Vertigine

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VERTIGINE

Dramma in tre atti

di GHERARDO GHERARDI

PERSONAGGI

CARLO PANTEO               anni 45

MAURIZIO MOLDENO    anni 35

ROBERTO TREZZI           anni 43

ELENA                                anni 35

ROSA                                   anni 25

Professor TARDINI            anni 50

ATTO PRIMO

 La scena rappresenta uno studio. Molti libri, una scrivania ampia con telefono. Due porte: una a destra che mette nell'ap­partamento e una in fondo a destra che serve all'entrata e all'uscita dei personaggi. Una in fondo a sinistra mette nel gabi­netto di lavoro del professor Carlo Panteo.

SCENA I.

Maurizio, poi Roberto

Maurizio                        - (è seduto su una poltrona nell'atto di atten­dere. Ha il cappello deposto in una poltrona vicina e tra le mani il bastone col quale gioca oziosamente. Rimane molto sorpreso ed imbarazzato all'entrata improvvisa dì Roberto Trezzi. I due uomini sono molto dissimili. Maurizio Moldeno è elegante e distinto nei modi. Roberto Trezzi non manca di eleganza, ma dimostra una certa grossolanità per il troppo amore all'oro, che ostenta al panciotto e alle dita, abbondantemente, pesantemente. Appare, d'altra parte, uomo pratico e positivo).

Roberto                         - (che è entrato violentemente) Ah, finalmente, ti trovo!

Maurizio                        - Oh, chi si vede?! Di dove salti fuori?

Roberto                         - Da un letto d'ospedale. Ti ho cercato tutta mat­tina... Non resti più in casa alla mattina?

Maurizio                        - Da quando sei arrivato?

Roberto                         - Questa notte... Senti, ho bisogno di parlarti, ho bisogno urgente di parlarti. Andiamo di là...

Maurizio                        - Di là dove?

Roberto                         - (accennando alla porticina di destra) Dal mo­mento che il professore non c'è... (vedendo che l'altro non si muove) Se no, in salotto, per la strada, dove vuoi, insomma, pur che si possa parlare liberamente.

Maurizio                        - Ecco, per la strada no, perché adesso non ho tempo; qui... mio caro, tu fingi di non sapere che io non . sono più di casa.

Roberto                         - Come? A questo punto?

Maurizio                        - (assentendo) Mah! ...

Roberto                         - E allora che cosa ci stai a fare, qui?

Maurizio                        - (imbarazzato) Perché....

Roberto                         - (con un sospiro dì sopportazione) Dimmi un po': facciamo conto che io sia un estraneo qualunque al quale sia pur necessario dire la verità. Eccomi qui: sono all'oscuro di tutto. Non so niente di niente. Dimmi tutto, chiaro, da cima a fondo.

Maurizio                        - Si fa presto a dir tutto...

Roberto                         - Tutto quello che è cambiato dopo la mia par­tenza.

Maurizio                        - Senti, caro, ti assicuro che non ho alcuna vo­glia di dedicarmi alla letteratura narrativa.

Roberto                         - Va bene. Allora racconto io e tu rispondimi. (vedendo che l'altro si annoia) Ma ho bene il diritto di sapere io, no? Da quando, correndo come un pazzo di officina in officina, da una città all'altra, da quando- sono caduto e mi sona rotta l’osso del collo….

Maurizio                        - L'osso del collo?

Roberto                         - Per modo di dire. Ma intanto quindici giorni a letto me li sono dovuti godere. Dico, in tutto questo tempo, voi, tu, il professore e sua moglie, avete comple­tamente interrotto le comunicazioni con me. Mia moglie, che mi ha raggiunto all'ospedale di Santa Margherita, non ha saputo dirmi nulla di preciso, nulla... o meglio... se parlava di voi... di te... pareva... Insomma, quello che so, lo so dai giornali che hanno fatto sulla conversione del tuo maestro un diavolìo interminabile.. E io dico che il tuo professore è padronissimo di scrivere tutti i libri di filosofia che vuole, è padronissimo di detestare anche il suo mestiere di scienziato, ma non ha affatto il di­ritto di gettare il sottoscritto come un limone spremuto. Cosa c'entro io? Dimmi, cosa c'entro io, nelle sue crisi di coscienza?

Maurizio                        - Tu?

Roberto                         - Io, sì. Io sono in una posizione catastrofica. So­no al fallimento. Io non so più come fare ad alimentare le mie officine: ogni giorno che passa è un colpo terri­bile alla mia sostanza... capisci?

Maurizio                        - Ma sono io che ti domando... O meglio il pro­fessore che ti può domandare che cosa hanno a che fare le tue faccende personali con le sue idee filosofiche e po­litiche...

Roberto                         - (accendendosi) Insomma, ragazzo mio: un me­se fa il tuo maestro era un inventore... aveva un bre­vetto nel cervello. Io ci ho contato e, nota, ci ho' contato perché voi, tu, lui, sua moglie, tutti, mi ci avete fatto sperare...

Maurizio                        - Ma non ci pensare nemmeno! Il professore ha veramente abbandonato gli studi, gli esperimenti...

Roberto                         - Ma non aveva quasi raggiunto la meta? Tu stesso, lo confidasti a mia moglie... cos'hai? lo dicesti anche tu che era questione di ore...

Maurizio                        - Caro mio, le invenzioni ci possono essere, ma ci possono anche non essere...

Roberto                         - Dunque non c'è?

Maurizio                        - Non c'è più!

Roberto                         - È impossibile...

Maurizio                        - (sorridendo) Mio buon Roberto! Il professore aveva trovato il modo, teoretico, cioè sulla carta, sulle formule, di trasformare l'energia solare in energia elet­trica, ma, come tutti i sognatori, ha cozzato contro la realtà. Ci sono dei misteri che la natura non vuole asso­lutamente svelare... Stai calmo e rassegnati... È il fallimento della scienza...

Roberto                         - Ma perché mi rispondi in questo tono? Una volta mi eri amico, alleato... Il professore... Sua moglie... Mia moglie... No, no, no,: ci sono troppe incognite. Non è,chiaro, non è chiaro. Ah, ma non finirà cosi... Bada: lotterò coi denti...

Maurizio                        - Ma insomma...

Roberto                         - Voglio sapere a chi debbo tutto ciò... Non è ' chiaro... non è chiaro... La scienza... la filosofia... Altre

Maurizio                        - Altre cose?

SCENA II.

Elena e Detti

Elena                             - (entrando) Buon giorno, Maurizio, (la sua bel­lezza appare molto sciupata dalle lagrime. Scorge Trezzi) Oh, Trezzi, anche voi siete qui? Come mai non vi siete fatto vedere da tanto tempo?

Roberto                         - La sventura mi perseguita, signora. Lontano da qui la crisi... tutte le crisi... qui la crisi... più crisi di tutte, quella della filosofia...

Elena                             - Ah, sapete?

Roberto                         - E come no? E poi (sospirando) qualche altra rovina che sento in aria...

Maurizio                        - Di che cosa parli?

Roberto                         - Niente, niente, so io. (ad Elena) Mia moglie non vi ha informato delle sue molte disgrazie...

Maurizio                        - Ma che cosa vuoi?...

Elena                             - (interrompendo) Non so nulla io! non so nulla... Cosa volete? Vivo in un mondo così strano, così dolo­roso... Mi sembra di sognare... di aver sognato... non ho più memoria né volontà... non ho più cura a niente... Maurizio, scusate, c'è in anticamera il professor Tardini. Non so che cosa voglia... Volete andare voi? Io non posso riceverlo... Carlo è fuori.

Maurizio                        - Tardini è qui? Vengo subito (via).

(Fra i due regna, per un momento, un silenzio imbaraz­zante).

Roberto                         - Perdonate, signora: ho bisogno di rivolgervi una domanda. Ecco: da un mese manco di qui. Partii per una battaglia molto grave, ma partii con l'animo forte, sicuro della mia vittoria; Maurizio e il professore mi sembravano sicuri della vittoria...

Elena                             - Altro che sicuri!

Roberto                         - Dunque: la battaglia volse per me nel peggiore dei modi. Ora, tutto avrei potuto immaginare, meno que­sto, che il professor Panteo che tutto il mondo onora come un'illustrazione della scienza, in un momento di alienazione mentale...

Elena                             - (vivacemente) Signor Trezzi!

Roberto                         - Pardon! Io chiamo le cose col loro nome, ma lasciamo le definizioni se non vi piacciono. Che il professore, insomma, avesse deciso di mutare la propria vita cosi radicalmente, da rovinarsi di fronte al mondo e da rovinare con sé tanta gente!

Elena                             - E chi avrebbe potuto pensarlo?

Roberto                         - Ecco: una cosa più inverosimile mi è accaduto di constatare: che di fronte a tanta rovina, voi, Maurizio, tutti, insomma, coloro che con me hanno sperato, che dalla mia adesione entusiastica hanno avuto ragione di sperare di più, oggi, di fronte a un fatto di tanta gravità, abbiano una condotta, non so, assumano degli atteggiamenti... Insomma, in casa vostra, da venti minuti io respiro un'aria di equivoco, di incertezza: mi sembra di non conoscervi più, di non essere più vostro amico... Ecco, mi sembra che mi respingiate da voi...

Elena                             - Oh, no! Questo no!

Roberto                         - E allora?

Elena                             - E allora, niente. Su via, Roberto, abbiate pietà di me.. Io sono una povera donna rovinata.. Non ho la te- (sta a posto. Tutta una vita, capite? , tutta una vita perfetta, un passato e un avvenire che sfumano... Ah, ma come non comprendete? È salito per me, con me, per tanti anni, fino ai vertici, posso dirlo, della gloria, della fama. Ed ora più nulla, proprio quando il suo nome stava per essere benedetto da tutti, da tutto il mondo... È terribile, questo, per una povera donna, convenitene e credete che I in questo momento...

Roberto                         - Capisco. Ma vorrei anche capire come fu che le relazioni fra voi, Maurizio e mia moglie si interruppero al punto che... si, dico, riconoscerete che la cosa K non è molto naturale.

Elena                             - (confusa) Io... veramente.. So soltanto che da quindici giorni a questa parte si fa attorno al nome di miomarito un can can d'inferno. Il suo libro lo ha portatoai sette cieli - per l'ultima volta - ma ci ha proiettati in un mondo...

Roberto                         - Va bene. Vuol dire che cercherò di capire da me. Restano due fatti. La presente freddezza di tutti voi e la rottura delle relazioni...

Elena                             - (turbata) Di che cosa intendete parlare?

Roberto                         - Parliamoci chiaro. Ritengo che anche mia moglie abbia un'importanza, non so ancora quale, in questa faccenda. Maurizio era molto assiduo, in casa mia, spe­zialmente quando non c'ero io... Io sono un uomo in buona fede...

Elena                             - Che dite?

Roberto                         - Ecco: da molto tempo è molto poco assiduo. Tanto poco che... non si è fatto più vivo.

Elena                             - Come? Voi potete credere una cosa simile?

Roberto                         - Eh... Conosco quella donna... la conosco... E io da qualche tempo non sono più          (fa il cenno col quale si allude, di solito, al denaro). Mi vanno male le cose... Il denaro.. È la mia forza, la sola mia forza.. Per lei è la debolezza... una delle molte sue debolezze... Fra me e lei un equilibrio non è., non era possibile che sul filo del denaro... denaro... E invece tutto è perduto...

Elena                             - Ma no, non dite cosi... Bisogna sperare ancora... sempre... Ed ora ci aiuterete anche voi. Voi sapete volere...

SCENA III.

Maurizio e detti

Maurizio                        - (rientrando) È duro come un tedesco! Ho fat­to tutto quello che ho potuto per mandarlo via, ma non ci sono riuscito. Aspetterà.

Exena                            - Ma almeno si potrà sapere quello che vuole?

Maurizio                        - Viene da parte del Rettore dell'Università. Punto e basta.

Roberto                         - Domando scusa. Vorrei annoiare il meno pos­sibile. Lasciate che finisca...

Maurizio                        - Ma non avevi già finito?

Roberto                         - Un mese fa eravamo tutti alleati...

Maurizio                        - Un mese fa. E dalli col mese fa...

Elena                             - Sì, sì, Maurizio, ascoltate anche voi... Chi sa... Vediamo...

Maurizio                        - Ma si può sapere che cosa vuoi fare? La tua insistenza diventa irragionevole, assurda... Vuoi cozzare contro l'impossibile...

Roberto                         - Il professore deve convertirsi un'altra volta, de­ve continuare i suoi studi e compiere quegli esperimenti che sono necessari alla realizzazione pratica industriale della legge da lui trovata sulla trasformazione elettrica della energia solare...

Maurizio                        - Ma dove credi di arrivare?

Roberto                         - Voglio arrivare dove un mese fa volevamo' ar­rivare tutti...

Maurizio                        - Ma è assurdo...

Elena                             - No, Maurizio, non dite così... bisogna arrivare a convincerlo...

Maurizio                        - Il Maestro è irremovibile...

Roberto                         - Sei sicuro?

Maurizio                        - Sicurissimo.

Roberto                         - Allora hai già tentato?

Maurizio                        - (debolmente) Come no?

Roberto                         - Ritenterai...

Maurizio                        - No...

ExEna                           - Maurizio, Maurizio...

Roberto                         - Senti, io non ho tempo da perdere. La maggior parte delle mie passività figurano nei bilanci di due grandi industriali francesi... Sai, quelli dei gas asfissian­ti... Essi conoscono bene il professor Panteo, perché fu lui a perfezionare la loro composizione...

Maurizio                        - Va bene, va bene...

Roberto                         - Io ero alla vigilia del fallimento. Ho detto tutto, ho promesso tutto... Essi mi hanno accordato un respiro, ma saranno qui fra pochi giorni a vedere, a sapere quel­lo che c'è di vero nella mirabolante speranza che ho fatto loro luccicare innanzi agli occhi... Io ho data per sicura l'invenzione del professore...

Maurizio                        - Hai commesso una mascalzonata...

Roberto                         - Va bene: delle parole ingiuriose che tu mi dici, terrò conto a suo tempo. Per ora restiamo al sodo della questione. L'invenzione del professore è un fatto...

Maurizio                        - Ecco dove ti illudi!

Roberto                         - Per lo meno è vicino al fatto.

Maurizio                        - Ma lo vuoi capire? Le invenzioni ci sono e non ci sono...

