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ZAMORE

Tragedia buffa

di GEORGES NEVEUX

Versione italiana di Lilia Silvestri

PERSONAGGI

CARLO AUGUSTO

CLARISSA

ZAMORK

La signora ANGELA RODOLFO

IL COMMISSARIO

L'AVVOCATO

SEBASTIANO

L'ARABO

IL SUONATORE AMBULANTE

BABYLAS

CLODION

Le tre voci dietro la finestra.

Un ragazzino.

Commedia formattata da


Siamo in Haute-Provence, in una cittadina costrui­ta alle pendici di un monte.

Una piazza con qualche platano. Nel fondo l'alber­go de « La Mula nera ». A sinistra, alcune case co­struite su piani digradanti. A destra, una terrazza che domina i quartieri bassi. Davanti all'albergo, ta­voli, sedie, una vecchia poltrona a dondolo. Sotto i platani, una panca. Sulla terrazza, un lampione. Cala la sera. Siamo sul finire dell'estate. Su di un fil di ferro, della biancheria stesa ad asciugare.

La scena è vuota.

Carlo Augusto              - (che porta due pesanti valigie, en­tra dalla parte della terrazza. Si volta e grida:) E allora? Clarissa, ti sto aspettando!

Voce di Clarissa            - (dall'interno) Vengo!...

Carlo Augusto              - Ti fermi ad ogni porta! Visite­remo il paese più tardi, (posa le valigie e va sino all'albergo. L'albergatrice, signora Angela, che eviden­temente stava spiandolo, compare sulla porta). Buon­giorno, signora. Siete la padrona dell'albergo, im­magino.

Signora Angela             - Ahimè sì, signore! Non mi sono risposata. Eh! Avrei dovuto farlo, certamente. Ma, vede, d'estate c'è troppa gente, e d'inverno non c'è nessuno. E mi sento proprio una povera diavola quan­do mi cucino le cipolle sola sola! Si, avete ragione, avrei dovuto risposarmi. Siete con una signora, non è vero? Vi ho inteso mentre le parlavate. Ecco, avrei proprio una bella camera. La sola camera che mi resta, freschissima, con acqua corrente e vista sulla piazza. Guardate, quella finestra là. I clienti stanno proprio facendo le valigie. Le vostre potete lasciarle qui; manderò a prenderle. Intanto, potreste sistemar­vi in sala o fare un giro in paese. E... come siete ar­rivato? Con la vecchia carcassa? Oppure avete l'au­tomobile?

Carlo Augusto              - Né l'una né l'altra. Col treno.

Signora Angela             - Col treno? Ma questa è una no­vità! Sono dieci anni che i treni non si fermano più qui!

Carlo Augusto              - Veramente si è fermato in aper­ta campagna. Allora siamo scesi, ci siamo incammi­nati lungo i binari...

Signora Angela             - Eravate diretti qua?

Carlo Augusto              - No, andavamo più lontano, ma ci siamo detti: « Dio mio, e perché non qui? ».

Signora Angela             - Ma si, davvero, perché no? Cer­to, è stato un rischio. Diavolo, il treno avrebbe po­tuto ripartire prima che aveste tirato giù le valigie! (le osserva. Poi:) Siete forse in viaggio di nozze?

Carlo Augusto              - No.

 Signora Angela            - Siete forse un artista, un pit­tore?

Carlo Augusto              - Perché questa domanda?

Signora Angela             - Perché soltanto loro non fanno mai le cose come gli altri. Proprio ora, ne ho qui uno, sapete?... Uno molto giovane, non ancora cono­sciuto. E mi dipinge delle grandi figure sulle pareti: « I viaggi del Capitano Cook », con dei negri e dei palmizi. Mi paga in questo modo l'ultimo conto. Non dovrei dirvelo, non so che mi prende : parlo, parlo, parlo. D'altronde, voi non siete pittore... Avreste il cavalietto.

Carlo Augusto              - No. Sono nelle assicurazioni, semplicemente.

Signora Angela             - Nelle assicurazioni? Mi doman­do allora perché siete saltato giù dal treno. Di so­lito sono più seri, quelli delle assicurazioni!

Carlo Augusto              - Sentite, non c'è nessun motivo che io vi nasconda qualcosa. Volevamo sbarazzarci di un amico che si ostinava a viaggiare con noi. C'era­no due soluzioni: gettarlo dal finestrino... (lei ha un moto di spavento), rassicuratevi non l'ho fatto, o scen­dere dal treno senza ch'egli se ne accorgesse. Lui si era un po' assopito, il treno s'era fermato... Siamo saltati a terra il più silenziosamente possibile, ab­biamo preso la prima strada che si è presentata, ed eccoci qua. Come vedete, non siamo sempre così seri, noi delle assicurazioni!

Signora Angela             - E dire che vi si affida il nostro denaro! (Con un sospiro) Pazienza! Ditemi, in confi­denza, sì tratta di una scappatella d'innamorati, non è così?... Scusate, è il vento che s'avvicina; rende cu­riosi quanto pettegoli. Voi non rispondete, e avete ra­gione. Ad ogni modo, lasciate che vi dia un consi­glio: sposatevi, ma il più tardi possibile.

Carlo Augusto               - E chi vi ha detto che non siamo sposati?

Signora Angela             - Le persone sposate non sal­tano dai treni.

Carlo Augusto              - (riprendendo le valigie) E che importa a voi se non siamo sposati?

Signora Angela             - Lasciate stare le valigie. Non c'è altro albergo nel paese, (egli posa di nuovo le va­ligie) E poi, mi piace che siate due innamorati. Mi consolerà degli altri, (indica la finestra aperta) Ecco! Sentiteli! (internamente sì sente un gran rumore di mobili spostati).

Voce d'uomo                - In ginocchio! In ginocchio! Questa volta mi chiederai perdono in ginocchio!

Voce di donna              - Amore mio, ti giuro che non gli ho detto nulla. Non l'ho nemmeno guardato!

Signora Angela             - È una settimana che dura que­sta musica! Che bevono e che si picchiano giorno e notte.

Carlo Augusto              - Chi sono?

Signora Angela             - Un cornuto che se ne sta rin­chiuso tutto il giorno a farneticare sui suoi ricordi. D'altronde, non è più nemmeno cornuto. Sua moglie non ne ha più il tempo, capirete, con la vita che le fa fare!

Voce d'uomo                - Ho detto in ginocchio!

Altra voce d'uomo - Ma se non mi ha neppure guardato! Non vorrai ricominciare, seviziatore, car­nefice!

Carlo Augusto              - Ma sono in tre!

Signora Angela             - II terzo dorme in uno stanzino accanto. Se lo si può chiamare dormire. Si sentono gridare tutta notte. Piatti, bicchieri, si tirano di tut­to. Perché si fanno portare da mangiare in camera, naturalmente, (rumore di vasellame rotto) Ecco, ci siamo! Mi hanno rotto ancora qualcosa. Screanzati! (ella scompare nell'interno dell'albergo. Carlo Augu­sto è rimasto solo sulla piazza. Si sente ancora : )

Prima voce d'uomo       - Non vuoi metterti in ginoc­chio, eh? (rumore di piatti rotti) No? (ancora un piat­to rotto) No?

Seconda voce d'uomo   - Non può mica mettersi in ginocchio sulle stoviglie rotte. Sii logico, andiamo!

Prima voce d'uomo       - Allora raccoglile tu, le stovi­glie rotte, don Giovanni da strapazzo! ( la finestra si richiude, non si sente più nulla. Clarissa appare sul­la terrazza. È accompagnata da un giovanotto che la segue portando due leggere valigie).

Carlo Augusto              - Ci hai messo molto.

Clarissa                         - Ero senza flato. Sai, c'è un portale del sedicesimo secolo, (volgendosi al giovane). Non è vero?

Giovanotto                    - Del diciottesimo, signora.

Clarissa                         - Già, del diciottesimo (gli sorride).

Carlo Augusto              - Giovanotto, vedo che avete va­luto aiutarci a portare il nostro bagaglio. Permettete che vi ringrazi.         - (sì fruga in tasca).

Giovanotto                    - Un momento, mettiamo le cose in chiaro. Io non ho portato il vostro bagaglio, signore. Mi sono offerto di portare le valigie della signora, il che non è precisamente la stessa cosa.

Carlo Augusto              - (continuando a frugare) Bene, bene, tuttavia...

Clarissa                         - (sottovoce) Ma non fare sciocchezze! Non è un fattorino!... (a voce alta) Permettete che vi presenti: il signor Carlo Augusto Rinchard... il si­gnor Rodolfo...     - (cerca il nome).

Rodolfo                        - È al tempo stesso il mio nome e il mio cognome. Mi chiamo Rodolfo Rodolfo.

Carlo Augusto              - Ma questo non è un nome, è un'eco!

Rodolfo                        - È un'eco che vorrebbe divenire un no­me... voglio dire, un giorno.

Clarissa                         - II signor Rodolfo è pittore. Adora di­pingere ritratti, (a Rodolfo) Non è vero?

Rodolfo                        - (sorridendo) Sì, ma per il momento so­no soltanto un imbianchino.

Clarissa                         - Questo non me lo avevate detto.

Rodolfo                        - Non vi ho nemmeno detto che lavoro in questo albergo. Volevo farvi una sorpresa.

Carlo Augusto              - I viaggi del Capitano Cook?

Rodolfo                        - Avete già visto il mio affresco?

Carlo Augusto              - Non ancora.

Rodolfo                        - Meglio così. Devo rifare il re negro. Vi prego, non guardate il mio affresco per ora. Signo­ra, me lo promettete?

Clarissa                         - Ve lo prometto.

Rodolfo                        - E adesso ritorno ai miei viaggi.

Carlo Augusto              - (freddo) Benissimo, buon viag­gio!

Rodolfo                        - (a cui spiace separarsi da Clarissa) Però... ho ancora cinque minuti.

Carlo Augusto              - Non vogliamo che facciate tardi.

Rodolfo                        - E poi vorrei occuparmi di voi, avver­tire la padrona.

Carlo Augusto              - Già fatto. Avremo la nostra stanza fra un minuto.

Rodolfo                        - Va bene, (tristemente) Vedo che non posso più esservi utile in niente. Pazienza! (va sino alla porta dell'albergo e si volta a Clarissa) Lavorerò tutta la notte, se sarà necessario, e domani, ve­drete, vedrete...

Clarissa                         - (sorridendo) Buon viaggio. (Rodolfo en­tra nell'albergo. Breve silenzio, poi) Mi ha portato le valigie... gli dovevo un po' di conversazione.

Carlo Augusto              - Non ti rimprovero nulla.

Clarissa                         - D'ora in poi, però, ti chiedo di parlargli il meno possibile. È la prima volta che noi due sia­mo soli, proprio soli... Approfittiamone!

Carlo Augusto              - Clarissa! (la stringe fra le brac­cia).

Clarissa                         - Oh, ecco che torna... vorrà proporre di farmi il ritratto. Avrà un bell'insistere...

Carlo Augusto              - Dirai di no.

Clarissa                         - Dirò di no... (si sente lo sbuffare di un treno) Carlo Augusto, senti? Il treno!

Carlo Augusto              - E si allontana... si allontana. Non lo si ode più. Perché ridi? (infatti Clarissa ride) Già, pensi a tuo marito. Lo sbuffare del treno lo avrà sve­gliato di soprassalto, e starà guardando con stupore lo scompartimento vuoto.

Clarissa                         - Non c'è rimasto altro, di fronte a mi, che quel ridicolo cestino da viaggio comprato al buffet di Valence, e che gli serve da valigia da una set­timana a questa parte.

Carlo Augusto              - (sorridendo, ma con aria di rim­provero) Clarissa!

Clarissa                         - Non è quello che mi urta, è il fatto che sia partito.

Carlo Augusto              - È stata colpa della tua lettera d'addio. L'ha ricevuta due ore troppo presto.

Clarissa                         - Eppure era tutto calcolato. Ma la ca­meriera ha visto che la lettera era per mio marito, gliel'ha consegnata addirittura, invece d'impostarla come le avevo detto. E tutto questo per risparmiare un francobollo! Ah, ci costa caro quel francobollo! Quando ho visto Zamore correre sul marciapiede del­le Gare de Lyon e saltare sul treno in partenza, ho capito subito che i nostri guai cominciavano!

Carlo Augusto              - Adesso, però, i guai sono fini­ti. Lui è lontano e non parliamone più.

Clarissa                         - Hai ragione, non parliamone più. Ciò non toglie che da otto giorni non si stanca di seguirci; di scendere agli stessi alberghi, prendere la stanza allo stesso piano, e spiare nei corridoi la notte. E ci avesse mosso dei rimproveri almeno! Ma non dice nulla. Ci guarda con aria triste, e beve. Non è più mio marito, è il fantasma di mio marito. Sai che ti ho molto ammirato? Tu, così violento con tutti, du­rante questi otto giorni sei stato con lui di una calma quasi esagerata, di una calma da far paura...

Carlo Augusto              - Che vuoi? È tuo marito!

Clarissa                         - Durante otto giorni ti sei comportato come se neanche lo vedessi!

Carlo Augusto              - Sì, ma una volta, ricordi, nel vagone ristorante, quando mi passò il cestino del pane?

Clarissa                         - Dovette credersi ancora a casa sua, quando ti invitavamo a colazione.

Carlo Augusto              - Ho accettato il cestino del pane.

Clarissa                         - Tesoro mio, ho trovato il tuo gesto mol­to elegante. Pochi uomini avrebbero preso il cestino del pane.

Carlo Augusto              - Ti ripeto che è tuo marito.

Clarissa                         - Ma ti sei rifatto con gli altri. Appena uno sconosciuto osava posare lo sguardo su di me, lo fulminavi con certe occhiate! E questo si ripetè per ben undici volte!

Carlo Augusto              - Le hai contate?

Clarissa                         - (in estasi) Undici volte!

Carlo Augusto              - E me lo rimproveri?

Clarissa                         - (con un sospiro di sollievo) Tutt'altro! Finalmente un uomo geloso, che gioia!

Carlo Augusto              - Geloso, geloso...

Clarissa                         - Ma sì, sappiamo che siete un despota, signore, un pascià da «mille e una notte»!

Carlo Augusto              - Non esageriamo.

Clarissa                         - Si dice che tu faccia alle tue amanti delle scenate spaventose.

