lunga, un po' difficile?

Gallant                          - No, la sillabavo, magari, ma la dicevo tutta.

Krumm                          - Dietilmalonilurea.

Gallant                          - Dietilmalonilurea. Fenildimetilsopirazolone.

Krumm                          - (preso alla sprovvista) Fienil... papil... fillone.

Veronica                       - Professore, non sarebbe meglio venire al fatto?

Krumm                          - (un po' piccato) La psiche dell'uomo, signora, è un oceano. Bisogna gettarvi infinite reti con infinita pazienza. Comunque, se preferite, andia­mo pure all'origine dei fatti lamentati. Dunque, il signor Gallant è stato colpito da un'improvvisa, gra­ve insufficienza. (Lo guarda attentamente) Signor Gal­lant, cinque minuti prima che il fenomeno si verifi­casse, eravate sicuro di voi?

Gallant                          - Sicurissimo.

Krumm                          - E quando il fenomeno sopravvenne, era­vate sicuro di non poterlo superare?

Gallant                          - Sicurissimo.

Krumm                          - Signora Doriot, volete esporre i fatti dall'inizio?

Veronica                       - (dopo una breve pausa di raccoglimento) Conobbi Carlo la mattina stessa del giorno della disgrazia. Il nostro primo contatto non fu piacevole. Io lo presi a schiaffi.

Krumm                          - Alt. Questo è già un seme negativo. Può aver lasciato tracce profonde nel soggetto...

Veronica                       - Per carità, professore, è da escludersi. Un attimo dopo, noi avevamo capito di essere fatti l'uno per l'altra. È vero, Carlo?

Gallant                          - (sempre vago) L'uno per l'altra.

Krumm                          - Può darsi. E la legge del pendolo psi­cologico. I due punti - ceffoni baci - coesistevano in voi. C'è odio nel desiderio e c'è tenerezza nella re­pulsione. Infatti, perdonatemi, signora Doriot, schiaffi o carezze, è sempre una maniera di mettere le mani addosso a qualcuno. (Veronica sorride e fa una ca­rezza a Gallant. Krumm interrompe l'effusione e fa cenno a Veronica di scostarsi dall'infermo ospite) Ma torniamo ai fatti. Ai ceffoni segui la riconcilia­zione. Che accadde poi?

Veronica                       - Carlo rimase a cena da noi. Il suo ec­cellente appetito sorprese tutti.

Krumm                          - Questo è un elemento positivo. I felini, nell'imminenza della stagione degli amori, effettuano vere stragi di antilopi. Mi riferisco naturalmente ai maschi. Le femmine invece trascurano il cibo. E dopo cena, che avvenne?

Veronica                       - Restammo soli.

Krumm                          - Come eravate vestita?

Veronica                       - Una toilette verde ramarro, con una fascia di paillettes che dal seno sinistro scendeva fino all'attaccatura della vita. (Descrive brevemente l'a­bito che l'attrice indosserà)

Krumm                          - (sbirciando il seno di Veronica) Molto scollato?

Gallant                          - Scollato...

Krumm                          - (a Gallant) Vi turbò?

Gallant                          - Mi contenni. (Guarda Thibon)

Thibon                           - (molto ironicamente) No!

Gallant                          - Voci... voci interne mi raccomandavano di farlo.

Thibon                           - Ma non servi a nulla.

Gallant                          - Se mi fossi abbandonato ai miei im­pulsi, probabilmente i felini non avrebbero sostenuto il paragone con me, colonnello!  Voglio dire, profes­sore!

Krumm                          - E poi?

Veronica                       - Eravamo felici. Bevemmo un poco. Dan­zammo. Era un valzer di Strauss.

Krumm                          - (interrompendola) Qualche avo del signor Gallant, o vostro, fu nativo di Vienna? (Veronica e Gallant scuotono negativamente il capo) Non importa. Continuate, signora Doriot. Cercate di esprimervi con la massima sincerità.

Veronica                       - Professore, non mi vergogno affatto. Io volevo Carlo come il germoglio vuol diventare pianta, come la farina vuol diventare pane.

