Wintherset

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WINTHERSET

Sotto i ponti di New York

Dramma in tre atti e tre quadri

di MAXWELL ANDERSON

Versione italiana di Vinicio Marinucci

PERSONAGGI

TROCK

SHADOW

MIO

MARIA - GARTH

SEDRAS

IL GIUDICE GAUNT

CARR

LUCIANI  - PINY

HERMANN

UN VAGABONDO – UN POLIZIOTTO

UN SERGENTE – UN RADICALE

UN MARINAIO – UN MONELLO

UN MENDICANTE

PRIMA RAGAZZA - SECONDA RAGAZZA

Ruoli muti: un monello; due uomini vestiti di blu; alcuni passanti.

ATTO PRIMO

PRIMO QUADRO

La scena è sulla riva di un fiume, sotto l'arcata di un ponte. La prima gigantesca arcata che inizia dal fondo della scena e, come slanciandosi sul capo degli spettatori, esce di visuale verso la sinistra. In fondo, a destra, c'è un forte muro di sostegno. A sinistra, un caseggiato viene a finir contro il ponte, formando la parete sinistra della scena, con una finestra oscura alla base e una porta nel muro di mattoni. A destra, in primo piano, un affioramento di antiche rocce forma una barricata, dietro la quale si può passare attraverso una fessura. Nel fondo, contro il muro di sostegno, due baracche sono state costruite da vagabondi per ripa­rarsi. L'argine del fiume, in primo piano, è di roccia nera, levigata da un calpestio di anni. C'è spazio per entrare e per uscire a sinistra d'intorno al caseggiato ed anche a destra intorno alla roccia. Un unico lam­pione è visibile a sinistra, e un luccichio di luci in qualche casa nel fondo, oltre di esso. E' presto, in una scura mattina di dicembre.

 (Due giovanotti vestiti di blu sono appoggiati contro il muro di sostegno, confrontando dei biglietti. Trock Eslrella e Shadow entrano in scena da sinistra).

Trock                             - Andate a guardare la macchina. (I due giovanotti escono. Trock cammina fino all'angolo e guarda verso la città) Dormite! Dormite appollaiati, sgualdrine e idioti! State vicini, caldi, sulle porcherie della notte, dormite stretti e marcite! Marcite cullando le vostre budella piene, che non avete cervello per vivere. Se l'aveste mai avuto, non dormiremmo sul ferro noi, noi che abbiamo troppo cervello per voi!

Shadow                         - Senti, Trock: che direbbe il direttore se ti sentisse parlare così?

Trock                             - Possano morire tutti come devo morire io! Per Dio, quel po' di vita che m'hanno lasciato, me la pagheranno cara! La tirerò fuori da loro, da queste formiche che camminano come uomini!

Shadow                         - Ma, capo, non ti pare che vada contro alla scienza e alla criminologia il fatto che appena fuori tu cominci a maledire in questo modo, prima che la tua condanna sia finita del tutto? Diavolo, tu dovresti lasciare il penitenziario pieno di alti pensieri e di no­bili sentimenti verso l'umanità, pronto a baciare i loro piedi, o qualunque altra parte ti offrano. Guardami un po'!

Trock                             - Ti vedo. E anche tu non vivrai tanto a lungo quanto pensi. Troppe cose ti sembrano buffe. E ridi, ridi! Ma non c'è niente da ridere.

Shadow                         - Andiamo, Trock, mi conosci. Non me la prendo mica, ma lasciami scherzare un po'...

Trock                             - E allora scherza su qualche altro! E' più salubre. M'hanno ficcato troppo in quell'inferno schi­foso dove lo stato sovrano fa crepare la gente, e mi hanno infradiciato dentro! Non c'è che un vomito mar­cio dove avevo i polmoni una volta, come ce l'hai te! E vogliono ancora pigliarmi, schiacciarmi, e uccidermi! E' uno spasso per loro! Ma prima che ci riescano, c'è una massa di giovanotti che crepa di salute e che deve imparare che vuol dire affannarsi a respirare quando non c'è più spazio per l'aria! E l'impareranno da me!

Shadow                         - Ma non ci sono prove contro di te, capo.

Trock                             - Non lo so. E' questo che cerco. Se hanno trovato quello che si può trovare, non è un anno, sta­volta, e manco dieci. E' nascosto sotto una palpebra. E può ammazzarmi d'un colpo.

Shadow                         - Ma va! Sei uno di quei tipi magri che campano cent'anni!

Trock                             - Mezzo me n'ha dato, mezzo anno, il medico laggiù!

Shadow                         - Dio mio!

Truck                             - Sei mesi, ho avuto. E il resto è fango, sei piedi di fango. (Luciani l'uomo del pianino, entra in scena da dietro la roccia e va alla capanna dove custodisce il pianino. Piny, la donna che vende le mele, lo segue e si ferma appena entrata in scena, Luciani parla a Trock, che sta sempre di fronte a Shadoiv).

Luciani                          - Giorno. (Trock e Shadotu escono girando intorno al caseggiato senza parlare).

Piny                               - Che razza di gente è?

Luciani                          - Qualcuno risciacquato dal fiume.

Piny                               - Non l'ha risciacquato nessuno quel coso nero.

Luciani                          - Chi lo sa. Come se il padre e la madre l'avessero tirato su in cantina... (Mette fuori il pianino).

Piny                               - M'ha guardato in un modo... (Ella appoggia una mano sulla roccia).

Luciani                          - Non sai vivere, vecchia! Non te ne preoc­cupare. Guarda dove c'è il sole! Non t'avvilire! Fa come me, che tiro avanti ogni giorno! (Si avvia per andarsene).

SECONDO QUADRO

Una stanza in un appartamento interrato, sotto il ca­seggiato, con un pavimento di cemento e col soffitto intersecato da tubi enormi come serpenti, che cor­rono di traverso da sinistra verso destra, soffocando la stanza. Una porta sull'esterno si apre a sinistra e una porta nel fondo a destra conduce a una stanza interna. Una tozza finestra a sinistra. Una tavola nel fondo e poche sedie costituiscono l'arredamento, insieme a qual­che libro.

 (Garth, il figlio di Sedras, siede solo, tenendo in mano un violino capovolto, del quale esamina una spaccatura alla base. Poggia l'archetto sul pavimento e fa scorrere le dita sulla fenditura. Maria entra dal fondo; è una ragazza sui quindici anni. Garth solleva lo sguardo su di lei, poi lo abbassa di nuovo).

Maria                             - Garth...

Garth                             - La colla non attacca. Dev'essere il vapore. Stacca perfino i capelli in testa.

Maria                             - Non si può proprio accomodare?

Garth                             - Non ce la fo. Ci sarà certamente qualcuno che raggiusterebbe per un dollaro, e lo farebbe con gioia. Ma dovrei avere il dollaro. Ce l'hai, tu? Credo di no.

Maria                             - Garth, sono tre giorni che stai chiuso in casa. Non esci più. C'è qualche cosa che ti spaventa.

Garth                             - Davvero?

Maria                             - E anche il babbo è spaventato. Legge libri, e non sa che legge. E quando un'ombra cade sulle pa­gine, sussulta, e sta in attesa, come se un colpo do­vesse venire. E poco dopo depone il libro lentamente ed esce, per vedere chi è passato.

Garth                             - Sarà per l'esattore, forse. Non abbiamo pagato l'affitto.

Maria                             - No.

Garth                             - Sorella, sei troppo intelligente. E vedi troppe cose. Va a cucinare. Perché non vai a scuola?

Maria                             - Non mi piace, la scuola. I compagni mor­morano dietro le spalle.

Garth                             - Davvero? E che dicono?

Maria                             - Che voleva l'avvocato che t'ha scritto?

Garth                             - (alzandosi) Che avvocato?

Maria                             - Ho trovato una lettera a terra, nella tua stanza. E c'era scritto: «Non fraintendetemi, ma state lontano dalla pioggia nei prossimi giorni: è prudente».

Garth                             - Credevo d'averla bruciata.

 Maria                            - L'hai fatto dopo. E poi... quell'articolo sulla banda di Estrella. Me l'hai nascosto... e anche il babbo. Ma che cos'è? C'è un delitto...

Garth                             - Vuoi star zitta, pazza?!

Maria                             - Ma se tu sai, perché non parli, Garth? Se è vero quel che dicono - tu l'hai saputo sempre che Romagna era innocente e avresti potuto dirlo...

Garth                             - Lo sapevamo tutti che era innocente! Ma vollero negare l'evidenza, non vollero nemmeno sen­tire la sua difesa! E anche adesso non vogliono.

Maria                             - Ed è per questo che non ti chiamarono a deporre?

Garth                             - Per quanto ne so, non hanno mai sentito il mio nome... e posso giurarti che non sapevo niente.

Maria                             - Ma c'è qualcosa che non va... e il babbo è spaventato.

Garth                             - Cosa c'è che non va?

Maria                             - Non so. (Pausa).

Garth                             - Neppure io lo so. Tu sei brava, Maria, ma vai troppo al cinema. Io non c'entro con nessun de­litto, e non ci voglio entrare. Se avessi un dollaro per aggiustare il violino e un altro per affittare una sala, per Dio, li caccerei tutti i «prodigi» alla scuola serale, dov'è il loro posto, ma non è possibile, e sto qui seduto a mordermi le unghie. Ma se speravi che avessi un ro­mantico passato criminale devi cercare in qualche al­tro posto.

Maria                             - Perdonami Garth. Ma vorrei tanto che tu fossi al disopra, e che niente potesse spaventarti. Quan­do ti vedo in disparte, atterrito, vorrei correre da loro e gridare che se vogliono interrogarti, lo facciano su­bito, perché mio fratello è felice di rispondere e non ha nessun segreto da nascondere!

Garth                             - E' la verità!

Maria                             - Ma poi... ricordo... come abbassi la luce... e come andiamo tutti a letto presto... e parliamo sus­surrando... e allora penso che c'è la morte dietro di noi... una morte tremenda...

Garth                             - (ha udito un passo) Sta zitta, adesso, per l'amor di Dio! (Sedras, con un viso gentile, entra dell'esterno. E' affannato e angosciato).

Sedras                           - Avrei bisogno dì parlare qui da solo con qualcuno. Maria...

Maria                             - (volgendosi per andarsene) Sì, babbo. (Lo porta esterna s'apre d'improvviso. Vi appare Trock).

Trock                             - (dopo una pausa) Scusate se non busso. (Shadow entra con lui) In certi casi è meglio entrare in silenzio. In certi altri, è meglio uscire in silenzio. E' la casa tua. Garth, no? Avrebbe potuto esser fuori, se avessi voluto bussare.

Garth                             -  Come stai Trock?

Trock                             - Puoi vederlo da te. (A Maria) Resta. Sta dove sei. Saremo lieti di conoscerti. Se volete saperlo, non sto meglio di prima. Mancanza di sole, dicono i medici. Troppa vita in disparte. Mancanza di esercizio e un eccesso dì fagioli nel vitto. Tu invece stai benone, vero?

Garth                             - Non vedo perché lo dici.

Trock                             - Quanti siete in famiglia?

Garth                             - Mio padre e mia sorella.

Trock                             - Felice di conoscervi. Andate dentro un minuto. Il ragazzo ed io abbiamo qualcosa da dire.

Sedras                           - No, no. Non ha detto niente, niente, si­gnore, niente!

Trock                             - Quando dico andatevene, fuori!

Sedras                           - (indicando la porta) Maria...

Garth                             - Andatevene, tutti e due!

Sedras                           -  Oh, signore... sono un vecchio... un vec­chio disgraziato.

Garth                             - Ma andate! (Maria e Sedras vanno nell'interno).

Trock                             - E se ascoltate crivello la porta! (Shadow chiude la porta dietro di loro e vi si pianta dinanzi) Sono appena uscito, come vedi, e la mia prima visita sei tu.

Garth                             - Se credi che io non sia nei guai come te.

Trock                             - E' proprio questo che credo. Chi ha comin­ciato a scavare il fatto?

Garth                             - Vorrei conoscerlo, e mandarlo all'inferno! Qualche maledetto professore di giurisprudenza che non aveva altro da fare. Se hai visto i suoi articoli ne sai quanto me.

Trock                             - E non saresti invece tu ad avere assunto la difesa?

Garth                             - Hai perso il cervello Trock? Il caso era chiuso. Romagna fu giustiziato e così finì tutto. Perché avrei dovuto cacciarmi nei guai e finire anch'io sulla sedia? Trock. Non lo so ragazzo, ma devo saperlo.

Garth                             - Mi guadagno la vita, Trock. So suonare questo coso, e cerco di camparci. Non ho parlato con nessuno e nessuno ha parlato con me. Per Cristo, è l'ultima cosa che voglio!

Trock                             - Il tuo vecchio lo sa.

Garth                             - Gliel'ho dovuto dire per forza. E' da lui che ho avuto i soldi quando ti servirono. Erano i suoi risparmi. Ma puoi contare su di lui come su Shadow.

Trock                             - (guardando Shadow) C'è gente più sicura di quel figlio di prostituita.

Shadow                         - Che?

Trock                             - Saresti più sicuro sottoterra, tu e qualche altro animale.

Shadow                         - Se continua così, ti sentirai sicuro quando saranno morti tutti in questo mondo dannato.

Trock                             - Proprio così. Questi professori dell'infer­no! Esaminano i loro processi imbecilli, come se non ce ne fosse abbastanza.

Garth                             - Non c'è nessuna base per riaprire il pro­cesso.

Trock                             - Davvero? E se ti chiamassero a testimo­niare?

Garth                             - Bene, e con questo? Gli direi che tutto quello che so l'ho letto nei giornali. E non direi una parola di più.

Trock                             - Quanto ne sa tua sorella?

Garth                             - Sarò sincero con te, Trock. Ha letto il mio nome nell'articolo del professore, e si è spaventata. Ognuno si sarebbe spaventato. Ma non ha cavato niente da me, e in ogni caso andrebbe lei alla sedia prima di mandarci me.

Trock                             - Al diavolo!

Garth                             - E poi, chi è che vorrebbe tornare al pro­cesso! Io e te non ci spremeremo, e se non lo facciamo noi, non c'è proprio niente da portare alla corte, per quanto ne so. Lascia che i radicali vadano abbaiando che è un'ingiustizia. Loro strillano sempre e tutti se ne fregano. Quel professore è comunista, lo sanno tutti.

Trock                             - Già, ma ti dimentichi il giudice. Dov'è quel giudice del diavolo?

Garth                             - Quale giudice?

Trock                             - Leggi i giornali, caro mio. Dicono che il giudice Gaunt ha perso il cervello. Gli ha dato alla testa, quel processo dannato, e va girando per le strade fermando la gente per convincerli che aveva ragione lui e che i radicali hanno torto. E' pazzo furioso, e non si sa dov'è andato.

Garth                             - Perché non si sa?

Trock                             - Perché sta girando in qualche posto! La polizia di tre città lo cerca.

Garth                             - Il giudice Gaunt?

Trock                             - Già. il giudice Gaunt.

Shadow                         - Bè, e che ti preoccupa? E' pazzo, no? E anche se non fosse così lui ti difende. Sei nervoso, capo. Dio mio, i giudici sono tutti un po' strani. Ma tu ci hai i nervi, e finirai col fregarti da te stesso qualche volta, in pubblico. (Trock si gira a metà verso Shadow, irato) E sta fermo con le pistole, che ci ho le tasche, anch'io, nel cappotto. (La sua mano è infatti nella tasca del cappotto).

Trock                             - Bah, lasciamo andare. (Leva la mano dalla tasca e Shadow fa lo stesso. A Garth) Forse tu menti e forse no. Ma farai bene a stare in casa qualche giorno.

Garth                             - Sicuro; perché no?

Trock                             - E quando dico stare a casa intendo stare a casa. Perché se fossi costretto a cercarti, rimarresti molto a lungo nel posto dove ti troverei. (A Shadow) Andiamo. Fuori di qui. (A Garth) Ci rivedremo. (Sha­dow e Trock escono. Dopo una pausa, Garth si dirige ad una sedia e prende il violino, poi lo rimette giù e va alla porta interna, aprendola).

Garth                             - Se n'è andato. (Maria entra e Sedras la segue).

Maria                             - (andando da Garth) Andiamo via di qui. (Lo prende per le braccia) Avevo creduto che venisse per qualche cosa di terribile. Tornerà?