Carlo Augusto              - Io?

Clarissa                         - Dimentichi quella ragazza alla quale una notte hai tirato due colpi di rivoltella in casa tua?

Carlo Augusto              - Chi ti ha informata così bene?

Clarissa                         - Non ha importanza. E quella sposina che hai abbandonata completamente nuda, sulle sca­le di casa tua? È quella la maniera? Dovreste ver­gognarvi, signore!

Carlo Augusto              - Voglio sapere chi è che ti for­nisce tutti questi particolari.

Clarissa                         - Chi? Ma mio marito, no? Non ha mai potuto nascondermi nulla, (coti tenero disprezzo) Tu Io conosci.

Carlo Augusto              - Povero Zamore!

Clarissa                         - Ah, no! Non dire... (imitandolo) « po­vero Zamore! ». Un uomo che mi ha resa infelice!

Carlo Augusto              - (vago)          - Lo so.

Clarissa                         - ...che ha reso la mia vita un inferno...

Carlo Augusto              - (scettico) Un inferno... un in­ferno...

Clarissa                         - Ma sì! Ovunque andavo, me lo trovavo davanti, sempre premuroso, sempre sorridente. Avreb­be attraversato i muri per raggiungermi. Preveniva i miei desideri, al punto che non osavo più deside­rare nulla. Tremava per la mia salute, mi svegliava dieci volte, la notte, per farmi prendere delle gocce. E non c'era modo di sfuggirgli. L'inferno, ti dico, l'inferno! Guarda! Se cerco di ricordare le parole che mi diceva durante il nostro viaggio di nozze, non trovo che questa: « scusami ».

Carlo Augusto              - Ha passato la vita a scusarsi.

Clarissa                         - E perfino questa settimana sui treni, ogni volta che si sedeva accanto a noi, ci diceva...

Carlo Augusto              - Scusate!

Clarissa                         - E questo è l'uomo col quale ho vissuto sei anni!

Carlo Augusto              - Clarissa! Avevamo deciso di non parlare mai più di Zamore.

Clarissa                         - Hai ragione. Ti prometto che domani l'avrò dimenticato.

Carlo Augusto              - Preferirei che tu lo dimenticassi fin da stasera. Pensa! Ho conosciuto un professore che lavorava alla rovescia.

Clarissa                         - Alla rovescia?

Carlo Augusto              - Andavamo da lui quando c'era bisogno di disimparare qualcosa.

Clarissa                         - Come faceva?

Carlo Augusto              - Cosi, (si porta dietro di lei e le mette le mani sugli occhi) Immagina di essere a scuo­la e di avere davanti a te la lavagna. Sulla lavagna c'è un Zamore gigante, disegnato col gesso. Prendi la spugna... su, prendila... (ella finge di prendere la spu­gna...) E lo cancelli. (Ella finge di cancellare alla lavagna). Lo cancelli nel treno. Lo cancelli nella tua casa... lo cancelli dappertutto... Noi non abbiamo mai viaggiato con Zamore.

Clarissa                         - Io non sono mai stata sposata a Za­more.

Carlo Augusto              - E adesso, chi è Zamore? Una marca di sapone? L'aria di un'opera? Il nome d'un gioco? Nemmeno! Zamore non è mai esistito.

Clarissa                         - Mai. (ridono. Ella si svincola. Ma la sua risata finisce in un colpo di tosse).

Carlo Augusto              - Hai freddo?

Clarissa                         - No.

Carlo Augusto              - Sì, tu tremi. Apri la borsetta e prendi il foulard rosso.

Clarissa                         - (che ha aperto la borsetta) Non c'è. De­vo averlo ficcato nella valigia.

(Entra Zamore. Tiene in una roano un cestino da viaggio e nell'altra un foulard rosso).

Zamore                          - Scusate, (a Clarissa) Clarissa, ti ho por­tato il tuo fazzoletto. L'hai dimenticato ancora, sul treno, (pausa).

Clarissa                         - (stringendo i pugni) Carlo Augusto, di­gli che se ne vada... (una pausa) Che se ne vada su­bito.

Cablo Augusto              - Avete sentito?

Zamore                          - (con dolcezza) Ragazzi miei, ma... fate sui serio?

Clarissa                         - Questo è il colmo! È lui che ci persegui­ta, e siamo noi a non fare sul serio! (tossisce).

 Zamore                         - (tendendole il foulard) Clarissa, fammi il piacere... (lei alza le spalle; a Carlo Augusto) Non vedete dunque che sta prendendosi un raffreddore? Di­tele che si metta il foulard!

Carlo Augusto              - Dopotutto, potresti anche met­tertelo, quel foulard!

Zamore                          - (a Clarissa) Ciò non t'impegna a niente.

Carlo Augusto              - Ha ragione, non t'impegna a niente.

Clarissa                         - Ah! Prendi le sue parti, adesso? No, non avvolgerò attorno al mio collo un fazzoletto por­tato da mio marito.

Zamore                          - Sono tornato apposta.

Clarissa                         - Ragione di più.

Zamore                          - Clarissa, non essere dunque così testar­da! (con un sospiro) Ah, non sei molto cambiata!

Clarissa                         - Carlo Augusto, se lui mi rivolge ancora la parola, divento pazza.

Carlo Augusto              - Ha ragione. Se avete da fare dei reclami, abbiate la cortesia di rivolgervi a me.

Zamore                          - (sempre rivolto a Clarissa) Non doman­do di meglio. A Clarissa fa male agitarsi.

Carlo Augusto              - E, per cominciare, voltatevi ver­so di me.

Zamore                          - (voltandosi verso Carlo Augusto) D'al­tronde, in linea di massima, sarà con voi che avrò rapporti per l'avvenire.

Carlo Augusto              - Avete intenzione d'occuparvi di noi ancora per molto?

Zamore                          - Per forza, fino a quando sarà necessario.

Carlo Augusto              - Vi consiglio di non prolungare questo scherzo.

Zamoke                         - Non è uno scherzo.

Carlo Augusto              - E di non approfittare della calma, che, sì, ancora mi resta, ma per poco. Vi avverto che la vostra ostinazione nel seguirci irrita terribilmente Clarissa. Più ci correte dietro più la perdete.

Zamore                          - Poco importa. Non si tratta di questo.

Carlo Augusto              - No scusate, si tratta proprio di questo. Voi volete riprendervi Clarissa. Ebbene, non la riavrete.

Zamore                          - Io? Ma io non cerco affatto di riavere Clarissa. Se è innamorata di voi, deve restare con voi. Però, l'amore non è tutto. C'è anche :a salute, la sicurezza, il benessere. Sono sei. anni che m'occupo di iei regolarmente, e non v'è alcun motivo che smetta oggi. Forse non ho una visione molto romantica delle cose. Che volete? Non sono un sentimentale. Ma ho delle abitudini.

Carlo Augusto              - Delle abitudini?

Zamore                          - Beninteso, è fuori di discussione che io alloggi presso di voi. Ma, di fronte alla vostra casa, c'è un abbaino da affittare, dal quale avrei una vista panoramica completa del vostro appartamento.

Carlo Augusto              - È durante questo viaggio che avete avuto modo di scoprire codesto abbaino?

Zamork                         - Da tre settimane sono al corrente della vostra relazione. Però, sin dalla vostra prima visita. ho capito che era inevitabile. Allora non ho perso tempo. Ho cominciato subito le ricerche.

Carlo Augusto              - E passerete la vita a guardar­ci? Complimenti! Non avete molte pretese!

Zamore                          - Ridete pure. Io non vi contendo l'affet­to di Clarissa. Ma dal mio abbaino potrò verificare : prima, la sua salute, secondo, il vostro comporta­mento.

Carlo Augusto              - II mio comportamento?

Zamore                          - Desidero che a Clarissa non accada mai d'essere gettata nuda per le scale di casa vostra, o di buscarsi qualche revolverata. Insomma, voglio es­ser in grado, all'occorrenza, di recarmi sul luogo.

Carlo Augusto              - E..., all'occorrenza, riprender-vela!

Zamore                          - Vi rammento che per principio non farò niente per riprendermela. Sarò un testimone, ma un testimone pressoché invisibile. Non uscirò mai alle medesime ore in cui uscirete voi. A meno che l'inte­resse di Clarissa non mi costringa a seguire i vostri passi.

Carlo Augusto              - Allora, è per sorvegliare il mio comportamento, come voi dite, che vi siete appiccicato a noi da quando abbiamo lasciato la Gare de Lyon?

Zamore                          - No. È il vostro primo viaggio con lei, siete al vostro debutto, oserei dire, e sono persuaso che Clarissa non avrà da lamentarsi di voi. Voglio dire, non ancora. No, se alla Gare de Lyon sono sal­tato sul vostro treno, è stato per mantenere i contatti.

Clarissa                         - Carlo Augusto, ti trovo di una pazien­za rivoltante.

Carlo Augusto              - Clarissa, ti prego, non compli­care la situazione.

Clarissa                         - Un momento fa lo cancellavi cosi, hop! sulla lavagna. E ora è il contrario.

Cahlo Augusto              - Clarissa!

Clarissa                         - È lui che sta per cancellare i nostri progetti, i nostri ricordi, tutto. E tu lo lasci fare!

Carlo Augusto              - Ma no! E, anzitutto, ti prego di non intervenire.

Clarissa                         - Interverrò se vorrò.

Zamore                          - Via, ragazzi, non leticate!... Non sono certo venuto a seminare la zizzania! Scusami, Claris­sa, adesso Carlo Augusto ha ragione, (a Carlo Au­gusto) Bisognerà che vi dia dei consigli a voi.

Carlo Augusto              - Non è il momento.

Zamore                          - Avete ragione : ne riparleremo con più comodo a Parigi, dopo il nostro ritorno.

Carlo Augusto              - II nostro ritorno?

Zamore                          - Ma naturalmente. Non avrete la prete­sa dì farci viaggiare per l'eternità!

Carlo Augusto              - Sentite. Mi ci è voluta una buo­na dose di eroismo, in questi otto giorni, per non riem­pirvi la faccia di pugni. Ma vi consiglio di non in­sistere troppo, mio caro ometto!

Zamore                          - Chiamandomi « caro ometto », non mi offendete, per il semplice fatto che sono un po' più forte di voi. E voi lo sapete benissimo. Quando an­dammo tutti e tre alla festa di Neuilly, provammo i nostri muscoli su di un dinamometro. Con me, l'ap­parecchio segnò diciannove e con voi diciotto...

Carlo Augusto              - Diciotto?

Clarissa                         - Ma sì, ma sì, non ricordi? Soltanto diciotto.

Carlo Augusto              - Può darsi; ma alla pistola ho piazzato le sei palle nel rosso.

Zamore                   - Alla pistola, il più forte siete voi, ma al dinamometro sono io. Del resto sapete benissimo che non vi farò mai il più piccolo graffio, (indicando Clarissa) II medico le ha proibito ogni emozione. Ve­ro, Clarissa? Niente emozioni.

Clarissa                         - Carlo Augusto, non ne posso più.

Carlo Augusto              - Sai benissimo che non se ne an­drà.

Clarissa                         - Allora partiremo noi. Vado a cercare un'automobile, (a Carlo Augusto, che fa un passo ver­so di lei) No, resta qui con lui, e impediscigli di se­guirmi     - (esce).

Zamore                          - Non mi dispiace di trovarmi da solo a solo con voi. Avremo modo di chiacchierare tranquil­lamente. Prima di tutto, devo farvi qualche piccolo rimprovero. " A Aix-en-Provence, avete mangiato in camera. Potrei dirvi il vostro menu, perché vi ho ac­compagnati a fare le compere : pane, sardine, una mela. È troppo poco per lei. Al mattino non fate co­lazione. Ora, per lei ci vuole té, toasts, uova strapaz­zate, prosciutto e marmellata. Visitate la città a pie­di; le passeggiate lunghe la stancano. Voglio che pren­diate un'automobile. E, alle cinque, esigo la merenda!

Carlo Augusto              - Esigete... esigete... ma è il mon­do alla rovescia!

Zamore                   - Non ho molto danaro con me... (tira fuori il portafogli, lo apre, conta le banconote) Sa­pete bene che non avevo previsto questo viaggio! Ma eccovi la metà di quanto mi resta. Prendete! (tende le banconote a Carlo Augusto, che non le prende).

Carlo Augusto              - Ma io ho del denaro, signore!

Zamore                          - Secondo me non abbastanza, signore. Esigo che spendiate di più, che scendiate ai migliori alberghi; insomma che viaggiate da signori.

Carlo Augusto              - Dimenticate che in questo mo­mento lei viaggia con me, e non con voi.

Zamore                          - Ecco l'errore! Quando lei si sveglia, so­no certo che pensa al vassoio d'argento sul quale la vedevo bere il té, a piccoli sorsi, nel suo letto. Non dico che lo rimpianga, dico che ci pensa. E così via, per il resto della giornata. Che volete? Non potendo ispirarle un grande amore, le ho dato delle piccole abitudini. Voi sorridete, trovate che m'accontento dì poco. Avete torto : le piccole abitudini sono ben più forti delle grandi passioni. Mio caro Carlo Augusto, rassegnatevi! Clarissa appartiene a voi quanto a me. Su! Un po' di slancio! (gli tende di nuovo il denaro). Vi do la mia parola d'onore che lei non ne saprà nu­lla. (Carlo Augusto da una scrollata di spalle e volta la schiena a Zamore). Su, prendete! Del resto, non potrete farne a meno.

Carlo Augusto              - E perché non potrò farne a me­no?

Zamore                          - Carlo Augusto, nella vostra vita c'è un punto nero.

Carlo Augusto              - Un punto nero? Quale? (breve pausa).

Zamore                          - Casablanca.

Carlo Augusto                       - Come?

Zamore                          - Casablanca... la Villa Azzurra...

Carlo Augusto              - Chi vi ha raccontato?..

Zamore                          - Se Clarissa venisse a sapere che allora eravate segretario di una donna molto ricca, che a-vrebbe potuto essere vostra madre...

Carlo Augusto              - Menzogne!

Zamore                          - E poi, quella donna non era la prima. Ricordate l'inverno precedente?...

Carlo Augusto              - Calunnie!...

Zamore                          - Tutto questo è accaduto dieci anni fa. Eravate molto giovane allora, e chiunque vi scusereb­be oggi. Chiunque..., tranne Clarissa...