Krumm                          - (con estrema e stupida serietà e facendo schioccare le dita come se stesse per fare una scoperta importante) Qualche vostro antenato fu certa­mente giardiniere o fornaio!

Veronica                       - Niente affatto.

Thibon                           - Che formidabile cretino! (Gallant sotto­linea con l'espressione il giudizio di Thibon)

Veronica                       - (senza raccogliere l'interruzione di Krumm, tuttora scossa dalla propria sincerità) Gli dissi: ti chiamerò fra cinque minuti. E corsi nella mia ca­mera. Conoscete questi momenti, professore?

Krumm                          - Imperfettamente. Sono fidanzato, signora.

Veronica                       - Lo chiamai. Niente. In quei cinque mi­nuti era accaduto l'imprevedibile. (Un silenzio. Krumm riflette, indi si alza)

Krumm                          - Questo è il punto. Non bisogna mai chia­mare un uomo dopo cinque minuti.

Gallant                          - Troppi.

Krumm                          - Pochi. Nella stagione degli amori, i fe­lini godono e soffrono un lungo preludio all'accop­piamento. Le fughe e gli inseguimenti. I richiami vo­cali. Le battaglie fra i maschi. Le schermaglie fra il vincitore e la femmina. Eccetera, eccetera. È una fac­cenda lunga, signora Doriot. Nelle varie e lente fasi prenuziali, il maschio si va abituando all'idea. La gioia del compimento di un profondo, sconvolgente desiderio, è un peso troppo grande da sopportare. De­ve quindi disperderne una parte nei preliminari. Se mi chiedessero un limite di tempo per accostarmi a una donna bella come voi, signora Doriot, io non esi­terei. La mia risposta sarebbe: da cinque a otto mesi.

Veronica                       - (con ingenua grazia) Fummo precipi­tosi allora!

Krumm                          - Eh già. Il signor Gallant è un uomo for­te, giovane, sano. L'incidente che ha subito fulmina talora proprio i maschi più dotati... È ormai un pro­blema di rieducazione. Supponete, che circostanze fa­vorevoli rimettano la questione sul tappeto. Il signo­re dovrebbe superare non soltanto la crisi del 14 lu­glio, ma l'increscioso ricordo di essa.

Veronica                       - (teneramente preoccupata) È vero?

Krumm                          - La mia diagnosi è: complesso inibitorio da errata e precipitata impostazione del rapporto.

Veronica                       - E la cura?

Krumm                          - Indico una rigorosa omeopatia psico-fisi­ca. Dapprima semplici conversazioni, scevre da qual­siasi riferimento all'amore. I temi non scarseggiano. Politica, letteratura, musica. Anche cose noiose. Te­levisione, ecc. Vi dirò io quando dovrete riparlare dei vostri sentimenti e concedervi i primi cauti abbando­ni. (Picchia sulle mani di Gallant che teneramente stringono quelle di Veronica) Forse conviene anche tentare l'esperimento, pur vivendo nella stessa casa, di scambiarsi qualche lettera, qualche telegramma...

(Si alza. Anche Veronica e Gallant si alzano) Fatemi avere giorno per giorno un piccolo diario. Io tornerò fra una settimana. (Bacia la mano di Veronica e strin­ge quella di Gallant. Si avvia. Thibon lo prende a braccetto accompagnandolo verso l'uscio e gli parla, senza naturalmente essere udito)

Thibon                           - Coraggio, professore. Quando verrete da noi, la prima cosa che vi regaleremo sarà un cervello. (Si inchina mentre Krumm esce) A presto! A presto!

Veronica                       - (felice, a Gallant) Hai sentito? Non si tratta che di un'impressione. (Sta per abbracciarlo, ma arretra spaventata) No, no, no, no. Non si deve! (Torna a sedersi a una certa distanza. Apre un gior­nale, legge) Che te ne sembra della Conferenza di Ginevra? [1]

Thibon                           - Non mi persuade.

Gallant                          - Non mi persuade.