Garth                             - Non lo so.

Maria                             - Chi è, Garth?

Garth                             - Mi ucciderebbe, se lo dicessi, cioè, se lo sapesse.

Maria                             - Non dirlo, allora.

Garth                             - Ma no, voglio dirlo! Ero con una banda. una volta, una banda che aggredì un cassiere. Ho vi­sto uccidere un uomo: è Trock Estrella che l'ha fatto. Se questo venisse fuori, andrei alla sedia. E anche lui. E' per questo che è venuto.

Maria                             - Ma non è vero...

Sedras                           - Lo dice apposta per spaventarti, bambina...

Garth                             - Oh, no, è vero! E lo dico perché sono stato troppo in silenzio! Finirò pazzo, se starò sempre seduto qui, in eterno, a guardare la porta e ad aspettare Trock con la sua rivoltella o un poliziotto col mandato d'arresto! Impazzirò, vi dico, qualunque cosa faccia! Queste maledette scale sul violino... prima posizione, terza, quinta, arpeggi in E... e il pensiero, il pensiero di Romagna giustiziato innocente, ucciso, mentre io sto qui, seduto, a morire a poco a poco, a morire per il delitto di Trock e per averlo visto. E avrei potuto sal­tarlo io, ma stavo qui, a sedere, e lo lasciavo morire invece di me, perché volevo vivere! Ma che vita è questa, e che importa se parlo! Devo pur finirla, un giorno!

Maria                             - Ma non è vero, Garth!

Garth                             - Porterei sotterra un rifiuto, se morissi... e sarebbe una buona azione.

Sedras                           -  Ma taci, figlio, taci, se ti sentissero...

Garth                             - E falli sentire! Ho vissuto con gli spettri e ho mentito sempre, sempre! Che Dio ti maledica, se mi tieni lontano dalla verità! (Volge la caccia) Ma no, che maledica il mondo! Io non voglio morire! (Si accascia sulla sedia).

Sedras                           - Dovevo capirlo. Ti credevo un essere chiuso Garth, figlio mio, E tu eri solo un bambino, colpito da una ferita che si può guarire. Ogni uomo ha il suo delitto e la maggior parte di essi resta nascosta, ed a tanti pesa come il tuo su di te. (Garth singhiozza) Ed essi vanno, camminano per le vie, comprano e vendono, ma la macchia rossa s'allarga, tinge le vesti e tocca la carne e brucia le fibre. Tu non sei solo.

Garth                             - Ma sono solo in questo.

Sedras                           - Lo sei, se credi come tutti gli altri che solo quelli che muoiono ad un tratto debbono essere vendicati. Ma quelli che hanno il cuore roso dal can­cro, a stilla a stilla in modi infiniti, fino a che termi­nano il loro dolore, e muoiono... oh, queste morti non saranno punite, ne ora, né mai. Finché siamo giovani, abbiamo fede solo in quello che vediamo; ma da vec­chi comprendiamo che è soltanto tracciato nell'aria, quel che si vede, e fondato sull'acqua. E non c'è colpa sotto il cielo, come non c'è alcun cielo finche gli uo­mini non lo credono, e non c'è terra finche gli uomini non la vedono.

Garth                             - E va bene, ma la terra c'è, e io sono colpe­vole su di essa, colpevole come un dannato.

Sedras                           - Eppure è scritto che non c'è la colpa, se non si vuole. I giorni corrono come raggi di ruote, come rotoli scritti di carta, come un velo dipinto che si svolga dalla tenebra entro il fuoco vorace. E sopra il velo la vita scorre in suoni e simboli degl'intelletti umani, riflessi, e solo è ombra che va verso la fiamma. Ed in quell'ombra che va verso la fiamma. Ed in quell'ombra esistono solo le cose che gli uomini vedono. Perché devi alzarti e gridare: Sono io, sono io sull'arazzo in­tricato, là, con quella pistola, dove quell'uomo è morto! Oh, lascia che il vento e il fuoco rechino in cenere fuori del tempo e fuori del ricordo quell'ora! Passaci in si­lenzio accanto. Fa che ti si dimentichi, e dimentica! O figlio, figlio, abbi pietà di te stesso!

Maria                             - Ma se qualcuno fu ucciso, non sì tratta più di ombra, e questa non svanisce al vento.

Garth                             - Purtroppo fu vero!

Sedras                           - Dillo, se devi. E se tu vuoi la morte, dillo, e dà loro quel poco che resta. Non c'era molto per noi, nemmeno prima.

Garth                             - Sono un vigliacco e sempre lo sono stato. Mi acquatterò a vivere. Vivrò strisciando. (Si alza e si reca nella stanza interna).

Maria                             - E' meglio vivere, padre, e mentire?

Sedras                           - Sì, figlia, è meglio.

Maria                             - Ma se dovessi farlo, io morirei.

Sedras                           - Sì, figlia, perché sei giovane.

Maria                             - E non c'è nessun'altra ragione?

Sedras                           - No, non c'è nessun'altra ragione.

TERZO QUADRO

Sotto il ponte, la sera dello stesso giorno,

 (Quando il sipario si leva, Maria è seduta sola su di una Sporgenza all'estremità del caseggiato. Uno spruzzo di luce le cade addosso da un lampione sovrastante. Rabbrividisce nel suo leggero soprabito, ma rimane a sedere, noncurante del tempo. Attraverso le rocce, dall'altro lato, un vagabondo vien giù alla riva del fiume, in cerca di un posto per dormire. Egli si avvicina cau­tamente alla capanna della venditrice di mela e guarda dentro, poi sì volge e si allontana, senza osare di en­trarvi. Guarda dubbiosamente Maria. La porta della capanna dell'uomo dal pianino è chiusa. Il vagabondo la oltrepassa e cerca con cura in mezzo ad alcuni cenci e spazzatura a destra. Maria alza lo sguardo e lo vede, ma rimane immobile. Abbassa di nuovo lo sguardo e l'uomo si rannicchia in un giaciglio improvvisato nell'angolo, tirandosi un pezzo di tela da sacco sulle spalle. Due ragazze entrano girando attorno al caseggiato).

Prima Ragazza              - Davvero non ho mai sentito niente di tanto romantico. Si vede che non l'hai mai amato.

Seconda Ragazza          - Certo che non l'ho amato.

Prima Ragazza              - Devi dirmi tutto come è successo. Devi dirmelo assolutamente.

Seconda Ragazza          - Oh, non posso. Finché vivrò, non potrò dirlo. E' stato terribile, proprio terribile.

Prima Ragazza              - Che cosa è stato terribile?

Seconda Ragazza          - Il modo con cui è successo.

Prima Ragazza              - Oh, dimmelo! Non lo saprà nes­suno, ti giuro.

Seconda Ragazza          - Tu sai come l'odiavo perché ave­va una bocca così grande. Ma lui mi raggiunse e mi afferrò e io cominciai ad andare a pezzi - proprio come succede a te - e dissi: «Oh, no, no, signore », e comin­ciai a gridare e tirai un calcio contro il parabrise e perdetti una scarpa; allora lui mi lasciò, imprecando e borbottando perché aveva preso la macchina in pre­stito e non aveva i soldi per accomodare il parabrise, tanto che cominciò a disperarsi, ed io restai così male che lo lasciai fare. E ora vuole sposarmi.

Prima Ragazza              - Oh, non ho proprio sentito mai niente di più romantico! (Scorge il mendicante addor­mentato) Dio mio che vedo! (Girano al largo del men­dicante, ed escono da destra. Il mendicante si alza guar­dandosi intorno. Il giudice Gaunt, un uomo anziano dall'aspetto tranquillo, vestito bene ma con gli abiti sgualciti, entra con passo incerto da sinistra. Ha un pic­colo ritaglio di giornale in mano e si dirige verso il vagabondo).

Gaunt                            - (cautamente) Scusate, signore, scusate, ma forse saprete dirmi il nome di questa via.

Il Vagabondo                - Che?

Gaunt                            - Il nome di questa via!

Il Vagabondo                - Ma questa non è una via.

Gaunt                            - Il nome di qui, dove ci sono le lampade,

Il Vagabondo                - Questo è il vicolo.

Gaunt                            - Vi ringrazio, ma avrà un nome, credo!

Il Vagabondo                - Questo è « il vicolo ». -

Gaunt                            - Capisco. Tolgo il disturbo. Forse vi stu­pisce che lo domandi, ma sono forestiero. E perché mi fissate in quel modo? (Fa qualche passo indietro) Io non sono l'uomo che credete. Vi siete sbagliato, signore.

Il Vagabondo                - Che?

Gaunt                            - Forse è una rassomiglianza, ma vi sbagliate. Avevo un compito, in questa città. E' un puro caso che io sia qui.

Il Vagabondo                - (borbottando) Ma va al diavolo!

Gaunt                            - (gli si avvicina e si china su di lui) Però perché, dovrei ingannarvi? Davanti a Dio vi giuro che avevo tutte le prove in mano!  E le ho sempre!  Vi dirò, la difesa era così abile da non credersi e non aveva scrupoli nel farsi propaganda. Non tacevano mai, nep­pure se... (Si rialza) No, no... mi spiace... Questo non vi interessa credo. Mi spiace... Avevo un compito... (Guarda verso la strada. Sedras entra in scena dall'in­terrato e va verso Maria. Il giudice indietreggia nell'ombra).

Sedras                           - Entra in casa, figlia. Farà freddo, qui.

Maria                             - Tra poco.

Sedras                           - Prenderai freddo. Sta per venire un tem­porale.

Maria                             - Non voglio che mi veda piangere. E' per questo.

Sedras                           - Lo so.

Maria                             - Verrò presto. (Sedras si volge con riluttanza ed esce donde è venuto. Maria si alza per tornare e sì ferma ad asciugarsi gli occhi. Mio e Carr, ragazzi giro­vaghi sui diciassette anni, entrano in scena di dietro al caseggiato. Il giudice è scomparso).

Carr                               - Credevo avessi detto che non saresti più tor­nato nell'est.

Mio                               - Già, ma ho sentito qualcosa che mi ha fatto cambiare idea.

Carr                               - Qualche vecchio affare?

Mio                               - Sì. Ma non parliamone tanto presto.

Carr                               - Dove sei andato da Portland?

Mio                               - A pescare. Sono andato a pescare. E" la verità.

Carr                               - Subito dopo che t'ho lasciato?

Mio                               - Incontrai una famiglia di pescatori sulla costa e andai a inseguire i pesciolini che nuotano nel mare. Una famiglia di greci: Aristides Marinos era il suo nome. E cantava mentre pescava. Faceva risonare l'ac­qua verde del Pacifico con i suoi canti mezzi greci. Poi andai a scuola a Hollywood per qualche tempo.

Carr                               - Mi pare un bel posto per imparare.

Mio                               - E' la tomba del sapere. Mi buttarono fuori dopo un certo tempo.

Carr                               - E perché?

Mio                               - Perché non avevo un indirizzo permanente. Capisci, questo vuol dire che non c'è nessuno che paga le tasse per te, e così vai fuori. (A Maria) Che è suc­cesso piccola?

Maria                             - Niente. (Alza gli occhi a guardarlo, poi tacciono un momento) Niente.

Mio                               - Mi dispiace.

Maria                             - No, tutto bene. (Ritira gli occhi dai suoi, ed esce di scena, passandogli davanti. Egli si volta a guardare dietro di lei).

Carr                               - Controlla la tua cavalleria.

 Mio                              - Una ragazza carina.

Care                              - Una bambina.

Mio                               - Sarà una cosa lunga? (Mio esce rapidamente dietro Maria, poi ritorna).

Carr                               - Ebbene?

Mio                               - Se n'è andata.

Carr                               - Ma guarda un po'...

Mio                               - E' svanita. E' prodigioso.

Carr                               - Tanto meglio, se vuoi saperlo. I tipi casa­linghi sono già un guaio, ma le cacciatrici sono fatali.

Mio                               - Esageri, Carr.

Carr                               - Non credo.

Mio                               - Bè, lasciamo andare. Questa riva del fiume è piena di topi infetti. Si può morire in un modo  nell'altro.

Carr                               - Si dice che l'alcoolismo cronico sia bello ma costoso. Si può sempre morire di fame, però.

Mio                               - Non sempre. Lo provai una volta e dopo il secondo giorno mi trascinai trenta miglia per arrivare a Niagara Falle e feci il giro della città per avere un po' di avanzi di biscotto.

Carr                               - L'ultima volta che t'ho visto non pensavi a fare altro che a maledire, e volevi morire. Ti senti ancora giù?

Mio                               - Non troppo. (Si volta come per allontanarsi, poi torna) Si parla di « gente perduta ». Ma sono io il vero esempio. Quando lo stato giustizia tuo padre, e tua madre muore di dolore, e tu sai bene che egli era innocente, e le autorità della tua città ti informano gentilmente che faresti loro un gran favore se tu andassi a vivere in qualche altro luogo... Questo ti taglia dal mondo, come il coltello di un macellaio.

Carr                               - Ti proposero di andartene?

Mio                               - Già, fino a questo punto.

Carr                               - Ma è un'infamia...

Mio                               - Probabilmente dava loro il mal di testa a vedermi dopo quanto era accaduto. Lo sapevano bene, come me, che mio padre non aveva mai organizzato l'aggressione. Però ho ancora qualche cosa che mi inte­ressa nella vita.

Carr                               - Già. L'ho vista.

Mio                               - Non parlo di donne. No. Ho sentito nominare un professore, nell'ovest, che ha esaminato di nuovo il processo, ed ha trovato altre prove. Non potevo leg­gere niente di quanto aveva scritto, laggiù, e perciò me ne son venuto qui, proprio in tempo per trovare i va­gabondi al riparo dell'inverno nelle biblioteche. Adesso so dove si sono cacciati i disoccupati dopo la crisi! Nelle sale di lettura! (Si ode un leggero rumorio di tuono) Cos'è, un tuono?

Carr                               - O il Signor Dio che suona l'allarme. Può darsi che annunci l'avvento di un nuovo ordine sociali.

Mio                               - O forse stanno per piovere caffè e frittelle.

Carr                               - O sta solo per piovere.

Mio                               - E' più probabile. (Abbassando la voce) E cosi, ho trovato la discussione del professor Hobhouse su) caso Romagna. C'è molto di vero. E allora ho pensato che potevo andare avanti a scoprire qualcosa da me.

Carr                               - E così?

Mio                               - Qualcosa c'è. E mi conduce proprio in quella casa là contro il ponte.

Carr                               - Non ti permetteranno di cavarne niente, te l'ho già detto. Come si fa - dopo tutto quel chiasso  a proclamare un errore giudiziario? Sei ottimista fino all'utopia.

Mio                               - Ma ci sono le prove.

Carr                               - Sono cose che si comprano. In America, io credo, non ci sia nulla che non si possa comprare, an­che la vita, l'onore, la virtù, la gloria, le cariche, l'af­fetto coniugale e ogni sorta di giustizia, da quella della strada alla Corte suprema. Con un mucchio di quattrini puoi comprarti tutta la giustizia che ti pare. Si otten­gono sentenze, si cassano sentenze, a prezzi di vera occasione. Risulta dalla cronaca di ogni giorno. Ne son pieni i giornali.

Mio                               - Questo lo so.

Cahr                              - E allora?

Mio                               - Come si vede che non sei la vittima tu. Hai un nome e un posto che ti accoglie. Io, invece, ho per eredità solo una voce, la voce di mio padre, che mi grida di sottoterra. E lo sai tu che sulla sedia elettrica non si muore? Lo sai? Quando fanno l'autopsia il san­gue spruzza, perché l'uomo è vivo. E poi, giù nella calce. Questo hanno fatto a mio padre. E poi hanno liquidato mia madre! Sono, svelti laggiù i funerali. «All'inferno la compagna di quel cane! ». Ma c'è ancora qualche cosa di quel Romagna? Già: qualcosa qui che piange... E' suo figlio. Ma perché non è morto insieme con la madre? Buttalo fuori della città. Ma per Cristo, io tor­nerò e farò impiccare coloro che l'assassinarono. E poi potrò morire. O forse vivere.

Carr                               - Devi farlo per forza?