Carlo Augusto              - Scusate. Voi dimenticate...

Zamore                          - Lo so. Avete cambiato vita, e le infor­mazioni che ho sugli anni seguenti sono buone. Per fortuna! Perché non vi avrei lasciato fare questo viaggio. Ma voi conoscete Clarissa...

Carlo Augusto              - Finalmente scoprite le batterie! Non negatelo. Volete riprendervela!

Zamore                          - No. Credo che per il momento la sua fe­licità sia con voi. Ma, sia ben chiaro : con voi, guida­to da me! Su! Accettate, dunque! Mi rimborserete a Parigi. E anche molto facilmente... Sì, il giorno pri­ma della nostra partenza, mi sono recato dal vostro direttore, che, come sapete, ha degli affari con noi. Il vostro raggio d'azione sarà raddoppiato.

Carlo Augusto              - Rifiuterò!

Zamore                   - Non si domanderà il vostro parere. E poi, non si tratta di voi. ma di Clarissa. Eh... bisogna che andiamo alla Bourboule, l'estate prossima.

Carlo Augusto              - Andare dove?...

Zamore                          - Ve ne parlerò quando sarà il momento. Vi prego, procediamo con ordine.

Carlo Augusto              - Ho una tale confusione in testa. (scattando) Perché, insomma è incredibile! Voi anda­te, venite, decidete!... Dimenticate soltanto un parti­colare : e cioè che, fra qualche mese, sarò il marito di Clarissa.

Zamore                          - No. Fra due anni.

Carlo Augusto              - Perche due anni?

Zamore                          - Voglio prima esser certo che siate l'uo­mo per lei.

Carlo Augusto              - (ironico) Mi assumete in prova?

Zamore                          - Entro un anno potrò già dirvi se avete delle probabilità. Come vedete, i vostri rapporti con me saranno molto semplici. Perciò mi permetto d'in­sistere ancora. Prendete... Su! Prendete, dunque! Sen­za complimenti! (Carlo Augusto s'allontana. Zamore rimette con cura il danaro nel portafogli). Rifiutate? Peggio per voi! Vi pentirete fra qualche istante quan­do potrò parlare con Clarissa.

Carlo Augusto              - Ho l'impressione d'esser preso in una specie di trappola... (improvvisamente) Ma che stupido! Dimenticavo che ripartiamo stasera, e. que­sta volta, senza di voi. Il vostro piccolo ricatto non ha funzionato. (Naturalmente ci ritroveremo a Parigi, ma. prima di allora...

Zamore                          - Che farete prima d'allora?

Carlo Augusto              - Non so, ancora, ma troverò qualche cosa. Si trova sempre qualche cosa (ritorna Clarissa). Allora?

Clarissa                         - Ho domandato a quel giovane pittore. Se lo vedessi, appollaiato sulla scala e tutto imbrat­tato di colori, (ride) Ora vorrebbe aggiungere al suo affresco una donna bianca, attaccata a un albero, e che dovrebbe assomigliare a me, naturalmente. At­taccata a un albero! È molto sicuro di sé, il piccolo!

Carlo Augusto              - E l'automobile?

Clarissa                         - Niente da fare. Mi ha portato dal no­leggiatore. L'abbiamo trovato ubriaco fradicio. E il « garage » è chiuso a chiave. Siamo andati dal car­rettiere, dal fornaio, dal dottore. Niente. Niente auto sino a domani. Puoi chiedere al ragazzo, te lo dirà anche lui.

Carlo Augusto              - Non mi fido di quei tuo pitto-rello. Lui vuole che tu resti qui, è evidente.

Clarissa                         - Carlo Augusto!

Carlo Augusto              - E poi mi sembra impossibile...

Clarissa                         - Che cosa?

Carlo Augusto -            - ... che tu abbia potuto fare tante cose ira così poco tempo.

Zamore                          - Non una parola di più! Il vostro sospet­to è un'ingiuria verso mia moglie!

Carlo Augusto              - Nessuno vi ha chiesto niente.

Zamore                          - (sottovoce) Casablanca.

Clarissa                         - Che ha detto?

Carlo Augusto              - Quel che può dire o non dire non ha alcuna importanza. Vado io stesso a cercare una macchina.

Zamore                          - Bene, bene, andate. (Carlo Augusto non si muove). Su, andate!

Carlo Augusto              - Clarissa, vieni?

Clarissa                         - Io? Non ti preoccupare. Dato che non ti fidi di me, puoi anche andar solo.

Zamore                          - Andrete solo. E io, intanto che sarete via, chiederò udienza a Clarissa. (accostandosi a lei) Clarissa...

Carlo . Augusto            - (tentando ancora) Clarissa! (lei non si muove, allora cambia idea e torna indietro). Va bene. Non c'è automobile, pazienza! Niente mac­china. Non parliamone più. Rimango, (pausa).

Zamore                          - Beh, visto che si resta, vado a occupar­mi delle stanze. Ma, badate! Non approfittate della mia assenza per litigare. Farete i bravi? (giunto alla porta dell'albergo, si volta) Già che ci sono, m'occu­però anche del pranzo. A fra poco, (scompare. Carlo Augusto è preoccupato. Ella gli si avvicina, e con dol­cezza).

Clarissa                         - Carlo Augusto... (egli sembra non u-dirla) Questo paese mi rende nervosa. Se tu fossi venuto con noi, capiresti. Ci sono dei tipi appostati agli angoli delle strade. Altri che scivolano da una casa all'altra, e discutono a bassa voce. C'è una don­na che annuncia a tutti che presenterà querela al Commissariato. E ho sentito qualcuno sussurrarle all'orecchio; «Non potete presentare querela questa se­ra, perché il fatto accadrà solo questa notte » La gen­te aveva l'aria di trovar tutto ciò molto naturale. E quando io chiesi : « Ma che cosa accadrà questa not­te? », si seno allontanati parlando a bassa voce, ed evitando di guardarmi. Vanno, vengono, come gatti quando il temporale sta per scoppiare. (Carlo Augu­sto, sempre soprapensiero, fa qualche passo, e poi tor­na indietro). Carlo Augusto, perché fai anche tu come loro? Anche tu sembri un gatto sotto la minaccia di un temporale. Carlo Augusto, che cosa ti preoccupa? Zamore?... Zamore?...

Carlo Augusto              - Zamore! Zamore! Non faccio che sentire questo nome! Sono otto giorni che non pos­siamo attraversare una strada senza veder lo spettro di Zamore sorgere di sotterra davanti a noi. Ma so­no stufo. Bisogna che trovi il mezzo di sbarazzarmi di lui!

Zamore                          - Ecco fatto, ragazzi. La cena sarà pronta fra venti minuti. (Clarissa e Carlo Augusto tacciono. Continua) Ma la padrona dell'albergo mi sembra mol­to strana. Stavo proprio finendo di decidere il nostro menu, quando mi si è gettata fra le braccia piangendo. Sentivo il suo petto gonfiarsi contro di me, e grosse lacrime colare sul mio collo. Non osavo protestare, ma ero imbarazzato. Non capisco come il solo fatto di dover preparare una cena la possa mettere in un simile stato. E dire che ho ordinato delle cose molto sempli­ci : minestra coi funghi, pasta all'italiana, prosciutto affumicato... No, non capisco perché sia scoppiata in singhiozzi... A meno che non si tratti di altro... che abbia ricevuto o che aspetti una brutta notizia. Ma perché abbia voluto serrare proprio me al suo pet­to... No, davvero, non lo capisco! (la Signora Angela esce dall'albergo).

Signora Angela             - (dopo averli guardati in silenzio) Signori, c'è il Commissario di polizia che vuole par­larvi.

Zamore                          - II Commissario?

Carlo Augusto              - È proprio a noi che vuole par­lare?

Signora Angela             - Sì.

Zamore                          - Al signore o a me?

Signora Angela             - A tutti e due. (A Zamore) Ah, lasciate che vi guardi per l'ultima volta!

Zamore                          - Ci siamo! Ricomincia!

Signora Angela             - Eppure mi sembrate un uomo coraggioso, (voltandosi a Carlo Augusto) E il signore non ha poi l'aria così malvagia! Malvagia a tal pun­to! (con un sospiro) Beh, lo faccio venire lo stesso, ve­ro? (si avvia, ma torna sui suoi passi) Ma...

Zamore                          - Ma... che cosa?...

Signora Angela             - Vorrebbe parlare con voi due soltanto, (a Clarissa) Signora, vi prega di essere così gentile d'allontanarvi per un istante.

Clarissa                         - Io?

Signora Angela             - Voi. E credo proprio che abbia ragione. Andiamo, venite con me in sala, sarà meglio, (pausa).

Carlo Augusto              - Va,- dal momento che è neces­sario. (Angela e Clarissa escono. Una pausa, poi com­paiono due uomini; il Commissario e Sebastiano).

Commissario                 - Signori, io sono il Commissario di polizia. Non sarei venuto a cercarvi oggi, se degli af­fari personali non fossero sopraggiunti questa notte a distrarmi dalle mie funzioni. Voi sarete senz'altro stupiti che io sovverta l'ordine naturale delle cose, e venga ad interrogarvi adesso, mentre dovrei farlo fra qualche ora.

Zamore                          - Dovete interrogarci?

Commissario                 - Non voi. (indicando Carlo Augu­sto) È al signore che devo fare qualche domanda.

Carlo Augusto              - A me?

Commissario                 - A voi.

Carlo Augusto              - A quale proposito?

Commissario                 - Preferisco dirvelo a interrogatorio terminato.

Carlo Augusto              - Signor Commissario, c'è stata effettivamente una denuncia presentata contro di me dieci anni fa, a Casablanca, dal marito di una signora della quale ero segretario... Una denuncia per un as­segno a vuoto. Ma questa denuncia fu ritirata.

Commissario                 - Non si tratta minimamente di que­sto. Ignoravo, anzi, questo particolare; e, dato che non ha avuto seguito, vi consiglio di non parlarne af­fatto. Anzi, per semplificare le cose, farò come se non avessi neanche sentito.

Carlo Augusto              - Allora, non capisco proprio.

Commissario                 - Capirete subito, (s'installa a un ta­volo, tira fuori delle carte da una cartella, e s'accin­ge a scrivere) Volete favorirmi il vostro nome?

Carlo Augusto              - Io?

Commissario                 - Ma certo, voi. Un interrogatorio comincia sempre col nome dell'interrogato.

Zamore                          - Signor Commissario, scusate... mi stupi­sce che voi, dovendo interrogare il signore, non sap­piate nemmeno il suo nome, (il Commissario, contra­riato, batte il pugno sul tavolo). Va bene, starò zitto. Però mi stupisce.

Commissario                 - (a Carlo Augusto) II vostro nome?

Carlo Augusto              - Carlo Augusto Rinchard.

Commissario                 - Professione, data di nascita?

Carlo Augusto              - Ispettore delle Assicurazioni. Nato a Roubaix, il venti novembre 19...

Commissario                 - Sotto il segno dello Scorpione...

Carlo Augusto              - Come?

Commissario                 - È una riflessione personale che non figurerà nel verbale, (riprendendo) Domicilio?

Carlo Augusto              - Parigi, 82, Rue de Palikau.

Commissario                 - Ammogliato?

Carlo Augusto              - Celibe.

Commissario                 - Male. I giurati non amano i celi­bi. Ma a questo penserà il vostro avvocato.

Carlo Augusto              - II mio avvocato?

Zamore                          - E perché il signore avrà bisogno d'un avvocato?

Commissario                 - Lo saprete presto, (a Carlo Au­gusto) Incensurato?

Carlo Augusto              - Si.

Commissario                 - Molto bene. Vogliate ora, per cor­tesia, premere i pollici su questo tampone... (Carlo Augusto esegue) E poi appoggiate i medesimi, dico: i medesimi, perché ho avuto a che fare con dei veri e propri prestidigitatori che avevano dei pollici di ri­cambio, per così dire; i medesimi, dunque, dicevamo... su questo foglio di carta.

Carlo Augusto              - Ma allora sono...

Commissario                 - ...delle impronte digitali.

Carlo Augusto              - Ma, signor Commissario, voi mi state trattando come un criminale!

Commissario                 - Se questo interrogatorio avesse a-vuto luogo stanotte, vi avrei trattato effettivamente come un criminale, e strapazzato e malmenato forse. Ma questa sera tengo a mantenere con voi rapporti di perfetta urbanità.

Carlo Augusto              - E perché questa differenza tra stasera e stanotte?

Commissario                 - Perché voi avete la fortuna, signo­re, d'essere interrogato non dopo, ma prima!

Carlo Augusto              - Prima di che?

Commissario                 - (dopo una pausa) Ma allora, la signora Angela, la padrona di questo albergo, non vi ha messi al corrente?

Zamore                   - No. Si è limitata a gettarmi le braccia al collo piangendo a calde lacrime.

Commissario                 - Ma mi aveva promesso... (con un sospiro) E va bene!... (voltandosi verso il suo com­pagno) Sebastiano, spiega tu.

Sebastiano                     - Un momento. Vorrei prima prendere le misure del cliente. Spiegherò tutto dopo, (si cava di tasca un metro pieghevole, s'accosta a Zamore e ne prende le misure, prima in lunghezza e poi in lar­ghezza).

Commissario                 - 11 signor Sebastiano è il falegna­me del paese.

Zamore                          - E perche mi prende le misure?

Commissario                 - Non ci badate. Lasciatelo fare.

Zamore                          - (a Sebastiano) Si, ma mi fate il solle­tico, mi date fastidio.

Sebastiano                     - Dice che gli do fastidio. Ah! bella questa! Eh, caro signore, sappiate che fra non molto rimpiangerete questo solletico!

Commissario                 - (sorridendo a Sebastiano) O per meglio dire... (fa un gesto vago).

Sebastiano                     - (completando la frase) O, per meglio dire, non sarete più qui a rimpiangerlo.

Zamore                          - Signori, abbiate la cortesia di spiegarvi.

Sebastiano                     - (a Zamore) Vedete il galletto là, sul campanile?

Zamore                          - No.

Carlo Augusto              - Neanch'io.

Sebastiano                     - Beh, ha il becco puntato esattamen­te verso questo lampione, cioè verso di noi.

Carlo Augusto              - E allora?