Veronica                       - Krusciov, durante le sue vacanze in Cri­mea, sarebbe stato colpito da un malore.

Gallant                          - Non mi persuade.

Veronica                       - Il Colonnello Townsend si dichiara sod­disfatto dell'incontro romano di Margaret con Enrico d'Assia.

Gallant                          - Non mi persuade... Oh, basta!...

Veronica                       - Scusami, caro, ma non dobbiamo esse­re impazienti. Ci sono dei fidanzamenti che durano anche dieci anni.

Bichette                        - (entrando dal muro come una ventata) È qui. È tornato.

Gallant                          - Oh! Finalmente!

Veronica                       - (preoccupata) Come ti senti, caro?

Gallant                          - (che ascolta Bichette) Molto meglio!

Thibon                           - Com'è andato il viaggio in aereo?

Bichette                        - Indimenticabile... per Doriot. Gli ho da­to la nausea per tre quarti del percorso e alla Dogana gli ho fatto requisire trentamila dollari non denun­ciati.

Thibon                           - Speriamo che alzi bandiera bianca. (Gal­lant ride per le notizie, ma indica qualcosa a Veronica nel giornale. La porta a sinistra si apre ed entra Do­riot, preceduto da Gaston. Appare pallido e affranto. Appena lo vede, Veronica balza in piedi)

Doriot                           - (a Gallant) Siete ancora qui! Con la mia vestaglia.

Gallant                          - Ah, è vostra? (Doriot sta per ribattere, ma Veronica lo interrompe)

Veronica                       - Perché sei tornato? La tua presenza in questa casa non ha più senso. (Gallant si allontana verso il balcone e volge le spalle ai due. Gaston e Bichette scambiano con lui strette di mano)

Doriot                           - Non è permesso a un marito di venire a prendere notizie della propria moglie?

Veronica                       - Io non voglio essere più tua moglie. Sono felice con Carlo.

Doriot                           - (incredulo) Davvero?

Veronica                       - (scandendo le parole come per una ripicca infantile) In ogni modo sarei mille volte più felice di essere infelice con Carlo che felice con te! (E se ne va, furiosa, nella sua stanza. Gaston, Thibon e Bichette sospingono Gallant verso il centro del sa­lone)

Gaston                          - Gallant, è venuto il momento di conclu­dere. Siate categorico.

Gallant                          - Signor Doriot, vogliamo concludere? (Gallant si avvicina a Doriot, sta per parlare, ma Do­riot lo ferma con un gesto)

Doriot                           - Tacete. Parlerò io. Da uomo d'affari, ve­niamo ad una transazione. Ho riflettuto a lungo du­rante questo disastroso viaggio e mi sono accorto di due cose. Non posso fare a meno di Veronica e non posso tollerare l'idea di un vostro legame con Ve­ronica. Che una contessa sposi un autista, passi. Che un duca sposi una lavandaia, sia pure. Ma che una donna viva, si leghi a voi!...

Gallant                          - Vi sono vedove che rimangono fedeli alla memoria del defunto marito per decenni.

Bichette                        - Le vedove brutte!

Doriot                           - Dunque, non ho che una soluzione. Cedere. Costi quel che costi.

Gallant                          - Ossia?

Doriot                           - Non toccherò più il vostro dannato ci­mitero. (Thibon getta in aria il kepi, e tutti e tre urlano di gioia)

Gaston-Thibon-Bichette - Hurrah!

Gallant                          - (a Doriot) Che garanzia abbiamo che manterrete questo impegno?

Doriot                           - Avete la mia parola.

Gallant                          - E quotata in borsa la vostra parola?

Doriot                           - Gallant, il mio viaggio in Grecia è stato una bolgia. Pensate proprio che voglia ricominciare da capo?

Gallant                          - Vi credo. Qua la mano. (Si stringono la mano) Allora, addio!

Doriot                           - Addio. (Gallant, circondato dai suoi ami­ci, si avvia. Sta per scomparire nel muro, quando Doriot lo ferma)

Doriot                           - (metidabondo) Un momento. Non abbia­mo pensato a tutte le conseguenze del nostro ac­cordo.