Roberto                         - Ci sono intanto degli studi sulla elettrificazione della energia solare dei quali intanto si potrà ottenere qualche cosa. I francesi si accontentano di questo. Per tentare, per incominciare almeno... Non hanno già la pretesa di abolire la macchina a vapore in ventiquattro ore. D'altra parte lui, il Maestro, non ci rimetterà pro­prio niente.

Ei,Ena                           - Ecco, ecco, Maurizio, vedete... dite anche voi...

Maurizio                        - Io non dico nulla. Il Maestro non mi ammette più alla sua confidenza e ignoro, ignoro...

Roberto                         - Adesso io non ho più tempo da perdere e non posso più ballare con te la tarantella dell'equivoco. Esi­go... esigo...

Maurizio                        - Che cosa... Con che diritto?

Elena                             - (intervenendo) Per carità... non parlate più... Sì, Trezzi, vedrete che tutto quello che si potrà fare si farà e anche lui, anche Maurizio... (mentre Trezzi, raccolto il cappello, va alla comune).

Roberto                         - Arrivederci, signora... Ciao. (via).

SCENA IV.

Elena e Maurizio

Maurizio                        - (dopo che Trezzi è uscito) Io non permetterò più che quell'uomo mi parli con tanta arroganza. La vostra presenza lo ha salvato...

Elena                             - Oh, Maurizio, avete proprio il diritto di essere severo con lui?

Maurizio                        - E perché non dovrei esserlo? (come compren­dendo a un tratto ciò a cui vuole alludere la donna) Ah... e che cosa ne sa, lui?

Elena                             - Eh... forse, sa...

Maurizio                        - Vi ha detto qualche cosa?

Elena                             - No, nulla... Ma in ogni modo, voi non avete di­ritto... Non si deve mai dimenticare, Maurizio, i torti che si fanno agli altri... Ciò rende migliori, o, almeno, un poco più giusti...

Maurizio                        - (infiammandosi a poco a poco) Ma quando finirete di ricordarmi queste cose? Voi sapete bene che sua moglie non aspettava che un'occasione... Io ero gio­vane, non mi preoccupavo di tante cose, che oggi mi sembrano enormi... Che so? Non avevo questo, sopratutto, non avevo mai amato... Oggi mi vergogno di quell'errore... Una stupida avventura goliardica e giù di lì... Sì, mi vergogno. E proprio voi che io amo, lasciatemi dire, proprio voi che io amo, prendete gusto a sottopor­mi a questa tortura... Ma perché? Perché, se da quando voi siete entrata nella mia vita...

Elena                             - Non continuate, Maurizio. Speravo che la lunga assenza vi avrebbe aiutato a riflettere e a rinsavire... Vi ho già detto un'altra volta...

Maurizio                        - Ma perché condannarmi a questa tortura, a questa incertezza?

Elena                             - (con severità) Insomma...

Maurizio                        - Vi ho offesa?

Elena                             - Certo! Voi dimenticate che fui proprio io a con­sigliarvi di lasciare quella donna...

Maurizio                        - Oh, io non dimentico. Non dimenticherò mai quell'ora, quelle parole... esse erano- suggerite da un af­fetto così tenero...

Elena                             - Non da un calcolo!

Maurizio                        - E chi può avere pensato a un calcolo?

Elena                             - Voi, proprio voi. Con la moglie del Trezzi io non ho, non ho mai avuto nulla di comune.

Maurizio                        - (piccato) Ed ora offendete me...

Elena                             - (ridiventando più dolce) Insomma, Maurizio, sie­te voi che mi costringete a diventare aspra. Io ho tanto bisogno di quiete, di tranquillità, e se voi comprendeste il bene che vi voglio.!.

Maurizio                        - Elena...

Elena                             - Un bene fraterno, un bene da mammina... Voi dovreste comprendere che vale molto di più, molto di più...

Maurizio                        - (desolatamente) E allora?

Elena                             - Allora... Ma non così, Maurizio, siate uomo... Al­lora lasciamo da parte il Trezzi e sua moglie e ditemi, ma seriamente, col cuore sgombro da qualsiasi oscurità, ditemi se posso contare su di voi. amico. La mia vita (commovendosi) è a una triste giornata...

Maurizio                        - (preoccupato) Che c'è?

Elena                             - Parte... Partiamo...

Maurizio                        - E quando?...

Elena                             - Non so... Non ha ancora fissato nulla, ma è deciso... Vi dico: non ha ancora fissato nulla, ma ho capito, ho capito che mi vuol portare molto lontano, molto lon­tano da tutti...

Maurizio                        - (col cuore in gola) Elena!

Elena                             - No, Maurizio, voi non comprenderete mai quello che io ho provato ieri, quando mi ha comunicato con molta semplicità, con molta tranquillità la sua decisione, Io avevo finito per rinunciare a tutto, per rassegnarmi a tutto. La sua gloria, la sua potenza... quello che poteva essere per noi tutti il nostro avvenire, il mio... No, niente, rassegnata, ecco, rassegnata! Io rimanevo la si­gnora Panteo. Io potevo per me sola... potevo conser­vare qualche cosa. Che so? Ho un orgoglio anch'io... ho una vanità anch'io! E ne ho diritto, no? Ne ho diritta perché l'ho accompagnato fin qui amorosamente, fedel­mente, soffrendo con lui, incoraggiandolo sempre in ogni battaglia, imparando a poco a poco ad amare le cose a-ride e fredde che sono, che erano la sua vita. Maurizio.., ma questo no... alla vita non posso rinunciare... alla mia casa... alla mia gloria... lasciatemi dire... a tutto quello che fino ad oggi è stata la mia vita... non posso rinunciare. La lontananza, la solitudine, questo no, que­sto no... Parlategli voi, Maurizio, parlategli voi...

Maurizio                        - Come parlargli ora? Ho paura di vederlo.... Da quando vi amo tanto, tanto, ho paura di vederlo, ho paura che mi capisca... Elena, è stato il mio maestro... Ho paura. Ma non capite, Elena, non capite che tutto quello che faccio, tutto quello che dico, non può essere che questo: il mio amore, il mio amore...

Elena                             - No, no, per pietà; non dite, non dite...

Maurizio                        - (avvicinandosi alla donna) Lo amate dunque tanto, ancora?

Elena                             - Perché ne dubitereste?

Maurizio                        - Non dubito, spero...

Elena                             - Dunque ho perduto anche voi...

Maurizio                        - Farò quello che dite. E se la decisione di par­tire dovesse essere irremovibile, voi che cosa fareste?

EtENA                          - Non so niente. Io spero tanto in voi...:

Maurizio                        - Partireste?

Elena                             - Certo... no... non so, non so... Ma perché queste domande?

Maurizio                        - Per sapere, finalmente, che cosa è che io deb­bo sperare...

Elena                             - No, Maurizio, fate che egli resti, oscuro, silen­zioso, solitario, ma resti...

SCENA V.

Carlo, Tardini e detti

Carlo                             - (entra seguito subito dal professor Tardini) "Ve­nite, caro collega. Mi duole di avervi fatto aspettare, involontariamente.

Tardimi                         - Non disturbo?

Carlo                             - Affatto, (vedendo Maurizio) Oh, Maurizio, sei qui? (o Tardini) Conoscete mia moglie?

Taruini                           - (stringendo la mano ad Mena) Ho già avuto l'onore, (a Maurizio) Di nuovo, caro.

Maurizio                        - (seccamente) Professore...

Tardini                          - (o Carlo) È l'ultima recluta del mio gabinetto...

Carlo                             - (a Maurizio) Bene, hai fatto bene...

Elena                             - (a parte a Carlo) Senti: Maurizio era venuto per parlarti di cose molto gravi. È arrivato Trezzi... È ro­vinato... Carlo, ti prego, per l'ultima volta...

Carlo                             - Non è più possibile ritornare indietro e se anche fosse possibile non tornerei...

Elena                             - (supplichevole) Carlo! (quindi saluta il professore e se ne va mentre:)

Carlo                             - (a Maurizio) Tu intanto aspettami in gabinetto. (poi ricordandosi improvvisamente) No. l'abitudine... non ci entro più nemmeno io...

Maurizio                        - Aspetterò di là, Maestro.. Quando il profes­sore avrà finito desidererei parlarvi...

Carlo                             - Va bene...

Tardini                          - (a Maurizio che sta per uscire) Scusate, giova­notto, non perché io tenga soverchiamente alle forme, ma si potrebbe sapere che distinzione fate voi fra mae­stro e professore?

Maurizio                        - Chiedo scusa: è una buona abitudine... (via).

SCENA VI.

Carlo e Tardini

Tardini                          - Brutta abitudine, invece, non è vero, mio Caro e buon amico? Questa gioventù viene su alquanto imper­tinente. Ed ora a noi, caro Panteo. Prima di tutto per­donate la mia importunità.

Carlo                             - Vi assicuro che provo un vero piacere nel rive­dervi. Mettiamoci a sedere. Ecco, un vero piacere. Ri­vedo in voi qualche cosa che ancora respira della mia' vita passata. E poiché sono vecchio vivo di ricordi...

Tardini                          - Vecchio alla vostra età! E poi non avete abbandonato da troppo tempo le fatiche dello studio, sì, dico, dell’Università, per fare già di tutto ciò un oggetto di nostalgia...

Carlo                             - Avete ragione, pure mi sembra che un secolo mi divida.

Tardini                          - Un secolo si, ma indietro, forse.. Oh, non ve ne abbiate a male. Il vostro libro, la posizione che avete assunto contro tutto ciò che è fatica dell'umano pensiero e conquista dell'umano sapere è stato come un colpo di fulmine per tutti noi, che, anche di idee lontane e diverse nello stesso campo del sapere, vi ammiravamo...

Carlo                             - Non me lo avevate mai detto, ma vi ringrazio...

Tardini                          - E per essere chiaro fino in fondo aggiungerò che, a parte il carattere intrinseco del vostro libro e delle polemiche che avete testé sostenute a confronto della vostra tesi oscurantista, perdonate la parola...

Carlo                             - È esatta.».

Tardini                          - ... a parte tutto ciò, vi dirò che non era forse opportuno e caritatevole quello che avete fatto in questo momento... La guerra è appena finita, si può dire. Sal­gono dalla officina e dalla sagrestia correnti di negazio­ne e di distruzione che minacciano seriamente la vita della nostra patria stessa e voi, proprio voi, l'inventore dei gas asfissianti più potenti, il perfezionatore di tutte le polveri esplosive, voi venite fuori a gridare a tutti che la guerra è un fenomeno meccanico dovuto alla ver­tigine del moto impresso al mondo dalle follie della ra­gione... Andiamo... Si fa presto a fraintendere. Senza contare che il vostro nome dà alle vostre parole un sen­so pernicioso. Eh, mate, male... Alla società accademica di cui sono presidente e di cui siete socio anche voi, si dicevano delle cose molto amare sulle vostre evoluzioni spirituali che nessuno giustifica, tanto più che, a quanto almeno si diceva, eravate sulla via di una affermazione... sì... sulla soglia della gloria... Perché mai non ci siete entrato?

Carlo                             - Perché ho preferito restare all'aperto... Comun­que non credo che siate venuto qui a rimproverarmi di aver combattuto la guerra come nessuno di voi, e di aver fatto, dopo la guerra, le considerazioni che ho cre­duto di fare per il bene dell'umanità che io amo appunto perché adoro il mio paese. E poco importa di quello che si dice di me da parte di qualcuno della società...

Tardini                          - Io se fossi in voi mi dimetterei da socio...

Carlo                             - Ma nemmeno per sogno...

Tardini                          - Mi parrebbe che questo fosse da parte vostra un atto logico di coerenza... Avete dato le dimissioni da preside della facoltà di scienza e da professore ordinario... A proposito: vi annuncio che sono stato chiamato a sostituirvi...

Caribo                           - Ne sono molto lieto, sopratutto perché la facoltà potrà godere del vostro magnifico gabinetto sperimentale che è uno dei primi in Italia.

Tardini                          - Ecco... ma non potrà servire all'uso quotidiano-Dunque dicevamo che non intendete dare le dimissioni?

Carlo                             - Ma non c'è nessuna ragione. Che ci siano degli imbecilli che delle mie osservazioni credono di capire che condannano le guerre fra i popoli, io rinneghi la patria, questo non mi riguarda, ma io non posso autorizzare in nessun modo alcuno a dubitare dei miei sentimenti. Non confondiamo i sentimenti con la ragione. Questa può do­minare quelli ma ha il compito sopratutto di guidarli. Amo il mio paese ma odio la civiltà di tutti i paesi. Il pensiero della guerra, di tutte le guerre del mondo, della guerra che ha dato sangue in questi ultimi anni, ma ha dato lacrime sempre, da secoli, dico, il pensiero di questa sofferenza eterna mi soffoca... Scrivendo questo libro e combattendo per queste mie idee non ho pensato più né alla vittoria, né alla sconfitta, né al fermento dei popoli, né ad altro. Niente: solo ho pensato alla verità che sta nel fondo di tutto il sangue versato da tutti i mar­tiri, l'inutilità di questa corsa pazza verso l'avvenire. Io ho sentito profondamente il grido di dolore che si è levato' sui campi di battaglia contro di me, fabbricatore di gas asfissianti e di polvere da sparo.

Tardini                          - Mio Dio; sotto questo aspetto è un rimorso del tutto personale.

Carlo                             - Può darsi, se credete che i gas asfissianti non siano una logica conseguenza di tutto quello che precede... Tut­to lo scientismo, questa imbecille religione che esclude dal suo regno l'inafferrabile, l'imponderabile, l'incalco­labile, sì signore, il sentimento, è tutto un gas asfissiante per gli uomini e soffoca nelle loro anime il sentimento della felicità che è semplicità, per coltivarvi solo il germe velenoso dell'inquietudine. E poi basta.

Tardini                          - Sì basta. Ma non comprendo come fino a poco fa abbiate studiato, lavorato ad una grande applicazione., solare... nientemeno... Non avevate quasi inventato l'elet­trificazione dell'energia solare?

Carlo                             - Un sogno...

Tardini                          - Ecco, vedete? I maligni mettono in relazione il vostro libro e le vostre polemiche con uno stato d'animo di sconfitta...

Carlo                             - (vivace) Come?

Tardini                          - Sì; non essendo riuscito a realizzare....