Sebastiano                     - Ciò significa che il vento dell'est incontra un venticello contrario che viene dalla Cor­sica, che è un vento femmina. E così, tutti e due, mescolandosi e azzuffandosi, ci danno a tutti nel pae­se una specie di iebore.

Commissario           - Sentite ne ho le mani tutte su­date, (a Zamore) Toccate. (Zamore gli tocca la de­stra. A Carlo Augusto) Toccate. (Carlo Augusto gli tocca la sinistra) Notate bene che, se l'interrogatorio avesse avuto luogo domani, io non vi avrei dato le mie mani da toccare! (ritira le mani) Avrei mante­nuto le distanze, (a Sebastiano) Sebastiano, conti­nuate.

 Sebastiano              - Questa febbre, noi la chiamiamo « la febbre di quel che avverrà ».

Carlo Augusto              - La febbre di quel che avverrà?

Sebastiano                     - Sì, è una febbre che vi fa accappo­nare la pelle e v'apre gli occhi. Ci vedete meglio del solito, e vedete persino quel che avverrà fra poco. Ma non succede spesso che quei due venti s'incon­trino pacificamente e che il gallo giri sul suo piede-stallo e venga a beccare il cielo proprio da questa parte.

Zamore                          - Insemina, secondo voi in questo mo­mento...

Sebastiano                     - Tutta la gente sa quello che accadrà in paese, (voltandosi al Commissario) Avremo una ri­conciliazione dai Bouchard, uno schiaffo dai Colomiès.

Commissario                 - Un altro?

Sebastiano                     - (a Zamore e a Carlo Augusto) "Un altro. E Columiès, che sa benissimo che si prenderà uno schiaffo...

Commissario                 - (interrompendolo, sottovoce) È sta­to avvertito?

Sebastiano                     - È stato avvertito... (riprendendo)... passeggia già furioso per la cucina, con in mano le molle del focolare. Ma, tanto, sua moglie glielo ap­piopperà lo stesso, il suo bravo schiaffo! (tutti e due si fregano le mani contenti).

Commissario                 - Però, il nostro Colomiès non con­ta. Non è di lui che ci si occupa oggi.

Sebastiano                     - Sì, questa sera il teatro, per noi, sie­te voi due, soltanto voi due.

Commissario                 - È proprio vero. La vita sembra teatro quando i fatti si conoscono prima. Sebastiano a Zamore Ah! Dimenticavo. Datemi il vostro nome.

Zamore                          - Battistino Zamore. Perché? (Sebastiano scrive). Perché il mio nome?

Sebastiano                     - Perché... (una pausa) Permettetemi intanto di stringervi la mano. Più tardi forse non lo farei più. (gli stringe la mano)

Zamore                          - Perché il mio nome?

Sebastiano                     - Per la targa... Ma si... per la tomba.

Zamore                          - Come, per la tomba?

Commissario                 - Sebastiano, bisogna spiegare le co­se per ordine. Ecco, (pausa) Un momento. Il signor Carlo Augusto Rinchard sta per uccidere con un col­po di rivoltella il signor Battistino Zamore.

Zamore                          - Me? (emette un debole e lungo gemito e si siede.)

Carlo Augusto              - Rassicuratevi, Zamore. Non è possibile: non ho nemmeno la rivoltella

Commissario                 - Ma io intanto, sin d'ora, stendo il processo verbale, (scrive) Ferita al cuore... morte quasi istantanea... Il medico è stato esplicito.

Zamore                          - II medico?

Commissario                 - (agitando un foglio di carta) Ecco il suo rapporto. Vedete che qui non perdiamo tempo. (improvvisamente) Ah! Dimenticavo la ricostruzione.

Carlo Augusto              - La ricostruzione?

Commissario                 - Ma la ricostruzione del delitto!

Carlo Augusto              - Volete ricostruire il delitto pri­ma?

Commissario                 - Perché no? Voi siete là. Zamore è a quattro metri da voi. Venite qui, signor Zamore.

Zamore                          - Io?

Commissario                 - Ma sì, voi. Mettetevi davanti alla porta dell'albergo... Così... sì... Così... (lo mette in po­sa)

Zamore                          - I passanti si fermano a guardarmi... è imbarazzante...

Sebastiano                     - Ma perché imbarazzante? Siete l'e­roe della serata. Non si parla che di voi in paese.

Commissario                 - Continuiamo. Signor Rinchard, re­state dove siete... Voi tirate fuori la rivoltella.

Carlo Augusto              - Ma se non c'è l'ho!...

Commissario                 - Non ne avete bisogno... almeno pei il momento : non si tratta che della ricostruzione. I gesti basteranno... Ecco, così, benissimo. Voi mirate-Quanto a voi, signor Zamore, vedete che lui vi punta contro la rivoltella e non fate alcun movimento.

Zamore                          - Nessun movimento? Ma siete voi a dir-

Commissario                 - È una riflessione personale che non figurerà nel verbale, (riprendendo) Domicilio?

Carlo Augusto              - Parigi, 82, Rue de Palikau.

Commissario                 - Ammogliato?

Carlo Augusto              - Celibe.

Commissario                 - Male. I giurati non amano i celi­bi. Ma a questo penserà il vostro avvocato.

Carlo Augusto              - II mio avvocato?

Zamore                          - E perché il signore avrà bisogno d'un avvocato?

Commissario                 - Lo saprete presto, (a Carlo Au­gusto) Incensurato?

Carlo Augusto              - Sì.

Commissario                 - Molto bene. Vogliate ora, per cor­tesia, premere i pollici su questo tampone... (Carlo Augusto esegue) E poi appoggiate i medesimi, dico: i medesimi, perché ho avuto a che fare con dei veri e propri prestidigitatori che avevano dei pollici di ri­cambio, per così dire; i medesimi, dunque, dicevamo... su questo foglio di carta.

Carlo Augusto              - Ma allora sono...

Commissario                 - ...delle impronte digitali.

Carlo Augusto              - Ma, signor Commissario, voi mi state trattando come un criminale!

Commissario                 - Se questo interrogatorio avesse avuto luogo stanotte, vi avrei trattato effettivamente come un criminale, e strapazzato e malmenato forse. Ma questa sera tengo a mantenere con voi rapporti di perfetta urbanità.

Carlo Augusto              - E perché questa differenza tra stasera e stanotte?

Commissario                 - Perché voi avete la fortuna, signo­re, d'essere interrogato non dopo, ma prima!

Carlo Augusto              - Prima di che?

Commissario                 - (dopo una pausa) Ma allora, la signora Angela, la padrona di questo albergo, non vi ha messi al corrente?

Zamore                          - No. Si è limitata a gettarmi le braccia al collo piangendo a calde lacrime.

Commissario                 - Ma mi aveva promesso... (con un sospiro) E va bene!... (voltandosi verso il suo com­pagno) Sebastiano, spiega tu.

Sebastiano                     - Un momento. Vorrei prima prendere le misure del cliente. Spiegherò tutto dopo, (si cava di tasca un metro pieghevole, s'accosta a Zamore e ne prende le misure, prima in lunghezza e poi in lar­ghezza).

Commissario                 - II signor Sebastiano è il falegna­me del paese.

Zamore                          - E perché mi prende le misure?

Commissario                 - Non ci badate. Lasciatelo fare.

Zamore                          - (a Sebastiano) Si, ma mi fate il solle­tico, mi date fastidio.

Sebastiano                     - Dice che gli do fastidio. Ah! bella questa! Eh, caro signore, sappiate che fra non molto rimpiangerete questo solletico!

Commissario                 - (sorridendo a Sebastiano) O per meglio dire... (fa un gesto vago).

Sebastiano                     - (completando la frase) O, per meglio dire, non sarete più qui a rimpiangerlo.

Zamore                          - Signori, abbiate la cortesia di spiegarvi.

Sebastiano                     - (a Zamore) Vedete il galletto là, sul campanile?

Zamore                          - No.

Carlo Augusto              - Neanch'io.

Sebastiano                     - Beh, ha il becco puntato esattamen­te verso questo lampione, cioè verso di noi.

Carlo Augusto              - E allora?

Sebastiano                     - Ciò significa che il vento dell'est incontra un venticello contrario che viene dalla Cor­sica, che è un vento femmina. E così, tutti e due, mescolandosi e azzuffandosi, ci danno a tutti nel pae­se una specie di febore.

Commissario           - Sentite ne ho le mani tutte su­date, (a Zamore) Toccate. (Zamore gli tocca la de­stra. A Carlo Augusto) Toccate. (Carlo Augusto gli tocca la sinistra) Notate bene che, se l'interrogatorio avesse avuto luogo domani, io non vi avrei dato le mie mani da toccare! (ritira le mani) Avrei mante­nuto le distanze, (a Sebastiano) Sebastiano, conti­nuate.

 Sebastiano              - Questa febbre, noi la chiamiamo « la febbre di quel che avverrà ».

Carlo Augusto              - La febbre di quel che avverrà?

Sebastiano                     - Sì, è una febbre che vi fa accappo­nare la pelle e v'apre gli occhi. Ci vedete meglio del solito, e vedete persino quel che avverrà fra poco. Ma non succede spesso che quei due venti s'incon­trino pacificamente e che il gallo giri sul suo piede-stallo e venga a beccare il cielo proprio da questa parte.

Zamore                          - Insomma, secondo voi in questo mo­mento...

Sebastiano                     - Tutta la gente sa quello che accadrà in paese, (voltandosi al Commissario) Avremo una ri­conciliazione dai Bouchard, uno schiaffo dai Colomiès.

Commissario                 - Un altro?

Sebastiano                     - (a Zamore e a Carlo Augusto) TJn altro. E Columiès, che sa benissimo che si prenderà uno schiaffo...

Commissario                 - (interrompendolo, sottovoce) È sta­to avvertito?

Sebastiano                     - È stato avvertito... (riprendendo)... passeggia già furioso per la cucina, con in mano le molle del focolare. Ma, tanto, sua moglie glielo ap­piopperà lo stesso, il suo bravo schiaffo! (tutti e due si fregano le mani contenti).

Commissario                 - Però, il nostro Colomiès non con­ta. Non è di lui che ci si occupa oggi.

Sebastiano                     - Sì, questa sera il teatro, per noi, sie­te voi due, soltanto voi due.

Commissario                 - È proprio vero. La vita sembra teatro quando i fatti si conoscono prima.

Sebastiano                     - (a Zamore) Ah! Dimenticavo. Datemi il vostro nome.

Zamore                          - Battistino Zamore. Perché? (Sebastiano scrive). Perché il mio nome?

Sebastiano                     - Perché... (una pausa) Permettetemi intanto di stringervi la mano. Più tardi forse non lo farei più. (gli stringe la mano)

Zamore                          - Perché il mio nome?

Sebastiano                     - Per la targa... Ma sì... per la tomba.

Zamore                          - Come, per la tomba?

Commissario                 - Sebastiano, bisogna spiegare le co­se per ordine. Ecco, (pausa) Un momento. Il signor Carlo Augusto Rinchard sta per uccidere con un col­po di rivoltella il signor Battistino Zamore.

Zamore                          - Me? (emette un debole e lungo gemito e si siede.)

Carlo Augusto              - Rassicuratevi, Zamore. Non è possibile: non ho nemmeno la rivoltella

Commissario                 - Ma io intanto, sin d'ora, stendo il processo verbale, (scrive) Ferita al cuore... morte quasi istantanea... Il medico è stato esplicito.

Zamore                          - II medico?

Commissario                 - (agitando un foglio di carta) Ecco il suo rapporto. Vedete che qui non perdiamo tempo. (improvvisamente) Ah! Dimenticavo la ricostruzione.

Carlo Augusto              - La ricostruzione?

Commissario                 - Ma la ricostruzione del delitto!

Carlo Augusto              - Volete ricostruire il delitto pri­ma?

Commissario                 - Perché no? Voi siete là. Zamore è a quattro metri da voi. Venite qui, signor Zamore.

Zamore                          - Io?

Commissario                 - Ma sì, voi. Mettetevi davanti alla porta dell'albergo... Così... sì... Così... (lo mette in po­sa)

Zamore                          - I passanti si fermano a guardarmi... è imbarazzante...

Sebastiano                     - Ma perché imbarazzante? Siete l'e­roe della serata. Non si parla che di voi in paese.

Commissario                 - Continuiamo. Signor Rinchard, re­state dove siete... Voi tirate fuori la rivoltella.

Carlo Augusto              - Ma se non c'è l'ho!...

Commissario                  - Non ne avete bisogno.., almeno pei il momento : non si tratta che della ricostruzione. I gesti basteranno... Ecco, così, benissimo. Voi mirate. Quanto a voi, signor Zamore, vedete che lui vi punta contro la rivoltella e non fate alcun movimento.

Zamore                          - Nessun movimento? Ma siete voi a dirlo! E se volessi muovermi, io? Se volessi scappare, io? Me lo impedireste voi, forse?

Commissario                 - Al contrario. Sarei felicissimo che scappaste. Ma dubito che sia possibile.

Carlo Augusto              - E se non tiro, io?

Zamore                          - Già, e se lui non tira, lui?

Commissario                 - Sarei anch'io felicissimo che il si­gnor Rinchard non tirasse. Ma ho paura che non pos­sa fare altrimenti, (coti l'aria d'un fotografo osserva i due uomini immobili nella posa che ha fatto pren­der loro) Così, non vi muovete. (scrive in fretta qual­che parola su di un foglio.) Grazie. La ricostruzione è terminata.

Carlo Augusto              - (uscendo dalla sua immobilità) Ma, infine...

Commissario                 - Vogliate firmare, prego...

Carlo Augusto              - E se mi rifiuto?

Commissario                 - Se rifiutate, mi obbligherete a rifa­re questo interrogatorio domani. E credo che sarò un pochino più severo... D'altronde rassicuratevi: se per caso tutti ci fossimo sbagliati e il delitto non dovesse avvenire, io straccerò questo foglio, naturalmente. Pre­go, firmate... qui...

Carlo Augusto              - Ma è ben spiacevole aver da fir­mare un verbale per un delitto che non si è ancora commesso!

Sebastiano                     - Eppure è tanto semplice! (Zamore, che intanto ha avuto uno svenimento, riprende i sensi ed emette un gemito.)

Zamore                          - Carlo Augusto!