Gallant                          - E cioè?

Doriot                           - Che farà Veronica? Vi cercherà dapper­tutto, frugherà il mondo palmo a palmo...

Gallant                          - Mi dispiace. Che cosa posso fare?

Doriot                           - Non abbiamo che un'alternativa: infor­marla. Che sappia con chi ha avuto da fare.

Gallant                          - Informatela pure. (Fa per avviarsi) An­diamo...

Doriot                           - Non potete andarvene. Solo voi potete provare che dico la verità.

Gallant                          - (allargando le braccia) Ah già. E vero.

Doriot                           - Chiamatela.

Gallant                          - (va alla porta di Veronica e bussa discre­tamente) Veronica?

Veronica                       - (da dentro parlando attraverso l'uscio) È andato via?

Gallant                          - No, cara.

Veronica                       - (da dentro) Digli che se ne vada. Gli scriverò.

Gallant                          - (con voce imperiosa e affettuosa insieme) Veronica!

Veronica                       - (da dentro) Carlo?

Gallant                          - È necessario che tu lo ascolti. Te ne prego. (Una breve pausa. Veronica appare sulla porta)

Veronica                       - Va bene. (Gaston, Thibon e Bichette hanno disposto le solite tre sedie in fila e si sono se­duti come spettatori a teatro. Veronica traversa la scena, siede sul divano, prende una sigaretta, l'ac­cende nervosamente. Nel frattempo Doriot, che era andato verso il balcone, si riaccosta)

Doriot                           - Ho tentato invano di nasconderti quello che ora sono costretto a dirti. Mi sono perfino allon­tanato, sono fuggito.

Veronica                       - Abbrevia. (Gallant li ascolta attento)

Doriot                           - Non è facile. (Pausa) Veronica... Ti sei mai chiesta: che cosa c'è al dì là del nostro mondo sensibile, al di là delle cose che vediamo o tocchia­mo ogni giorno?

Veronica                       - (ironica) Che t'è successo? Studi me­tafisici? Esaurimento nervoso? (Accennando ad al­zarsi) Facciamo cosi. Ti do l'indirizzo del professor Krumm e tu per il momento mi lasci in pace.

Doriot                           - Veronica, il cimitero di Passy era abitato.

Veronica                       - Dal custode.

Doriot                           - (con forza) No. Ti ricordi la mattina che venne Goldor a parlarmi d'affari e io stavo sbarban­domi? Cominciò allora.

Veronica                       - Che me ne importa dei tuoi affari? Io voglio soltanto la mia libertà!

Doriot                           - E io per l'appunto ti sto spiegando perché mi oppongo al nostro divorzio. (Veronica sta per reagire, Doriot con un gesto della mano le ingiunge di tacere e continua) Quando la sera del 14 luglio me ne andai, non ti dissi quello che ora ti dico, e feci malissimo. Ma avrei dato l'impressione di voler... (guarda Gallant) deprezzare il mio rivale. E io sa­pevo che i fatti avrebbero agito per me. Nulla di serio, di fondato, era possibile fra voi due. (Pausa. Cam­bia tono di voce, si esprime ora con bontà, con tene­rezza) Veronica, tu sei stata sempre leale con me. Puoi dirmi, in coscienza, che fra te e il signor Gallant tutto si è svolto regolarmente?

Veronica                       - Si. (Esita un poco, perché il suo fondo di lealtà emerge) Eccettuato un piccolo particolare. Ma col tempo tutto andrà a posto.

Doriot                           - Non andrà a posto. (Il tono sicuro col quale Doriot ha pronunziato queste parole colpisce Veronica; ella si volge a guardare Gallant)

Doriot                           - Volete confermare, signor Gallant?

Gallant                          - Non andrà a posto.

Veronica                       - Nonostante i suggerimenti del profes­sor Krumm?

Gallant                          - Nonostante i suggerimenti del professor Krumm.