Mio                               - Oh, devo farlo. L'idea non mi abbandona mai. Cercai di vivere, di scordarla... ma non vi riuscii, perché ne ero saldato a fuoco dall'infanzia! Ma devo sco­vare l'assassino e trarlo innanzi a loro, e farglielo guar­dare fino a che gli brucino gli occhi e costringerli a riconoscere che hanno sbagliato e cioè che hanno men­tito sempre, costringerli finche le loro lingue non si siano gonfiate nel ripeterlo! (Hermann, un goffo ven­ditore di scarpe, entra da sinistra).

Hermann                       - Buon giorno. Avete visto forse due ra­gazze da queste parti?

Carr                               - Due ragazze? dì, le abbiamo viste?

Mio                               - No.

Carr                               - No, niente ragazze. (Hermann rimane dub­bioso, poi esce da destra. Luciani entra da sinistra, tracimando il suo pianino. Piny lo segue, piangendo).

Piny                               - Non hanno nessun diritto di fare così, nessuno...

Luciani                          - E va bene, all'inferno, quell'idiota... e in­tanto devo metterlo via, devo metterlo via, e non c'è Cristi. (Due monelli lo seguono).

Piny                               - Ma che vogliono, che campino tutti col sus­sidio e nessuno si guadagni da vivere!

Luciani                          - Che ci vuoi fare, loro non c'entrano. Sono comandati. E' il commissario, che ci ha colpa. Dice che s'è scocciato a sentire il sestetto.

Piny                               - Vorrebbero mangiarci sopra, ecco tutto. Un altro sistema per mangiarci.

Luciani                          - No, questo no! E' un uomo onesto, il com­missario. Solamente, non ha orecchio per la musica.

Piny                               - Ma perché non puoi girare per le strade, perché?

Luciani                          -  Eh, cara mia, chi ha quattrini va avanti, e chi non ne ha lo buttano fuori! Mi metterò a ven­dere le caldarroste. (Accarezza teneramente il pianino. Le due ragazze ed Hermann rientrano da destra) Caro vecchio pianino! Quanto m'è costato! E quei due dischi nuovi, che hanno suonato solo un paio di volte! Senti un po' questo. (Comincia a girare la manovella, par­lando mentre suona) Sono appena due settimane fa che la suonavano al cinema. (Un marinaio viene in scena da sinistra. Uno dei monelli attacca improvvisamente a ballare una rumba sconclusionata, mentre gli altri lo guardano) Bravo, ragazzo... Un vero cubano... Attento al piedi! (Hermann, con la sua ragazza a fianco, getta un soldo ai ragazzo. Egli s'inchina e continua a bal­lare. L'altro monello si unisce a lui. Il marinaio getta una moneta).

Il Marinaio                    - Forza, Cuba, forza! (Luciani gira sempre la manovella, felice).

Seconda Ragazza          - Oh, Hermann. (Gli si butta le braccia al collo e si mettono a danzare).

Il Monello                     - Ehi, attenti ai professionisti!

Prima Ragazza              - Il passo strisciato, Clara, il pas90 strisciato!

Luciani                          - Se non si può suonare all'aperto, suonia­mo di nascosto! (Il vagabondo si alza dal suo giaciglio e viene a guardare. Un giovane radicale si avanza) Forse non lo sapete ragazzi, ma questo è l'addio al pianino! Addio per sempre! Niente pianini nelle strade! Niente musica! E niente soldi per chi suona! E' l'ultimo gior­no, ragazzi! Addio al pianino, addio per sempre!

Maria                             - (esce dalla porta dì fondo del caseggiato e si ferma a guardare. Il marinaio va dalla prima ragazza e si mettono a ballare).

Luciani                          - Forse non lo sapete, amici! Domani sarà triste come un funerale, ma stasera balliamo! Niente più Verdi, niente più rumba, niente allegria domani! E questo è l'addio al pianino, l'addio per sempre! (II radicale si avvicina a Maria e l'invita a danzare. Ella scuote la testa ed egli va da Piny, che danza con lui. Il vagabondo comincia da solo, in disparte, a fare delle piroette) Che! Che! Coraggio e avanti! Testa e piedi in movimento, che è l'ultima volta. (Comincia a con-tare il motivo).

Mio                               - Aspetta un momento.

Carr                               - Tocca a te, adesso. (Mio si avvicina a Marta e le offre una mano, sorridendo. Ella rimane incerta . per un momento, poi danza con lui. Sedras viene fuori a guardare. Il giudice Gaunt entra in scena a sinistra. Si ode un rumore in scena da sinistra. Si ode un rumore di tuono).

Luciani                          - Avanti! Forza! Pare che piova, stasera, ma domani sarà la fine! E' la danza dell'addio! (Canta gagliardamente il motivo. Un poliziotto entra da sini­stra e si ferma a guardare. Due o tre passanti lo se­guono).

Il Poliziotto                   - Ehi, voi! (Luciani continua a con, tare) Ehi, voi!

Luciani                          - (continuando a suonare) Cosa desiderate?

Il Poliziotto                   - Via di qui!

Luciani                          - Che dite? Non sto mica nella strada!

Il Poliziotto                   - Vi dico andate via!

Luciani                          - (sempre suonando) Cosa dite? (Il poliziotto gli si avvicina. Luciani si ferma ed anche i dan­zatori si interrompono).

Il Poliziotto                   - Smettila.

Luciani                          - Stiamo forse in una strada?

Il Poliziotto                   - Ho detto smettila. (Il vagabondo ri­torna al suo giaciglio e vi si siede, osservando).

Luciani                          - Ma è per l'ultima volta. Stiamo danzando l'addio al pianino.

Il Poliziotto                   - Danzerete l'addio a qualche altra cosa se vi scopro un'altra volta a girare quell'affare.

Luciani                          - E va bene!

Pinv                               - Ma parlate cosi perché siamo dei disgraziati.

Il Poliziotto                   - Signora, avete venduto mele sulla mia strada per molto tempo, ma io non ho detto niente.

Piny                               - Vendere mele è permesso...

Il Poliziotto                   - State in guardia... (Fa un giro per il posto e arriva vicino al vagabondo) Che fate qui? (// vagabondo apre la bocca, vi fa segno e scuote la testa) Oh, davvero eh? (Ritorna da Luciani) E voi andate a ficcare il vostro così detto strumento dove lo te­nete e non fatevi sentire. (Il radicale salta sulla base della roccia a destra. La prima ragazza si allontana dal ma­rinaio e ritorna dalla seconda ragazza e da Hermann).

Il Marinaio                    - Dite, capitano, ce l'avete con la mu-tica!

Il Poliziotto                   - Nient'affatto, ammiraglio.

Il Marinaio                    - Beh, c'era una festicciola, qui.

Il Poliziotto                   - Già, pare proprio così.

Seconda ragazza           - Per favore, comandante, vogliamo ballare.

Il Poliziotto                   - E chi ve lo nega?

Seconda ragazza           - Ma ci vuole la musica!

Il Poliziotto                   - (voltandosi per andar via) Ah mi dispiace, ma non ci posso fare proprio niente.

Il Radicale                    - Ah, guardatelo: eccolo lì, l'esempio dell'oppressione capitalista americana! In un paese dove la musica dovrebbe essere libera come l'aria e le arti dovrebbero essere incoraggiate, uno sbirro in uniforme, cacciatore di innamorati nei parchi, arriva qui e detta legge sui divertimenti innocenti dei poveri! Ma noi non andiamo a teatro perché non possiamo! Non andiamo al tabarin, dove ballano le donne nude e la musica sgocciola dai sassofoni. Non possiamo, non pos­tiamo! Ma dovremo almeno poter danzare sulla riva del fiume, al suono d'un pianino. (Garth esce dalla casa e ascolta).

Il Poliziotto                   - Voi parlate contro i regolamenti municipali!

Il Radicale                    - Vi sfido a dirmi quale regolamento viene violato da un divertimento così innocente! Nes­suno! Vi dico nessuno!

Il Poliziotto                   - Scendete! Scendete e smettetela!

Il Radicale                    - Per quale legge di Dio, per quale ordine volete impedirmi di parlare?

Il Poliziotto                   - Perché parlate come un senza patria!

Il Radicale                    - (mette fuori una piccola bandiera ame­ricana) Senza Patria? ecco la mia bandiera! E' la bandiera degli Stati Uniti, e un tempo difendeva j di­ritti degli uomini; quei diritti che adesso sono calpe­stati impunemente!

Il Poliziotto                   - Non me la fate! V'ho sentito prima! Non farete nessun discorso, e scenderete giù subito.

 Gaunt                           - (che è venuto avanti quietamente) Un mo­mento, un momento, prego. C'è divergenza di opinioni anche fra i magistrati sui poteri della polizia applicati in casi di piccola importanza come questa per man­tenere l'ordine pubblico. Ma la forza dell'autorità in­terverrebbe certamente in favore della difesa in qual­siasi tribunale equanime e la sua domanda verrebbe accolta.

Il Poliziotto                   - Ma chi siete, voi?

Gaunt                            - Signore, non sono abituato a rispondere a queste domande.

Il Poliziotto                   - Non vi conosco.

Gaunt                            - Sono un giudice di una certa importanza non nella vostra città, ma in un'altra che ha le stesse leggi. Voi vi rendete conto, credo, che i diritti dei cittadini non devono essere in alcun modo trascurati dai guardiani dell'ordine.

Il Poliziotto                   - (osservando gli abiti malandati dì Gaunt) Può darsi che vi capiscano meglio nella vo­stra città, ma non vedo dove andiate a parare. (Al radicale) Non voglio disordini né liti, ma se le cercate le avrete! Scendete subito!

Il Radicale                    - Nemmeno io cerco di litigare, ma resterò qui. (Il poliziotto gli si avvicina).

Gaunt                            - (prende il poliziotto per un braccio, ma & scostato rudemente) Ve lo chiedo per voi stesso, davvero, e non per la dignità della legge o per lina questione di principio. Siate gentile con loro quando si comportano da ragazzi... siate tollerante, se lo po­tete... perché le vostre parole dure vi ritorneranno nella notte fino all'ultima; vi ritorneranno in un tormento angoscioso. (Prende di nuovo il braccio al poliziotto) Qualunque cosa abbiano fatto o detto, lasciate che va­dano in pace! E' meglio che vadano via con calma, perché altrimenti, dopo la morte, vedrete i loro occhi che invocano e le loro mani protese, con le dita di ghiaccio sul vostro cuore. Anch'io sono stato crudele, e tanto più di voi! Ho mandato degli uomini giù per il corridoio lungo, giù per la via dell'oscurità eterna! (Improvvisamente si erige e parla in tono di sfida) E ho fatto bene a fare questo! Sono stato un giudice inte­gerrimo! E sono tutti bugiardi, bugiardi!

Il Poliziotto                   - (scuotendo Gaunt fino a farlo cadere) Ma siete pazzo, pazzo da legare!

Gaunt                            - E' vero, ci sono mentitori nella giustizia, e vengono da me con le loro furbe menzogne! (S'ag­grappa al poliziotta, che lo respinge col piede).

Il Poliziotto                   - Ma che credete che non abbia altro da fare che dar retta a un pazzo come voi?

Prima Ragazza              - Ma che vergogna!

Il Poliziotto                   - E che avete voi da vergognarvi? E che succede qui, insomma! Da dove diavolo è ve­nuta fuori questa gente, si può sapere?

Il Radicale                    - Calpestate, calpestate, è la giustizia! Calpestate il povero e l'innocente! (Mormorio di pro­testa nella folla).

Il Marinaio                    - (avanzandosi un po') Dite, giovanotto, non dovevate trattare così quell'uomo.

Il Poliziotto                   - (guardandoli tutti e retrocedendo un po') ~ Dite,- ma che vi piglia, io non ho maltrattato nessuno.

Mio                               - (da destra, dalla parte opposta del poliziotto)  Ascoltate, amici, rispettate un po' la divisa. Fa il suo mestiere, e lo pagano per farlo, proprio come voi. Sono uomini scelti, questi metropolitani, scelti uno per uno per lealtà e prestanza! Non è facile incarnare la legge. E riflettete a quanto essi fanno per noi; repri­mendo il delitto! Vi piacerebbe esser derubati e uccisi nei vostri letti?

k. Marinaio                    - Ma che cerchi, tu?

Il Radicale                    - Dev'essere un capitalista.

Mio                               - Li importano freschi freschi dall'Irlanda con un cervellino piccolo così. E' il primo requisito. Siete irlandese, amico?

Il Poliziotto                   - (burbero) E voi di dove siete?

Mio                               - Oh, ci sono stati dei casi famosi! Giovanot­toni che l'autopsia rivela nelle condizioni cerebrali più disperate. In qualcuno c'era rimasto un po' di cervello, ma altri, proprio niente! Oh, amici miei, nel cranio di questa atletica figura che si erge minacciosa davanti a noi, che cosa troveranno mai? Forse un velo di polvere che volerà via per raggiungere la madre terra. Era tutto ciò che che avesse in vita.

Un Mendicante             - Evviva (Il poliziotto si volta sui talloni e dà un'occhiata atroce al mendicante, che sci­vola via).

Il Poliziotto                   - Ah, davvero?

Mio                               - La mia tesi dà orecchi ai sordi e voce ai muti. Ma lasciate dire, siete stati davvero inospitali a turbare la pace di un funzionario. Egli è un uomo gen­tile, di gusti semplici, e si confonde facilmente se gli proponete argomenti difficili. Ma quando sarà a casa sua ed avrà avuto il tempo di riflettere, si accorgerà di essere stato preso in giro, uniforme compresa, e al­lora salterà su come una furia e tenterà di strozzare la moglie, non avendo altri sottomano.

Il Poliziotto                   - Dovete ancora parlare, professore?

Mio                               - Posso esprimere l'opinione che abbiate trat­tato quest'affare da nulla piuttosto maluccio?

Il Poliziotto                   - Non lo potete. (Trock appare dal fondo. I due uomini in blu lo seguono).

Mio                               - Vi domando scusa, allora! Ma sembrava a tutti noi che avreste fatto meglio ad usare più tatto: il guanto di velluto convince più della mano di ferro.

Il Poliziotto                   - Volete chiudere il becco, sì o no?

Mio                               - Ho un vecchio conto coi poliziotti come voi, perché sono spesso molto presuntuosi, e voi siete uno dei più gonfi imbecilli che siano in America.

Il Poliziotto                   - Attenzione, ehi, perché ve le ricac­cerò in gola le vostre parole. (Si avanza verso Mio. Carr improvvisamente s'interpone) Fuori dalla mia strada! (Sì ferma e si guarda intorno. La folla è sempre più ostile. Porta una mano alla pistola e indietreggia in modo da non avere nessuno alle spalle) Fuori di qui, tutti! Fuori di qui! Volete fare una aggressione?

Mio                               - Benissimo anche questo. E' una vecchia tra­dizione della polizia, prima provocare la rivolta e poi accusare la folla.

Il Poliziotto                   - Non sarà uno scherzo se darò a qual­cuno il fatto suo! Fuori dai piedi! (Gli astanti comin­ciano a squagliarsela. Il marinaio esce da sinistra con le ragazze ed Hermann. Carr e Mio escono da destra, Carr fischiettando « La bandiera con le strisce e le stelle » . Il vagabondo li segue. Il radicale passa davanti al poliziotto a testa alta. Piny e Luciani lasciano il pianino dove si trova e vanno via da sinistra. Infine il poliziotto rimane dritto nel mezzo, con il giudice vi­cino. Sedras sta sulla soglia. Maria a sinistra siede nell'ombra e non è vista da Sedras).

Gaunt                            - (al poliziotto) Già, ma un uomo deve mo­rire; è necessario che un uomo muoia per il bene degli altri? Non farti uno strumento della morte, se non vuoi risvegliarti piangendo! No, non vuol dire che tu sei la legge. (Il poliziotto guarda male il giudice, si stringe nelle spalle e decide di lasciarlo perdere, uscendo da sinistra. Garth si avvicina al padre. Un nevischio fine comincia a cadere attraverso le luci dei lampioni, Trock è ancora visibile).

Garth                             - Portalo qui, presto!

Sedras                           - Ohi, figlio?

Garth                             - Ma il giudice, diavolo!

Sedras                           - E' proprio il giudice Gaunt?

Garth                             - E chi credi che sia? Non senti come parla? Portalo dentro. (Si guarda intorno).

Sedras                           - (andando da Gaunt) Volete entrare, signore?

Gaunt                            - Voi mi capite, signore. Noi vecchi cono­sciamo come si deve andare cauti in questi casi.

Sedras                           - Ma certamente, signore.