Carlo Augusto              - Non abbiate paura, andiamo! Dal momento, vi ripeto, che non ho rivoltella, non posso assolutamente farvi alcun male. Mi è impossibile, ma­terialmente impossibile.

Zamore                          - Si, Carlo Augusto.

Carlo Augusto              - E anzi, vogliamo tornare ad es­sere buoni amici. Perché no?

Zamore                          - Già, perché no?

Carlo Augusto              - Come vedete, signori, tutto è ac­comodato.

Commissario                 - Signor Rinchard, a domani.

Sebastiano                     - Signor Zamore, a presto. (ìi Commis­sario e Sebastiano se ne vanno)

Zamore                          - Carlo Augusto, dammi un pizzicotto.

Carlo Augusto              - Dammelo anche tu. (si danno un pizzicotto)

Zamore                          - Ma allora non stiamo sognando. Abbia­mo avuto a che fare con due mattacchioni tornati ora da una bisboccia. Non ti pare, Carlo Augusto?

Carlo Augusto              - Ah, per questo, no.

Zamore                          - E perché no?

Carlo Augusto              - Proprio adesso, traversando il paese, siamo passati davanti al Commissariato e ho guardato dalla finestra aperta. È proprio lui, il Com­missario in persona!

Zamore                          - Allora l'altro è proprio quello che fa le casse da morto! (riflettendo) Ma ciò non toglie che si sono sbagliati, dal momento che tu non possiedi una rivoltella. Perché, non è vero, tu non ce l'hai la rivol­tella?

Carlo Augusto              - Ti ho detto di no.

Zamore                          - Ad ogni modo lasciami guardare nelle tue tasche, (gli fruga nelle tasche)

Carlo Augusto              - E adesso lascia che guardi io nelle tue.

Zamore                          - Ma a me nessuno mi sospetta. Sei tu che devi uccidere me.

Carlo Augusto              - Non fa niente, preferisco, (gli guarda nelle tasche).

Zamore                          - Lo vedi? Niente nelle mie tasche, niente nelle tue. E dire che, per un momento, quasi quasi ho creduto a tutto quel che andavano raccontando!

Carlo Augusto              - Anch'io.

Zamore                          - (sforzandosi di ridere) Abbiamo avuto una bella paura tutti e due!

Carlo Augusto              - Ma adesso è finita e non par­liamone più!

Zamore                          - E torniamo alla nostra discussione, (ri­prendendo il tono di prima) Caro amico, poco fa vi ho proposto... (fa per estrarre il portafogli, ma si ferma, si guarda attorno con inquietudine, poi, improvvisa­mente) Dì un po', Carlo Augusto,...

Carlo Augusto              - Che c'è?

Zamore                          - Ma che sta succedendo? Guarda tutta quella gente alle finestre... Tutte quelle teste immobili che guardano verso di noi...

Carlo Augusto              - (guardando anche lui) Ma sì, è vero...

Zamore                          - E quelli là appostati dall'altra parte della piazza... Alcuni hanno portato persine delle sedie e ci montano sopra per vederci meglio. E quei rami che si muovono come ali d'uccelli...

Carlo Augusto              - Sono i ragazzi. Si arrampicano sugli alberi. E sulla statua di Gambetta. E sui tetti. Dappertutto.

Zamore                          - E aspettano, senza muoversi (Zamore e Carlo Augusto tacciono. Da lontano si sente una voce di donna che grida)

Voce di Donna             - Simone! Simone!

Voce di Ragazzino       - Mamma!

Voce di Donna -           - Ritira la biancheria! C'impedisce di vedere. (Un ragazzino di circa dodici anni s'avvici­na fischiettando e strappa giù la biancheria stesa sul filo) E non fischiettare, che non sentiamo! (il ragazzi­no smette di fischiare e sparisce portando via la bian­cheria. Immobili, Zamore e Carlo Augusto si fissano a lungo. D'improvviso nel silenzio)

Zamore                          - (sottovoce) Carlo Augusto, tu vuoi ucci­dermi.

Carlo Augusto              - Zamore!

Zamore                          - Ed essi lo sanno. Ed è per questo che ci stanno a guardare, (con un grido, a Carlo Augusto che fa un passo verso di lui) Carlo Augusto, non rimovia­moci!

Carlo Augusto              - Ma se non ho nemmeno una ri­voltella!

Zamore                          - Non importa, non muoviamoci. La sai la storiella del cacciatore inseguito dall'orso? Il cacciato­re s'acquatta per terra e trattiene il fiato. L'orso l'an­nusa dalla testa ai piedi. E il cacciatore si salva fin­gendosi morto. La sventura, vedi, è in agguato; è lì che sta per piombarci addosso! E tutto il paese la vede. E noi siamo i soli a non vederla. Ma al primo grido, al primo gesto inconsulto, siamo perduti! Carlo Augusto, ascoltami... (pianissimo) Per non morire, bisogna fare il morto, (si guarda attorno sospettoso e prosegue) Non tormentarsi più, non spremersi più il cervello. Placare l'orgoglio, la collera. Cancellare i ricordi, ri­nunciare alle abitudini, farsi così lontani, deboli, an­nullati, che il fato non trovi in noi il minimo segno di vita e se ne vada cosi come è venuto, senza rumore. Rimpicciolire il cuore, trattenere il fiato, fare il morto!

Carlo Augusto              - Hai ragione.

Zamore                          - Ma è ben difficile fare il morto quando si crepa di paura, quando si batte i denti! E si ha l'im­pressione che tutta la città, il mondo intero ti senta battere i denti. Li senti anche tu, Carlo Augusto?

Carlo Augusto              - Taci. Se tu hai paura, sappi che io pure ho paura; e se io ho paura, siamo perduti!

Zamore                          - E allora aiutiamoci, stringiamoci uno contro l'altro, questo ci darà coraggio! (fa un passo verso Carlo Augusto)

Carlo Augusto              - No. Non avvicinarti!

Zamore                          - Ma dal momento che non hai la rivol­tella!

Carlo Augusto              - Non importa. Sento io pure l'a­lito della sventura che incalza. Sento il suo muso an­simante sulla mia pelle! Zamore, vattene!

Zamore                          - Ma perché?

Carlo Augusto              - Più lontano! Più lontano! Scap­pa sulle strade, non importa dove, ma sparisci, vat­tene! (Clarissa arriva, molto emozionata. È seguita dal­la Signora Angela)

Clarissa                         - Carlo Augusto, hai ragione! Sì, la si­gnora Angela mi ha messa al corrente adesso. Ah, lo sapevo che mio marito, con la sua ostinazione a vo­lerci seguire, avrebbe finito per metterci nei guai! Zamore, bisogna che tu te ne vada.

Signora Angela             - Vi ho trovato un mezzo di tra­sporto.

Zamore                          - Un mezzo?... Ma io credevo che...

 52

 Signora Angela            - (interrompendolo) La gente qui non è più cattiva che in qualunque altro posto. Pre­vede lo svolgersi degli avvenimenti, ma non chiede di meglio che d'impedire che si compiano.

Clarissa                         - II lattaio mette a tua disposizione la sua carretta.

Signora Angela             - È già pronta davanti alla sua bottega, a due passi di qui. Spicciatevi, signor Zamore, è una strada di montagna, e stasera c'è la luna nuova. Il lattaio non vuoi essere di ritorno troppo tardi, (pausa)

Clarissa                         - Che aspetti?

Zamore                          - Clarissa, non chiedermi di lasciarti; non potrei farlo. Te l'ho pur spiegato, appena arrivato!

Clarissa                         - Ma quando sei arrivato, non sapevi di essere in pericolo di morte, mentre adesso... (Zamore fa di « no » con la testa. Clarissa si volta allora verso Carlo Augusto) Cerca un po' tu di spiegarglielo... Io ci rinuncio!

Zamore                          - È inutile provarci, (a Clarissa) So bene che ho torto, e che dovrei partire.

Signora Angela             - II lattaio conduce la sua mula con molta prudenza!

Zamore                          - Non ne dubito affatto, ma...

Signora Angela             - E ha due buone lanterne.

Zamore                          - Ma sì, ma sì.

Signora Angela             - E io vi presterò anche dei guan­ciali, delle coperte.

Zamore                          - Vi ringrazio, ma...

Carlo Augusto              - Ma che cosa?

Zamore                          - Carlo Augusto, bisogna ch'io resti. Cla­rissa ha bisogno di me.

Clarissa                         - Ma no, ti assicuro!

Zamore                          - Lei non lo sa, ma ha bisogno di me.

Clarissa                         - C'è da impazzire! (a Zamore) Ma in­somma, Zamore, dal momento che tu non ci sarai più! Dal momento che se resti devi essere ucciso...

Zamore                          - Se me ne vado, non potrò lo stesso so­pravvivere a lungo. E allora preferisco correre il ri­schio ora e restare.

Carlo Augusto              - Zamore, mio caro, te ne prego...

Clarissa                         - E così, adesso vi date del tu?

Zamore                          - Sì, Clarissa, è il pericolo che ci ha avvi­cinati.

Carlo Augusto              - Zamore... (Zamore volta la te­sta) Clarissa, aiutami!

Clarissa                         - Zamore, sii gentile, vattene!

Carlo Augusto              - Sforzati, tenta almeno!

Signora Angela             - Fate un passo, soltanto un pas­so, tanto per cominciare... (una pausa. Zamore fa un passo)

Zamore                          - Ecco.

Clarissa                         - Vedi?...

Carlo Augusto              - Non è poi così difficile!

Signora Angela             - Tanto più che ora v'aiuto anch'io, (gli prende il braccio) Su, ancora un passo!

Zamore                          - Ecco, (fa un passo)

Signora Angela             - Bene.

Carlo Augusto              - Benissimo.

Clarissa                         - Potrebbe però camminare un po' più svelto!

Carlo Augusto              - Ma no, non lo sforzare.

Signora Angela             - Andiamo, andiamo, signor Zamore, ancora un passo! Il piede sinistro adesso! (pausa)

Zamore                          - No.

Signora Angela             - (conciliante) E allora questo pie­de destro?

Zamore                          - No, basta. È più forte di me, non posso.

Clarissa                         - Ma davvero non si rende conto! (a Zamore) Non vorrai farci credere che ti è indifferente morire! Guarda le tue mani, tremano.

Zamore                          - Speravo che non te ne accorgessi. Ma non è colpa mia. E non è neppur mia la colpa, se non posso andare avanti. C'è un vento terribile, vero?

Signora Angela             - Ma no. Certo tira un po' di ven­to, ma senza infuriare.

Clarissa -                       - Guarda gli alberi : i rami non si muo­vono neppure.

Zamore                          - Allora questo vento soffia solo su di me. Ma così forte che mi impedisce di andare avanti. Cla­rissa, non posso andarmene!

 Clarissa                        - Su, vediamo, Zamore...

Carlo Augusto              - Ma non discutiamo! Non ci do­vremo mica mettere in ginocchio per supplicarlo di partire!

Signora Angela             - Allora, pazienza. Lasciatelo qui e partite voi due.

Clarissa                         - La signora Angela ha ragione. Carlo Augusto, partiamo noi due.

Signora Angela             - Ma spicciatevi; il lattaio non aspetterà, (pausa)

Carlo Augusto                       - No.

Clarissa                         - Ma perché no?

Carlo Augusto              - Ovunque si vada, lui ci raggiun­gerà domani. Confessalo, Zamore.

Zamore                          - Sì, Carlo Augusto.

Carlo Augusto              - E così tutto ricomincerà. Tanto vale restare.

Signora Angela             - In un certo senso, ha ragione luì. Per voi tre, qui o altrove, è la stessa cosa.

Clarissa                         - Che tortura! (si torce le mani)

Signora Angela             - Povera piccola, ho fatto male a dirglielo. Era così tranquilla con il signor Rodolfo!

Carlo Augusto              - (sussultando) II signor Rodolfo?

Signora Angela             - (a Carlo Augusto) Sì, il signor Rodolfo sta per cominciare il ritratto della signora.

Clarissa                         - Oh! un abbozzo soltanto. Ma me ne in­fischio del suo abbozzo, (a Carlo Augusto) E sarei ac­corsa immediatamente, sta sicuro, se avessi saputo quale pericolo ti minacciava.

Zamore                          - Ma scusa! Se c'è qualcuno qui che è mi­nacciato, sono io!

Clarissa                         - Come, tu?

Zamore                          - Carlo Augusto non è che l'assassino. Il morto, sono io!

Clarissa                         - Appunto, tu non hai che da lasciarti uc­cidere, dopo di che tutto sarà finito : nessuno ti sec­cherà più. Mentre per Carlo Augusto, cominceranno proprio allora i guai. E osi lamentarti? Trovo che sei un vero incosciente!

Zamore                          - Clarissa, non mi lamento. Constato un fatto, semplicemente: il morto sono io.

Clarissa                         - II morto sei tu, il morto sei tu... non hai che queste parole in bocca! Allora, secondo te, l'assassino non conta? (a Carlo Augusto) Mio caro, non ascoltarlo, non pensa che a se stesso! Eppure, di voi due, quello da compiangere di più, sei tu. Dopo tutto, lui ha una bellissima tomba di famiglia, dove ripose­rà tranquillo, mentre tu, invece, sarai occupato a in­trecciar cappelli di paglia in galera!

Carlo Augusto              - Non parliamo ancora di cappel­li di paglia e di galera. T'assicuro che non è proprio piacevole.

Zamore                          - E, la tomba di famiglia, credete che sia più divertente?

Clarissa                         - E di che ti lamenti? Se Carlo Augusto finisce i suoi giorni in un carcere, è proprio a causa della tua testardaggine!

Zamore                          - Scusa. Ma non è ancora detto che debba finire i suoi giorni in prigione.

Clarissa                         - Sai bene che sarà così, Zamore. Se tu cercassi d'uccidere Carlo Augusto, saresti assolto: sei tu il marito. Mentre lui sarà condannato senz'altro. Ah! Com'è ingiusto tutto ciò!

Carlo Augusto              - (cupo) E poi non sarà il carcere, sarà l'ergastolo!

Clarissa                         - (abbracciando Carlo Augusto) Taci, per carità!

Carlo Augusto              - ... oppure la pena di morte!

Clarissa                         - Sento che sto per svenire.

Zamore                          - Ci vorrebbe un dottore, (alla signora An­gela) Signora Angela, un dottore!