Veronica                       - (leggermente preoccupata ma ostinata nel­la difesa dei suoi desideri) E perché? Io, invece, sono sicura, del contrario. Ne volete sapere più di una donna? (E ha un sorriso incantevole)

Doriot                           - Una bellezza come la tua, certo, si suol dire che fa risuscitare i morti. Ma è un modo di dire.

Veronica                       - Non ti capisco.

Doriot                           - Spero di non turbarti troppo, ma il si­gnor Gallant non è un uomo.

Veronica                       - Momentaneamente.

Doriot                           - Eternamente. (A Gallant) Volete confer­mare?

Gallant                          - Eternamente.

Veronica                       - Sciocchezze! (A Gallant) Lo hai preso in giro, Carlo? Dimmi che cosa gli hai raccontato!

Gallant                          - La verità.

Doriot                           - Egli non è il pronipote del suo prozio.

Gallant                          - Sono il prozio del mio pronipote. Ram­menti il sogno che ti raccontai? Non era un sogno... Parigi... non quella di oggi...

Veronica                       - (ricordando e come parlando a se stessa)... Il signor Duverfoix vuole la nostra pelle... la boc­cetta di veleno... Cambio palcoscenico!... Il patibolo!... (Si copre gli occhi con le mani, con un breve grido doloroso)

Gallant                          - (passandosi un dito nella fascetta di garza e con tono estremamente dolce) Era la storia della mia vita. Sono venuto qui per convincere Doriot a rinunciare al suo progetto. Dovevo apparire un uo­mo per far questo, e mi fu concessa una vacanza. Sono accompagnato da persone che non puoi vedere, ma che mi sorvegliano...

Veronica                       - (togliendosi le mani dalla faccia, con voce debole e accorata) No. No. No. No.

Gallant                          - Bichette, per favore, volete dare un se­gno della vostra presenza? (Bichette esegue un pro­digio. Rivolgendosi a Gaston) Barone, siate gentile.

Gaston                          - Con piacere. (Esegue)

Doriot                           - Quanto mi addolora tutto questo, ma era indispensabile.

Veronica                       - (si copre nuovamente il volto con le mani. Piange) Non posso credere... Non posso credere...

Gallant                          - A voi, colonnello. Date una giratina alla poltrona. (La poltrona, a un gesto del colonnello, co­mincia a girare. Doriot la ferma, furioso)

Doriot                           - Basta!  Basta! (Veronica continua a pian­gere. Doriot fa qualche passo minaccioso verso Gal­lant) Vorrei potervi rompere la faccia!

Veronica                       - (lentamente, asciugandosi gli occhi, va ver­so Gallant) Ho una domanda da farti. (Pausa) Fu vero quello che accadde qui fra me e te la notte del 14 luglio?

Gallant                          - Si.

Veronica                       - Eri sincero con me, in quei momenti?

Gallant                          - Si. Non so come accadde. Sognai, per alcune ore, la vita.

Veronica                       - Ti ringrazio. Carlo, tu mi hai restituita la ragazza che ero. Addio. (Gli sorride, gli fa una lieve carezza, si avvia con una certa rigidità verso la sua stanza)

Doriot                           - Che intendi dire, cara?

Veronica                       - (si ferma, si volge. Con un lieve sorriso) Che non mi occorre il divorzio. Che non mi occorre niente... (Si avvia. Si ferma di nuovo. Guarda Gallant, che non la guarda)

Gallant                          - (appena mormorando) Addio.

Veronica                       - (riavviandosi verso la sua stanza) So... quello che debbo fare. (E scompare chiudendosi l'u­scio alle spalle. Le intenzioni di Veronica sfuggono a Doriot e a Gallant. Un attimo dopo, dall'interno della stanza di Veronica, si ode un colpo di pistola)

Doriot                           - (con uno scatto, correndo verso la stanza di Veronica) Veronica!  Veronica!  Veronica! (Apre l'uscio. Scompare. Gallant, Bichette, Gaston e Thibon non sembrano troppo impressionati. D'improvviso "ve­dono" qualcosa in un immaginario cielo, la seguono fino a individuarla, per trasparenza, in un vano: è Veronica trasfigurata in volto, ma serena, sorridente...)