Carlo                             - Questo pensiero è ignobile...

Tardini                          - Per un uomo che è tanto rispettoso dell'impon­derabile, dell'incalcolabile, sì, del sentimento - che per me è semplice passione - è un pensiero verosimile.

Carlo                             - Vi prego di non insistere.

Tardini                          - Non insisto. È tutta una questione di coincidenza. Il vostro pensiero entrava in quel campo nel quale oggi scorazza con tanto poetica voluttà, nel medesimo tempo che la vostra esperienza cozzava contro l'impossibile.

Carlo                             - Io non ho conosciuto l'impossibile...

Tardini                          - Ah, ah, dunque...

Carlo                             - No, semplicemente disdegno anche il possibile.

Tardini                          - (lo guarda un momento con un sorriso maligno. Poi riprendendosi) Bene» bene. Ma io non sono venuto qui per questo. Ho ascoltato con molto piacere le vostre belle parole, ma (guarda l'orologio) eh, è tardi. Dunque dicevo... Visto e considerato che voi, sì, avete deciso di non studiare più, ecco, sapete, le lezioni cominciano pre­sto, il Rettore desidererebbe di sapere quando potrebbe rimandare a prendere gli apparecchi che vi furono pre­stati per quelle misteriose vostre esperienze...

Carlo                             - (turbato) Tanta fretta?

Tardini                          - Mio Dio! Vi ho detto: le lezioni ricominciano molto presto. È bene che il gabinetto sia al completo....

Carlo                             - Ma non avete il vostro meraviglioso gabinetto?

Tardini                          - Sì, ma i giovani sono così maldestri! È meglio che rompano la roba del governo. D'altra parte si è pen­sato che a voi non servono più...

Carlo                             - (sempre molto turbato) Gli è che... (decisamente) Ma sì! Dite al Rettore che domani o dopodomani, quan­do vuole, se li mandi a prendere. Non tanto tardi però. (come prendendo una decisione dimenticata) perché parto.

Tardini                          - Partite, per dove?

Carlo                             - Lontano... Per questo sono molto occupato... Li mandi a prendere posdomani...

Tardini                          - Ah, ma se partite... sì, dico, non vogliamo distur­bate i vostri preparativi.. Anche fra tre giorni...

Carlo                             - Ecco, bene, fra tre giorni....

Tardini                          - Ed ora vado... E poiché non ci vedremo più... buona fortuna e buon riposo...

Carlo                             - Grazie.

Tardini                          - (via).

SCENA VII.

Maurizio e Carlo

Maurizio                        - (entrando) Due parole sole...

Carlo                             - (distrattamente)'Ah, sei tu.. Che cosa vuoi?..

Maurizio                        - Che avete, Maestro? Mi sembrate molto preoc­cupato....

Carlo                             - Niente, dell'amaro in gola.. .

Maurizio                        - Mi dispiace...

Carlo                             - Niente, niente, ma fa presto...

Maurizio                        - È vero che partite?

Carlo                             - Sì, perché?

Maurizio                        - Niente, così... Allora è anche vero che è proprio finita...

Carlo                             - Che cosa?

Maurizio                        - Avete proprio abbandonato il progetto.. E noi?

Carlo                             - Ma ho l'aria di un burattino io? Ne vuoi una pro­va? Domani o dopo domani vengono a riprendersi i con­densatori... Restituisco all'Università tutto... Basta... Così penso e così agisco... Non credere anche tu che sia per nascondere la viltà di una battaglia perduta.... Perché sentivo che non avrei perduto...

Maurizio                        - Maestro...

Carlo                             - Adesso che faccio professione di ignoranza, mi puoi anche chiamare professore...

Maurizio                        - Maestro, voi forse avete già vinto., senza di me.

Carlo                             - Non ho vinto niente affatto... non vinco... Abbando­no la partita perché vincerla sarebbe un delitto...

Maurizio                        - Sta bene. Io non posso giudicare... Ci penserà la storia.

Carlo                             - La storia si occuperà spero di cose più importanti, lasciala stare.

Maurizio                        - Vi avverto però che Roberto Trezzi si ucciderà. Egli va incontro a due fallimenti per aver avuto fede in voi...

Carlo                             - (un po' perplesso in principio, poi sicuro) Roberto Trezzi non si ucciderà... Lo dice per spaventare sua mo­glie, cioè te...

Maurizio                        - (offeso) Maestro, sapete bene che io non vedo più quella donna...

Carlo                             - Lascia andare., quell'uomo non ha il temperamento del suicida; ha troppo giudizio....

Maurizio                        - Sta bene.

Carlo                             - Ti avverto che sono le dieci e mezzo. Sono abituato a coricarmi presto...

Maurizio                        - Me ne vado subito appena ho assolto una pro­messa che ho fatto alla vostra signora.

Carlo                                        - Cioè?

Maurizio                        - Ella vi avverte per mezzo mio, perché le è mancato il coraggio di dirvelo direttamente, che se voi mandate in atto il progetto di partire...

Carlo                             - Si ucciderà...

Maurizio                        - No, non vi seguirà. Credo che non abbiate ra­gione di dubitare anche delle sue parole...

Carlo                             - (subitamente colpito) Ah, ti ha detto questo? Ebbene rimanga... Partirò solo...

Maurizio                        - Non contavo molto sull'esito di questo collo­quio. Me ne vado senza stupore. Al vostro discepolo che sa tante cose di voi, negate tutto. Saprete fare altret­tanto con Trezzi e con gli altri? Con i mille e mille altri?

Carlo                             - Parto... Non vedrò più nessuno...

Maurizio                        - E anche me non rivedrete più?

Carlo                             - Questa è la prima parola che trova la via 'lei mio cuore, Maurizio!

Maurizio                        - Addio, Maestro.. .

Carlo                             - Addio, Maurizio... (Maurizio fa per partire).

Carlo                             - (commosso) Maurizio! (Maurizio si volta. Ha un momento di esitazione. Poi i due si gettano l'uno nelle braccia dell'altro. Maurizio via piangendo).

SCENA VIII.

Carlo e Rosa

Carlo                             - (rimasto solo suona il campanello).

Rosa                              - Comandi.

Carlo                             - La signora si è coricata?

Rosa                              - Non so.

Carlo                             - Andate a vedere, ma senza disturbarla.

Rosa                              - (via).

SCENA IX.

Carlo e Elena

Elena                             - (entrando) Mi cercavi?

Carlo                             - Sì, ma sarei venuto io da te... Dimmi: è vero?

Elena                             - Non domandarmi nulla.

Carlo                             - (insistendo) È vero che nell'ora più grave della mia vita, nella più dura battaglia, perdo il conforto della tua carezza, del tuo amore?

Elena                             - (scoppiando in pianto) Carlo, Carlo., il mio amore? È vero che dovrò andare per il mondo solo?

Elena                             - Carlo, non domandarmi più nulla; io sono come pazza...

Carlo                             - Perché, perché tacere? Se forse non parleremo mai più... Dimmi: è vero? Rispondimi dunque. Puoi es-sere sicura di me; puoi essere sicura che tutte le tue pa­role, tutte, saranno accolte dal mio cuore come un bene che la fortuna offre, o come una sentenza che bisogna' subire con rassegnazione... Elena... Tu sei ora tutto il mio mondo... Ma se per vincere questa battaglia sarà ne­cessario rinunciare anche a te... Elena... Ma non è pos­sibile! Dimmi che non è possibile! Dimmi che hai men­tito!

Elena                             - (tra i singhiozzi) Io voglio vivere!

Carlo                             - (Poi un soprassalto) Vivere? Vivere, hai detto? E che vuol dire? Come puoi pensare a questa orribile cosa, che io, pur nel travaglio doloroso della mia inquietudine, dimentichi te, il tuo amore, la tua vita? Elena... come puoi pensare a ciò? Ma dovunque io sia e comunque io viva, tu sarai con me, regina e padrona e consolatrice, dovun­que io sia, vi sarà la mia casa, la tua casa, comunque io viva porterò entro di me, intatto, nel mio cuore ancora saldo, il mio amore... la tua vita... Dunque?

Elena                             - (come timorosa di dover discutere) Sì, è vero... è giusto... perdonami...

Carlo                             - No... tu non credi, tu non vedi... Guardami m fac­cia, Elena. No, non così lacrimosamente. Tu non hai nulla da temere da me. Sono ancora, sempre, il tuo Carlo» il tuo compagno, che ti ama più di ogni cosa al mondo... puoi dirmi tutto... Hai detto « voglio vivere »... (prendendola per le braccia amorosamente) Che cosa hai voluto dire? Sentiamo, sentiamo... Mi vuoi bene, tu? Mi vuoi sempre bene, tu?

Elena                             - (con trasporto) Oh, tanto!

Carlo                             - E perché mi vuoi bene? Ricordi? Te lo domandavo sempre una volta: «Perché mi vuoi bene? » E tu mi ri­spondevi: « perché sei tu ». Mi vuoi bene come allora? Allora eri una bambina... quanti anni, quanti anni, quanto cammino, e non desideravi che di appoggiare la tua te­stolina spensierata qui, sulla mia spalla, per sognare, di­cevi. La tua vita, il tuo amore era questo: semplice, pu­ro... Ricordi?

Elena                             - Ricordo, Carlo... Non ho mai dimenticato come eri allora....

Carlo                             - (confortandosi) Sono molto cambiato.... Molto tem­po è passato su di me... Se penso al mio amore di allora sorrido....

Elena                             - Perché?

Carlo                             - Chi sa? Una cosa piccola, mi sembra oggi, un tra­stullo di bimbi... un modo per rendere più interessante il gioco fatale della vita... (facendosi grave) Oggi, oggi no... è la vita, tutta, tutta la vita... il rifugio... Elena... bisogna partire, capisci, bisogna andar via insieme..

Elena                             - L'esilio, perché?

Carlo                             - Perché siamo stati traditi.... il pensiero ci ha tra­diti... Le speranze... le convinzioni,., le nostre costruzio­ni. Tutto è caduto! Come vuoi che io rimanga fra queste rovine... come vuoi che io continui questo lavoro degli uomini, disperati manovali agli ordini di un male che domina?...

Elena                             - (alzandosi energicamente) Carlo., io non compren­do tutto ciò... Una sola cosa ho compreso di quanto mi hai detto, questa: «Molto tempo è passato su di me». Questo ho capito... Ho capito anche perché dici di amarmi oggi in un modo diverso da quel giorno... È un erro­re. Tu non mi ami.

Carlo                             - Che dici?

Elena                             - Se mi amassi mi terresti accanto a te e permette­resti che anch'io ti aiutassi a costruire il nostro, il nostro destino....

Carlo                             - Ma parla, ma parla... le tue parole saranno ascol­tate con la più grande speranza... dimmi...

Elena                             - Anche su di me è passato molto tempo... Anch'io posso, come te, affermare di amarti oggi in modo diverso. Peggio o meglio non so... ma diverso... di quando non sognavo che d'appoggiare il capo alla tua spalla.. Tu di questo non ti curi....

Carlo                             - Elena!

Elena                             - Ma domandami almeno, oppure domanda a te stes­so se io potrò lasciare la mia vita, la mia casa, la mia cit­tà, le mie abitudini, tutto ciò che in sostanza giustifica la mia esistenza, senza che mi si rompa il cuore, domandati almeno se io saprò amarti, con tanta tenerezza, anche lon­tano di qui, in un altro mondo, come ti amo qui... ti amo tanto, sai, Carlo, t'amo tanto... con tanta dedizione, tanta fedeltà, tanta speranza!...

Carlo                             - (indignato) Ah, finalmente! L'hai detto! Io voglio vivere! Ora comprendo bene queste tue parole misteriose, femminee, che ti sei lasciate sfuggire fin dal principio.... Non me, ami tu, ma la mia casa... le tue abitudini... Ma io. io che cosa rappresento nel tuo cuore?

Elena                             - Carlo, tu sei la ragione prima di tutto... Senza di te... nulla....

Carlo                             - Ah... parole...

Elena                             - E tu, perché vuoi andare lontano, perché vuoi partire? Per me? Io non so nulla di ciò che ti turba.. Io, al­lora, che cosa rappresento?

Carlo                             - (dopo un attimo di incertezza) Tu non sai nulla .. in non sai nulla... appunto per questo... perché non sai nulla e io so... tu mi devi obbedienza (ad un cenno dimesso di Elena) No... non ti domando nemmeno l'obbedienza... Farai quello che vorrai... Se vorrai restare... resterai...

Elena                             - Senza di te?

Carlo                             - Senza di me... In. questo momento tu poni sul mio cammino un altro grave ostacolo, tu apri un altro abisso, inaspettato... (crescendo) Ho dato la scalata con rutta la forza dei miei nervi, con tutto l'ardore della mia cieca fede in me stesso, alla montagna dell'ignoto. Ho faticato per notti intere, appassionatamente, a costruire in me l'e­dificio della verità, scavando senza posa e senza compas­sione nel fondo oscuro degli istinti, mi son aperto una via nel mondo a forza di volontà e di pazienza; ho sofferto la fame e il disinganno, sono caduto dalla stanchezza e; dalla disperazione, mi sono risollevato e ho combattiti!} ancora... tu non sai, disgraziata, cosa vuol dire trovarsi un bel giorno sbalzati indietro, da capo, da un momento all'altro, senza sapere come... Tu non sai cosa vuol dire vedere a terra in rottami inutili tutto ciò che si è fatto in trent'anni, tu non sai che cosa vuol dire potere e dubi­tare, potere e temere... tu non sai e ridi... Tu non sai e contro il mio dolore, contro il mio stordimento, contro la mia confusione tu getti con incosciente leggerezza gli stracci inverecondi di un amore consumato... Anche tu.,. anche tu... anche tu...

Elena                             - (col pianto in gola) Eppure, io ti amo...

Carlo                             - (si calma, quasi si pente di essere trasceso, fa una carezza ad Bietta) Scusami... scusami... sei stanca... vero? Sei stanca? Va' a riposare... Domani ti convincerò., ti darò fiducia., vai         - (aiuta la moglie ad alzarsi e a uscire. Sulla porta la bacia in fronte). A domani.

Elena                             - A domani...

Carlo                             - (solo... quasi con rabbia so'i'da) Domani... domani... Ma oggi? oggi... (spegne i lumi, chiude tutte le porte e con circospezione apre la porticina dello studio, accende, si guarda intorno e alle spalle. Entra, lo si vede chino sui libri).