Signora Angela             - È sera, il dottore è occupato al­trove.

Zamore                          - È vero, dimenticavo. E' stato anche ob­bligato a constatare il mio decesso in anticipo.

Clarissa                         - (disperata) L'ergastolo! La pena di mor­te!

Zamore                          - (a Carlo Augusto) Non ti vergogni di metterla in un simile stato? Povera Clarissa! Bisogne­rebbe trovare una soluzione... Consultare un avvocato. Signora Angela, non ci sarà certo un avvocato in pae­se.

Signora Angela             - Ma sì. L'avvocato Claparon. Va­do a cercarlo, (esce. Un arabo con berretto e due lun­ghi baffi neri si aggira da qualche istante intorno a Carlo Augusto e, ad un tratto, gli si avvicina)

L'arabo                          - Ehi, tu!

Carlo Augusto              - Che volete?

L'arabo                          - Vuole tu comprare revoltella?

Carlo Augusto              - Che cosa?

L'arabo                          - Revoltella. Vendo a te metà prezzo.

Carlo Augusto              - Qualunque sia il prezzo, rifiuto.

Zamore                          - (che si è avvicinato a sua volta) Rifiuta.

Carlo Augusto              - Capirete che se anche avessi la intenzione di acquistare una rivoltella, non la compre­rei certo oggi.

Zamore                          - Diamine, sceglierebbe un altro giorno!

L'arabo                          - Tu avere torto. Revoltella ordinanza, completamente carica. Sei cartucce dentro. Volere tu vedere, toccare?

Carlo Augusto              - Vi ripeto che non desidero rivol­telle.

L'arabo                          - Avere torto! Con revoltella tu sempre tranquillo.

Carlo Augusto              - Sempre, ma non stasera.

Zamore                          - Stasera, la nostra unica forza viene pro­prio dal fatto che non abbiamo rivoltella.

Carlo Augusto              - Ma non insistete!

L'arabo                          - Come tu volere... Ma tu avere torto, ave­re torto... (va a sedersi in terra, zufolando, al fondo della scena. La signora Angela torna, seguita dall'av­vocato.)

Signora Angela             - Permettete di presentarvi l'avvo­cato Claparon.

Avvocato                      - (avvicinandosi a Zamore con la mano te­sa) È all'accusato, senza dubbio, che ho l'onore di parlare?

Zamore                          - No. Sono Zamore, la vittima.

Avvocato                      - (ritirando la mano) Tutte le mie con­doglianze!

Zamore                          - L'accusato è il signor Rinchard, qui pre­sente.

Avvocato                      - Fortunatissimo. (i due uomini si strin­gono la mano) D'altronde io posso benissimo difende­re l'uno o l'altro, indifferentemente.

Zamore                          - Non vedo come.

Avvocato                      - Basterebbe che voi vi costituiste parte civile. Si, insomma, che la vostra famiglia si costituis­se parte civile, (categorico) Noi chiederemo un franco per risarcimento danni!

Zamore                          - È poco.

Avvocato                      - Sicuro! Ma noi ne approfitteremo per rievocare la vostra figura d'uomo e faremo piangere tutta l'aula.

Zamore                          - Anche Clarissa?

Avvocato                      - Anche Clarissa. Chi è Clarissa?

Zamore                          - Mia moglie, qui presente.

Avvocato                      - Signora, voi piangerete, ve ne do la mia parola d'avvocato! Voi piangerete quando io rie­vocherò il vostro fidanzamento...

Clarissa                         - E dire che è vero, Zamore, sento già che mi metterò a piangere come una stupida!

Avvocato                      - II vostro viaggio di nozze...

Clarissa                         - II mio viaggio dì nozze! (si mette a piangere)

Avvocato                                - I regali...

Clarissa                         - (piangendo) Eppure il matrimonio, il viaggio, i regali, tutto ciò mi ha annoiata... annoia­ta... E adesso ecco che piango lo stesso a calde lacri­me... Dio, come sono sciocca!

Avvocato                      - Poi rievocheremo i primi silenzi, a ta­vola, quand'egli levava sulla donna adultera il suo sguardo, ora spento per sempre!

Clarissa                         - No. È troppo orribile!

Zamore                          - Vi proibisco di farla piangere!

Avvocato                      - (contrariato) Allora non volete costi­tuirvi parte civile?

Zamore                          - No.

Avvocato                      - Non volete dunque che una voce si le­vi ad onorare la memoria vostra?

Zamore                          - No, no e poi no! Tanto peggio per la mia memoria! Per quello che me ne farò, del resto! (volgendosi a Clarissa) E, soprattutto, Clarissa, non voglio che tu soffra per causa mia.

Avvocato                      - Non parliamone più. Non ci sarà parte civile, (a Carlo Augusto) Signor Rinchard, sono a vo­stra disposizione. E con me cascate bene. Ottengo sem­pre il minimo della pena.

Zamore                          - È appunto ciò che vi si chiede a favore del signor Rinchard: il minimo della pena.

Avvocato                      - Sia pure. Ma, attenzione. Come parte civile, io sono commovente. Ma come difensore, sono terribile!

Zamore -                       - Terribile per chi?

Avvocato                      - Per la vittima.

Clarissa                         - E ciò sarà a favore del signor Rinchard?

Avvocato                      - Ma naturalmente.

Clarissa                         - Allora nessuna esitazione, siate terribi­le!

Zamore                          - Ma non troppo, però. Restiamo in una giusta via di mezzo.

Clarissa                         - In una giusta via di mezzo? Ah, per quel ch'è riuscita a fare la giusta via di mezzo! È proprio a causa della tua giusta via dì mezzo che oggi ci troviamo in pieno dramma!

Carlo Augusto              - Ha ragione lei. Nessuna via di mezzo !

Clarissa                         - Abbiamo un avvocato. Lasciamolo fare.

Carlo Augusto              - Avvocato Claparon, avete la pa­rola.

Avvocato                      - Bisogna prevedere le circostanze atte­nuanti. Signor Rinchard, voi certamente sarete stato insultato dal signor Zamore.

Carlo Augusto              - Sarebbe a dire, cioè...

Zamore                          - No, siamo sinceri, Carlo Augusto.

Carlo Augusto              - Lo vedi? Avresti dovuto.

Zamore                          - Può anche darsi che avrei dovuto, ma insomma non l'ho fatto.

Avvocato                      - È ancora in tempo! Ma sì, questa circo­stanza attenuante, della quale noi non disponiamo an­cora, adesso stiamo per crearla in questo medesimo istante.

Zamore                          - In questo medesimo istante?

Avvocato                      - Sono là, tutti e due. Voi arrivate, li sorprendete insieme, e, in preda all'indignazione, li in-sultate e anche li minacciate, (dispone Clarissa tra le braccia di Carlo Augusto)

Signora Angela             - È vero che, in un certo senso, ciò scuserà il delitto del signor Rinchard.

Avvocato                                - Allora... via!

Signora Angela             - Per cominciare, trattateli da...

Avvocato                      - (mozzandole la parola) Da tutto quello che vorrete! E davanti alla Signora Angela, che sarà testimone. Noi contiamo sino a tre.

Carlo Augusto              - Clarissa, non sopporterò d'essere insultato da tuo marito.

Clarissa                         - Ma dal momento che Io ucciderai subi­to dopo! Andiamo!...

Carlo Augusto              - È giusto, Zamore, via!... Uno...

Signora Angela             - Due,..

Zamore                          - Ma ci tenete veramente?

Clarissa                         - Ma è necessario, andiamo! Per Carlo Augusto!

Zamore                          - E va bene!...

Avvocato                                - Tre!

Zamore                          - (che starnutisce) Lo vedi, che ci si raf­fredda qui? Clarissa, metti il tuo foulard, (e tende il foulard a Clarissa che non lo prende)

Clarissa                         - (furiosa) Ma sentitelo! Gli si parla di Corte d'Assise e lui pensa al raffreddore di testa!

Signora Angela             - (a Zamore) Ha ragione. Non prendete le cose sul serio!

Zamore                          - (docilmente)            - Ricominciamo.

Clarissa                         - (abbracciando Carlo Augusto) E per pri­ma cosa, guardami. Io sono fra le braccia di Carlo Augusto, egli avvicina dolcemente le sue labbra alle mie, e tu gridi...

Zamore                          - Niente.

Clarissa                         - Come niente? Non hai nemmeno uno scatto di gelosia?

Zamore                          - So bene che si usa, ma al diavolo la con-suetudine. Clarissa, io sono troppo infelice per essere geloso. Non voglio proprio che le mie ultime parole siano degli insulti.

Clarissa                         - (sciogliendosi dalle braccia di Carlo Au­gusto) Non ne usciremo mai!

Zamore                          - E poi non si insultano le persone così, di punto in bianco, senza sapere perché.

Carlo Augusto              - Scusa! Dopo tutto, sono l'amante di tua moglie.

Zamore                          - Lo crede lei

Carlo Augusto              - Come, lo crede lei?

Zamore                   - E tu anche. Mi fate pietà tutti e due.

Carlo Augusto              - Noi, ti facciamo pietà? Adesso ti permetti, tu, di aver pietà di noi, razza di cornuto?

Avvocato                      - (precipitandosi su Carlo Augusto) Ma no, per carità, non ci siete per niente! È lui che deve mostrarsi insolente, non voi! Mio povero signor Rinchard, ma voi state organizzandovi delle circostanze aggravanti!

Clarissa                         - È una disperazione!

Signora Angela             - Non sono seri né l'uno né l'al­tro!

Avvocato                      - Credo che sia meglio rinunciare agli insulti, e trovare un'altra cosa, (riflettendo a Zamore) Sapevate, vero, che vostra moglie aveva un amante?

Zamore                          - Ma sì.

Avvocato                      - È dunque un marito compiacente che voi avete ucciso, un marito che sperava di guadagnare da questa situazione, diciamo... ambigua, non so quali oscuri benefici. Del denaro, forse...

Zamore                          - Oh! E io che invece...

Clarissa                         - (interrompendolo) Lascia parlare l'av­vocato. La mia felicità dipende dalla sua difesa.

Zamore                          - E allora, avanti!

Avvocato                      - (come in Corte d'Assise) E se mi volgo verso l'imputato, signori giurati, è per dirgli : « No, Rinchard, voi non avevate il diritto di farvi giustizia da voi stesso. Ecco perché non chiederò l'assoluzione. Ma voi non potevate accettare le manovre di un mari­to spregevole. Ed è per ciò che domando il minimo della pena ». (respira, e, riprendendo la sua voce na­turale). E taccio. Non dico più parola. Brusio di pub­blico. E mi siedo, molto commosso anch'io.

Zamore                          - Scusate! Ma non voglio, dopo morto, pas­sare per un marito spregevole! (e, poiché Clarissa lo guarda con occhi supplichevoli) No, Clarissa, no, no e poi no!

Clarissa                         - (avvicinandosi a Zamore e facendo la voce tenera) Tu vuoi vedermi piangere davanti alla por­ta d'una prigione?

Zamore                          - Cioè...

Clarissa -                       - ... per dieci lunghi anni?

Zamore                          - Clarissa!

Clarissa                         - ... per venti anni? Lo vuoi veramente?

Zamore                          - No.

Clarissa                         - E allora non stare a discutere l'arringa della difesa! Dal momento che non ci sarai neppure ad ascoltarla!

Zamore                          - Avvocato Claparon, siamo d'accordo.

Avvocato                      - Perfettamente. Ed ora vi lascio. Caro signor Rinchard, verrò a stringervi la mano dopodo­mani nel parlatorio del carcere.

Clarissa                         - (di soprassalto) Del carcere? Che orro­re!

Zamore                          - (all'avvocato, sottovoce) Non pronuncia­te mai quella parola!

Avvocato                      - Carcere sì, ma preventivo. Sì, signor Zamore, io vi prometto ugualmente l'assoluzione per il vostro assassino, (a Clarissa) I miei omaggi, signora, (a Zamore) Ancora le mie condoglianze, caro signore, (a Carlo Augusto) Quanto a voi, non vi lascio. Mi si­stemo qui e, in attesa, comincio a buttar giù un primo schema della nostra difesa, (va a sedersi ad un tavo­lo. Tira fuori dalla tasca delle carte e le dispone spar­se, attorno a sé).

Clarissa                         - (a Carlo Augusto) Ha avuto un bel ras­sicurarci, ho paura per te, sono infelice!

Zamore                          - Su, via, consolala!

Carlo Augusto              - Faccio quel che posso.

Clarissa                         - (venendo meno tra le braccia di Carlo Augusto) Carlo Augusto, sostienimi!

Zamore                          - Signora Angela, bisognerebbe che mia moglie potesse stendersi. Ci vorrebbe la sua camera. Quando sarà libera la sua camera?

Signora Angela             - (alzando gli occhi verso la finestra) Dovrebbero essere partiti da molto tempo!

Zamore                          - Bisognerebbe avvertirli che siamo qui ad aspettare.

Signora Angela             - Sono un po' intrattabili... Ma, posso provare, (esce).

Zamore                          - E tutta questa gente che ci osserva da ogni parte! Queste finestre che s'illuminano e si spen­gono come per scambiarsi dei segnali! Guardate: que­sta qui, quella là, e qui ancora... E quella cosa che sci­vola via là, nel vicolo... (coti un grido) Ma che cos'è? Rispondete! Che cos'è?

Voce di ragazzino         - Non gridate. È la lettiga.

Zamore                          - Avete sentito? È la lettiga! Ma allora è imminente! È quasi per subito!

Clarissa                         - No! Io non voglio che ti arrestino, Carlo Augusto, non voglio che ti portino in prigione. Ascolta, c'è ancora modo di salvare tutto!

Zamore                          - Clarissa... Clarissa... Non ti agitare... per carità!

Clarissa                         - Io torno a Parigi con Zamore.

Carlo Augusto              - Che?

Zamore                          - Ma naturalmente. E dire che nessuno ci aveva pensato. Eppure è semplice come due e due fan­no quattro. Torna a Parigi con me!

Carlo Augusto              - No. Sono partito con lei, e non voglio tornare da solo. Clarissa, tu mi conosci e sai bene che non ammaino bandiera davanti a nessuno!

Clarissa                         - (a Carlo Augusto) Io ripartirò con lui, è vero; ma è a te che io penserò giorno e notte!

Zamore                          - È già qualche cosa, ti pare!