Gaunt                            - E' stata sempre la mia regola, sempre. Ve lo confermeranno dovunque mi conoscono. Eppure, non sono libero dai rimorsi neppure io. Lo credereste?

Sedras                           - Nessuno è libero dai rimorsi, io credo.

Gaunt                            - Nessuno? Forse è vero. Vorrei davvero credere che sia vero.

Sedras                           - Vogliamo entrare, signore? Questo nevi­schio è fastidioso.

Gaunt                            - Entriamo; sì, entriamo. (Sedras, Gaunt « Garth entrano nel caseggiato e chiudono la porta. Trock va via con i suoi uomini. Dopo una pausa, Mio ritorna da destra, solo. Si ferma a breve distanza da Maria).

Mio                               - Abitate qui intorno? (Elia fa cenno di sì, gravemente) Quando vi ho detto che mi aspettavate, mi avete creduto? Vi ho ingannata; farete meglio a rien-trare. Non sono fatto per voi; non sono fatto per nessuna donna, io. E forse per nessuno al mondo. Solo per me stesso. Ho mentito. Ho mentito. Nessuna donna può capirlo. Rientrate. C'è qualcuno che vi aspetterà come un angelo. Rientrate.

Maria                             - Come volete. Addio. (Si volge per andar via).

Mio                               - E dite loro, quando, sarete al caldo e vi ame­rete, e vostra madre verrà a darvi un bacio, dite loro di vivere sempre così, vicini, e di credere sempre che il mondo è buono, e Gesù ama il suo gregge e se lo tiene in grembo.

Maria                             - lo non ho madre.

Mio                               - Ma mi capisci?

Maria                             - Sì.

Mio                               - Avete di che vivere?

Maria                             - Non sempre.

Mio                               - E tu, in che cosa credi?

Maria                             - In niente.

Mio                               - Perché?

Maria                             - Nelle nostre condizioni non è facile aver fede. »

Mio                               - Si può, senza riflettere. Leggi le frasi scritte: Onore, è scritto; libertà, è scritto; eroismo, amore eterne. Non sono che frasi. Ma pure qualche volta si crede di possederle. Però non è frequente trovarle fuori dei libri.

Maria                             - Che cosa ti addolora?

Mio                               - Appunto questo: che non è facile trovare quel­le frasi, se non le si cerca nei libri.

Maria                             - Ma perché le desideri?

Mio                               - Perché sono solo. Tu vedi le luci laggiù, lun­go il fiume, attraverso la pioggia? quello è il cuore di Brooklyn e, più oltre, il nido di Manhattan - e i loro ponti non sono aperti a noi che siamo fuori del mondo, strisciando per le strade. - Ma non domando pietà. Vivo da solo.

Maria                             - Vuoi che venga con te?

Mio                               - Dove andremo?

Maria                             - Dove vai tu. (Una pausa. Egli le si avvicinai.

Mio                               - Ma perché mai dici questo? sai davvero che cosa dici?

Maria                             - Lo so.

Mio                               - Se hai una casa, rimanici. Non dico niente io-Ho già imparato da molto tempo a non chieder più niente ed a prendere solo quel che mi danno, e andare avanti. Se prendessi te, mi sembrerà di essere sbalordito dal dono che mi fai e potrei morirne.

Maria                             - Verrò dovunque andrai.

Mio                               - Che ne sai dell'amore? Che puoi saperne? Hai mai amalo qualcuno?

Maria                             - (dopo una breve pausa) No. Ma lo so. Dimmi il tuo nome.

Mio                               - Mio. E il tuo?

Maria                             - Maria. Mia madre si chiamava Maria e così anch'io. E' molto semplice.

Mio                               - Ed ora, piccola Maria, tornerai a casa, e ripren­derai il posto che hai lasciato, poco fa, uscendo. Quando ti ho vista, mi sono detto: questo è il viso che ti salverà. E se avessi un mio sogno l'avrei diviso insieme a te. Ma io non ho più sogni. Questa terra venuta dal caos , è piena di vermi che hanno preso mio padre e l'hanno ucciso, e hanno bollato un marchio infame sopra di me, erede del mostro. E lui, invece, era un uomo come sarebbe Dio. Va, ritorna. Allontanati da me, prima che l'aria mia possa avvelenarti e farti morire.

Maria                             - Con le mie mani io costruirò per te una piccola casa, e vi potrai custodire il tuo sogno.

Mio                               - E che potrei mai fare di un sogno e di una casa?

Maria                             - Tu ti burli di me.

Mio                               - Sono i vermi a burlarsi di noi. C'è la morte, ti dico, c'è la morte intorno a me, e tu sei una bam­bina. Io sono solo, folle d'odio e di desiderio. E se ti permettessi di amarmi, e anch'io ti amassi. Dio solo sa quel che avverrebbe!

Maria                             - Qualche cosa di male?

Mio                               - L'amore in scatola. Ne ho visto troppo. E tu vorresti vivere davvero in quella casa fatta con le tue mani, come un sogno, nell'aria?

Maria                             - Oh, mio Dio, fra tutti i posti vuoti che esi­stono nel sole e nella notte, ce ne sarà uno per me e per te! .

Mio                               - No.

Maria                             - Lasciami, allora. Io sono una ragazza che hai incontrato per caso. E non c'è altro da dire.

Mio                               - Maria... (Ella fa un passo verso di lui).

Maria                             - Si. (Egli la bacia lievemente).

Mio                               - Il tuo viso è un prodigio; la sua luce viene dal profondo, come un bianco calice e un fiore fiam­meggiante.

Maria                             - E tu berrai la fiamma e l'alimenterai. Sì che intorno al tuo capo quell'aureola che splende qui ri­splenderà in eterno. Questo è il mio dono, e la scienza una volta avrà sbagliato.

Mio                               - Oh, non penso più a loro.

Maria                             - Perché mi hai parlato appena ci vedemmo?

Mio                               - Io già sapevo.

Maria                             - Ed io sono ritornata perché dovevo rive­derti. Quando abbiamo ballato insieme il cuore mi doleva. Oh, mai, mai, anche se dovessero martoriarmi e strapparmi la vita, ti farò più male. Portami via con te ed ignora chiunque ci volesse trattenere. Andremo tanto lontano... (Mio si volge verso il caseggiato).

Mio                               - Quando avevo quattro anni, mia madre ed io ci arrampicammo a un cancello di ferro, per vedere mio padre nella prigione. Egli stava rinchiuso nella cella della morte: mise fuori un braccio tra le sbarre e mi gridò: «Figlio, non ti lascio che il mio amore; ed il mio amore vivrà dopo la morte. Amami allora! Il destino ti darà una vita disprezzata per il nome di tuo padre; ma il nostro nome è puro. Io non ho ucciso ». Poi i guardiani lo portarono via, con i calzoni tagliati e il capo raso per farvi aderire la corrente. Da tredici anni è sotto la terra del cimitero della prigione. Dormi in pace, babbo. Non ti ho dimenticato. Tutta la mia vita è tesa nella speranza di vendicarti. (A Maria) Non ho casa, né amore per la vita, né paura di morire, né timore della fame. La mia strada è tagliata nella roccia, e non ha fine. Se ti faccio male, perdonami; ma è un male che poi passa.

Maria                             - Come si chiamava tuo padre?

Mio                               - Bartolomeo Romagna. E non me ne vergogno.

Maria                             - E perché mai sei qui?

Mio                               - Perché non ho mai avuto una casa, perché sono un grido che sorge da un sepolcro abbandonato, 9 mie sono le strade che portano alla vendetta.

Maria                             - Non credo soltanto per questo. Ci deve essere qualcuno che vive qui... vicino... che tu vuoi vedere... al quale vuoi parlare.

Mio                               - Chi te l’ha detto?

Maria                             - E il suo nome è Garth; Garth Sedras.

Mio                               - (dopo una pausa, avvicinandosi) Ma chi sei tu, allora? E come puoi sapere queste cose? Ti hanno mandata, forse, a dirmi questo?

Maria                             - Dicevi che la morte ti era vicina. E' vero: è più vicina idi quanto credi! Ma lascia tutto, adesso, parti, e non tornare più in questo luogo. Dimentica le strade che hai percorso, quando sarai lontano, in salvo! Ed ora va, va prima che ti vedano, o ti ascoltino!

Mio                               - Ma vuoi dirmi perché?

Maria                             - Perché io ti amo, e non posso dire altro, e non posso vederti mai più.

Mio                               - Io vado dove voglio...

Maria                             - Credi che sia nulla per me mandarti via? (Fa alcuni passi indietro come per andarsene).

Mio                               - E dove potrei mai trovarti, se volessi vederti?

Maria ------------------ -  Mai, te l'ho detto, mai più. E' la morte per te. Anche ora. Ascolta! (Shadow e Trock entrano pas­sando tra il ponte e il caseggiato. Maria spinge Mio tra le ombre della roccia per nasconderlo alla vista dei due).

Trock                             - Huh, benone.

Shadow                         - Ma dammi retta, Trock, non è possibile! Me ne ringrazierai dopo! Ho visto altra gente fai così... cominciare a dire che bastava levarne un paio di mezzo, e poi qualche altro per essere sicuri, e infine una dozzina, e così via. Tu non puoi sterminare tutti gli amici e i testimoni, perché ognuno che se ne va ha parenti ed amici...

Trock                             - Ho detto che va bene. E se l'ho detto...

Shadow                         - Troveranno quel giudice, e se è morto tanto peggio per te. Io non voglio saperne, ed anche tu...

Trock                             - E così, vuoi piantarmi.

Shadow                         - Per forza.

Trock                             - Va bene allora. Tutto a posto, intesi?

Shadow                         - Davvero? (Diventa sospettoso).

Trock                             - Ma sì, ci salutiamo.

Shadow                         - Te l'ho sentito dire qualche altra volta, e poco tempo dopo c'era un morto di più. (Trock tace) Vuoi dire questo?

Trock                             - Ma no, puoi andare. Non voglio vederti.

Shadow                         - Certo che vado. Ma vorrai scusare se pri­ma mi assicuro degli oggetti che porti addosso. Sai, vor­rei esser certo, prima di voltarti le spalle. (Tacitamente e con mosse esperte egli palpa le tasche di Trock estraen­done una rivoltella) Mica che non mi fidi di te, ma sai, certe cose vanno così... (Intasca la rivoltella) Salute, Trock.

Trock                             - Addio.

Shadown                       - Non parlerò. Ci puoi contare.

Trock                             - So che non parlerai. (Shadow si volta ed esce da destra, oltre la roccia e lungo la riva del fiume. Mentre egli va, ì due giovanotti vestiti in blu entrano da sinistra e lo seguono lentamente. Guardano verso Trock nelVen-trare ed egli fa segno col pollice nella direzione di Sha­dow. Essi seguono Shadow senza fretta. Trock li guarda scomparire, poi esce anche lui per dove era venuto. Mio avanza di un passo, guardando dietro i due uomini. Si odono due, tre spari. Poi silenzio. Mio fa per correre dietro a Shadow).

Maria                             - Caro, vieni di qui.

Mio                               - Che ne sai tu, di questo?

Maria                             - Vieni di qui, presto! (Carr entra in scena da destra, in fretta).

Carr                               - Hai sentito? Qualcuno è stato ucciso. E' caduto nel fiume. E i due che hanno sparato stanno correndo per la riva.

Mio                               - Andiamo. (Mio e Carr escono correndo da de­stra. Maria li osserva con incertezza, poi lentamente ti volge e va verso la porta di fondo del caseggiato. Vi si ferma un momento, guardando dietro Mio, poi entra, chiude la porta. Mio e Carr ritornano).

Carr                               - C'è un gorgo dietro il ponte. Era impossibile trovarlo.

Mio                               - Già.

Caur ------------------- - Accidenti, bisognerebbe assicurarsi sulla vita prima di venire qui. E' facile metter la gente fuori com­battimento. Non l'avevo mai visto prima. 

 Mio                              - (guardando il posto dove era Maria) Hanno già fatto tutto...

Carr                               - Ma tu che cerchi qui adesso?

Mio                               - Ho un affaruccio da sbrigare nel vicinato.

Carr                               - Faresti meglio a scordartelo.

Mio                               - No.

Carr                               - Vuoi aiuto?

Mio                               - No, te l'avrei chiesto subito. Ma non vedo che potresti fare. Perciò è meglio che ti tieni lontano e stai il. guardia.

Carr                               - Arrivederci, allora.

Mio                               - Arrivederci, Carr.

Carr                               - (guardando verso la corrente) Galleggiava con la faccia in su. Sarà arrivato verso l'isola, con questa cor­rente. (Rabbrividisce) Dio che freddo! Bah... (Esce da sinistra. Mio siede sull'orlo della roccia. Luciani entra furtivamente fra il ponte e il caseggiato, va presso il pia­nino e lo mette via. Piny entra. Ambedue guardano Mio senza dir nulla. Luciani entra nella sua baracca e Pini nella sua. Mio si alza, guarda verso il caseggiato ed esce da sinistra).

Fine del primo atto

ATTO SECONDO

La stessa stanza del secondo quadro del primo atto. La stessa sera.

 (Sedras, seduto alla tavola, legge; Maria è seduta a si­nistra, in ascolto. La porta della stanza interna è aperto e si ode il violino di Garth. Egli suona il tema del terzo movimento del  «Trio dell'Arciduca » di Beethoven. Sedras alza lo sguardo).

Sedras                           - Ricordo che quando decisi il termine delle mie letture avevo quasi cinquant’anni. Era proprio tempo che mi chiedessi che cosa avevo imparato. E potei darmi io stesso la risposta. In tutti quei famosi libroni non c'era niente: nomi e cose; nomi di nomi; giorni svaniti; giorni e notti svanite, e parole, solo parole, vuote, prive di senso. Lo spazio è tempo; ciò che fu, è; gli!-uomini di domani vivono, e questo è il loro ieri. Li: cose che furono, sono e saranno; ebbero vita, ne hanno e ne avranno. Se ora questo non ti dice nulla, è perché sei giovane, ricordalo; da vecchia ti sarà chiaro.

Maria                             - Scusami, ma ascoltavo qualcosa...

Sedras                           - Non importa. La mia è una saggezza inutile. E' tutto quanto posseggo, ma è inutile. Può anche darsi che il tempo non esista, ma pure noi invecchiamo, Tu conosci il suo nome?

Maria                             - Che nome, babbo?

Sedras                           - Quando si è giovani e si ascolta un passo, quel passo ha un nome. (Maria, senza udirlo, si alza va alla finestra. Garth entra dall’interno con il violino, chiudendo con cura la porta).

Garth                             - (mentre Sedras lo guarda) Dorme.

Sedras                           - Può dormire pure tutta la notte. All'alba Io sveglieremo.

Garth                             - Sarebbe meglio non dir niente, e lasciarlo solo a ritrovare la sua via.

Sedras                           - Ma corno è venuto?

Garth                             - Non è così pazzo, per questo. Se si sveglia di nuovo lo terremo tranquillo e domattina lo faremo andar via.

Sedras                           - Ma come son venuto -in questa radura della strada, in questa fine della vita?

Garth                             - Ma no... è un posto a poco prezzo... non farò si trascendentale! E così... silenzio?

Sedras                           - Silenzio.

Maria                             - Garth, non c'è un posto in tutta la città, nemmeno uno, dove tu non saresti più sicuro che qui, stanotte.

Garth                             - (amaro) Può darsi. E poi?

Maria                             - Se tu andassi fuori, e ti cercassi un posto dove Trock non potesse trovarti...

Garth                             - Già... e che cosa dovrei usare in luogo del denaro? E perché credi che finora io sia stato a seder­mene qui, perché amo la casa, forse? Ma io so che se facessi un passo dopo la svolta, sarebbe l'ultimo passo e l'ultima mia svolta.

Maria                             - Eppure, se resti qui... Ti troveranno qui... Trock ritornerà, e poi...

Garth                             - Vuoi che mi uccidano?

Maria                             - No.

Garth                             - E allora non c'è niente da fare. Aspetteremo la sorte che ci attende.

Sedras                           - Ssss! Puoi svegliarlo.

Garth                             - S'è già svegliato. Lo sento stendersi. (Aspet­tano quietamente. Il giudice Gaunt apre la porta ed mura).

Gaunt                            - (sulla soglia) Vi chiedo scusa... no, state comodi, sedete... temo di avervi disturbato abbastanza... devo ringraziarvi doppiamente, perché mi son sentito male davvero..!