Fine del primo atto

ATTO SECONDO

Il gabinetto del professor Panteo. Porta a destra; a sinistra sulla parete di fondo una porticina che dà su una scaletta della quale si vedono soltanto i due primi gradini. Due grandi tavole, una a sinistra verso il proscenio sulla quale è un grande ammasso di libri, un'altra contro la parete di fondo. Sedie, libri, apparecchi di fisica, scaffale.

SCENA I.

Carlo poi Maurizio

(Quando si alza la tela, alla scrivania in fondo è seduto il professore Panteo, intento a consultare libri e prende­re appunti. Dopo un momento, alcuni colpi alla porticina di destra. Carlo depone i libri, li chiude, ripone le carte, riordina tutto e va cautamente ad aprire).

Carlo                             - (aprendo) Sei tu, Maurizio?

Maurizio                        - (entrando e con sorpresa) Maestro, che vuol dire?

Carlo                             - (che mostra un'indifferenza che non ha) Niente. Chiudi. Ti ha visto nessuno?

Maurizio                        - La donna di servizio.

Carlo                             - Non conta. Sono venuto qui per riordinare tutto definitivamente. Credo che tu abbia dimenticato qualche cosa nella scrivania.

Maurizio                        - Infatti.

Carlo                             - Ecco, puoi sgomberare.

Maurizio                        - (non ancora rimessosi dallo stupore, si avvici­na alla sua tavola e fa per incominciare la visita dei cas­setti. Intanto Carlo passeggia nervosamente su e giù).

Carlo                             - Chi avrebbe pensato, Maurizio, che ci saremmo così presto trovati qui, per questo? ...- Non ti nascondo che il pensiero di abbandonare la mia vita, le mie abitudini, la tua amicizia, mi dà un poco di malinconia...

Maurizio                        - E a me, Maestro....

Carlo                             - (cambiando improvvisamente tono) Di un po', che cosa hai pensato quando sei entrato qui?

Maurizio                        - (confuso) Ma... Niente... Perché?

Carlo                             - (continuando a camminare) Niente... niente... o .. (pausa, fermandosi ad un tratto innanzi al discepolo) Senti, Maurizio...

Maurizio                        - (sorpreso) Maestro...

Carlo                             - Ammetti tu che la passione umana possa far velo alla ragione... fino alla contraddizione?

Maurizio                        - Mio Dio, che cosa vuol dire? Non capisco....

Carlo                             - È semplice, mi pare. Io conosco un antialcoolista che beve del vino.

Maurizio                        - Si ubriaca?

Carlo                             - Non so. Forse anche si ubbriaca. Che ne pensi, tu?

Maurizio                        - (sorpreso) Ma... non vedo...

Carlo                             - Insomma...

Maurizio                        - Mio Dio, penso che non segue le dottrine che professa.

Carlo                             - Ma se suo padre le avesse almeno predicate come egli ora le predica, egli ora non berrebbe vino... Mi spie­go? I suoi figli probabilmente non berranno vino... Èchiaro! La utilità morale e sociale della sua dottrina non è per niente diminuita dal fatto che egli beve vino. Sareb­be giusto esporlo al pubblico disprezzo e additarlo come un argomento in contraddizione alle sue teorie? No, è vero? Ebbene, io credo che quest'uomo, sincero nelle sue convinzioni, animato dalla migliore sua buona volontà, cento e cento volte si sarà sentito costretto a far forza su sé stesso per non gridare che il vino passito è una be­vanda squisita... Credo anche che in preda alla gioia car­nale di un bicchiere di spumante abbia qualche volta chia­mato in disparte il suo amico per decantargli piano, in un orecchio, la felicità di Bacco. Sarebbe giusto, dico, pren­dere quest'uomo e sputargli in viso e condannarlo alla vergogna per tutta la vita?

Maurizio                        - Maestro... ma io...

Carlo                             - O non sarebbe carità umana tacere e rispettarne il tormento?..

Maurizio                        - Ma perché tutto questo? Vi confesso che sono confuso e stranamente colpito.

Carlo                             - No, niente, seguitavo un mio discorso. Sgombra i tuoi cassetti.

Maurizio                        - (ha un moto di incertezza, poi riprende a rovi­stare i cassetti della scrivania).

Carlo                             - (ricomincia a passeggiare nervosamente. Poi an­cora si ferma innanzi a Maurizio) Per esempio, se io ti dicessi che, non ostante tutto quello che ho detto e scritto, tutto quello che sinceramente ho detto e scritto, io ho con­tinuato a venir qui tutte le sere e tutte le mattine a logo­rarmi l'anima nella pace dei libri, nel tormento riposante di una ricerca?... No, no... dico per dire... Diavolo...

Maurizio                        - Maestro! Io non vi capisco... Che cosa avete, Maestro?

Carlo                             - Niente, niente. Pensavo a quello che avresti potuto supporre tu di me, se entrando qui, poco fa, avessi avuto il sospetto che io, non ostante 1 miei atteggiamenti, le mie polemiche, nel silenzio della notte, nel mistero della mia casa avessi continuato a studiare cauto e guardingo co­me un ladro.

Maurizio                        - (si alza) Maestro... (i due uomini si guardano un momento stupefatti).

Carlo                             - Perché mi guardi così? Credi forse che io attenda da te una parola di assoluzione o di condanna? Ebbene, si, io ho fatto questo. E ti ho chiamato qui, quest'oggi, alla vigilia della mia scomparsa proprio per dirtelo.

Maurizio                        - Ma io...

Carlo                             - (con semplicità) Per dirti che mentre voi, con le più sottili argomentazioni, con le più sagge parole, con le più insinuanti promesse, irritavate la mia ragione, qui dentro, nel mio cuore era un vostro alleato, un mio ne­mico più forte di voi e di me che soffocava la mia ra­gione e la mia volontà, mi dominava con l'imperio di un istinto...

Maurizio                        - Oh, Maestro! Dovrei compiangervi, perché penso che voi dovete molto soffrire, ma tuttavia...

Carlo                             - Mi condanni? Che importa!

Maurizio                        - No, non vi condanno, gioisco....

Carlo                             - Sei cattivo e mi pento di averti parlato come ad un fratello, all'unico mio fratello, che sa di me tutto...

Maurizio                        - Perdonatemi, Maestro. Io non dirò nulla a nes­suno, tanto più...

Carlo                             - Che cosa?

Maurizio                        - Io penso ancora che voi non partiate...

Carlo                             - Che cosa ne sai tu?

Maurizio                        - Trascinato qui da una forza più grande della vostra volontà, trascinato dall'istinto della lotta, voi com­batterete fino alla vittoria. Ne sono sicuro.

Carlo                             - (con calma fredda) Ebbene, vuoi sapere proprio tutto? Vuoi sapere tutto? Non ti domando il segreto perché anche se tu lo violassi non faresti che aumentare il tor­mento della mia lotta, ma non sposteresti di un millime­tro la linea della mia condotta... Vedi? Io non so perché parlo. Mi basta vedere la faccia di un uomo, tutta solcata dalle rughe del tormento, tutta torbida di passione, tutta ingorda ed insaziata, la faccia di un uomo qualunque, per rientrare in me stesso... Ecco: io potrei non parlare più, potrei non dirti più nulla... Ma ho tanto accarezzato in me stesso, nella intimità tenebrosa della mia miseria, la volut­tà di dire a qualcuno che mi comprenda, dì dirgli: « Ho vinto. Ho superato tutte le difficoltà; ho vinto, son0 pa­drone della forza del sole... Ho vinto!!! »

Maurizio                        - (interrompendolo) Maestro... è vero?

Carlo                             - Sì. Mi basta questo tuo grido! Ecco! Come tacere? Perché tacere? Ho un passato di lotta violenta, sangui­nosa, ho un avvenire di silenzio... almeno questo, alme­no che la mia agonia abbia un raggio di sole, l'ultimo.... Maurizio, stai fermo... vienmi vicino.. Senti., hai capito quello che ti ho detto? È vero, sai? Per ore, ore, notti-notti... sospiri.... urti interni di 'passioni e di volontà. Solo, solo... Ho combattuto anche faccia a faccia col sole per dominarlo... Ecco, finalmente è cosa mia, tutta mia, po­trei se volessi... No, no... mi basta il tuo grido... l'esul­tanza della tua anima di uomo che risponde alla mia gioia segreta.... Mi basta questo. Ma almeno questo, almeno questo, Maurizio.. Non tremare., mi fai paura! Che cosa ho fatto? Rispondi! Che cosa ho fatto? Vedi, per un mo­mento ho pensato che dicendoti tutto avrei potuto scavare fra me e la mia coscienza una insormontabile barriera.... Dimmi che non è vero! Ho fidato nel tuo cuore di figlio, di amico... Dimmi che non è vero! Dimmi che non ho parlato ad un uomo, ma a me stesso! (col pianto in gola) Dimmi che ho fatto bene. Ho voluto godere per un mo­mento solo e per me solo, miserabilmente, questa volontà dolorosa di dominio... o almeno perdonami... (in preda al parossismo della sua gioia trascina alla (scrivania il di­scepolo che si china avidamente sulle carte che il Maestro gli mostra. Trae un foglio e lo spiega trionfalmente sotto gli occhi di Maurizio) Ecco... vedi? Vedi? (improvvisa­mente pentendosi) No, questo no! (più dolcemente) Qué­sto no! Vieni, vieni... (trascina il discepolo su per la scaletta della terrazza e insieme scompaiono).

SCENA II.

Elena e Roberto

Elena                             - (entra cautamente seguita da Roberto Trezzi) To', è aperto... (ì due, segnatamente Elena, si guardano intor­no meravigliati di trovarsi in quel luogo) Mio Dio, Trez­zi, andiamo via... (Elena continua a dimostrare una gran­de apprensione. Trezzi si dispone a sedersi su una sedia ma si avvede che c'è un cappello e lo esamina) Che fate? Volete sedervi, anche?., ma non si può... non si può... se discendesse...

Roberto                         - To'... questo cappello...

Elena                             - (sorpresa) È di Maurizio... Ma che accade, dun­que?..

Roberto                         - Non so che cosa sia ma mi sento un po' più , tranquillo...

Elena                             - Perché... che cosa pensate?

Roberto                         - Abbiate pazienza... Quello che mi accade oggi è molto strano... In seguito ad una violenta e chiara, molto chiara spiegazione con mia moglie...

Elena                             - (preoccupata) Con vostra moglie?

Roberto                         - Sì... niente paura... avevo deciso... di sollecitare dal nostro amico Maurizio un breve colloquio...

Elena                                      - Ma non capisco.

Roberto                         - Passo di qui con tutt'altra idea che quella di tro­varlo e invece lo trovo. E dove .lo trovo? Proprio qui... nel teatro delle operazioni... Buon segno...

Elena                             - (che agitatissima ha seguito le parole del Trezzi senza per questo cessare dal guardare dal lato della sca­letta della terrazza. Improvvisamente) Trezzi, andate via, andate via... lasciate fare a me...

Roberto                         - (non osando ribellarsi) Ma... non dimenticate che io aspetto...

Elena                                      - No, no... andate...

Roberto                         - Se no, io rientro...

Elena                             - No... state tranquillo, lasciate fare a me... (Trezzi esce).

SCENA III.

Elena e Maurizio

Maurizio                        - (discende rapidamente la scaletta, traversa la scena, Raccoglie il cappello. Fa per uscire, quando si avvede della donna che attende immobile appoggiata sull'uscio. Sorpresa).

Maurizio                        - Voi qui?

Elena                             - Maurizio, Maurizio.... sono in tanta ansia., dite­mi che cosa è accaduto., ditemi...

Maurizio                        - Non posso dir nulla.... Non posso dir nulla..

Elena                             - Ma è assurdo... Voi siete agitato, commosso...

Maurizio                        - Agitato... commosso... e indignato.. Me ne vado per non urlare.

Elena                             - Che cosa? In nome di Dio... urlare che cosa?

Maurizio                        - La verità... la verità... Nulla è mancato poco fa che io non gli mancassi di rispetto.. È troppo., è trop­ po

Elena                                        - Ma dunque?

Maurizio                        - Ha vinto!.

Elena                             - (con impeto) Finalmente...

Maurizio                        - Silenzio... Per carità... Non avrei dovuto dir nulla..

Elena                             - (fa per lanciarsi alla scaletta)

Maurizio                        - Elena., dopo quello che è accaduto oggi... e do­po quello che accadrà, penso che non mi sarà più pos­sibile mettere il piede qui...

Elena                             - Maurizio, che dite?

Maurizio                        - Non so... ho l'impressione che tutta la sua fidu­cia in me si sia esaurita poco fa, nello sforzo di dirmi tutto. Spero anche che sia così... Perché desidero ormai di essere libero dei miei sentimenti anche verso di lui... E poi non ho tempo ora di dirvi, di spiegarvi tutto... Vi domando una sola grazia, Elena, per tutto l'amore e per tutto il rispetto che vi porto...

Elena                                      - Che cosa?

Maurizio                        - Permettemi di vedervi ancora una volta... una volta sola... di parlarvi, (a una controscena dì sorpresa di Elena) No: sono senza speranze., (si batte alla Porticina) Chi è'?...

Elena                             - Ah... me ne ero dimenticata. È Roberto.. Mi aspetta. Ora come fare? Che cosa posso dire? (si batte una seconda volta)

Maurizio                        - Andate.... raggiungete il Maestro... penso io al Trezzi.

(Elena fa per muoversi ma Maurizio ansiosamente) Dun­que?

Elena                             - (con un moto della testa compassionevolmente af­fettuoso) Ragazzo... (si batte una terza volta alla por­ta. Elena via).

SCENA IV

Maurizio e Roberto

Maurizio                        - (prende il cappello, apre e fa per uscire men­tre Trezzi emettendo un ah! di impazienza gli si para in­nanzi e vuole entrare).

Roberto                         - (entrando risolutamente) Finalmente! Scusa se ti ho disturbato nel più bello... forse, anzi certamente nel più bello....

Maurizio                        - Che cosa intendi dire?

Roberto                         - Due colombi, quando tubano, sono sempre nel più bello...

Maurizio                        - Ti proibisco di continuare su questo tono.... E intanto è meglio che noi andiamo di là... Non abbiamo nulla da fare qui...