Veronica                       - Carlo!

Gallant                          - Veronica!

Gli altri                          - Bene arrivata! (Ma il muro s'apre an­cora una volta e appare la Funzionarla dell'Ufficio Z)

La funzionarla               - (alquanto dura) Signori! Qui si contravviene all'ordine prestabilito delle cose e ciò in­crina la rigorosa neutralità dell'Ufficio Zeta nelle cose terrene. Signora Doriot, voi non eravate libera di fare quello che avete fatto per le ragioni per le quali lo avete fatto. Dunque, io decido che nulla è avvenuto.

Veronica                       - Ma io amo Carlo!

La funzionarla               - Non importa. Tornate indietro. Dimenticherete.

Gallant                          - (tentando il giuoco dei sentimenti terreni) Ma lei mi ama!

La funzionaria               - (con ira) Voi! Siete voi, Gallant, che guastate tutto! Fuori di qui! Andatevene!

Gallant                          - (lamentoso) Lasciate almeno che le spieghi!

La funzionaria               - No! Andatevene!

Gallant                          - Lasciate almeno che la saluti!

La funzionaria               - No!

Gallant                          - Veronica...

La funzionaria               - (a Gallant, facendo scomparire Ve­ronica con un gesto) Andatevene!  La vostra licenza umana è scaduta! (Gallant fa un umile inchino, si avvia) In quanto a voi altri... non sono affatto con­tenta della vostra missione. (Gaston, Thibon e Bi­chette, alquanto mogi, si avviano) Vi attendo tutti all'Ufficio Zeta per i provvedimenti del caso. Devo riconoscere che il colonnello Thibon è stato il solo che... colonnello!

Thibon                           - (che tentava di portar via un mazzo di car­te) Ricordo di viaggio...

La funzionaria               - No! Date qua! In quanto alla vostra promozione, ne riparleremo... (Thibon esce dal muro. Anche Gaston, prima di uscire, tenta di por­tar via un ricordo di viaggio: l'accendino. Ma la Fun­zionaria glielo impedisce. Gaston scompare. È la volta di Bichette, che con una certa disinvoltura ha preso, su un tavolo, un grazioso specchio)

Bichette                        - (candida) Starà benissimo sopra i miei marmi.

La funzionaria               - (sequestrando lo specchio) No!  Via! (Anche Bichette scompare. È la volta di Gallant. La Funzionaria ha ancora un gesto perentorio. Gallant si inchina, si avvia, scompare. La Funzionaria final­mente si avvia. Ma prima di scomparire dice ancora) Gallant! La vestaglia! (Il muro immediatamente si apre, appare una mano di Gallant che getta via la vestaglia. Silenzio. Le luci tornano normali. La porta di Veronica s'apre. Appare Doriot che tiene affet­tuosamente abbracciata Veronica. La donna appare un poco stordita. Per un attimo tace, passandosi una mano sul volto)

Veronica                       - Che è stato?

Doriot                           - Nulla, cara. Nulla...

Veronica                       - (come risovvenendosi improvvisamente, si stacca da Doriot) Carlo! Dov'è Carlo?

Doriot                           - (raccattando la vestaglia) È andato via.

Veronica                       - È andato via per sempre?

Doriot                           - (raggiungendo Veronica) Si, per sempre.

Veronica                       - (si siede quieta, rassegnata quasi) Po­trò mai dimenticarlo?

Doriot                           - (le siede accanto, le parla con estrema dolcezza) Si. Quando tu cercavi l'uomo eccezionale, portatore di qualcosa di meraviglioso, di stupendo­la pepita... e quest'uomo ti sfuggiva sempre, era per­ché tu non lo toccavi con la bacchetta magica dei tuoi sentimenti, della tua fantasia, del tuo desiderio...

Veronica                       - (assorta) Si... si...