Sedras                           - State meglio, ora?

Gaunt                            - Quasi completamente, vi ringrazio. E spero di potere proseguire da solo. Vi ricompenserò dell'ospi­talità, ma al momento (sorride) sono a corto di fondi. (Cerca nel portafogli) Signore, il mio imbarazzo è pro­prio grande... e non soltanto per il denaro... perche non ho che un'impressione vaga di come venni qui... di come c'incontrammo... e di quello che abbiamo detto. Il mio nome è Gaunt, giudice Gaunt, ed è ben conosciuto nelle corti penali, e non privo di onore.

Sedras                           - Il mio nome è Sedras, e questo è Garth, mio figlio. E Maria, la mia figlia più piccola.

Gaunt                            - Sono lieto di conoscervi. Sedras? Garth Se­dras? (Si nassa una mano sugli orchi) Non è un nome comune. Tempo fa, l'ho sentito in un caso... Un caso noto. Ma non può esser lui. Però, non è un nome co­mune. (Gli altri restano muti) Signore, cerne sia Venuto fin qui, non lo so bene, ve l'ho detto. Certe cose avven­gono talvolta, casualmente.

Sedras                           - Voi eravate fuori la nostra porta, e noi vi abbiamo accolto.

Gaunt                            - La mente può affaticarsi ed esser stanca, pure se tutto sembra chiaro. Signore, ve lo giuro, non so come abbia fatto a venire sin qui, e non posso spiegarlo. Diremo che la macchina è un po' stanca. Non crederete quanto mi vergogni di chiedere la strada per ritornare, ma ve lo domando.

Sedras                           - La città è New York: una sua parte.

Gaunt                            - Non la migliore, credo. (Sorride triste­mente) No, proprio no.

Sedras                           - Non tipica.

Gaunt                            - E voi... (A Garth) Siete Garth Sedras?

Garth                             - E' il mio nome.

Gaunt                            - - Bene, signore. (A Sedras) Io vi sarò ob­bligato in eterno se metterete un vecchio sul cammino giusto, perché ho smarrito la strada. Il nord, il sud, l'est e l'ovest non mi dicono nulla in questa stanza.

Sedras                           - Posso indicarvi la via.

Garth                             - Solo fareste bene ad attendere un po'...

Gaunt                            - Ma certamente. Voi mi scuserete per tutte queste chiacchiere... (Si guarda intorno).

Garth                             - Sicuro. Ma qui non state bene?

Gaunt                            - Credo che qui dintorno potrei avere al­cune informazioni.

Sedras                           - Ma sì... giù in fondo... se potrete arrivarci.»

Gaunt                            - Ho camminato già tanto... guardate le mie scarpe. (Guarda in basso, poi stende una mano per equilibrarsi) Ecco… ecco perché sono venuto..!, non preoccupatevi... era qui... e me n'ero... (A Garth) Il professore Hobhouse, questo era il nome, ha scritto qualche cosa sopra di voi, che ha fatto chiasso... Ma giacché sono qui, io posso dirvi che è tutta un'inven­zione, senza prove e senza base legale. Stupida e impu­dente, scritta con furberia e con l'intento di minare la pubblica fiducia nella giustizia. Lo sapevo, allora, tutto quello che dice della vostra possibile testimonianza. E’ vero, avrei potuto chiamarvi, ma l'affare era chiaro... Romagna era riconosciuto colpevole da tutti, e non c'era bisogno più di niente. Ho sopportato giorni tre­mendi di tortura, per le maldicenze sulla mia probità. Ed in questa tortura sono andato errando in ogni luo­go, e forse ho errato anche nella mia mente. Ma ora che mi trovo di fronte a voi, lo so, tutto è chiaro, E vi prego, tacete. Non è facile rinunciare ad un nome onorato, dopo oltre mezzo secolo di servizio allo stato. Può annebbiare il cervello più saldo. Per questo vi prego di non dir niente di questa mia visita.

Garth                             - Non dirò niente.

Sedras                           - E nessuno di noi.

Gaunt                            - Ma certo, perché voi non ci guadagnereste nulla. Anzi, se mai, ci perdereste.

Sedras                           - Sicuro, lo sappiamo.

Gaunt                            - Avrò un lieto ricordo di voi. Quando ri­tornerò si farà forse un'indagine su dove sarò stato. Vogliamo che rimanga un mistero?

Garth                             - Ma certamente.

Gaunt                            - Bene; ora vado con l'animo in pace. E sono lieto di chiamarvi aortici.

Sedras                           - Vi siamo grati per il silenzio, vostro onore.

Gaunt                            - Signore, se ci fosse un motivo, una ragio­ne di parlare, io non esiterei! Ma non ce n'è, non ce n'è, ricordatelo!

Sedras                           - Non dubitate, vostro onore.

Gaunt                            - E allora... Ho fretta. Se volete guidarmi un po' potremo uscire.

Sedras ----------------- - Subito... (Si ode un colpo alla porta.  I quattro si guardano l'un l'altro con apprensione. Maria s'alza) Aprirò io.

Maria                             - Sì. (Va nella stanza interna e chiude la porta. Sedras va alla porta esterna. Il colpo si ripete. Egli apre la porta. Mio appare).

Sedras                           - Signore?

Mio                               - Posso entrare?

Sedras                           - Volete dirmi il motivo, prego? E' tardi, e non son libero...

Mio                               - Perdonate, signore, ma i miei affari non sono comuni e credo occorrerà che mi presenti. In­tanto, mi è stato detto che voi siete Sedras.

Garth                             - Ma che volete?

Mio                               - E' giusto il nome?

Garth                             - Sì.

Mio                               - Sono il figlio d'uno che fu accusato molti anni addietro, per un'aggressione nel New England e per tale accusa fu giustiziato. Voi dovete essere Garth Sedras, per quello che ho saputo. Voi conoscete certi particolari del delitto, secondo ciò che scrissero a suo tempo i giornali, e potrebbe darsi che la testimonianza vostra possa riabilitare il nome di mio padre. A Voi non interessa se fu innocente o no; per me invece è questione di vita. Per questo sono venuto a chiedervelo.

Garth                             - A chiedermi che cosa?

Mio                               - Ciò che sapete.

Sedras                           - Aveva un figlio quell'uomo, Romagna?

Mio                               - Già, « quell'uomo, Romagna », come a voi piace chiamarlo, aveva un figlio. Sono io quel figlio, e sono fiero di esserlo.

Sedras                           - Perdonate.

Mio                               - Se l'aveste mai conosciuto e sentito parlare, sapreste perché sono fiero di lui. Non era un malfat­tore.

Sedras                           - Vi credo, certamente. E se mio figlio po­tesse aiutarvi... Ma in questo momento, come vi ho detto... Non potreste ritornare domani, quando vi fa piacere?

Mio                               - Certo.

Sedras                           - In confidenza, vi dirò che anche noi ab­biamo spesso pensato a questa cosa. Capirete, con quell'articolo, e le discussioni...

Mio                               - Potreste dirmi allora, in un minuto, se ciò che sapete è contro oppure a favore? E' tutto ciò che desidero.

Sedras                           - Mio figlio non sa niente.

Garth                             - E' vero. I giornali si lanciano sempre, af­famati di notizie, dietro qualunque chiacchiera, e le inventano addirittura se non hanno niente da raccon­tare. E' quello che è successo. Un tempo conoscevo dei membri di una banda che bazzicavano qui vicino; così, dopo il delitto, mi fermarono perché rassomiglia­vo a qualcuno che aveva relazioni con costoro. Mi trat­tennero un po' ma non poterono provare niente con­tro di me, per l'eccellente ragione che mi trovavo in un posto lontanissimo quando avvenne il fatto. Ma ora, dopo più di dodici anni, un professore salta su e co­mincia a domandare perché non fui chiamato a testi­moniare, e strilla così forte che se ne riparla sui gior­nali. Ma io non so niente, niente che non vi abbia detto. E vorrei poter dire di più.

Sedras ----------------- - Lasciate che anch'io dica che ho letto qualche parola detta da vostro padre, ed era giusti e siete fortunato d'essere suo figlio, non importa quel lo che pensa il mondo.

Mio                               - Non sono in troppi a pensarla come voi, mi è proprio vero e vi ringrazio. E quindi non c'è altro!

Garth                             - E' tutto quello che so.

Mio                               - Copre bene le tracce, il destino; sono venuti per tremila miglia in questa strada cieca.

Sedras                           - Se lui era innocente e lo sapete e lo credete, fate che gli altri pensino quello che vogliono.

Mio                               - E mi direte voi allora come un uomo può vivere ed agire se non gli è consentito di vedere la verità aprirsi la strada?

Sedras                           - Noi chiediamo troppo al mondo, da principio. Poi di meno, e sempre meno. Chiediamo giusti' zia e verità. Ma è cosa sconosciuta la verità, in qualsiasi misura. E la giustizia... corre gli stessi rischi degli uomini. Voi amaste vostro padre, e avrei potuto amarlo anch'io, perché le sue parole, al processo, furono giuste e generose, ma il gran peso di ciò che l'uomo è, grave in eterno sui corpi delle vittime. Esse non sorgeranno, e la ragione giacerà insieme a loro.

Gaunt                            - Se volete dire che Bartolomeo Romagni era innocente, vi sbagliate. Era colpevole. Le ingiustizie sono sempre esistite, ma non in questo caso, te l'assicurò.

Mio                               - Oh, che terribile cosa affermate! Voi presumete, invece! Egli fu condannato innocente; un vere assassinio.

Gaunt                            - Romagna fu riconosciuto colpevole dopi un completo procedimento legale, e gli fu dato modo di provare la sua innocenza.

Mio                               - Già, e quale modo? Quando un tribunali diventa schiavo di una folla impazzita, ed i giurati per influenza collettiva subiscono la convinzione di dover condannare un anarchico, e straniero per giunta, accusato d'un delitto non provato, voi sostenete sia un processo legale?

Gaunt                            - Signore, io so bene che era colpevole.

Mio                               - Ma chi siete? E come lo sapete? Io ho studiato le indagini e il processo e tutto ciò che avvenne dopo; ma in tutti quei documenti non ho trovato uni sola parola che possa dare la certezza che il delitto fosse stato commesso dall'accusato.

Gaunt                            - Ma voi, voi stesso, potete dirvi infallibile!

Mio                               - E voi chi siete, infine?

Sedras                           - Signore, questa persona è qui, come voi pure, per chiedere a mio figlio, come voi avete chiesto, quanto sia fondato questo parlare di una prova ne» caso di Romagna. E noi gli abbiamo dato la stessa spiegazione che abbiamo data a voi.

Mio                               - Mi spiace. Credevo fossi io solo a ricordarlo. C'è dunque qualcuno che ancora lo difende?

Gaunt                            - Potrà esserci. Ma io non ne so nulla.

Sedras                           - Egli è mio ospite, e desidera non essere riconosciuto.

Mio                               - (dopo una pausa, fissando Gaunt) Il giudice al processo non era così vecchio, ma il suo viso era lo stesso. Sarà forse vero che voi siate quel giudice? Ma sì... sì. I giurati accusano... Io sedevo lì da bambino, e udii la vostra voce, e fissai quella bocca alli­brammo. Sapevo fin da allora che gli eravate contro. Ed ora siete qui, ad esaminare giustizia e verità. Siete la fonte delle menzogne che l'uccisero! Siete il giudi­ce Gaunt!

Gaunt                            - Sono io.

Mio                               - Allora ditemi quale condanna, quale inferno spetterebbe al vile che volle mandare a morte un inno­cente, certo sapendo di mentire! Giudica, se puoi, questo e ritorna al tuo posto all'inferno!

Gaunt                            - Io so quale amarezza e quale odio possa nascere in un cuore quando la corte deve sentenziare, contro ogni sentimento che la morte è la pena di un nomo. E perciò perdono voi, figlio di quell'uomo, Certe leggi paiono crudeli ma sono necessarie. E la crudeltà stessa protegge i cittadini.

Mio                               - Ah, non ne dubito. Conosco chi servite.

Gaunt                            - Ed avrei forse scelto di torturarmi coi do­lori umani, di chiudermi gli orecchi e di indurire il mio cuore, e di ascoltare soltanto la voce del giusto e della luce, se per il mio servire avessi chiesto solo guadagni? In tutto il mio passato sui banchi della legge, mai un giudizio che pronunciai fu messo in discussione, salvo che in questo caso. Per speranza di cielo o di poteri in terra o per il basso desiderio dell'oro, mai nessuno udì parlare la mia bocca, né mai potrà sentirla, fino a quando manterrò la fiducia, che mi dette il potere di giudice.

Mio                               - E allora perché mai siete venuto qui?

Gaunt                            - Io non ho colpe, non ne ho mai avute. Ma pure, si può supporre che tra la migliaia di persone chiamate a testimoniare, ci si possa confondere e se­guire un racconto spergiuro fino a mandare a morte un innocente. Avrei mai potuto dormire in pace con un tale dubbio? Per sempre, notte e giorno, grava sulla mia mente come un peso l'ammonimento: Convinciti, e impedisci che qualcosa ti inganni. Tra tutte le fun­zioni, una sola è divina: il giudicare. Ma per questo bisogna dare i giudizi che Dio darebbe con verità, con chiarezza e con quella pietà che l'ordine e la legge ci consentono. Senza la legge, l'uomo non è altro che una belva. E' dovere del giudice elevarlo oltre le sue pas­sioni. E se una volta sola il giudice sbagliasse, una frattura verrebbe a farsi in quella grande diga che ci difende dalle forze brute dell'anarchia, e ci rende or­dinati eppure liberi.

Mio                               - Quand'è così, la diga è già spezzata, per colpa vostra.

Gaunt                            - Lo temevo anch'io. Possiate essere giudice anche voi e sapere le notti di paura in cui verificavo e confrontavo ogni atto del processo!

Mio                               - E senza pregiudizi, mi figuro. Non avrete mai pensato di provare che avevate ragione.

Gaunt                            - Ed avevo coscienza anche di questo,( e me ne stavo in guardia, e difendevo i diritti dell'accusato più del suo avvocato! Eppure non trovai nessun errore e non sciolsi nessuno dei legami che univano il delitto con il reo. Ma volli continuare a esaminare ogni nuovo commento, ed alla fine vidi che una sola era la base di ogni obiezione: il fatto che Garth Sedras non fu chia­mato. Ma ora, ecco Garth Sedras; l'avete udito,. E potete affermare che quanto ha detto giustificherebbe un se­condo processo?

Mio                               - Non posso.

 Gaunt                           - Perciò vi dico, che se vostro padre fosse ancora nel carcere, e se volesse essere udito, non avrei nessun motivo per interrogarlo.

Mio                               - Vi ho detto che conosco ili processo da cima a fondo. Ogni vostra parola fu pesata con cura, per se­guire la legge nella lettera, ma condannare, condannare sempre, senza accogliere nulla! Ed ora, in questa stanza, trasportato da fiumi di casistica, volete provarmi e pro­vare a voi stesso che non c'è alcun giudice degno di tale nome che condanni solo per odio. Ma è ciò che avete fatto, e non riuscite a nasconderlo a me!

Gaunt                            - Ho cercato le prove, e anche voi le cercate. Se ne avete, potete dirmi una parola nuova in sua difesa?

Mio                               - Il processo intero fu una menzogna, preordi­nato ad arte per distrarre i giurati.

Gaunt                            - E le prove?

Mio                               - Le ho.

Gaunt                            - E se i giurati vennero fuorviati, ricordatevi che è il giurì, nella legge anglosassone, che pronuncia il giudizio. Ed al riguardo il giudice non ha poteri.

Mio                               - Ma non in questo caso! La vostra accusa influì la giuria più delle prove. Avete accolto ogni opinione dubbia e distillato il veleno per loro!

Gaunt                            - Se così fosse io sarei il primo a scendere tra gli uomini, legato, ad accusarmi. Ma io vi chiamo Dio a testimone che volli soltanto risolvere ogni dubbio ed ottenere la luce completa. Ma 0 mio nome è anneb­biato dal più grave fra tutti gli scandali che colpirono un giudice. Ed io voglio compiere ciò che posso affinché un giorno il mio onore sia intatto. Voi saprete quanto fui odiato, e per nessuna ragione che io possa mai capi­re. E non potrebbe darsi - ve lo domando onestamente - che l'ingiustizia fosse invece proprio da parte vostra? Quante volte vennero dinanzi a me degli uomini per­fetti in ogni loro azione, sia in privato come nella vita pubblica, ma colti all'improvviso da una cieca demenza, che rendeva chiara la loro colpa!