Roberto                         - Abbiamo invece molto da fare tutti due.... E poi sto meglio qui... Dovendo parlare di cose scientifiche mi sento più in ambiente..

Maurizio                        - Non è il caso di scherzare, mi pare... Andiamo.

Roberto                         - Non scherzo per niente... Ho urgente bisogno di parlare da solo a solo con te e preferisco di rimanere qui, tanto più che tu preferisci di andare di là. Ci sarà la sua ragione. Senti... arrivano i francesi... Ho ricevuto questo telegramma... la cosa, come vedi, incalza e prevedo che non caverò un ragno da un buco senza la tua valida, preziosa, sicura collaborazione..

Maurizio                        - Ancora?

Roberto........................ - Come ancora? Ancora, ed ora più che mai Perché io, come sai, sono sull'orlo di due abissi, uno mo­rale e l'altro più profondo: materiale... Tu mi devi sal­vare dall'uno e dall'altro... Taci un momento... In pri­mis et ante omnia, dico bene?, come arrivano ti pre­sento quei signori. Ad essi dirai che io ero nella più perfetta buona fede, non solo, ma che anche le cose si mettono piuttosto benino... che presto, molto presto...

Maurizio                        - Ma tu sei pazzo...

Roberto                         - E perché?

Maurizio                        - Ma chi ti autorizza a ritenermi capace di simile falsità?

Roberto                         - Ed allora, amico mio, cosa penserai di me quan­do ti dirò la seconda e non ultima parte del programma che ti affido?

Maurizio                        - Insomma...

Roberto                         - Tu devi ritornare alla carica col tuo padrone.... Il quale deve finirla una buona volta con tutte queste chiacchiere filosofiche e rimettersi, con quella lena che )o distingue, a lavorare per concludere presto... C'è gloria e milioni per tutti. Io naturalmente mi accontento dei mi­lioni.

Maurizio                        - Ma tu sai benissimo che il Maestro ha una sola parola e che una volta incamminato per la strada...

Roberto                         - Può essere, può essere... In questo caso ti affido una terza e ultima parte del programma. Tu sai tutto....

Maurizio                        - Cosa tutto?

Roberto                         - Hai lavorato sempre con lui, lo hai seguito fino agli esperimenti più recenti, conosci le ultime conclusioni. Sei sulla buona strada, insomma. Ecco, quello che non farà lui lo farai tu... Lasciami finire... Tu puoi entrare qualche volta qua dentro e... (andando al tavolo del Mae­stro) ecco... (prendendo il foglio che poco prima il Mae­stro aveva mostrato al discepolo) qui c'è scritto qualche cosa di buono certamente per uno che sappia leggere in questi ghirigori... Tu sai leggere...

Maurizio                        - Non toccare!

Roberto                         - Ti è così cara la roba del Maestro? (deponendo il foglio) Non toccare... Bravo Maurizio.

Maurizio                        - Roberto, sei banale!

Roberto                         - Insomma tu ti devi impadronire di tutto quello che può essere utile... Mi intendi?

Maurizio                        - (contenendo la sua collera) Cioè rubare....

Roberto                         - Se ti piace definire... Rubare...

Maurizio                        - (che sta per essere sopraffatto dallo sdegno) La tua disperazione ti salva! A quest'ora ti assicuro che, se non mi tenesse la compassione che ho per la tua rovi­na, tu non parleresti più in simile modo e tanto meno continueresti a propormi simili infamie degne di un incosciente.

Roberto                         - (provocante) Benissimo. Dunque?

Maurizio                        - E hai ancora la spudoratezza...

Roberto                         - (sempre mollo calmo) Senti, giovanotto. Ti con­siglio di non insistere su questo tono... Guardami bene in faccia e domanda a te stesso se proprio un uomo come me può assumere verso un altro uomo sia pure come te certi atteggiamenti senza essere confortato da qualche buon argomento.... Mi intendi? Guardami dunque leal­mente, onestamente in faccia, tu, che hai paura del verbo rubare (lo guarda intensamente e non perde la sua tran­quillità di spirito). Dunque?

Maurizio                        - Ma io non so cosa intendi dire... Solo ti prego... andiamo via... tronchiamo questa discussione...

Roberto                         - No... no... un momento.., Non prima di aver stretto una buona e salda alleanza con te... Adesso che so.,.

Maurizio                        - (agitato) Che cosa?...

Roberto                         - Adesso che so quali sono le tue aspirazioni... A-desso che so le ragioni vere di una certa tua stranezza... Adesso che tutto è chiaro...

Maurizio                        - Ma io continuo a non comprendere...

Roberto                         - Non credo, in ogni modo... se sarà il caso... ti farò spiegare da'mia moglie,., (lo guarda, imbarazzandolo) la quale stamane è stata un miracolo di chiarezza... Su su, animo, caro, ho bisogno di tutta la, tua energia...

Maurizio                        - Ma tu non sai...

Roberto                         - Io so che tu sarai molto lieto di aiuterai: non per me che oramai sono un uomo inutile per te... almeno per Elena...

Maurizio                        - (toccato) Che c'entra lei?...

Roberto                         - C'entra moltissimo... Quando ti dico che mia moglie è stata un miracolo di chiarezza... E poi, poco fa, avete lungamente parlottato insieme... Non ho udito i vostri discorsi, ma, date le tue tendenze... matrimoniali., non era difficile...

Maurizio                        - (tentando di riscuotersi) Insomma...

Roberto                         - Insomma: se mi segui e mi obbedisci, bene: avrai la tua gloria, la sua donna... se pure ti piace an­cora... perché sei volubile... e i nostri milioni... ma sul serio... se no... Parò al tuo Maestro un discorso filosofico capace di sventrare in un modo addirittura osceno tutte ' le sue elucubrazioni...

SCENA V.

Carlo, Elena e detti

(Carlo ed Elena entrano dalla porta della scaletta inter­rompendo Roberto).

Carlo                             - Che accade qui?

Maurizio                        - Maestro...

Roberto                         - (improvvisamente molto umile e sottomesso) Sono ritornato da tre giorni e non ho ancora avuto il piacere di salutarvi.

Carlo                             - Capisco, ma niente vi autorizza ad entrare qui . dentro in questo modo.

Roberto                         - Ma io ho da dirvi delle cose molto importanti e urgenti...

Carlo                             - Scusate, non mi sento bene.

Roberto                         - (a Elena) Signora, vogliate dire al professore...

Elena                             - L'ho fatto, Trezzi, l'ho fatto.

Carlo                             - (con calma forzata) Sentite, amico mio, ho saputo da mia moglie in quale... posizione, diciamo così, voi vi trovate di fronte a quei signori che avete ingannato...

Roberto                         - Scusate, professore, qui c'è un solo ingannato e sono io...

Elena                             - Roberto!

Carlo                             - E da chi se è lecito?

Roberto                         - Non so bene da chi. So che sono stato incorag­giato, assicurato... poco ancora e mi si dava la cosa per fatta...

Carlo                             - Ma io non sono responsabile di quello che altri può aver detto.

Elena                             - Ma tu stesso fino a poco fa ti mostravi così sicuro.

Carlo                             - Ah, sei stata tu?

Elena                             - Mio Dio! Tutti e due... perché anche Maurizio...

Maurizio                        - È vero, Maestro, ma dovete riconoscere che tutta la speranza ci veniva da voi...

Roberto                         - Alla buon'ora... Io, sull'orlo della rovina, mi sento attaccato a questa, speranza... Posso aver fatto ma­le, ma io non sapevo, non potevo sapere i procedimenti intimi del vostro pensiero... non potevo supporre questo colpo di testa proprio quando...

Carlo                             - Proprio quando la mia coscienza mi ha imposto una via da seguire...

Roberto                         - Questo io non lo capisco, ma fa lo stesso... D'al­tra parte io non posso pretendere da' voi, uomo di scien­za, quello che non avete il dovere di dare a me, uomo d'affari. Ma, all'amico, a colui al quale ho dimostrato in mille modi la fiducia, la stima, a questo uomo io ho il diritto di domandare una parola...

Cario                             - Quale parola?

Roberto                         - La parola che mi salvi, almeno per un poco, dal­la vergogna. Bisogna che, anche se i vostri studi non siano per dare sensibili risultati, bisogna che io ottenga una dilazione. Basterà che voi domandiate una dilazione alla vostra volta... un tempo indeterminato, quello che volete... Alla scadenza direte di aver sbagliato, di non aver concluso nulla... Intanto passa il tempo. Il vostro nome è una garanzia per il mio nome, come in altri tempi il mio buon nome di industriale fu una garanzia per voi, che eravate un ignoto, un povero ignoto...

Carlo                             - Ho capito, devo pagare...

Elena                             - Non dire così, Carlo... Noi gli dobbiamo molto...

Carlo                             - Ebbene no! ...

Elena                             - Carlo, aspetta a decidere: in fondo Trezzi non ti domanda che una dilazione che può essere la sua sal­vezza...

Maurizio                        - Pare anche a me che, senza nuocere alla vostra posizione, voi possiate accontentarlo. In fondo non si tratta...

Carlo                             - Non si tratta che di ingannare della povera genìe che non ha colpa: ingannarla con la coscienza di in­gannarla... E perché? Io non mi ricuso di parlare con quei signori che stanno per arrivare, e farò tutto quello che mi è possibile per ottenere a favore di Roberto tutte le dilazioni di ' questo mondo, ma non ingannerò... Non posso... Non posso...

Elena                             - Ecco, io non capisco questa tua ostinazione..

Carlo                             - La chiami così, tu, l'onestà? Non posso...

Roberto                         - (trattenendo Maurizio che voleva parlare") No: siamo in troppi e d'altra parte mi accorgo che questa via è perfettamente sbagliata. Per altro, professore, lasciate che vi dica che dalle parole che voi avete detto, io traggo motivo di un certo conforto...

Carlo                             - Conforto?

Roberto                         - Siete troppo irremovibile...

Carlo                             - Che intendete di ' dire?

Roberto                         - Niente... così... Si direbbe che abbiate paura di concedere un poco.

Carlo                             - Paura? Oh, per questo v'ingannate...

Roberto                         - Va bene... Ed ora me ne vado perché ho molte cose da fare... Niente è più faticoso, più assorbente di un fallimento... Concludiamo...

Carlo                             - Non c'è nulla da concludere...

Roberto                         - Avete detto che...

Carlo                             - Ah, già, i francesi... Portatemeli, quando arrive­ranno. Ed ora lasciatemi, vi prego, lasciatemi... No, tu Elena, resta... Ho tanto bisogno di te  - (si apparta con Elena).

Roberto                         - (a Maurizio) E resta anche tu... E fa il tuo do­vere...

Maurizio                        - (seguendolo mentre esce) Ma in questo momento….

Roberto                         - In questo momento non bisogna assolutamente lasciarlo solo... È una partita disperata, ma bisogna com­batterla... non dargli campo.

Maurizio                        - (uscendo con Trezzi) Ma non capisci che si può pregiudicare tutto irritandolo? (escono discutendo).

SCENA VI.

Carlo ed Elena

Carlo                             - Finalmente! (parla come assorto) Elena, Elena... Sei qui, vicino a me...

Elena                             - Che vuoi? Che cosa posso fare io per te, ora?

Carlo                             - Perché ora?

Elena                             - Non saprei che rimpiangere...

Carlo                             - E tacere?

Elena                             - Rimpiangere anche tacendo...

Carlo                             - Mi condanni?

Elena                             - Non ti capisco... Mi sembri così lontano...

Carlo                             - Ed io ti sento vicina, invece, così mia... Non ti ho mai sentita così... E sarei tanto felice di riposare nelle tue carezze...

Elena                             - Tu hai bisogno di riposare, di star quieto, di non pensare...

Carlo                             - E sono felice anche di questo strano senso di ri­torno e di addio che è nelle nostre parole... Ti sembro lontano forse perché mi cominci a vedere. E mi avvici­no... Mi avvicino perché sono stanco. Mi sembra che tutti al mondo debbano essere stanchi come me.

Elena                             - Ma perché questa stanchezza inguaribile?

Carlo                             - Perché abbiamo camminato troppo, perché ci sia­mo accorti che nulla ci salva dall'immenso vuoto che ci pesa addosso e contro il quale non sappiamo op­porre che l'ebbrezza della corsa. Camminano, cammina­no gli uomini... Sono stanchi di camminare. Bisogna dormire anche, bisogna riposarsi anche, bisogna fermar­si. E allora si ritorna... Per questo anch'io, che sono stanco, ritorno...

Elena                             - Ma tu sei giunto ad una meta... È tua...

Carlo                             - Oh, una meta! Un'applicazione scientifica, che in fondo non è che uno sfruttamento mercantile, non può essere una meta... Niente risolve... Nessuno si accon­tenta... È in noi, la maledizione... Bisogna vincerla..,

Elena                             - Ma avrai anche tu, a suo tempo, il riposo...

Carlo                             - Non riposo se tu non apri le braccia e non mi lasci dormire... Ti amo... che strane parole! Ti amo! Comincio a capirle... Ti amo! ...

Elena                             - (scuotendo malinconicamente il capo) Capirle!... Non si capiscono... Tu le pensi...

Carlo                             - No... ritorno... Ti ricordi quando eravamo appena sposati e tu mi sedevi accanto come ora? Allora ero tan­to contento... Solo, modesto, povero... Eppure avevamo tanta serenità nel cuore... Non le penso... Le sento anco­ra... un'altra volta... E sai che sono molto, molto pentito?

Elena                             - Di che?

Carlo                             - Di averti un po' dimenticata... per tanto tempo... tanti anni... E perché poi? Per questo?...

Elena                             - (un po' irritata) Mi fa tanto male sentirti parlare così! Tu in questo momento!

Carlo                             - E perché? Se tu provassi la gioia di questo mio riposo... di questo mio ritorno... ti acquieteresti come me.. Mi sento già un altro... e se non avessi innanzi a me l'incontro di questi stranieri ai quali dovrò pur parlare di tante cose penose, vedi? mi sembrerebbe di poter dare un addio e per sempre a tutto... a tutto.

SCENA VII.

Maurizio e detti

Maurizio                        - (entrando) Maestro, una parola sola.

Carlo                             - Che c'è, mio Dio, qualche nuova seccatura?

Maurizio                        - L'ultima.