Doriot                           - (con una certa amarezza) Anch'io avrei potuto avere la pepita, se tu me l'avessi concessa. Ma una moglie, in genere, è avarissima di questi doni. Col marito, intendo.

Veronica                       - È vero... (Gli accarezza leggermente una mano. Si sente suonare il campanello dell'uscio)

Doriot                           - Gaby è fuori?

Veronica                       - Si.E non c'è neppure la cuoca. (Suo­nano ancora) Non apriamo.

Doriot                           - Non apriamo a nessuno.

Veronica                       - (prendendo una mano a Doriot) Doriot...

Doriot                           - Veronica... (Il campanello suona ancora)

Veronica                       - (con qualche incertezza) Per favore...

Doriot                           - Si, cara...

Veronica                       - (più stretta a lui mentre il campanello suona ancora ripetutamente) Prova un po'... non si sa mai... Di anemone... di pistillo... (7/ campanello, che in questi ultimi istanti ha suonato quasi senza interruzione, tace bruscamente. Si ode un tramestìo nell'anticamera e il rinchiudersi della porta sulle scale. Doriot, che stava per obbedire a Veronica, sen­te questi rumori. Entrambi, rotto l'incanto, guardano verso l'uscio. Gaby entra nella stanza)

Gaby                             - Signora... Oh, signor Doriot. Bentornato. Cre­devo che non ci fosse nessuno in casa. C'era sul pianerottolo il signor Gallant. (Veronica e Doriot balzano in piedi)

Doriot                           - Come? Gallant?

Gallant N. due              - (da dentro) Si può? Posso? È permesso? (Entra dalla porta Gallant N. due. E il pro­nipote di Carlo Gallant, l'attore decapitato nel 1901. Guarito finalmente dell'appendicite inflittagli dal pro­zio, arriva in questo momento da Bergerac. Egli in­dossa un abito di gusto provinciale. Non ha nessuna fascia al collo. Sì muove con un certo impaccio, ma è alquanto più giovane del suo antenato)

Doriot                           - Voi! Ancora qui!

Gallant N. due              - Vi prego tanto di scusarmi. Siete il signor Doriot, non è vero?

Doriot                           - Ma che volete, ancora?!

Gallant N. due              - Io sono l'avvocato Carlo Gallant, pretore a Bergerac. Ho un vostro biglietto di convo­cazione. Avrei dovuto venire una ventina di giorni or sono, ma fui colpito da un noioso attacco di ap­pendicite, con complicazioni varie...

Veronica                       - (gli si avvicina, lo guarda allucinata) Ma siete vivo?

Gallant N. due              - Credo... Non ho motivo di dubi­tarne. La signora?...

Veronica                       - (gli si avvicina ancora di più, lo tocca) Vivo! Vivo! (Forsennatamente) Il suo ritratto! La faccia di Carlo! La voce di Carlo! Gli occhi di Carlo! La bocca di Carlo! I lobi di Carlo! (Scuotendolo) Carlo! Carlo! (Doriot allarga desolato le braccia e se ne va sbattendo l'uscio, mentre si inizia un buffo inseguimento tra Veronica e lo spaventato Carlo Gal­lant di Bergerac)

FINE

Questa commedia è stata rappresentata per la prima volta l'8 aprile 1959 al Teatro Mediterraneo di Napoli dalla Compagnia Pagnani-Masiero-Lionello. Regia di Luciano Salce, scene e costumi di Elio Costanzi e la seguente distribuzione Veronica Doriot - Lauretta Masiero La Funzionarla - Irene Aloisi Bichette - Didi Perego Gaby - Simona Sorlisi Gregorio Doriot - Giuseppe Pertile Carlo Gallant - Alberto Lionello Il colonnello Thibon - Sergio Graziani Il barone Gaston de la Tour Fleury - Gianni Musy Fausto Goldor - Armando Benetti Il prof. Krumm - Mino Billi


[1] Le battute riferentisi a notizie che Veronica si sup­pone legga sul giornale, vanno cambiate a seconda degli avvenimenti del momento.