Clarissa                         - E per provarti che ti sarò fedele, guar­da... non tradirò mai più Zamore. Te lo prometto, Car­lo Augusto!

Zamore                          - Dal momento che te lo promette!

Clarissa                         - Te lo giuro!

Zamore                          - Ah! Se te lo giura!

Carlo Augusto              - No. Non mi fido.

Zamore                          - Guarda che la sorveglierò.

Clarissa                         - Senti? Mi sorveglierà.

Carlo Augusto              - (coti disprezzo) Lui?

Zamore                          - (agghiacciato) Ma ti prego...

Carlo Augusto              - Mio povero amico, se sapessi co­me la sa dare ad intendere, lei!

Zamore                          - Ah! Bada che ti proibisco di parlare di lei con questo tono!

Clarissa                         - Scusa, Zamore, nessuno ti prega di pren­dere le mie difese!

Carlo Augusto              - Ha ragione; è cosa che riguarda noi due!

Clarissa                         - Non ci hai nulla a che vedere tu!

Carlo Augusto              - (minaccioso) Clarissa, se tu tor­nì a Parigi con Zamore, non rispondo più di nulla! (la signora Angela ritorna).

Signora Angela             - Una buona notizia! Sì, nella vo­stra disgrazia, credo che vi resti una via d'uscita, ap­profittiamone!

Zamore                          - Ho indovinato. Le nostre due stanze so­no finalmente libere. Voi ci conducete a prenderne pos­sesso e noi non avremo che da chiudere a chiave tutte le porte, perché il delitto divenga impossibile, (egli ac­cenna il gesto dì chiudere a chiave una porta, e mor­mora con un sorriso di felicità) Per forza!

Signora Angela             - Disgraziatamente non sono an­cora libere, le vostre stanze. Ho bussato. Ma non si so­no neppure presi la pena di aprire. Ho l'impressione che la donna stia piangendo sul letto. E che i due uo­mini stiano bevendo un'altra bottiglia di cognac, guar­dandosi in cagnesco. Vedete; non c'è mezzo di farli partire.

Zamore                          - Allora siamo perduti davvero!

Signora Angela             - Ma niente affatto! Anch'io ho un'idea. Avvicinatevi! (Zamore, Clarissa e Carlo Augusto si avvicinano) Più vicino, (i tre si avvicinano ancora) Sappiamo che il fatto deve aver luogo proprio qui, questa sera. Ebbene! Accadrà qui, ma non con voi. Vi ho trovato dei sostituti          - (indica la finestra. Pau­sa, poi).

 Zamore                         - Chi? (La signora Angela fa lo stesso ge­sto. Zamore a voce bassa) E credete che accetteranno?

Signora Angela             - Nessuno chiederà il loro parere. Sono per metà pazzi e per metà ubriachi. Basterà in­nervosirli ancora un po', senza che sospettino di niente.

Carlo Augusto              - II delitto, allora, è lassù che av­verrà.

Signora Angela             - E l'assassino, guardatelo : è l'om­bra che passa e ripassa dietro la tenda. Mio povero signor Zamore, eccovi salvato! Ah! Potete proprio dire di avermi dato un bai daffare!

Zamore                          - E quelli, allora?

Carlo Augusto              - Quelli? (scoppia a ridere).

Clarissa                         - Non li compiangerai, spero!

Signora Angela             - Con tante che me ne hanno fatte vedere, in otto giorni! E non sono neppure sicura che saranno in grado di pagarmi il conto!

Carlo Augusto              - Ma come potremo condurli, a po­co a poco, a... (non finisce).

Signora Angela             - Lasciate fare a me. (fa segno a un suonatore ambulante, che da qualche minuto è se­duto in fondo alla piazza. Il suonatore s'alza e s'av­vicina) Vedete quel suonatore? Ebbene, ogni volta che suona una certa musica, lassù scoppia subito un dram­ma; la melodia deve ricordare loro qualche cosa, (al suonatore) Brav'uomo, vi si offre da cena stasera. Ma fateci un piacere. Suonateci quel motivo che sapete.

Suonatore                      - II motivo che vi piace, signora An­gela?

Signora Angela             - No, l'altro. Quello che la gente lassù non può sopportare.

Suonatore                      - Per ricevere ancora delle bottiglie in testa? Grazie tante!

Signora Angela             - Vi lascerò dormire nel granaio stanotte. E anche se volete restarci due o tre giorni...

Suonatore                      - Proviamo, (ma l'avvocato interviene e questa volta si alza).

Avvocato                      - Scusate!

Carlo Augusto              - Che cosa?

Avvocato                      - Io protesto. Mi si chiama qui per un de­litto. E poi si fa di tutto perché il delitto non avvenga.

Carlo Augusto              - Ma sì che il delitto avverrà.

Signora Angela             - Al primo piano, lassù dietro quella finestra.

Clarissa                         - Cambierete di delitto, ecco tutto.

Avvocato                      - Mi ero già abituato a questo qui! Pe­rò, poiché ci tenete tanto, signora Angela, conduce­temi almeno dal mio nuovo cliente.

Signora Angela             - Non ancora! Lui non sa che sta per fare da sostituto.

Carlo Augusto              - Non si è ancora accorto di niente.

Avvocato                      - Vedete come tutto ciò è aleatorio? Ed io che avevo già preso delle note!

Signora Angela             - Vi serviranno per l'altro pro­cesso.

Avvocato                      - Va bene. Non dico più niente. Ma se le cose si mettono male, me ne lavo le mani, (se ne va furioso).

Suonatore                      - Allora, comincio?

Signora Angela             - Un momento, (a Zamore) La sposina del primo piano mi ha consegnato adesso una lettera da impostare, e dall'aria che aveva, ho ca­pito che questa lettera non deve capitare nelle mani del marito. Ecco cosa faccio : le riporto la lettera. Farò finta dì non aver capito nulla. L'uomo la vedrà; gliela strapperà di mano, la leggerà. Questo, un po' di musica, e saremo a posto.

Zamore                          - Sì, ma...

Signora Angela             - Ma, che cosa?

Carlo Augusto              - Complica sempre tutto, lui!

Clarissa                         - Su, parla. Che cosa c'è che ti preoc­cupa?

Zamore                          - La rivoltella. Hanno almeno una rivol­tella?

Signora Angela             - Ah, è vero; avevo dimenticato la rivoltella!

Carlo Augusto              - Aspettate! (fa segno all'arabo, che si alza e s'avvicina. Conciliabolo fra i due. Carlo Augusto prende la rivoltella. L'arabo torna a sedersi al fondo della scena. Carlo Augusto, porgendo la ri­voltella alla signora Angela) Tenete.

 Zamore                         - (alla signora Angela) Attenzione! È carica! Per fortuna che ci sono io a pensare a tutto!

Signora Angela             - (prendendo la rivoltella) Ma come si fa per fargliela avere?

Zamore                          - La manderete insieme al conto. Direte che è l'omaggio che avete l'abitudine d'offrire ai si­gnori clienti.

Carlo Augusto              - Com'è verosimile! Ma andiamo, siamo seri, diamine! (riflette, poi) No, direte che avete avuto delle notizie preoccupanti - non preci­siamo quali - e che desiderate che ci sia un uomo armato nel vostro albergo.

Signora Angela             - Va bene, vado. Lettera, rivol­tella, musica. Perfetto, (al suonatore) Ragazzo mio, potete cominciare. Torno subito! (esce. II suonatore si mette a suonare. Zamore, Carlo Augusto e Claris­sa tengono gli occhi fissi alla finestra. Il musicante suona per qualche minuto. Tutt'a un tratto Zamore, che non ne può più, grida).

Zamore                          - Ci siamo! Stanno litigando! Ascoltate!

Carlo Augusto              - Io non sento niente.

Clarissa                         - Nemmeno io.

Zamore                          - Eh certo, con questa musica! (con un gesto ordina al suonatore di smettere; egli smette, pausa, poi).

Carlo Augusto e Clarissa        - Allora?

Zamore                          - Avete ragione. Niente, (fa segno al suo­natore di riprendere. Il suonatore ricomincia. A un tratto Zamore esclama di nuovo). Questa volta ho pro­prio sentito. Vi dico che ho sentito! (fa ancora segno al suonatore di fermarsi. Ma questa volta Clarissa e Carlo Augusto intervengono a tempo e con i gesti fan­no intendere a Zamore che bisogna che la musica con­tinui se si vuole che la gente di sopra litighi. Zamore a gesti risponde che ha capito e fa segno al suonatore di continuare. La signora Angela riappare, ansimante).

Signora Angela             - (sottovoce) È andata! Ha la ri­voltella in tasca e la lettera in mano. (tutti e tre rin­graziano la signora Angela e, riuniti attorno a lei, se­guitano a spiare la finestra. Zamore fa segno al suo­natore di suonare con più sentimento, e mima alter­nativamente l'emozione e ì movimenti del suonatore. Dietro a lui, Carlo Augusto e Clarissa lo imitano. Il suonatore raddoppia il virtuosismo. A un tratto si sente un rumore di sedie mosse, proveniente dall'alto. Zamore fa segno al suonatore di suonare meno for­te, ciò che egli fa. Così si può udire).

Prima voce maschile     - È proprio questa la musi­ca che hai ballato con lei quella sera! Ed io che vi stavo a guardare senza sospettare di nulla! Ah! Chis­sà come avete riso di me, tutti e due!

Seconda voce d'uomo   - Andiamo! Eravamo pur d'accordo di non tornare sull'argomento!

Prima voce d'uomo       - No, voglio ascoltarla fino in fondo, la sua musica! E quando avrà finito, lo paghe­rò perché ricominci. E poi ancora, e ancora finché di­venterò matto!

Voce di donna              - Mio caro!

Prima voce d'uomo       - Finché diventerò matto! Se voglio impazzire, ne ho il pieno diritto, no?

Zamore                          - (respirando largamente) Ah!...

Carlo Augusto              - Che c'è? (Zamore indica la fine­stra, Carlo Augusto ha capito, si guardano sorridendo con un'aria di complicità. Altro rumore dall'alto).

Zamore                          - Però, come fa piacere sentire gli altri che leticano!

Carlo Augusto - Sì, da proprio un senso di sol­lievo.

Zamore                          - Da fiducia nella vita.

Clarissa                         - Vedrete, voi finirete per diventare ot­timi amici!

Signora Angela             - Certo! Il dramma vi lascia, s'allontana da voi, cambia di nido, come un uccello. Ascoltate! È lassù che avviene, adesso!

Prima voce d'uomo       - Ebbene sì, l'ho letta, la tua lettera, e voi, voi non ridete più, adesso, né l'uno né l'altra. È impallidito lui, e anche tu sei sbiancata. Ah, non siete belli da vedere, tutti e due! (rumore di sedie rovesciate. Poi un grido di donna, la signora Angela fa un cenno al suonatore di suonare più for­te, ciò che egli fa. Zamore, Carlo Augusto e Clarissa sono tutti allegri, A gesti, ringraziano la signora An­gela, la quale sembra molto fiera della sua trovata).

Signora Angela             - Ed ora, vado a vedere quel che succede, (esce. La musica riprende con foga. Tutti e tre sono immobili, lo sguardo levato verso la finestra, dove si vede passare e ripassare l'ombra. Nuovo ru­more di voci, indistinto, ma violento. I tre si guardano gioiosamente. Nell'eccitazione Carlo Augusto af­ferra Clarissa e fa con lei un giro di danza al ritmo della musica. Ha appena lasciato Clarissa, che Zamore, trasportato dalla medesima gioia, la prende a sua volta e continua la danza. Ma allora Carlo Augusto incrocia le braccia e aggrotta le sopracciglia. Si pre­cipita su Zamore e Clarissa e li separa. I due uomi­ni si guardano. Carlo Augusto sta per arrabbiarsi? Esita. Ma no, è troppo contento; alza le spalle riden­do e da a Zamore una manata sulla schiena. Zamore ne da una a lui di rimando. Carlo Augusto gliela ren­de, ma questa volta meccanicamente. Zamore ripete il gesto, ma con una certa freddezza. Al terzo scam­bio le manate diventano quasi pugni. Clarissa li sor­veglia agitata. Vorrebbe intervenire, ma non sa come farlo. A un tratto l'ombra passa e ripassa davanti al­la finestra. Si ode qualche lamento. Clarissa indica la finestra. Zamore e Carlo Augusto alzano il capo. In fondo alla piazza, della gente si avvicina un poco, per vedere. Il musicante, pur suonando, tende il col­lo per cercar di vedere, come gli altri. A un tratto una detonazione. La musica s'arresta, una lunga pausa).

Zamore                          - Salvo!

Clarissa                         - Finalmente!

Zamore                          - Ce n'è voluto per farlo scoppiare... il fattaccio! Ma ora ha fatto centro, e ha scelto un altro bersaglio.

Carlo Augusto              - Si comincia a respirare!

Clarissa                         - E si torna ad essere felici, vero, Car­lo Augusto?

Carlo Augusto              - E non ci succederà più niente!

Zamore                          - Più niente, (la signora Angela riappare) Signora, vogliamo festeggiare la nostra fortuna con una bottiglia di champagne.

Carlo Augusto              - Due. Sì, due bottiglie!

Clarissa                         - Tre! Quattro! Cinque! Sei! Dello cham­pagne per tutti! (la signora Angela tace).

Zamore                          - Perché ci guardate con quegli occhi?

Signora Angela             - Non c'è più champagne. Quel­li hanno appena stappato l'ultima bottiglia. Il colpo che avete inteso, era il tappo che saltava, (un silen­zio, la signora Angela riprende) Tuttavia la cosa era così ben cominciata! Ero lassù, dietro la porta e mi dicevo : « tutto per il meglio, si sta gonfiando di col­lera, il colpo di rivoltella s'avvicina! »   - (sospira) Ed ecco! (ella li guarda con severità). Scommetto che non avete avuto il coraggio di starvene tranquilli, (essi distolgono lo sguardo) Non vi vergognate? Si fa di tutto per riconciliarvi, e sono gli altri che si ricon­ciliano! Ascoltateli! (infatti si sente ridere).