Carlo                             - L'ultima? Sentiamo.

Maurizio                        - (calcando sulla prima parola) Devo parlarvi.

Elena                             - Disturbo?

Carlo                             - No, resta.

Maurizio                        - (incerto) Ma, la signora sa?

Carlo                             - Tutto... ormai...

Maurizio                        - (con un sorriso impercettibile) Va bene, ecco. Poco fa, in un momento di ebbrezza, di confusione, di pietà per voi che mi avete parlato con tanta franchezza, con tanta umiltà, ho potuto tacere... fuggendo...

Carlo                             - (alzandosi accigliato) Ed ora?

Maurizio                        - Ora non posso più fuggire... ho pensato che il mio dovere, verso il mondo, verso di me, verso di voi stes­so, era un altro. Ho pensato che bisognava superare an­che la pietà della vostra tristezza, del vostro tormento.... Maestro... Badate a quello che fate. Pensate...

Carlo                             - Dico... Maurizio... (con sdegno) Ah, via, via! (cal­mato da un cenno di Elena) Ma quante volte debbo ripe­tere: no... no... no?

Maurizio                        - Questo monosillabo è criminoso.

Elena                             - (con meraviglia e rimprovero) Maurizio!

Carlo                             - (facendo tacere con un cenno sua moglie) Dove hai trovato in questi pochi minuti codesto tono? Chi ti per­mette di giudicarmi così mentre domando un'ora di pace, di riposo, al mio cervello? Chi mi ti manda incontro come un nemico?

Maurizio                        - Non come un nemico: come una .coscienza che ha trovato la sua strada...

Carlo                             - Non dire delle belle parole per nascondere una vol­garità... Chi te l'ha insegnata la strada della coscienza? Trezzi?....

Maurizio                        - Questo non è degno di voi....

Carlo                             - Perché ho compreso gli uomini e ne subisco il con­tatto....

Maurizio                        - Avete forse compreso le passioni degli uomini. Ma non vi siete reso conto affatto dei loro bisogni e dei loro diritti. D'altra parte non è degli uomini o di un uo­mo che vi voglio parlare... Voi dite di servire un'idea. Ebbene, anch'io ho un'idea da servire: la civiltà...

Carlo                             - (ha un gesto di noia impaziente) Rettorica...

Elena                             - Ascoltalo, Carlo, perché non vuoi ascoltarlo?

Carlo                             - Avanti, avanti... Finisci! .. .

Maurizio                        - (con tono dimesso, ma energico) Prima di com­piere quello che avete in animo di fare interrogate la vo-stra coscienza, non misurate soltanto il grado delle vostre responsabilità e del vostro tormento., guardatevi intorno. Miseria, miseria, inquietudine, desiderio febbrile di rico­struire, di fare! Tutto è utile al lavoro dell'uomo oggi, tutto è utile alla sua rinascita dopo una guerra come è stata la nostra... noi dobbiamo prodigarci, senza stanchezza, senza incertezza, senza miserevoli calcoli personali e senza pregiudizii... La storia, che giudicherà coloro che hanno staccato l'operaio dal suo lavoro, che l'hanno reso nemico del suo lavoro, giudicheranno anche voi....

Carlo                             - (mentre il discepolo parla si è assorto e pare non ascolti).

Elena                             - (interrompendo Maurizio) Carlo, Carlo....

Maurizio                        - Non rispondete? Lo so: non è facile rispondere a questo... ma bisogna almeno riconoscere di non poter rispondere...

Elena                             - Carlo...

Carlo                             - (stanchissimo) Avevo domandato un istante di tre­gua... Ho qui nelle mani un miracolo... e voi mi venite accanto con un'insistenza crudele ad infiggermi nel fian­co il pungolo di un imperativo1 perché. L'uomo non ha dunque il diritto di ribellarsi all'assurda legge che domi­na la civiltà?... Dare, dare, dare... Così, senza sapere se è bene o se è male... senza coscienza, senza un esame sia pure sommario, che valga a dargli il senso, il peso, il va­lore di ciò che dà... Tutto, tutto giù in questo grande crogiuolo... E perché? No, no, l'umanità non aveva af­fatto bisogno di questa civiltà pratica. Tutto questo la perde, la perde nel parossismo vertiginoso dei più dispa­rati pensieri. L'umanità aveva bisogno di una civiltà in­teriore che risolvesse la ragione intima della vita! Ma che macchina a vapore, ma che prodigi della forza mec­canica! Tutto questo conduce... ecco, conduce... dove sia­mo noi, in questo momento! Ma basta! Voi avete dun­que perduto il senso della parola guerra.

Maurizio                        - La guerra è un destino.

Carlo                             - E allora perché avete detronizzato le religioni, se dovevate crearne un'altra incompiuta arida che non so­pisce, ma che esaspera i tormenti? Perché avete scritto a caratteri d'oro le parole: « ragione, volontà, pensiero » se dovevate cancellarle colla parola « destino »? No, destino! Follia! Basta! Gli uomini si sono arram­picati per secoli e secoli su per la muraglia della curio­sità per vedere, sapere, sapere, sapere qualche cosa di più di tutti i giorni. Al di là deve essere il bene, al di là deve essere la verità... Niente! Trenta secoli di tor­menti non hanno risolto un problema, uno solo... il pensiero ha compiuto intorno alle inconoscibili verità un giro circolare come quello degli astri... Ed è rimasto sempre alla stessa distanza dalla luce... Civiltà, civiltà! tu dici civiltà! Ma questo vuol dire imprimere al moto circolare del pensiero umano una massima velocità. Niente altro! Gli uomini sono presi tutti come te da questa follia che li assomiglia alle falene... E l'umanità correva, inorgogliva, e l'umanità fatta ricca e superba della propria ricchezza congestionava nelle sue vene mortali un sangue denso di libidine, un sangue pesante di veleno, finché le vene mortali, mortali, mortali sono scoppiate e tutta la terra si è fatta rossa di sangue... la guerra... la guerra... il sangue... le vittime... il dolore.,, (pausa) Sei tu ora che non mi rispondi. È difficile ri­spondere a chi come me trema guardando alla propria coscienza e dice paurosamente, paurosamente: basta, ba­sta! Un poco di pace! Un poco di riposo! Non sentisti? I popoli gridano disperatamente dalle loro ferite e in­consci cercano nella inquietudine che li travaglia di e-saurire la loro' disperazione... Essi gridano gridano... Contro chi? La borghesia? Gli intellettuali? I ricchi? Eh, sì!!! I popoli hanno sempre bisogno di fantasmi da bestemmiare... Essi gridano alla stanchezza e il loro nemico è il pensiero, il loro nemico è il progresso! Han­no bisogno di pace! Hanno bisogno di dormire... Non soffrono più la vertigine che li travolge inconsapevoli, insieme ai fantasmi che bestemmiano, verso una meta ignota, lontana, lontana, lontana, come a tutti... È inu­tile! C'è al disopra di questa vertigine qualcheduno ter­ribilmente immobile!

Maurizio                        - Siamo dunque al conflitto medioevale fra la religione e la scienza!

Carlo                             - Non so se siamo a questo... In materia di pen­siero e di amore non v'è nulla di medioevale, mai. Non c'è nulla di superato, mai. Sono le transazioni, le crisi dei tempi forti che ritornano quando i nervi dei tempi deboli offrono una maggiore sensibilità. Si ritorna... quando si è stanchi si ritorna... E questo dimostra an­cora una volta il moto circolare del pensiero umano...

Maurizio                        - Voi saltate di paradosso in paradosso... Se non credessi alla vertigine di cui parlate, ma che non mi fa paura, mi basterebbe, per ricredermi, di guardarvi negli occhi. Mi basterebbero le vostre parole...

Elena                             - (che è rimasta raccolta in disparte durante la discussione, temendo un alterco) Maurizio, Carlo... per carità...

Carlo                             - Lascialo dire. Si batte. Male, ma si batte...

Maurizio                        - Mi batto come posso fino all'ultimo... Potrei ricominciare le argomentazioni attaccandomi alle paro­le che mi rampollano dal cuore prepotentemente. Pa­tria! Che voi rinnegate.

Carlo                             - (scattando) Che dici? Chi ti dà il diritto di pen­sare queste enormità? Patria!... Patria... Mamma... (frenando la commozione) ma fate che mi chiamino an­cora con la loro voce che implora ed io risponderò come ieri, sempre... Ho dato alla Patria cinque anni d'amore e di sacrificio e oggi le consacro anche questo mio grande tormento come un mutilato il suo tronco... Ma non si tratta di ciò... Io sono attanagliato da un immenso problema morale, ecco-... ecco: non bisogna sferzare que­sta povera umanità perché cammini più in fretta... Un poco di pace, ti dico, un poco di riposo, ti dico... Mi in­tendi, o no?

Elena                             - Carlo, non ti esaltare così, dopo tutto...

Maurizio                        - Ecco una parola saggia... Non ti esaltare cosi...

Carlo                             - Come volete! Io credo...

Maurizio                        - Ma voi commettete un delitto...

Carlo                             - Credo e basta...

Maurizio                        - Ma anch'io credo! Per salire con voi nel mon­do delle parole e delle vacuità filosofiche dirò che anch'io credo. Credo nella fatalità di questa corsa umana verso l'ignoto... È nel nostro destino... nel nostro istin­to... Bisogna camminare, così come bisogna procreare, come bisogna non morire. Siamo nati per obbedire. Voi volete dominare... Avete col vostro genio dato a voi stesso una grande prova della onnipotenza umana e ne subite ad un tempo la vertigine, che è umiltà, e la su­perbia... Che cosa volete fare? Che cosa potete fare?

Carlo                             - Maledetta la sferza!

Maurizio                        - No, no, Maestro, voi volete guardare troppo lontano, troppo lontano...

Carlo                             - E tu sei miope!

Maurizio                        - Ma la vostra è una conquista di pace...

Carlo                             - Non è vero! Ecco l'errore fondamentale di tutte le vostre dottrine... Non c'è che una sola opera di pace ed è quella di colui che lavora la terra! La terra è sag­gia madre. I nostri pensieri invece, le nostre astuzie, le nostre false verità, le nostre macchine infine che ci sottraggono al dolore e alla fatica, sono la causa della nostra stanchezza e delle nostre passioni. Torniamo in­dietro! E allora non senti tu che ridurre i raggi del sole a forza motrice» è un progetto pazzesco e ripu­gnante?

Maurizio                        - Volete guardare troppo lontano e non avete il diritto! Fermatevi un momento qui con noi, nella nostra realtà, e allora vedrete...

Carlo                             - Allora vedrò Roberto Trezzi, il pescecane, av­ventarsi sul mio progetto e diventare più che mai in­gordo di ricchezza!

Maurizio                        - Adesso volete guardare troppo vicino!

Carlo                             - Vicino o lontano, io non vedo che una sferza san­guigna che brucia nelle mie mani!... E la getto!...

Maurizio                        - E sia: la raccoglierò io!

Elena                             - (con tono entusiastico) Maurizio!

Carlo                             - Che intendi di dire?

Maurizio                        - Io so tutto... o quasi... quello che non so ve lo ruberò, dovessi penetrare qui dentro, di notte, come un ladro volgare... guardingo come quando voi studiavate...

Carlo                             - Maurizio... sei tu? Sei tu che parli così?... Ma come?

Maurizio                        - Credo e basta!

Carlo                             - Ah, miserabile! (fa per scagliarsi contro il di­scepolo ma è trattenuto a tempo da un grido di Elena che s'avanza in mezzo a loro).

Elena                             - Ma basta, basta per carità! Non avete un po' di compassione, un po' di rispetto per me... Siete come pazzi... Avete negli occhi dei lampi di ferocia come se vi disputaste una preda, una donna...

Carlo                             - Ma non hai sentito, non hai capito...

Elena                             - Sì, ho capito, ho sentito...

Carlo                             - E allora, come non comprendi l'insulto che egli mi ha fatto, come non comprendi la sua perfidia? (a Maurizio) Ah... e tu sei il mio discepolo, l'uomo che ho amato di più... come un figlio...

Elena                             - (interrompendolo) Carlo, Carlo, abbi pietà di me...

Carlo                             - Pietà?! (dopo un attimo di perplessità, vivacemen­te) Ma perché di te? Non si tratta di te, si tratta di lui. Maurizio, (come cercando la calma ma accendendo­ci invece a poco a poco, man mano che esplorandolo gli si fa evidente il campo della verità) Maurizio, tu mi hai detto delle parole cattive. Mi hai lanciato una ignobile sfida... Non so... In questo momento mi sembra di vede­re in te qualche cosa di più o qualche cosa di meno di un uomo, di una coscienza... Non so dire... Non voglio... Tu no, non saresti disceso così in basso soltanto per... Comprendimi bene... C'è qualche cosa in te che non ha niente a che vedere col nostro problema morale, con la nostra vita spirituale... Lasciami dire... Ha detto bene Elena... Come se ci disputassimo una donna... Sì, è vero, c'è una disperazione passionale, nelle tue parole, nelle tue ostinazioni e nelle mie anche, come se stessi per perdere qualche cosa che non so, non so... Ora basta.

Elena                             - Ma...

Carlo                             - Basta! (guarda un po' l'uno un po' l'altro dei due che non osano più levare gli occhi su di luì come se fos­sero veramente colpevoli. Quindi è preso da un nuovo assalto di collera) Ecco, ragazzo mio, ecco... (corre al cassetto, ne trae la carta che aveva fatto vedere in prin­cipio d'atto, poi ritorna al proscenio) È questo, di? È questo che vuoi? È questo che ti manca... Tu sai tutto... Solo questo ti manca... E tu aspettavi che te ne facessi dono generosamente, vero? (lacera la carta. Al, gesto Elena si abbandona piangendo su una poltrona) Ecco... il mio segreto è chiuso qui dentro, dentro al mio povero cervello al quale non avete voluto dare un'ora di pace. È qui... E adesso vattene, con tutto quello che sai Cammina... Dovrai logorarti sui libri, dovrai studiare sotto la rabbia del sole e soffrire come ho sofferto io per trovare la via... E se giungerai, allora, allora capirai che cosa vuol dire il dolore di una conquista... allora non giudicherai con anima di parassita... Saprai che cosa vuol dire essere in alto, in alto, e vedere gli uomini, laggiù, con tutte le loro miserie in preda al tuo cenno... Allora misurerai il peso delle passioni e vedrai in faccia il destino... Oh, miserabile... Un agguato... Ti sei ser­vito di tutto... Anche delle sue lacrime (accenna alla moglie) come Trezzi si è servito di te e dei tuoi pensieri e della tua coscienza, come gli stranieri si servono della sua miseria e della sua rovina... Tutti, tutti contro di me. (col pianto nella gola) Contro di me... (con uno scatto verso la moglie) Elena, Elena... (si ricompone subito e volgendosi al discepolo con voce secca) Vattene... Cam­mina (il sipario cala mentre, uscito Maurizio, Carlo si volge e va verso la moglie, che piange ancora, tendendole le braccia).