Mio                               - Ma non potete dire questo di mio padre!

Gaunt                            - Eppure, proprio questo mi parve, E parve ad altri nel processo. Sareste voi sicuro, ve lo chiedo umilmente, che proprio voi, toccato così in fondo dalla tragedia, possiate giudicare rettamente, e non essere in­vece fuorviato e vedere un aspetto solo della questione?

Mio                               - Credo di veder bene.

Gaunt                            - E non potrebbe darsi che fosse proprio in questo l'errore, che cioè voi crediate di osservare im­parzialmente lo svolgersi delle cose e vediate invece soltanto quello che volete vedere?

Mio                               - Ma allora mi credete un visionario?

Gaunt                            - Oh, è accaduto anche peggio, e alle persone più equilibrate. Ma ve lo domando, e non rispondo in vece vostra. Non è forse vero che dovunque voi andiate, in quella piccola città dove abitaste con lui, oppure lon­tano, per le terre e per i mari, vi segue sempre e si addormenta solo quando dormite, un'ombra, che non è la vostra, e che vi implora con le mani tese di liberarla della sua vergogna?

Mio                               - Come diavolo facciate a saperlo, non capisco.

Gaunt ----------------- - - Perché lo stesso spettro che ha inseguito voi perseguitò anche me. Ma non vi lascia, mentre ha ab­bandonato me, ora che la mia mente è soddisfatta. Perché so che egli è morto giustamente e non per un errore. (Una pausa).

Mio                               - V'interessa sapere che la morte vi è giunta così vicina che è un miracolo se il vostro cuore ancora batte?

Gaunt                            - Vi ripeto che è morto giustamente e che lo meritava!

Mio                               - Oh, già, vi piacerebbe che vi uccidessi! Questo proverebbe la vostra tesi e mi rivelerebbe figlio di un assassino! Ma non l'avrete questa soddisfazione! Tornate a casa, a morire nel vostro letto, tra le vostre idee pu­trefatte sulla legge e sulla giustizia!

Gaunt                            - Ma perché vi adirate, ora che siete arrivato a conoscere la verità?

Mio                               - E' la tua superbia di poter decidere di chi deve camminare sulla terra e di chi deve creparci sotto! Così sputi sentenze. Il serpente che ragiona! Io sono un dio, inviolabile, e tutti dovete adorare la mia zanna, che io posso affondare dove mi pare. (Si ferma, come se volesse andar via; poi si siede) Ma a che vale. Non mi aiuta davvero. (Il giudice e Sedras si guardano).

Gaunt                            - Dovremmo andare.

Sedras                           - Sì. (Fanno per uscire) Vi darò il mio cap­potto.

Gaunt                            - (guardandolo con disgusto) No, tenetelo. Un po' di pioggia non mi farà male.

Sedras                           - Si gela, e voi dovete camminare molto.

Gaunt                            - Mi arrangerò, non preoccupatevi. (Gaunt e Sedrais escono, Sedras ossequioso,, chiudendo la porta).

Garth                             - (guardando Mio alle spalle) E così?

Mio                               - (senza muoversi) Lasciatami sedere un momen­to. (Garth si stringe nelle spalle e si dirige alla porta in­terna. Maria l’apre ed entra. Garth la guarda, poi guarda Mio e si mette le dita sulle labbra. Ella annuisce. Garth esce. Maria siede e osserva Mio. Dopo un po' egli si volta e la scorge) Come mai sei qui?

Maria                             - Io vivo qui.

Mio                               - Qui?

Maria                             - Mi thiamo Sedras, e Garth è mio fratello. 1 muri sono sottili, ed ho sentito quello che avete detto.

Mio                               - (muovendosi con stanchezza) Me ne vado. Non è posto per me.

Maria                             - E quale posto sarebbe il tuo?

Mio                               - Nessuno. Ma è meglio andare. Andare, così. (Ella gli si avvicina, lo abbraccia e lo bacia in fronte).

Maria                             - Mio.

Mio                               - Cosa mi chiedi? Non offrirmi quel che non posso avere. Niente potrò mai avere. Si dice che un giorno si potrà varcare lo spazio e respirare l'aria dì altri pianeti. Forse allora vi sarà una vita per me, ma ora no, non in questo mondo di fango. Io non la voglio.

Maria                             - Ma che possono farti con le loro parole? Tu sei un re, fra di loro. Ti ho ascoltato, ed ho amato la tua voce.

Mio                               - Credevo di essere giunto così in basso, che non ci fosse più da cadere, e invece, mi si è aperto un nuovo burrone, all'improvviso. Era terribile che lui fosse morto innocente, ma colpevole... Che vita è più la mia? Che posso fare, ormai... Figlio di un assassino... Quando mi sputavano in faccia, me lo meritavo! Amavo le mie mani perché erano le sue. E ho vissuto solo perché egli era innocente, e per vedere un giorno la verità risplendere e accecarli tutti...

Maria                             - Oh, non credere a loro, Mio, non crederci (Guarda verso la porta interna).

Mio                               - Ma io cercavo la verità, la verità... non 1e menzogne che tu potresti dirmi! Il giudice con la sua bocca di serpe può aver detto la verità, ed essere io un pazzo! E le tue mani sono troppo pure per toccarmi! Per me non c'è che avanzi di cucina e amori da mar­ciapiedi.

Maria                             - No, tu hai detto che mi ami; me lo hai detto. E non ti chiederò più di ripeterlo. Ti dico solo prendi tutto quello che ho. (Garth apre la porta interna  ed entra).

Garth                             - Scusate se interrompo una scena d'amore. Faremmo volentieri a meno delle vostre svenevolezze. (A Maria) Sei una bambina, e dovresti ricordartene.

Maria                             - Io non ho detto nulla di male. Ne voglio farne.

Garth                             - Sei mia sorella, e ; se permetti - deve interessarmi di te. Dove l'hai incontrato?

Maria                             - Siamo stati insieme a ballare.

Garth                             - E ora il ballo è finito.

Maria                             - T'ho sempre voluto bene e ho cercato di?  aiutarti, Garth, e tu sei stato gentile. Perché vuoi farmi I questo, ora?

Garth                             - Farti che cosa?

Maria                             - Io l'amo, Garth. E non so come avvenne, r Abbiamo ballato insieme, e tutto il mondo è cambiato. E Ti vedo lontano, come in una nebbia, ed anche il babbo, Se mi toglierai anche questo, non avrò che la morte.

Garth                             - (a Mio) Fareste bene a uscire.

Mio                               - Sì, lo so. (Si alza. Alla porta si ode picchiarti timoroso. Maria apre. E' il vagabondo tremante).

Il Vagabondo                - Signorina, potrei dormire sotto i tubi; stanotte? potrei signorina?

Maria                             - Questa notte, non credo.

Il Vagabondo                - Non ci saranno altre notti per me, se resto fuori.

Maria                             - Entrate. (Il vagabondo entra, guarda intorno supplichevolmente, poi va in un angolo vicino a une grosso tubo da riscaldamento, e vi si accuccia sotto, come se già vi fosse stato altre volte).

Il Vagabondo                - Grazie, signorina, grazie.

Garth                             - Ci voleva anche questo!

Maria                             - Papà lo lasciava dormire lì, d'inverno.

Garth                             - Già...

Mio                               - Buona notte.

Maria                             - Dove vai?

Mio                               - Dove? come se importasse...

Garth                             - Oh, dormite anche voi qui. Così ne avremo una fila sotto i tubi.

Mio                               - No, grazie.

Maria                             - Mio, ho un po' di denaro. Pochi soldi, ma potranno servirti. (Toglie alcune monete da una scatola scuotendola).

Mio                               - No, grazie.

Maria                             - Ma io ti amo. Puoi prendere questi podi oidi.

Mio                               - So che da te potrei prenderli, ma ti ringrazio. (La porta esterna si apre ed entrano Sedras e il giudice Gaunt; poi, dopo qualche istante, Trock, che esamina la stanza e quanti vi si trovano, uno per uno).

Trock                             - Non vorrei darvi troppo disturbo, e spe­cialmente a voi, giudice. Dovete credermi. Voi avete i vostri affari, forse dovete partire. Ma la partenza potrà essere rimandata. Tutto può attendere; io solo no. Non ho più tempo, io. Che c'è lì sotto? Che roba è? (Indica il vagabondo).

Sedras                           - E' un povero mendicante, signore, che qual­che volta dorme qui.

Trock                             - Fuori. Ho detto fuori! (Il vagabondo si muove e guarda verso di lui) Sì, proprio tu, vattene! (// mendicante si alza) Come ti chiami?

Il Vagabondo                - La gente mi chiama Oke.

Trock                             - E chi sei?

Il Vagabondo                - Niente, signore.

Trock                             - Di dove vieni?

Il Vagabondo                - Non ho che un pezzo di pane. (Lo tira fuori tremando).

Trock                             - Torna là sotto! (Il vagabondo si rannicchia di nuovo nell'angolo) Vi meraviglierà che io faccia que­sto. Ma sono stato derubato; ecco è il motivo. Sono stato derubato cinque o sei volte, e la polizia non riesce a trovare nemmeno un soldo del denaro che mi è stato tolto. Per questo vado in giro, se ci tenete a saperlo. (A Mio) E voi chi siete?

Mia                                - Sono un mendicante anch'io, capitato qui per sbaglio. La differenza tra lui e me (accenna al vagabon­do) è che io non ho nemmeno un pezzo di pane.

Trock                             - Il vostro nome?

Mio                               - Il mio nome? Signor Tale. Un nome rispet­tabile. Ma la verità è che siamo un pochino picchiatelli io e Oke. Passate appresso.

Trock                             - Chi è?

Sedras                           - Il suo nome è Romagna. E' il figlio.

Trock                             - E che sta a fare qui? Giocate chiaro, Voi, no?

Garth                             - E' venuto dopo la pubblicazione del famoso articolo; non l'abbiamo certo invitato.

Tkock                            - Ma che bella riunione! Se ci fosse Shadow, ci saremmo tutti, no? Soltanto, credo che il caro Shadow non lo vedremo.

Mio                               - Chi è Shadow?

Trock                             - Oh, cominci a interrogare? Shadow non era nessuno, vedi, nessuno. Ed è volato, volato al cielo. Può succedere a tutti. (Guardando Garth) Sì, proprio a tutti.

Mio                               - Amico, perché tieni la mano in tasca?

Trock                             - Perché fa freddo, bello: freddo di morto. (A Garth) C'è una macchina fuori nella strada, che aspetta il giudice per portarlo a casa. Noi lo accompagneremo,

Garth                             - Ma non è necessario.

Sedras                           - No, davvero.

Trock                             - E vi dico di sì, invece. Non vorrete costrin­gere il giudice a camminare, no? Il giudice farà un viaggetto fino al posto che lo attende, e con due autisti, per giunta. Tutto in perfetto stile. Allegro, giudice. Vi cureremo noi. Per sempre.

Garth                             - Non voglio entrarci.

Trock                             - Il mio destino è il tuo, bel musicista.

Garth                             - Lo so.

Trock                             - E allora zitto. E farai bene a tenerti quel tipo in casa stanotte, per scaramanzia. (Si volge verso la porta. Attraverso la finestra si vede un vivido lampo seguito lentamente da un tuono in lontananza. Trock apre la porta, la pioggia comincia a cadere fitta) Male­dizione, ripiglia a piovere forte! (Un colpo di tosse lo scuote) Aspetteremo che passi. Mi porta via dieci giorni di vita, ogni volta che cade. (Chiude la porta) Aspet­tiamo seduti. (Un altro lampo. Il tuono è più debole. Sedras, Garth e il giudice siedono).

Gaunt                            - Noi siamo nati presto. Anche voi, siete gio­vane, ma non sarete tra i fortunati. Fra cento anni l'uma­nità avrà trovato il segreto della vita, e si potrà vivere finché si vuole. Ma io e voi - anno più, anno meno -dove e quando, non ha importanza. E' una sentenza indefinita, diremmo noi. Ho fame. (Garth guarda Maria).

Maria                             - Non c'è più niente stasera.

Il Vagabondo                - C'è il mio pane... (rompe il pane a metà e ne porge uno al giudice).

Gaunt                            - Grazie, signore. (Mangia).

Il Vagabondo                - Non è pane buono.

Gaunt                            - Il pane è sempre buono. (Si alza) Signore, io sono solito ad altra compagnia. Forse non migliore della vostra. Ma i loro abiti sono diversi. Questi invece sono di quelli che si chiamano dei diseredati.

Trock                             - Al diavolo. (Si volge verso la porta).

Mio                               - (a Trock) Sembra che il giudice e voi vi cono­sciate. (Trock lo fissa).

Trock                             - Sono di queste parti.

Mio                               - Forse vi ho già incontrato.

Tbock                            - Forse.

Mio                               - Sapreste dirmi dove?

Trock                             - E voi sapreste dirmi quanto volete vivere?

Mio                               - Non ho grandi idee in materia.

Trock                             - Lo credo. Fino adesso non ho altro contro di voi che il vostro nome. Sarebbe meglio non aggiun­gerci altro. (Apre la porta. La pioggia cade a torrenti. Richiude la porta. Mentre sta per voltarsi, la porta s'apre ancora e Shadow bianco, rigato di sangue e goc­ciolante, appare sulla soglia. Garth sì alza. Trock si volta).

Gaunt                            - (al vagabondo) Eppure se qualcuno stesse attento al mangiare, e non bevesse e non sprecasse le sue forze, potrebbe vivere molti anni, e forse diventare immortale.

Trock                             - (indietreggiando da Shadow) Signore, è uscito dalla tomba!

Shadow                         - (si appoggia alla soglia con la rivoltella in mano) Tieni in alto le mani, Trock!

Trock                             - No! No! Non c'entro, non sono stato io! (Indietreggia fino al muro).

Shadow                         - Avevi detto che il medico t'aveva dati sei mesi di vita: io te ne do assai meno. Io so perché l'hai fatto. Ma tocca a te, adesso. Il giudice si salverà, e starà zitto.

Trock                             - Giuro su Dio...

Shadow                         - Ma quale Dio, quello che m'ha cacciato tre palle in corpo mentre ero tuo amico? Ma come vedi, m'ha fatto rialzare e m'ha portato qui, per ritrovarti! Sono arrivato fin qui a stento ma ora ci sono! E anche se non posso vederti, ti sento ancora! (Fa qualche passo avanti, vacillando) Ci vuole sangue per andare avanti. Sono arrivato fino qui... e non posso vederlo! Scorre, scorre troppo, con tre buchi nel corpo. Ditemi dove sta, imbecilli. E' qui! E' qui! (La rivoltella gli cade di mano) Aiuto! Dio! Dio! Sto per morire! Non posso più reggermi. (Maria si avvicina a Shadow. Garth e Sedras lo aiutano a entrare nella stanza accanto e Maria li segue. Trock si rovescia nel suo angolo, respirando a fatica, fissando la porta. Mio è in piedi, e lo guarda. Garth ritorna, pulendosi le mani col fazzoletto. Mio prende la rivoltella da terra e l'intasca. Maria ritorna e si appoggia allo stipite della porta).

Gaunt                            - Si potrebbe credere che solo un vecchio sia un buon giudice! E' calmo, vede chiaro, è lontano dalle passioni. Ma non è vero. Solamente i giovani ama­no la giustizia. I vecchi, sembra paradossale, data l'espe­rienza della vita, non hanno più - ad un certo punto -l'esatta percezione. Non c'è che un rimedio: la morte. Viene tardi, ma viene, e mette finalmente i giovani ali posto loro. E' tempo.

Il Vagabondo                - (ride stupidamente) Oh, oh, oh...

Gaunt                            - Non mi piace come ridete. Dovreste mo­derarvi. (Sedras rientra).

Trock                             - Chiudi la porta.

Sedras                           - Tanto, non torna più.

Trock                             - Voglio la porta chiusa! Era morto, vi dico! (Sedras chiude la porta) E anche Romagna era morto, una volta! Escono i morti dalla terra, adesso?

Mio                               - Sì, sì, escono! Non possono più stare sotto la terra. Perché li avete uccisi, perché?