Fine del secondo atto

ATTO TERZO

 Scena come al primo atto. È sera. Sono accesi i lumi.

SCENA I.

Carlo solo

Carlo                             - (entra dalla porticina del gabinetto. Appare preoc­cupatissimo. Si porta innanzi all'uscio di destra che è chiuso) Elena! Elena! (entra. Si ode la sua voce chia­mare ancora) Elena! Elena! (rientrando suona il cam­panello).

SCENA II

Rosa e Carlo

Rosa                              - (entrando) Comandi...

Carlo                             - La signora...

Rosa                              - Non è ancora rientrata... È tardi... Io non so come fare per la cena...

Carlo                             - È uscita da molto tempo?

Rosa                              - Tre ore.,

Carlo                             - Tre ore? E non ti ha detto...

Rosa                              - No, signore, non mi ha detto nulla. Mi ha ordi­nato soltanto di portarle un mazzo di fiori che aveva dimenticato nella sua camera... Era quasi uscita...

Carlo                             - Un mazzo di fiori?

Rosa                              - Sì... Non mi ha detto altro. Lei aveva dato ordine...

Carlo                             - (nervoso) Sì, sì va bene... (licenzia la donna che invece si avanza).

Rosa                              - Senta, da mezz'ora è in anticamera il signor Trezzi. Voleva entrare, ma lei aveva...

Carlo                             - Va bene... (come pensando ad altro) Fallo passare.

SCENA III.

Carlo e Roberto

Roberto                         - (appare molto abbattuto. Abiti in disordine. Ne­gligenza nella persona tutta, sguardo obliquo. È come nel secondo atto ma il suo abbattimento rivela una rea­zione non più di violenza ma di insidia) Scusate, pro­fessore. Non mi accusate dì importunità... Non'ci si decide mai a morire.

Carlo                             - (che non nasconde un certo malessere alla pre­senza di Trezzi) Non diciamo delle parole fatali... Mo­rire! Non dite altro da qualche giorno... Troppo grosse queste parole, troppo... E poi voi siete ben lontano dalla morte...

Roberto                         - (ha un sorriso dì sopportazione) Se vi impor­tuno la colpa non è tutta mia. È anche di questi due francesi che mi seguono come due ombre e mi incalzano come due speroni.

Carlo                             - Sono qui?

Roberto                         - No, ma sono poco lontani di qui... Anch'essi non si decidono...

Carlo                             - A morire?

Roberto                         - Magari! No... a partire... Pare che pensino di partire questa sera. E poiché il signor Clement lo vuole assolutamente, l'altro finirà per obbedire...

Carlo                             - Il signor Clement ha giudizio.

Roberto                         - E dopo non se ne parlerà più... e non so quel­lo che sarà di me...

Carlo                             - Mi duole, Trezzi, di vedervi così... Non credevo possibile che un uomo potesse avvilirsi a questo punto,. sia pure di fronte ad un dissesto economico del quale, poi, in fin delle cose non uscite affatto disperato...

Roberto                         - Chi ve l'ha detto?

Carlo                             - Maurizio stesso che conosce bene la vostra posi­zione...

Roberto                         - (con un sorriso) Conosceva, conosceva... (ener­gicamente) Adesso basta...

Carlo                             - E perché... Che è accaduto?

Roberto                         - Niente, niente... È qui Maurizio?

Carlo                             - No, dopo il colloquio di ieri che fu cattivo e violento se ne è andato... Non l'ho più riveduto.. Non lo voglio rivedere più... Del resto, egli stesso si guar­derà bene dal ritornare...

Roberto                         - (con un gesto vago) Dopo tutto non m'importa più di nulla. Se i francesi non sono riusciti...

Carlo                             - Ah, via! Non sono certo i ragionamenti dei vo­stri due francesi che mi possono persuadere ad una re­sipiscenza...

Roberto                         - Ma no... ma no... non si tratta di condurvi ad una resipiscenza... no... permettete che vi parli franca­mente, professore... È la prima volta che riesco ad essere solo con voi. Non si tratta di condurvi ad ima resipiscenza... Per l'amor di Dio. Per fare questo bi­sognerebbe essere sullo stesso terreno, sulla stessa base... qui invece siamo in Babilonia... Io parlo un linguaggio e voi un altro. Non ci capiamo. Già vi do la mia parola d'onore che quando ho saputo quello che era accaduto nella testa vostra...

Carlo                             - Vi prego... tanto è inutile...

Roberto                         - Lasciatemi dire... Ecco, allora io sono quasi diventato matto... Adesso mi sono un poco equilibrato, ma anche mentre vi parlo vi assicuro che mi sembra sempre di essere vittima di un'allucinazione, di uno scherzo... Ti dico io che bisogna vivere per vederne delle carine! Là! Se mi aveste detto... Caro mio, ho fatto un buco nell'acqua... Ecco io sarei stato rovinato lo stesso... va bene, ma è un altro paio di maniche sento invece che siete riuscito... No, no... ci vuol poco a capirlo. In tutte le vostre discussioni non avete voluto dire nemmeno una volta: ho sbagliato! Ed era la cosa più semplice...

Carlo                             - Appunto perché era semplice mi pareva che...

Roberto                         - No, no... lasciatemi dire... Dunque persuader­vi? Come? Discutere? Già, discutere con un uomo che sa di filosofia vuol dire non venire a capo di nulla. Più discutete più diventate matto voi e più si persuade lui di avere ragione... Ma che resipiscenza! Ci vuole un col­po... Un colpo secco... Tac... tutto rovesciato... A me non è capitato lo stesso? Tutto andava bene... Poi, non so nemmeno io perché, tutto andava male. M'attacco a voi... Tac... un colpo secco. La rovina... vi giuro che fino a ieri ho battuto l'aria come a vuoto, senza un piano fis­so, senza una meta, senza niente... così... alla cieca... sperando fermamente che avrei dato di piglio a qualche cosa: chi sa, un colpo secco. È come una roulette! Se va, va... se no... E vi ho spiato intorno così... e sono qui per la medesima ragione...

Carlo                             - Dovrò dunque andarmene io per farvi sicuro...

Roberto                         - No... ormai ho perso tutte le speranze... tutte... Sono qui come un automa... Faccio il mio dovere... Mi difendo fino all'ultimo sangue... Per non rimproverarmi nulla poi... (cambiando tono) Ma guardatemi. Ricordate il vostro passato, la vostra carriera faticosa. Voi po­tete salvarmi.

Carlo                             - Insomma, Roberto, vi volete convincere che nes­suno può strapparmi il mio segreto nemmeno con la forza?

Roberto                         - No, un colpo secco... Chi sa? (dopo una brevi pausa) No, no, avete ragione. Ormai non c'è più nulla da sperare... Vi dico solo una cosa: voi avreste il dovere di ricordare quando veniste da me la prima volta. Era­vate un disgraziato dottoretto, che aveva una donnina da condurre all'altare e un rocchetto di correnti indotte da mettere in commercio...

Carlo                             - Io non disconosco quello che vi debbo e se la mia modesta sostanza vi serve....

Roberto                         - Ma io con quei pochi soldi vi diedi la vita... Non è più questione di quattrini... Potrà sembrare stra­no, ma non è più questione di quattrini...

Carlo                             - Roberto... Sentite... come debbo dirvi? La vostra sventura mi commuove, credetemi, mi turba profondamente. Vorrei pure fare qualche cosa per salvarvi... Ma sono certo che voi non sareste venuto da me a doman­darmi né un furto, né un omicidio. Io non ho il dritto, sia pure per salvare un amico come voi siete, di com­mettere un delitto... per lo meno una cosa che io ritengo delittuosa. No, assolutamente...

Roberto                         - (si alea) Vi ripeto che non voglio discutere con voi... sono un povero diavolo che era riuscito a forza di lavorare di buona volontà, di tenacia, a crearsi un benessere che non era solo per sé stesso...

Carlo                             - Ma non disperatevi... i francesi si sono mostrati molto generosi in fondo, e hanno ceduto alle mie pre­ghiere...

Roberto                         - Va bene... vedete? Adesso preferirei che essi avessero rifiutato ogni dilazione e che la mia rovina mi stesse piombando addosso da un momento all'altro... Cin­que minuti... tutto fatto... Adesso per tre mesi atten­derò così... senza poter far niente...

Carlo                             - Ma questo non è vero... ricomincerete da capo. Con la vostra buona volontà, con la mostra attività...

Roberto                         - Ma di guerre, caro professore, non se ne fa­ranno più per anni...

Carlo                             - Per sempre...

Roberto                         - Non lo credo. Comunque, è certo per molto tempo. E"poi non si può rifare così una vita distrutta. Oltrepassato il termine lecito per rifabbricare...

Carlo                             - Ma in ogni caso vi resta di che vivere agiata­mente... Molto più tranquillamente, anche, credetemi... e molto più amato...

Roberto                         - E da chi? Dalla gente? Credete che m'importi molto di non essere amato dalla gente? Credete che mi offenda la truce parola pescecane? Proprio niente... Il pescecane è in tutti noi, in tutti. Domani non lo sarò più e... lo sarò ugualmente. Che cosa ho fatto? Ho raccolto molto denaro... Ho rischiato molto denaro.. guadagnato e perduto molto denaro! Mi sono creato un piccolo regno... ma tutti cerchiamo un piccolo regno! L'arte, la politica, la scienza, tutti piccoli regni, tutto mare per i pescecani. I nostri nemici maggiori sono i pretendenti al trono. Ecco! Io abdico. Credete che la gente mi amerà di più? Scaglierà il suo odio contro il re che mi succederà, ma non mi amerà, la gente: mi coprirà di scherno e di disprezzo. La gente! E allora da chi? Di quale amore mi andate parlando, professore?...

Carlo                             - (incerto) Ma... non saprei...

Roberto                         - Ditelo, ditelo, professore... L'amore della mo­glie, eh?

Carlo                             - Sicuro. Di vostra moglie... Molte volte si cerca il benessere la felicità altrove e si ignora, stupidamente, di avere tutto un regno, tutta una felicità molto vicina a noi... Vedete, anch'io... Sì, Roberto, noi due siamo assai più vicini di quello che non sembri...

Roberto                         - (ironico) Lo credo bene...

Carlo                             - Sì, tutti e due, per due ragioni diverse, dobbiamo abbandonare, mutare, trasformare la nostra vita... Cre­dete voi che io potrei compiere questo sacrificio il quale se per voi è l'ineluttabile come fatalità, per me è l'ine­luttabile come dovere, o almeno come necessità conse­quenziale, credete voi che io potrei compierlo se non avessi il mio rifugio?

Roberto                         - Dove avete il rifugio?

Carlo                             - Mia moglie...

Roberto                         - Ah! E ne siete ben sicuro? (a un gesto di Car­lo) Per lo meno vi basta?

Carlo                             - Che cosa intendete di dire?

Roberto                         - Niente.. Io, per esempio, non sono sicuro di mia moglie.

Carlo                             - Oh, via... Nessuno è sicuro...

Roberto                         - Anzi, sono sicuro che non mi ama... Lo sa­pete anche voi... lo sanno tutti., lo so perfino io! Da pochissimi giorni, da quando sono ritornato... No, no! Risparmiate qualunque parola su questo argomento... non ho bisogno di conforto. Pensa il nostro Maurizio a confortarmi...

Carlo                             - Maurizio?!

Roberto                         - Sì, so io, so io... Mia moglie è una disgraziata... non le ho perdonato... non l'ho ammazzata... ho altro da pensare. Maurizio ha tradito la mia amicizia... non l'ho ammazzato. Ho altro da pensare. Voi che direste? Voi che siete molto più in alto di me? A Maurizio Moldeno che valica la soglia della vostra casa per corrodere il vostro più intimo amore, non direste che una parola: Vattene! Non voglio vederti più! Non mi seccare! Prima risolvo questo importante problema che è la mia ragione d'essere, poi penserò, se mi avanza tempo, che sei un traditore... Ma non ho avuto bisogno di dire nemmeno questo... ho saputo la cosa quando era finita a casa mia... È una cosa che finisce in una casa per ri­cominciare in un'altra... gli ho domandato di pagare il suo debito. Gli ho detto: va dal professore, convin­cilo e ruba! Sì... non mi vergogno... gli. ho detto questo...

Carlo                             - Ma è enorme...

Roberto                         - Perché?

Carlo                             - È immorale...

Roberto                         - Io non so. Fermiamoci ai fatti. Maurizio Moldeno rubando mi ha privato per sempre di una intima gioia alla quale tenevo come alla mia stessa fortuna... No... no... non crediate che io mi stia inclinando al sen­timento... Non avrei mai creduto di amare mia moglie... nessuno lo avrebbe creduto. Affari, viaggi, denari., pe­scecane... già... il resto non importa... e adesso che mia moglie... mio Dio, una cosa molto naturale che, un giorno o l'altro, e sempre a causa di un marito impos­sibile, capita a tutti gli uomini, anche ai più possibili... La donna... è niente la donna... Diventa una cosa immen­sa soltanto quando non c'è... e mi accorgo che lavoravo per lei... altro colpo secco... una cosa da niente... in venti giorni il mio meccanismo ha cambiato due volte il mo­vimento... e se mi ostino così con voi, qui a chiacchie­rare di cose inutili, a darvi degli insegnamenti che po­trebbero esservi utili... se mi ostino così è proprio perché mi piacerebbe di vedermela ancora qui ai piedi... Quella è una donna che si prende con l'oro...

Carlo                             - Eh! Ma via!... Siete cinico.