Trock                             - Via da me, lontano, ti conosco!

Mio                               - Mi conosci? e chi sono?

Trock                             - Ti conosco, dannato! Sei Romagna!

Mio                               - Sì! E Romagna era morto anche lui, e Shadow pure. Ma è venuta per questi morti l'ora di risorgere! Essi non restano più sottoterra, si avanzano, vengono a chiedere giustizia. Guardate! quella porla! Essa si apre!

Trock                             - (guarda, come affascinato, la porta) Fuori di qui! Fatemi uscire! (Cerca di alzarsi).

Mio                               - (con il revolver in mano) Oh, no! Resterai qui, ad aspettarli! Uno per uno verranno dalla porta, e ti vedranno anche con gli occhi spenti e verranno a gettarsi sopra di te!

Trock                             - Non mi fai paura! Ho regolato uomini più forti di te!

Gaunt                            - (picchiando sul tavolo) Ordine, signori; ordine, prego! E il teste ricordi il rispetto che è dovuto alla corte!

Mio                               - Signore, egli risponderà!

Gaunt                            - (con voce tonante) Silenzio! Silenzio! Si­lenzio! E non dimenticate la deferenza verso il teste! Quale è la causa odierna?

Mio                               - La causa contro Bartolomeo Romagna, per l'uccisione di un cassiere!

Gaunt                            - Ma questa fu decisa molti anni fa!

Mio                               - t Mai fu decisa, mai, finché avrò vita!

Gaunt                            - E allora verrà chiusa oggi, lo vi nego l'appello! E ve lo nego come l'ho respinto per il pas­sato!

Il Vagabondo                - Eh, eh... ma che, sta recitando? (Il bagliore di un lampo).

Gaunt                            - Chi ha scattato il magnesio! Fuori tutti! Sgombrate l'aula! Qui non siamo più a Flemington! Noi condurremo questo processo senza i cacciatori di f scandali!  (Il tuono brontola lontano. Garth apre la  porta esterna e si trova dinanzi ad un muraglia di pioggia) Fermatelo! E' essenziale alla difesa! (Garth  chiude la porta).

Mio                               - E allora interrogatelo!

Garth                             - Ma che state facendo?

Gaunt                            - Ascolteremo le nuove prove. Avanzi il testimonio.

Mio '                              - Garth Sedras!

Gaunt                            - Giurate!

Garth                             - Se volete che io ripeta quello che ho detto,  lo farò.

Mio                               - Chiamate Trock Estrella!

Gaunt                            - Trock Estrella alla sbarra!

Trock                             - No, per Dio, no!

Mio                               - Chiamate Shadow, parlerà! Pensavi che fosse morto, ma verrà a deporre!

Trock                             - (gridando) Che volete da me?

Mio                               - Tu hai ucciso il cassiere! Tu l'hai ucciso!

Trock                             - Mentite! E' stato Shadow!

Mio                               - Finalmente! Ecco il grido della giustizia.

Gaunt                            - Di nuovo vi ricordo la cortesia pei testimoni!

Mio                               -  Ora li conosco. Dice che Shadow l'ha ucciso! Se ci fosse qui Shadow, direbbe che è stato Trock! C'erano tre uomini coinvolti nel delitto per cui mio padre è stato giustiziato: Trock Estrella e Shadow au­tori del delitto; Garth, testimone!  Perché sono qui stasera? E perché voi, il giudice, siete pure qui? Perché eravate presi dal terrore e cercavate di accumulare insieme delle menzogne da narrare! E Trock ha ucciso Shadow e voleva uccidere anche voi, incalzato dallo stesso terrore! Questa è la verità che ho cercato peri tutta la mia vita, e sarei cieco se ora mi sfuggisse! (A Gaunt) Avete udito quello che ha detto? Shadow l'ha: ucciso! E fate che la notte si unisca pure con l'inferno, ormai nessuno può negarlo, e tanto meno la pretesa giustizia! E tu, sciagurato, l'hai sempre saputo!

Gaunt                            - (a bassa voce) Fatemi andare... fatemi andar via...

Mio                               - Perché hai condannato a morte mio padre?

Gaunt                            - Ci son cose che un giudice non deve credere, anche se pesano in eterno sopra il suo capo. Pensate che furore verrebbe a rifrangersi contro lo stato se il giudice dicesse: Non è vero, fu tutto un falso, i Chiunque vi direbbe che in tali casi non resta che at-i tenersi alla sentenza normale, anche se questo comporta un'ingiustizia. L'uomo che difendete fu uno sciagurato, I e la sventura sua è ricaduta sopra di me. Sono finito,! finito per sempre. Voi siete giovane e non intendete come è tremendo quando un ideale si carbonizza, e voi non; ricordate, non potete... (Fa qualche passo avanti) Voi non ripeterete quanto è successo.

Mio                               - No. Non più lontano di quanto sia giunta lai voce della morte e della sua colpa, proclamata da voi. | Dovunque gli uomini vivano e pensino, dovunque siano! consci della Potenza che li muove, essi sapranno. E' tutto, b ed è abbastanza.

Trock                             - (si è alzato e guarda biecamente Mio) Parlate, parlate voi due, parlate pure: non andrete lontano.

Mio                               - Ci penserete voi, forse?

Trock                             - Proprio così. Io e qualcun altro. Ho per­duto la testa, poco fa, ma ora sto benissimo.

Mio                               - E allora avanti! Che potete farmi, ora che vedo e so! Posso perfino credere, credere a un Dio che mi ha portato qui, questa notte, e mi ha messo di fronte voi, perché finalmente sapessi! Ed ara so, e la mia vita è salva! Egli era come sempre l'ho creduto, sincero, nobile, superiore, e non un assassino come voi. (Si ode un bussare alla porta esterna. Maria l'apre dopo un cenno di assenso di Garth. Appare il poliziotto con un impermeabile di tela cerata).

Il Poliziotto                   - 'Sera. (Entra seguito da un sergente con un identico impermeabile) Stiamo cercando qualcuno che potrebbe essere qui. Avete visto un vec­chio che girava da queste parti, con un'aria da matto? (A Sedras) Voi lo conoscete. L'avete visto poco fa. C'è una bella riunione, qui! (Si guarda intorno. Il vaga­bondo si accuccia ancor più nel suo angolo) Mi sembra che sia lui. Che te ne pare?

Il Sergente                    - Ma sicuro. Non lo riconosci dalla fotografia? (Va da Gaunt) Andiamo, vecchio, torniamo a casa.

Gaunt                            - Sì, signore, ho smarrito la strada, credo proprio di aver smarrito la strada.

Il Sergente                    - Direi anch'io. Circa trecento miglia. Ma non vi preoccupate, ci penseremo noi.

Gaunt                            - Sono una persona di una certa importanza, nella mia città.

Il Sergente                    - Lo sappiamo. Basta vedervi per ca­pirlo.

Gaunt                            - Grazie, signore.

Il Poliziotto                   - Ma non è Trock, quello? Trock E-tìrella! Come va Trock?

Trock                             - Non c'è male, grazie.

Il Poliziotto                   - Sei uscito, ieri, mi pare?

Trock                             - Proprio così.

Il Sergente                    - Salve, Trock!

Trock                             - Salute!

Il Sergente                    - Saprai che abbiamo l'ordine di vigi­larti. Fa il bravo, ragazzo, se no torni laggiù. E non pensare a farmela.

Trock                             - Ma no, signore.

Il Sergente                    - E sta calmo. Anzi, se fossi in te, non porterei nemmeno la rivoltella. Cerca di guadagnare onestamente.

Trock                             - Lo farò.

Il Sergente                    - E sarà bene, perché se accade qual­che cosa, qui, in riva al fiume, sapremo chi cercare.

Mio :                              - E allora guardate nella stanza accanto. Io ac­cuso questo uomo di omicidio: Trock Estrella è un assassino.

Il Poliziotto                   - Ah, voi, mi ricordo di voi.

Il Sergente                    - Chi ha ucciso?

Mio                               - E' stato Trock Estrella che ha aggredito un cassiere tredici anni fa ed ha commesso il delitto che mio padre ha espiato. Il caso Romagna, ricordate? Ro­magna era innocente; Trock Estrella è il colpevole.

Il Sergente                    - (disgustato) Al diavolo! Ma è roba vecchia, il caso Romagna.

Il Poliziotto                   - Ehi, sergente! (Il sergente si avvicina al poliziotto) Quel ragazzo si diverte a fare scherzi. Ha cominciato con me mezz'ora fa. Prende in giro la polizia e poi scappa!

Il Sergente                    - Davvero?

Mio                               - Non scherzo, adesso. Troverete un morto nella stanza accanto e Trock Estrella l'ha ucciso.

Il Sergente                    - Tredici anni fa? E nessuno ha sentito il fetore?

Mio                               - (col dito teso) Io accuso quest'uomo di due delitti! Egli ha ucciso il cassiere tredici anni fa; come ha ucciso Shadow stanotte. Guardate, guardate voi stessi: è di là.

Il Poliziotto                   - Senti, ragazzo. Poco fa hai cercato di sfottere le guardie perché vengono qui dall'Irlanda. E' meglio non ritentare lo scherzo.

Il Sergente                    - (a Gmrth) E' vero che c'è un cadavere?

Garth                             - Che io sappia, no.

Il Sergente                    - Lo pensavo. (Mio guarda Maria. A Mio) Inventane una migliore.

Mio                               - Devo tirarlo qui per farvelo vedere? (Si di­rige verso la stanza interna) Non siete capaci di sco­prire un delitto nemmeno se ve lo si indica?

Maria                             - No, no... non c'è nessuno... non c'è niente di là!

Il Sergente                    - (guardando Maria) Dà un'occhiata.

Il Poliziotto                   - Subito. (Va nella stanza interna. Il sergente va alla porta; il poliziotto ritorna) Ha scher­zato un'altra volta sergente. Se di là c'è un cadavere, io non l'ho visto.

Mio                               - E allora siete cieco! (Va anche luì nella stanza e il sergente lo segue).

Il Sergente                    - E' così! (Esce e Mio lo segue) Quando si accusa qualcuno di un delitto, ci vogliono le prove, ragazzo. Sei uno di quelli che tirano l'anello d'allarme per vedere come è fatto.

Mio                               - Ma se vi dico che era lì! E' andato di là a morire.

Il Sergente                    - Proprio così! E' verissimo, come è vero che io sono il figlio dello Zar! Come ti chiami?

Mio                               - Romagna. (A Garth) Che ne avete fatto?

Garth                             - Non capisco che volete dire.

Il Sergente                    - (a Garth) Ma di che parla?

Garth                             - Vorrei capirlo, ma non ci riesco.

Il Sergente                    - Dev'essere tocco.

Il Poliziotto                   - E' il caso Romagna che gli ha dato alla testa. Ma state attento, amico, che finirete dentro.

Mio                               - Sono tutti complici, tutti! (A Maria) Anche tu.

Garth                             - E' pazzo!

Maria                             - (con gentilezza) Tu hai sognato, vero? tu hai sognato; non c'era nulla. (Mio la guarda con com­prensione).

Mio                               - Vuoi che sia così? (Pausa) Bene, allora. Ho sognato.

Il Sergente                    - («I poliziotto) Hai proprio ragione. E' meglio andarsene. Non avete un cappotto?

Gaunt                            - No, signore.

Il Sergente                    - Dovrò prestarvi il mio. (Mette la sua tela cerata sulle spalle di Gaunt) Andiamo, è tardi. (Gaunt, il poliziotto e il sergente escono).

Trock                             - E' fortunato, quello. La sua miccia è ba­gnata. E dove sta quel pazzo che camminava con tre buchi in corpo?

Sedras                           - E' caduto in cortile ed è rimasto lì.

Trock                             - E' stata una fortuna per tutti. E' crepato, stavolta o c'è il caso che passeggi ancora?

Sedras                           - E' morto.

Trock                             - Perfetto. (A Mio) E non giocare con la rivoltelle, piccino, che il sergente è là fuori. (Si volge per andar via) E' meglio che quella carogna navighi nel fiume! Il morto che cammina! Vedrete che arriverà da solo fino all'acqua!

Garth                             - Ritorni?

Trock                             - Se tornerò mi rivedrete, e se no, no. Lascia andare in giro l'idiota e che il diavolo se lo porti. (Si avvolge nel cappono ed esce. Maria sale vicino alla finestra a guardare).

Maria                             - Sta risalendo la strada, lungo il ponte. (Si volge) Svelto, Mio, è il momento, presto!

Garth                             - Lascialo fare come gli pare.

Maria                             - Che vuoi dire, Garth? Non hai capito che vuole ucciderlo?

Garth                             - Credo che il signor Romagna saprà difen­dersi da se.

Maria                             - Ma l'ucciderà.

Mio                               - Perché avete mentito poco fa? (Una pausa. Garth si stringe nelle spalle, attraversa la stanza e si siede) Siete uno dei loro.

Garth                             - Quando è giunta l'ora, saprò morire. Rac­contate pure quel che vi pare, ma attento ai vostri passi, che Trock è fuori e forse non andreste troppo lontano. Io potrei difendervi, ma non credo che ne valga la pena. Se pigliano Trock è finita per me. Ma potete parlare, non avete nessun obbligo verso di me,

Sedras                           - Non c'è nessuno che difenda Trock. Egli ha meritato molte volte la morte, ma il suo delitto, quello stesso delitto che vi ha perseguitato, ci ha pri­vato del poco che avevamo e ci ha ridotto a vivere tra i rifiuti. E finiremo ancora più in basso, se voi parlerete. E più di questo non mi regge il cuore di dire.

Mio                               - (a Garth) Mio padre è morto al vostro posto, e voi avreste potuto salvarlo!  Siete uno di loro!

Garth                             - Ve l'ho già detto, non mi dovete niente.

Maria                             - (in un lamento) Voglio morire. Voglio andar via!

Mio                               - Sì, e hai mentito! E m'hai chiuso in trappola!

Maria                             - E' mio fratello, e non potevo farlo uccidere.

Mio                               - E' vero. Non potevi. E' solamente il destino che è ironico, stanotte, e si diverte a giocare con noi.

Sedras                           - Che sarà cambiato se il processo verrà ria­perto? Ancora sangue sacrificato a una giustizia as­surda, e vostro padre resterà sepolto come finora.

Mio                               - Ironia degli dei! Chissà come si divertono nel cielo! Quando un uomo prega per qualche cosa, gliela concedono, ma poi glie ne preparano un'altra per tormentarlo. (A Maria) Potevi scegliere un altro uomo stasera per ballare!

Maria                             - E' vero.

Mio                               - Per tutta la vita non ho atteso che il poter dire al mondo e provarlo: avete ucciso un uomo puro ed innocente, un uomo pieno d'amore. Ora che posso giurarlo c'è un volto di donna tra me e quel giura­mento. Tu chiedi troppo. Tuo fratello corra il suo rischio! Non altro merita, per tutti gli anni che ha goduto la vita, lasciando un innocente andare a morte al suo posto. Questo ci divide, e forse ci dividerà per sempre. Dirò quello che devo. (Indietreggia) Non è il mio posto questo.

Maria                             - Non andare. Sei rimasto troppo, e forse egli è in agguato.

Mio                               - E cosa importa? Che l'uragano scenda sul mondo e ci disperda tutti. (I tre rimangono in silenzio. Mio si volge ed esce).

Fine del secondo atto

ATTO TERZO

La riva del fiume fuori del caseggiato, poco prima della fine dell'atto precedente. La pioggia cade sempre attraverso le luci delle lampade.