Roberto                         - È il suo tallone di Achille... L'hanno' tutte... L'oro, l'ambizione, il piacere, la vanità ed altre coserelle... Ma, con tutto il rispetto, credete che anche vostra moglie non abbia le sue debolezze? Saranno innocue... ma via... Dicevo? Ah, Maurizio, rubando, mi ha privato di un bene a cui tenevo, ecco... Doveva rubare anche a voi quello che non volevate cedere spontaneamente. Quell'uomo moralmente avrebbe continuato a camminare sui suoi binari naturali... No, tutto in una volta quell'uo­mo cambia etichetta e mi dice... già, le stesse parole che voi avete detto a me poco fa: « Non puoi chiedermi un furto, non puoi chiedermi un omicidio ». Io non ho mai pensato a quello che posso chiedere, ma a quello che posso ottenere...

Carlo                             - Ma tutto questo è privo assolutamente di senso comune. Io non vi conoscevo.

Roberto                         - Non importa. Il fatto è questo: non ho potuto rispondergli se non prendendo per il collo la sua onestà mascherata. Ma è un vigliacco. Non è riuscito a dirvi che delle parole vuote; quando si tratta di agire seria­mente... ecco... scompare. Fino a un certo punto, cre­dete, perché non deve essere molto lontano da voi.... Ma scompare... E va bene. Ma allora, come combattere, professore? Vorrei prendere ora la vostra bontà a schiaffi, ma anche questo sarebbe inutile. A ciascuno l'ora sua.

Carlo                             - Roberto, voi avete delle strane parole... spiega­tevi. Io non capisco. Dove volete arrivare? Mi avete parlato confusamente di voi, di Maurizio, di vostra moglie., di cose recenti e antiche... Dove volete arri­vare?

Roberto                         - (con un sorriso maligno) Così, continuo a bat­tere l'aria con le mani, alla cieca... Non vedo perché vi dobbiate agitare così... (pausa) Io, prima di andare a casa vorrei parlare a quell'individuo... A Maurizio... A quest'ora dovrebbe essere a cena... Se mi permettete, gli telefono... Forse è anche nel vostro interesse...

Carlo                             - Nel mio interesse?

Roberto                         - Ho un'idea... Permettete? (va al telefono e chiama) 1435. Pronto? Chi parla? Ah, va bene... il dot­tor Moldeno è venuto a cena? Come? Sì, no... Forse non viene... Certo (scoppia in una grassa risata). Avete ragione... le donne fanno perdere l'appetito... Va bene, va bene.... Allora ditegli che questa sera ho assoluta­mente bisogno di vederlo, a qualunque ora venga... (de­pone il ricevitore) Sapete che questi camerieri mancano assolutamente di discrezione? Parlano delle avventure dei loro clienti con troppa leggerezza. Fortunatamente sono immunizzato.... Ma un marito qualunque avrebbe nei miei panni tutto il diritto di preoccuparsi... di preoc­cuparsi... Dunque?

Carlo                             - (con uno sguardo torvo) Io non ho- altro da dirvi.. E se voi credete di avermi detto tutto... sì, tutto...

Roberto                         - Sì, tutto... Me ne vado... Soltanto vorrei osse­quiare, se si può, la signora...

Carlo                             - La signora è uscita, tarderà poco.

Roberto                         - Anche lei? Allora buona notte, (a se) Se l'ha capita, l'ha capita, se no... (via).

SCENA IV.

Carlo poi Elena

Carlo                             - (solo. Ha un moto di liberazione. Dopo aver pensato un momento, con ansia evidente va per telefonare. Afferra il ricevitore poi rinuncia. Si abbatte in improv­vise ambasce, si risolleva in improvvisi scatti. Guarda l'orologio. Va alla finestra. L'apre. La rinchiude. Pren­de una risoluzione. lisce un momento dalla porticina del­lo studio e ne rientra con cappello e bastone. Fa per u-scire dalla comune ma vi compare Elena).

Elena                             - (con affettata indifferenza) Uscivi?

Carlo                             - Uscivo a cercarti.

Elena                             - Tu uscivi a cercarmi? E dove?

Carlo                             - Che so? Sono le otto, quasi....

Elena                             - (togliendosi il cappello e la veletta) Hai ragione. Ho perduto del tempo dalla zia. Lo sai, poveretta, quan­do comincia a raccontare le sue disgrazie non finisce più. Stavi in pensiero?

Carlo                             - Sì.

Elena                             - Mi dispiace. Ora vado a dare gli ordini.

Carlo                             - No, aspetta. Parliamo.

Elena                             - (confusa) Di che?

Carlo                             - Di noi.

Elena                             - Di noi due?

Carlo                             - Sì, di noi due. (pausa) Di noi due. Sei stata dalla zia?

Elena                             - Carlo, dubiteresti?

Carlo                             - No, non ho mai dubitato di te, lo sai. Ho creduto sempre a tutto quello che tu mi hai detto. Doveva essere così per la tua e per la mia fortuna. Ora il tuo amore può diventare il mio tormento.

Elena                             - Carlo!

Carlo                             - Lasciami dire. Da qualche giorno sei mutata. Tre giorni fa anche sotto l'incubo di una improvvisa par­tenza potevi ancora abbandonare il tuo capo sulla mia spalla e piangere e implorare la gioia della tua vita. Oggi, mi stai innanzi fredda... non so... non posso dirti perché, ma sento in me un mutamento profondo, uno spostamento di gravità, di cui soffro orribilmente...

Elena                             - Ma che cosa pensi?

Carlo                             - E tu, che cosa pensi? Pensi forse che io non ab­bia forza sufficiente per sopportare qualunque sentenza? Credi forse che nel mio cuore non sia abbastanza ca­rità, abbastanza amore per comprendere e perdonare, abbastanza volontà per dimenticare? O pensi che io sia così cieco da non vedere? No, non ti accuso, non ti irapongo la vergogna di una scena di gelosia. Non j'ho mai fatto, vero

Elena                             - Per questo appunto.

Carlo                             - Ecco: per questo appunto devi credere alla sin­cerità delle mie parole. Chi mi potrebbe vietare invece di dirti: non credo alla tua visita alla zia. Mio Dio. Mi sono sempre occupato poco, è vero, di vita galante, ma mi sembra che questa bugia sia troppo semplice. Non meritavo forse qualche cosa di più geniale? No, non ti credo: tu oggi hai veduto Maurizio Moldeno che è il tuo amante... Chi mi potrebbe vietare di dirti così?

Elena                             - Non è vero!

Carlo                             - Che cosa non è vero?

Elena                             - Niente di quello che hai detto. Intanto non è ve­ro che tu mi parli con franchezza. Tu ti sei sempre occupato molto poco di me. Il tuo riposo. Non mi hai ve­duta che sotto questo aspetto di soffice passività, che mi ero rassegnata a sopportare con fedeltà, sai, con tanta fedeltà, perché sapevo, sentivo che questo ti era necessario. Quello che in tanti anni mi hai sottratto d'amore lo hai restituito generosamente alla mia vanità. Ad un tratto neghi tutto. Io, dimmi, io che cosa diven­to? Non so, non so: e ti stupisci della mia tristezza, della mia inquietudine, di tutta l'incertezza che è in me, per me, per te, per tutto il mondo? Oh, si vede bene che sei vissuto accanto a me, sempre come un padro­ne, come un dolce padrone, povero Carlo! Io invece ti conosco profondamente e so che tu non sei capace di' stupirti di un mio ritardo, io so che tu non puoi pensare ciò che hai insinuato poco fa, senza che qualcuno ti abbia suggerito l'infamia. Non mi difendo, sai, non mi giustifico e non mi difendo.

Carlo                             - Ti difendi. Sta bene. E poi che non è possibile guardarci in faccia pietosamente come due fiaccati dalla stessa stanchezza, ma bisogna dunque essere nemici, io ti dico che tu hai mentito.

Elena                             - Carlo, non ti riconosco più! Che dici?

Carlo                             - Per la prima volta forse in vita tua. ma hai mentito! Tu oggi hai veduto Maurizio Moldeno.

Elena                             - Carlo, perché pensi queste cose? Chi ti ha fatto pensare?...

Carlo                             - Non negare. Ho nell'anima tanta amarezza, tan­ta solitudine! Elena, risparmia al compagno della tua vita una bassezza.

Elena                             - Quale bassezza?

Carlo                             - Quella di provarti che hai mentito.

Elena                             - Che fai?

Carlo                             - Telefono a tua zia!

Elena                             - (vivamente) Non ti risparmio una bassezza se tu puoi non risparmiarmi una vergogna! Chiama la zia! Fallo! Ma pensaci! Dalla risposta della zia di­pende una condanna: o la mia 0 la tua!

Carlo                             - (lanciandosi contro la donna forsennatamente) Ma dunque che cos'è che ti fa parlare così, senza umil­tà contro di me? Dimmi, io posso ascoltare tutto: dim­mi: ti amo! Io ti amo disperatamente!

Elena                             - Carlo mio!

Carlo                             - Dimmi che non mi hai tradito, dimmi che non m'inganni, dimmi che mi vuoi bene...

Elena                             - Carlo, non t'inganno...

Carlo                             - Dimmi che mi vuoi bene...

Elena                             - Non ti inganno...

Carlo                             - (subitamente freddo) Non mi ami?

Eléna                             - Non so, no so...

Carlo                             - Come non sai? Come non sai? Che cosa è acca­duto? È dunque vero che io sono così compiutamente uscito dalla vita dì tutti da non sentire più, da non ca­pire più la vostra voce, le vostre parole, come voi non capite le mie parole? È dunque vero che io sono così lontano da me stesso, anche da me stesso, che tu, Ele­na mia, mio amore, non mi riconosci? E sentì l'anima tua tremare nelle sue stesse radici? Dimmi che sono pazzo!

Elena                             - Ma perché... perché?..

Carlo                             - È vero che parliamo per l'ultima volta insieme?

Elena                             - Carlo, per carità.. .

Carlo                             - Vedi, potrebbe essere l'ultima volta... Che im­porta? Non piango più, Elena, non so più piangere... Non so più nemmeno soffrire... Io sono percosso dal­la febbre della ribellione a questo peso di ghiaccio che mi soffoca...

Elena                             - Carlo, Carlo, non parliamo più: da due giorni non ho un solo pensiero fermo... non so nemmeno che cosa risponderti per venire in tuo soccorso... ho una instabilità tormentosa qui dentro...

Carlo                             - (accendendosi) Ecco: lo vedi? Non mi ami più, non mi ami più! Ora, chi mi toglie dal cervello la spaventosa figura di Maurizio Moldeno, che è pene­trata qui dentro, nella mia casa, qui dentro nel mio cuore, per corrompere, corrodere, rubare?...

Elena                             - Carlo, abbi pietà di me...

Carlo                             - (calmo improvvisamente come per una nuova ri­soluzione presa) Ecco: io non ho detto nulla... Tu »ei la mia Elena... E allora puoi partire con me... Partia­mo subito, domani, questa notte stessa... Quando vuoi.

Elena                             - (fredda) Quando vuoi!

Carlo                             - Così! No così! (pausa) Ma che è? Che hai? Elena... rispondimi... come, uscire da questo cerchio di piombo che ci affoga...? Andar via! Lo capisci che bisogna fuggire? Come vivremo? Come -vivremo? Via, via, lontano, da soli!

Elena                             - (come un'eco ripete) Soli...

Carlo                             - (continuando) Via, via, per non essere preso da questa follia, per fuggire al cerchio del destino... per non soffrire più questi attimi di paralisi!

Elena                             - (come continuando un suo intimo discorso) Soli!

Carlo                             - Sì soli... Che vuol dire? Vuol dire liberi... li­beri... leggeri... sciolti dai vincoli che ci legano ai piedi le costruzioni errate degli uomini... .vuol dire fermarsi finalmente e riposarsi al cospetto delle stelle e di Dio... Contro ogni tormento umano... contro que­sta fatalità che ci .pesa nell'anima...

Elena                             - Ma tu porterai con te dovunque questo peso... Tu sarai solo... Ma sei uomo... Non riposerai... Libe­rati da questo male... .

Carlo                             - (scosso) Che male!... Che male!... Oh... se tu un amassi... se non t'avessi perduto., oh, allora, il tormen­to stesso della fuga sarebbe infinitamente meno amaro.

Elena                             - Perduta, dici? Perché perduta se t'amo? Io non so dire... non so dire... e ho paura che tu non m'inten­da... Io t'amo... Ma tu mi fuggi... tu mi fuggi... Il tuo tormento ti porta lontano da me... lontano da noi...

Carlo                             - Elena.... Elena...

Elena                             - Carlo... Carlo... Dove vuoi andare? Non fuggi­re... Come amarti, se fuggi?... No., no., come vuoi, come vuoi... io ti seguirò, dove vorrai... se vorrai... per obbedirti.

Carlo............................ - (scattando senza badare più alla donna che è ri­masta un attimo sorpresa) È la legge... è la legge... la nostra condanna implacabile... E avanti dunque.... a- vanti... sui morti... sulle miserie... sulle infelicità.... a- vanti sulle rivoluzioni... sulle guerre... su tutto..,, avanti... tutto è inutile... È la condanna... É la legge... per... (facendo il gesto con cui si indicano le cose pic­cole) per una lacrima... per un bacio... (con la perples­sità che impone una cosa grande) .... per l'amore (ritornando sui suoi passi incontra, mentre dice le ul­time parole, la sua donna. L'afferra tra le braccia e la bacia lungamente su la bocca. Elena cade a terra af­franta dalla commozione; staccandosi improvvisamen­te, ha un attimo di perplessità. Guarda in alto e grida dolorosamente:) Alla catena! (va al telefono. Chiama il numero 38. La moglie si alza in preda alla più viva agitazione. Si vede che essa sta per slanciarsi su di lui) Trezzi? Roberto... siete voi... sì... precisamente.... No, non ho niente... volevo dire... (prende la donna fra le sue braccia mentre continua a telefonare con la voce rotta dall'ansia) volevo dire.... i francesi.... no, non debbono partire... no, no.... non fatemi parlare.... Vi aspetto qui... non... non devono partire... (una pau­sa) Sì... (con un grandissimo sforzo) ho detto sì.

(depone il ricevitore, mentre la donna gli si inginoc­chia innanzi in un impeto di tenerezza).

Elena                             - Carlo... Carlo, per me!

Carlo                             - Per vivere... (solleva la donna e la bacia con a-vidità di possesso sulla bocca, mentre per i singhiozzi il suo petto sussulta).

FINE