(I due giovanotti vestiti attillatamente in blu e in gri­gio si appoggiano contro il muro di sostegno del ponte, in un raggio di luce, concentrati in un gioco d'azzardo. Ciascuno tiene in mano un pacchetto di diecio quindici biglietti accartocciati. Essi confrontano i numeri sulla parte superiore di ciascun biglietto, e subito il biglietto stesso cambia di mano. Questo gioco va avanti con alterna fortuna, finché la sorte sembra favorire il primo di loro, che ha accumulato quasi tutti i biglietti. Essi giocano in assoluto silenzio, evitando di fare il menomo rumore. Ogni tanto alzano il capo e si guardano intorno. La for­tuna si volge in favore del Secondo giocatore ed egli co­mincia ad aumentare i suoi biglietti. Nessuno dimostra il più piccolo interesse al gioco, ed alle sue alternative. Alla porta del fabbricato si ode un lieve rumore. , Essi mettono via i biglietti e stanno in attesa. Trock appare, chiude la porta e si dirige da loro. Dice alcune parola a voce così bassa da non essere udito al pubblico, e senza cambiare espressione i due girano verso destra, Troch esce da sinistra e il secondo giocatore, seguendolo con la coda dell'occhio, si sporge dove c'è un po' di luce per continuare il gioco. Il primo, tenendo d'occhio la porta della casa, comincia a giocare senza entusiasmo e di nuovo i biglietti passano di mano in mano, favorendo il primo giocatore. Quando il secondo rimane senza più nulla, sì stringe nelle spalle, si fruga in tasca, trova un biglietto e ricomincia a giocare, vincendo ancora. Essi odono la. porta aprirsi, e, mettendo via i biglietti scivo­lano indietro di fronte alla roccia. Mio, appare: chiude la porta, si guarda intorno e si dirige verso sinistra. Vi­cino all'angolo del fabbricato si ferma, stende la mano per sentire la pioggia, guarda verso la strada e rimane incerto un momento. Poi ritorna e si appoggia contro il muro del caseggiato. Maria esce. Mio, continua a guardare nel vuoto come se non si accorgesse di lei. Ella guarda altrove).

Maria                             - Dove vuoi andare? Se potessi nasconderti qui.

Mio                               - Nascondermi?

Maria                             - Luciani ti lascerebbe entrare. E' l'uomo del pianino.

Mio                               - In questo momento non posso stare al chiuso. Preferisco morire all'aria aperta.

Maria                             - Ma potresti restarci fino all'alba.

Mio                               - Ti preoccupi troppo di me.

Maria                             - Glielo domando?

Mio                               - No. Ma hai ragione di preoccuparti. Ho guar­dato per la strada: c'è l'amico Trock che mi aspetta.

Maria                             - Di questo sono sicura.

Mio                               - E resto qui, da uomo. Pure mi sembra di ve­dere un ragazzo venirmi innanzi; un ragazzo che è il mio solo destino, affondato nel fango, combattuto, cac­ciato.

Maria                             - Non sarebbe meglio tornare in casa?

Mio                               - Odio il chiuso.

Maria                             - Allora andiamo insieme. Se mi vedrà con te non oserà.

Mio                               - Lo credi, proprio? Noi non c'intendiamo, Maria.

Maria                             - Prima ti ho tradito. Perdonami.

Mio                               - Quanto vorrei conoscere questo posto! C'è un sentiero, forse, lungo la riva.

Maria                             - Sì, dove è andato Shadow.

Mio                               - E' vero. Ma io resto qui. Rimani anche tu « parlami.

Maria                             - Se succedesse, è tutta colpa mia.

Mio                               - No, cara. Mi hai avvertito di tenermi lontano; non ti ha ascoltata. Ed è stato così. Ora devo cercare un mezzo per uscirne. E' come un gioco a scacchi: se si pensa a lungo, si finisce col trovare sempre una via d'uscita. Credi che se spunto fuori mi piglino prima loro?

Maria                             - No.

Mio                               - Lo so. Sono un mediocre giocatore. E sono una posta mediocre. (La porta della casa si apre e Qarth esce a dare un'occhiata. Scorgendo soltanto Mio e Maria, rientra ed esce di nuovo quasi immediatamente portando l'estremità di una porta coperta con un lenzuolo. Il vaga­bondo sorregge l'altra estremità. Essi escono da destra con il loro fardello) E questo è il funerale di Shadow. Va con i piedi davanti, ma lascia impronte d'uomo.

Maria                             - Perché parli così?

Mio                               - Qualche requiem deve pur dirsi per i morti, anche se il morto è Shadow. Credimi, Maria, non c'è nessun mistero nella vita degli uomini, anche se si parla tutta la vita di questo mistero.

Maria                             - Per me, invece, resta un mistero. E non ne parlo. (Garth e il vagabondo ritornano riportando l'asse con il lenzuolo buttato sopra. In silenzio entrano nella casa).

EriRAS                         - (esce dalla porta aperta e se la chiude dietro) Devi aspettare qui o rientrare. Lo so che non ,ti fidi di me; ma tu sei giovane e cerchi la verità. Non esiste, la verità. Io lo so. Se vuoi chiamerò le guardie e così potrai allontanarti senza timore.

Mio                               - E' un po' tardi per questo.

Sedras                           - Proverò.

Mio                               - Ed a quale condizione? Perché credo che metterete delle condizioni.

Sedras                           - No.

Mio                               - Allora permettetemi di dirvi ciò che avverrà: La polizia farà delle domande, e quando voi risponderete non saranno soddisfatti, vi invischieranno di do­mande e prima di aver finito, vostro figlio sarà scoperto,

Sedras                           - Forse no.

Mio                               - Io non potrò star zitto. (Pausa).

Sedras                           - Andrò lo stesso.

Mio                               - Ma io non ve l'ho chiesto, ricordatelo.

Sedras                           - Io metto la vita di mio figlio in mano vostra. Quando voi sarete lontano, forse ripenserete 9 questo. ,

Mio                               - Non ci contate.

Sedras                           - Non conto su nulla. (Si volge per andare. Maria gli corre incontro e silenziosamente gli back» le mani) No, non farlo, figlia. Son mani colpevoli! (Esce da destra. Dall'interno si ode il violino di Garth).

Mio                               - Se qualcuno sapesse che fintanto che resta al riparo, «otto un ponte, è salvo, ma se esce è finito, come si comporterebbe in questi ultimi istanti di attesa?

Maria                             - Lasciati abbracciare, e qualsiasi cosa possa avvenire, verrà pure a me. (Lo abbraccia) Lasciami vedere se c'è qualcuno in quelle ombre. (Guarda verso destra).

Mio                               - . No, non andare! Potresti distruggere l'eter­nità della nostra attesa, ed essa è senza fine, Maria.

Maria                             - Sei spaventato?

Mio                               - Sì, fino a temere che il tempo si fermi.

Maria                             - Ma perché non ho parlato quando i poli­ziotti erano qui? Io ti ho tradito in quel momento.

Mio                               - La sua vita invece della mia! No, non po­tevo chiederlo. Se mai io vivrò ancora, saremo divisi da tuo fratello. C'è mio padre fra me e lui e tu devi restare dall'altra parte.

Maria                             - No, perché io li amo!

Mio                               - Anch'io ti amo, ma se la mia vita andrà oltre a quel muro di ombre, Garth sarà in pericolo di morte.

Maria                             - Ma fu già punito, e la sua vita sarà sempre un tormento. Lascialo andare, se mi ami.

Mio                               - Vorrei poterlo. Vorrei non averlo mai visto, o non avere mai visto te. (Silenzio. Maria guarda verso destra).

Maria                             - C'è qualcuno laggiù. Ho sentito... (Carr entra in scena da destra).

Carr                               - Scusatemi se vi ho spaventati.

Mio                               - Sono felice di rivederti. Questa è Maria. Carr è un amico.

Maria                             - Debbo lasciarti? Hai da parlare?

Mio                               - No, non c'è niente da dire.

Maria                             - Ma...

Carr                               - Sono di troppo, qui, ma ho voluto tornare perché ero in pensiero. Quei due tipi col cappello calcato, sai, quei due che abbiamo visto correre dopo gli spari, sono tornati, e stanno per la riva. Meglio non incontrarli.

Mio                               - Cercherò di evitarli.

Carr                               - M'hanno guardato male, ma a me non im­porta. Hai avuto fortuna con le tue ricerche?

Mio                               - Non posso dirlo. Ma sai, quell'uomo che abbiamo visto cadere nel fiume, è tornato, più tardi, in tempo per dirci il suo nome. Si chiama Shadow.

Carr                               - Ma allora era vivo?

Mio                               - Sì, ima per poco. Adesso è dentro l'acqua per sempre.

Carr                               - Se hai bisogno di me...

Mabia                            - Avevi qualche cosa da mandare... Ti sei scordato?

Mio                               - Io? Ah, sì, ma non è il caso... Non ora...

Maria                             - Lo dirò io, allora!

Mio                               - No. Lascia andare così. Tutto è disposto di­versamente. Sei stato un buon amico, Carr, il migliore che io abbia mai incontrato.

Carr                               - Mi sembra un testamento.

Mio                               - Non ancora, ma quando sarà tempo ho qual­che cosa da lasciarti: un quadrò con la veduta di Monte Rainer, dal carcere di Seattle, e una catena che ho in tasca, fatta con le monete di mio padre. Sono tutti i beni che il mondo mi ha donato.

Carr                               - Dì un po', Mio, sei in pericolo...

Mio                               - No, per niente. Ho un angelo custode che mi protegge, in ogni luogo. Grazie.

Carr                               - Arrivederci, allora. Vado al ristorante nella piazza vicina. Sono in quattrini, stasera. Posso anche pagare per due.

Mio                               - Grazie, forse verrò.

Carr                               - Buona notte.

Mio                               - Addio, Carr.

Carr                               - (a Maria) Buona notte.

Maria                             - (dopo una pausa) Buona notte. (Carr esce da sinistra) Perché hai fatto così? Era il nostro angelo custode, e l'hai lasciato andar via.

Mio                               - Non potevo fare altrimenti.

Maria                             - Richiamalo. Corrigli dietro, chiamalo! Era l'unica occasione.

Mio                               - Ormai è perduta.

Maria                             - Ascoltami: lui avrebbe perdonato?

Mio                               - Mio padre?

Maria                             - Tuo padre. (Pausa).

Mio                               - Sì. (Un'altra pausa). E' strano, ma non l'avevo mai pensato.

Maria                             - Posso aiutarti?

Mio                               - L'hai già fatto.

Maria                             - Se io sapessi dire le cose! Ma non so. Posso solo darti la mano, e ridare a te quella fede che tu «tesso mi hai donato essendo come sei. Perché tu rap­presenti per me la sola speranza e la luce, nel mio buio.

Mio                               - Avrebbe perdonato. Non c'è altro da dire. Io ho camminato a lungo nelle vie della vendetta. Qui la strada finisce. Maria, Maria... quell'odio ch'io ho portato per tanto tempo, ora è caduto! Abbracciami, Maria. Ci chiamano bambini... è vero... il mondo è fatto di bambini...

Maria                             - Sì.

Mio                               - Ma è troppo tardi per me.

Maria                             - No. (Si abbracciano e si baciano per la prima volta) Allora ci ritroveremo?

Mio                               - Sì.

Maria                             - Dove?

Mio                               - Ti scriverò... o verrà Carr.

Maria                             - Non dimenticarmi.

Mio                               - Dimenticarti? In ogni strada dove camminerò, ci sarai tu al mio fianco.

Maria                             -  Dio ti protegga.

Mio                               - E protegga anche te. Questi momenti sono il nostro ricordo. Se io morissi, Maria, sappi che io sono giunto qui nelle tenebre, ed ho incontrato il mattino. (Uno dei giovanotti vestiti di blu entra in scena come per caso da destra, guardando su e giù senza nessuna espressione. Poi, come se avesse dimenticato qualcosa, torna sui suoi passi ed esce. Sedras viene lentamente da sinistra. Ha perduto il cappello e la sua faccia sanguina per un lieve taglio sulla tempia. Si appoggia contro il fabbricato).

Maria                             - Babbo, che è successo? (Si avvicina a Sedras).

Sedras                           - Lasciami solo. (Si avvicina a Mio) Non mi ha fatto passare. La strada è gelata verso il ponte, ed ho dovuto strisciare sulle ginocchia, e per tre volte mi ha buttato indietro a calci. Poi mi ha colpito. Vi giuro che ho fatto tutto ciò che potevo! Vi avrei salvato, se avessi potuto!

Mio                               - Che cosa vi fa pensare che io abbia bisogno di essere salvato?

Sedras                           - Figlio, salvati, da te, se ancora lo puoi! Egli ti aspetta.

Mio                               - Lo sapevamo...

Sedras                           - Ma non aspetterà molto altro tempo. Verrà qui, me lo ha detto. Quei dannati sei mesi di vita vuole . viverli tutti, e per questo devi morire.

Mio                               - Aspettate... (Cammina in avanti e guarda come per caso verso destra) Ci dev'essere una via per il tetto del palazzo.

Sedras                           - Non credo che gli sfuggirà. Ma entra, e lasciami guardare.

Mio                               - No, grazie. Una volta dentro sarei preso in trappola. Resterò qui, e cercherò da solo un'altra via.

Sedras                           - Guardami, allora. Io salirò sul tetto. (Entra in casa in fretta).

Mio                               - Quanti piani ha il palazzo?

Maria                             - Cinque o sei. E' più basso del ponte. (Pausa).

Mio                               - Voglio seguirlo.

Maria                             - E' alla finestra, guarda. Fa segno di andare avanti, di non entrare. Guarda quella fessura tra le roc­ce; nessuno ci pensa. Gli uomini stanno vicino al fiume, io li vedo di qui. E' impossibile che tengano di mira tutti i ponti; sbocca su di una strada, sopra.

Mio                               - Allora proverò. Baciami. Se sarò salvo avrai notizie di me

Maria                             - Salvati, amore.

Mio                               - Addio. (Scivola rapidamente tra le rocce. Si ode un rapido ticchettìo di un fucile mitragliatore. Maria corre verso il sentiero. Mio ritorna lentamente, premen­dosi una mano sul cuore) Ti sei sbagliata, Maria.

Maria                             - Dio, perdonami! (Gli passa un braccio in­torno al collo. Egli cade in ginocchio) Dove? Dove? Lasciati aiutare; presto, presto, lascia che t'aiuti.

Mio                               - Non avrei pensato di scegliere proprio questa terra; ma non fa nulla.

Maria                             - Dio, Dio, perdonami!

Mio                               - Oh, il perdono, a che vale? Io vado solo.

Maria                             - Ma perché sanguina così? Se tu muori, io voglio morire con te.

Mio                               - E' meglio vivere. Anch'io volevo vivere, per te. Ti lascio solo una parola; la stessa che lui mi disse, in fin di vita: ti amo, e ti amerò dopo la morte. Domani, ti amerò an­cora, come ho amato le stelle che non ho visto e tutte le aurore che ci attendevano.

Maria                             - Se non ti avessi mai in­contrato, saresti vivo.

Mio                               - E' una bestemmia. Bacia­mi, e perdona. Ti ho insanguinato il viso. Mi dispiace. (Sedras e Garth vengono fuori).

Maria                             - Devo morire anch'io. Anch'io posso morire! Guarda. Ehi, voi! L'avete ucciso perché non parlasse? (Cammina verso il sentiero fra le rocce) Ma parlerò io! E so le stesse cose che sapeva lui, e le dirò sta­notte, stanotte stessa. Le griderò do­vunque! Griderò che Trock è un assassino, e vi ha pagati pei suoi delitti! Non vivrete a lungo! Mi sentite? Assassini, assassini, io vi co-nosco!  (Il fucile mitragliatore si ode di nuovo. Ella si piega sulle ginoc­chia, Garth le corre accanto).

Garth                             - Pazza! (Cerca di alzarla).

Maria                             - Non toccarmi! (Si tra­scina verso Mio) Guardami, Mio, han­no ucciso anche me. Ora puoi cre­dermi. Ora puoi credere che non ti farò alcun male. (Si abbatte, con la mano sulla bocca, boccheggiando. Garth le si inginocchia accanto, poi si alza rabbrividendo. Il vagabondo esce dalla casa. Luciani e Piny guar­dano fuori).

Sedras                           - Questa è la fine.

Garth                             - Sì. (Sedras si china su Maria, poi si alza lentamente) Ma dov'è nato, questo maledetto? Perché è venuto qui?

Sedras                           - Maria, Maria, e anche tu, Mio, perdonate l'eterno male della terra che vi ha condotti qui...

Garth                             - Ma perché è stata co­sì pazza?

Sedras                           - Non sono stati pazzi. Un uomo getta la vita sua allo sba­raglio, per non far morire l'amore che ha nel cuore. Maria e Mio, sap­piate che solo questa è la gloria di noi esseri umani: sfidare la morte senza mai sottomettersi. Avrei volu­to morire anch'io così. Compito no­stro è di deporli sotto terra. Andia­mo, prendili; non devono restare così.

(Luciani e Piny si avvicinano per aiutare, mentre Sedras e Garth si curvano per prendere Maria).

FINE