Zamore                          - (dopo un po' con rassegnazione) Non in­sistiamo più, dal momento che non possiamo farci sostituire, (pausa. Zamore, Clarissa e Carlo Augusto sono muti e immobili. Ad un segno della signora An­gela, il suonatore si ritira e va a sedersi nuovamente in fondo alla piazza, in mezzo agli altri spettatori. Dopo un po' sì rimetterà a suonare in sordina, pur seguendo l'azione. La finestra si apre. Una donna, della quale non vediamo che il braccio, getta la ri­voltella. Nello stesso tempo si sente)

Voce di donna              - Signora Angela, riprendetevela la rivoltella, non la vogliamo più! (pausa).

Zamore                          - Eh, che vi dicevo? Lo vedete che non c'è niente da fare? Siamo noi i prescelti dall'Avveni­mento, noi e nessun altro! Clarissa, bisogna che tu non veda quel che sta per accadere qui. Rientra in albergo!

Carlo Augusto              - Niente affatto. Là c'è quel pit-torello che s'occupa un po' troppo di lei e ciò non mi garba.

Zamore                          - Clarissa, lasciaci soli stasera su questa piazza! Sarà forse la mia ultima preghiera.

 Carlo Augusto             - Sarà forse il mio ultimo rifiuto. Clarissa, ti ordino di restare...

Zamore                          - Ma voi non sentite che il momento si avvicina? Guardate le persone lassù: sono immobili dietro la finestra tutti e tre...

Signora Angela             - Qualcuno li ha messi al corren­te, di certo.

Zamore                          - Ed è il loro turno, ora, di spiarci e di attendere, come facevamo noi poco fa.

Clarissa                         - (gridando) Signora Angela, aiuto! Tut­to è perduto! (si getta nelle braccia della signora An­gela, che cerca di consolarla. Un uomo, che era ap­postato nel fondo, esce dall'ombra e avanza).

Signora Angela             - (sottovoce) Babylas, vattene!

Babylas                         - Angela, spiegagli l'altra maniera!

Signora Angela             - No, quella maniera, ho giurato che non la confiderò ad anima viva! Pensate che la notte io dormo sempre con la porta chiusa e la fac­cia nel cuscino, perché la bocca non mi tradisca du­rante il sonno.

Babylas                         - Dal momento che comunque se ne an­dranno tutti e tre domani all'alba, non abbiamo nul­la da temere: non avranno il tempo di raccontarlo... (ai tre) ...perché, capite, in paese nessuno deve saper­la quella certa maniera... salvo chi se ne è ser­vito... (accenna a se stesso) ...e chi gliene ha dato la idea, (indica la signora Angela).

Signora Angela             - (rassegnata) E allora, avvicina­tevi! (si avvicinano) Ancora!

Carlo Augusto              - Ma insomma, in quest'angolo nessuno ci può sentire!

Zamore                          - (gravemente) Si, l'Avvenimento!

Signora Angela             - Ecco, voi avete capito, signor Zamore. E avete anche indovinato che esso ha buone orecchie.

Zamore                          - Prova ne sia che non possono esserci sostituzioni.

Babylas                         - (alla signora Angela) Te l'avevo detto: non bisogna sottrarsi. (agli altri) Ma il modo c'è. (alla signora Angela) Angela, spiega loro il « né visto né conosciuto ».

Clarissa                         - Né visto né conosciuto?

Signora Angela             - Ma sì, il raggiro; il trucco...

Carlo Augusto              - II trucco?

Signora Angela             - Zitto! Non parlate così forte! Beh, pazienza! Vi racconto tutto, ma voi giuratemi... (mette un dito sulle labbra).

Clarissa                         - Glielo giuriamo, signora Angela!

Zamore                          - Ma questo trucco... (la signora Angela fa segno di abbassare la voce ed egli termina a vo­ce bassissima) ...insomma, quello che state per rac­contarci, voi, signora Angela, l'avete già sperimen­tato?

Babylas                         - Sì, su di me; due anni fa.

Signora Angela             - E anche su di un altro, quin­dici giorni fa.

Zamore                   - E la cosa è riuscita?

Signora Angela             - Sì, tutte e due le volte.

Carlo Augusto              - E potrebbe riuscire con noi?

Signora Angela             - Perché no? Mi spiegherò a mezze parole, (cerca le parole) L'Avvenimento ha orecchie buone, ma non ha sempre buoni occhi, (pau­sa). Capito?

Zamore                          - No.

Signora Angela             - Spesso l'abito fa il monaco e... e di sera tutti i gatti sono bigi... Capito?

Carlo Augusto, Clarissa e Zamore      - No, no. no!

Babylas -                       - Lasciami dire tutto. L'Avvenimento, non c'è nulla da fare, c'è, esige quel che gli è dovuto, e bisogna soddisfarlo.

Zamore                          - Eh! Certo!

Babylas                         - (finendo) Ma lo si può pagare con mo­neta falsa! Ecco! Guardatemi. Se domandaste in que­sta contrada: «Chi è quell'uomo che se ne va tutto stracciato, il naso all'aria?» Vi risponderebbero: «È Babylas, il vecchio oste che si è rovinato. L'osteria, le economie, e anche i cavalli, tutto ha perduto in una sola notte giocando a carte. La sera era ricco, e all'alba non aveva più nemmeno un vecchio sacco per dormirci dentro ». Sì, era detto che perdessi tutto alle carte, quella notte, (ad Angela) Per fortuna che tu mi hai avvertito, Angela, e che così ho avuto il tempo di camuffare la cosa. Per tutta la notte ho fatto finta di giocare, calavo le carte, e i miei compari pu­re. Ma era una finta. All'alba tutto il paese mi ha creduto rovinato, mentre io avevo semplicemente venduto la mia casa. E il denaro l'ho nascosto, non dirò dove. Sì, sono un finto povero, io, un povero apparente. Vado, vengo, giro, dormo dove mi pare. Che bella vita! E l'uomo più felice del mondo è Babylas!

Signora Angela             - Fate come lui! Fate finta!

Zamore                          - Finta di che?

Signora Angela             - Finta di tutto! (a Carlo Augu­sto) Dovete sparare? Ebbene, sparate. Ma, beninteso, tirate in aria. Commettete un finto delitto. (A Zamore) E voi, dovete essere ucciso? Benissimo! Get­tate un bel grido, cascate sul colpo e diventate un finto morto!

Zamore                          - Un finto morto?

Babylas                         - Ma certo! Vi si crederà morto!

Zamore                          - Ma poi vedranno che sono vivo!

Carlo Augusto              - E io corro il rischio d'esser mes­so in prigione!

Zamore                          - Vedete bene che in un modo o nell'al­tro...

Signora Angela             - Beh! Se non ci mettete nessuna buona volontà, sarei una sciocca ad insistere. Am­mazzatevi pure sul serio, amici miei, se non avete la furberia di farlo per scherzo.

Clarissa                         - Non ve ne abbiate a male, signora An­gela!

Carlo Augusto              - Ma sì che vogliamo fingere!...

Zamore                          - Anzi, non domandiamo di meglio...

Clarissa                         - Ma bisogna dir loro fino in fondo quel che debbono fare.

Signora Angela        - II fatto è che di falsi delitti non ne abbiamo avuti ancora, in paese. Lasciatemi riflettere...

Babylas                         - Sentite. Al vostro posto, ecco quel che io farei. Il miglior finto delitto andrei ad inscenarlo proprio là sotto i platani, dove l'ombra è fitta e nera. Poi mi combinerei il vestito e la faccia in modo che non mi riconoscessero... cosa facile, dato che siete ap­pena arrivati...

Zamore                          - E cosa dirò io... dopo?

Babylas                         - Direte (cerca) ...Direte che avete assi­stito al delitto. E che l'assassino ha gettato il corpo nel burrone. Domani si cercherà e non si troverà niente. La storia sarà archiviata. E voi sarete ormai lontano.

Zamore                          - Ma, e l'Avvenimento?

Babylas                         - Che cosa?

Zamore                          - Non cercherà di inseguirci, l'Avveni­mento?

Babylas                         - (ridendo) Ma, andiamo! Dal momento che l'avrete ormai soddisfatto...

Signora Angela             - ... con moneta falsa! (a Baby­las) Ma guardali: sono ancora tutti tremanti!

Babylas                         - Si rinfrancheranno più tardi, quando il tiro sarà giocato. E allora sì che li sentirai ridere. E io tornerò per ridere con loro, e tu ci sturerai una bottiglia (esce).

Zamore                          - (a Carlo Augusto) Che ne dici?

Carlo Augusto              - Sono pronto a commettere un finto delitto, ma non vedo troppo bene come potremo truccare le nostre facce.

Clarissa                         - Ci vorrebbe un truccatore di teatro.

Zamore                          - Ci vorrebbero soprattutto dei baffi finti.

Carlo Augusto              - Sì, ma dove trovarli in paese?

Zamore                          - (perseguendo la sua idea) Dei baffi fin­ti, o, meglio ancora, delle barbe finte!

Carlo Augusto              - Certo!

Zamore                          - Questa, per esempio? (estrae di tasca una barba finta).

Carlo Augusto              - (molto sorpreso) Hai una barba finta in tasca?

Zamore                          - Eh, si!

Clarissa                         - Ma come mai hai una barba finta in tasca, Zamore? (riflettendo) Ah! ho capito! Ti met­tevi quella barba per seguirmi nella strada, per fare 11 poliziotto alle mie calcagna! Non ci mancava che quest'ultimo dettaglio per spazzarti via definitiva­mente dal mio cuore! No! Non ti avvicinare! Mi fai orrore!

Zamore                          - Clarissa, ti giuro che non mi sono mai travestito per seguirti. Come tu mi vedi in questo momento, tale e quale sono apparso davanti a te... Soltanto...

Clarissa                         - Soltanto?...

Zamore                          - Quando ho capito che tu m'ingannavi, mi sono fatto dei rimproveri. Ogni volta che per strada passavo davanti a una vetrina, mi guardavo e mi dicevo ad alta voce: « Toh, ecco che passa il bec­co! ». E quando mi sedevo a tavola a fare colazione, tutto solo, sai, nei giorni in cui andavi da tua cugi­na, mi vedevo riflesso nei quattro specchi della sala da pranzo, e, nello spiegare il tovagliolo, dicevo : « Guarda quattro becchi che fanno colazione! ». E a-vevo voglia di piangere, tanto sentivo vergogna di me. Un giorno, scusami sai, sono persino entrato in una farmacia e ho chiesto dieci tubetti di veronal. Il farmacista aveva la barba... E quella barba m'ha salvato la vita. Gli ho detto : « No, tenetevi il vostro veronal, ho trovato di meglio! ». E sono corso a com­prarmi una barba finta. Quando sono ridisceso, quel giorno, la portinaia non mi ha riconosciuto. E io stesso, davanti alle vetrine dei negozi, non sapevo più chi fosse quel passante barbuto che aveva l'aria tanto felice...

Clarissa                         - (commossa) Zamore! Hai sofferto, per causa mia?...

Zamore                          - A causa delle circostanze. Questa bar­ba mi ha sollevato il primo giorno. Sì, rende disin­volti una barba finta. Però...

Clarissa                         - Però?...

Zamore                          - Ho finito per abituarmi alla barba fin­ta, e per riconoscermi lo stesso.

.Clarissa                        - (che non lascia più con gli occhi Zamo­re) E allora che hai fatto, Zamore?

Zamore                   - Ne ho comprata un'altra, (estrae dal­la tasca un'altra barba finta, d'un altro colore).

Carlo Augusto              - Potrò così travestirmi anch'io stasera.

Zamore                          - .Ma certo, vedi, siamo salvi. E la rivol­tella, vedi, io la raccatto. E tu potrai sparare contro di me subito... (raccoglie la rivoltella e la porge a Carlo Augusto) ...dal momento che devi sparare così... per finta! (Carlo Augusto prende la rivoltella e la tiene in mano).

Clarissa                         - E al ritorno, prenderai lo stesso treno, al ritorno?

Zamore                          - II ritorno... il ritorno...

Carlo Augusto              - II ritorno? Ce lo giuocheremo ai dadi.

Zamore                          - Cioè...

Carlo Augusto              - Ma sì, ma sì, ce lo giuochere­mo ai dadi. Lo vedi che sono magnanimo. Clarissa, ti chiedo di non muoverti di qui. (da un'occhiata dif­fidente all'albergo) Me lo prometti? (porta via Zamore verso i platani e torna) Un'altra cosa : non ti me­ravigliare se ci sentirai leticare, fa parte del gioco. E se lo senti gridare, è sempre per scherzo... (porta via Zamore gridando) A presto! Il tempo d'uccidere tuo marito e di tornare con lui! (Cario Augusto e Za­more sono usciti. La signora Angela e Clarissa guar­dano in direzione dei platani).

Signora Angela             - Girano intorno alla fontana. Vostro marito si ferma a bere... è proprio il momen­to... S'inoltrano sotto i platani... Non si vedono più.

Clarissa                         - (dopo un po') Purché non capiti qual­cosa a Zamore.

Voce di Carlo Augusto           - Dunque ti ostini pro­prio a seguirci?

Voce di Zamore            - Sicuro, mi ci ostino.

Voce di Carlo Augusto        - Guarda che ti ho avvertito!

Voce di Zamore            - Sì.

Voce di Carlo Augusto        - Lo sai quel che ti attende?

Voce di Zamore            - Sì.

Voce di Carlo Augusto        - E nonostante tutto insisti?

Voce di Zamore            - Sì.

Voce di Carlo Augusto           - E allora peggio per te! (colpo di pistola).

Clarissa                         - (stringendo le mani della signora Ange­la) Ha sparato sul serio?

Signora Angela.            - Certo, ma un po' in aria, (lun­go urlo di Zamore).

Clarissa                         - È Zamore che grida!

Signora Angela             - Vi avevano avvertita! Fa parte della finzione!

Clarissa                   - Ciò non toglie che 'ho paura per Zamore. .

Signora Angela             - Vedo delle ombre che sgusciano verso di noi. Sono sicuramente loro... Sì, sì, guardate!

Clarissa                         - Sì, Zamore è salvo.

Signora Angela             - Voglio darvi un consiglio. Sta­sera non state nelle loro vicinanze. È proprio la vo­stra presenza che fa venir loro la voglia di battersi.

Clarissa                         - Ma io ho promesso a Carlo Augusto di restare...

Signora Angela             - Mentre il signor Zamore vi ha chiesto di rientrare nell'albergo.

Clarissa                         - È vero. Per una volta ho voglia di ob­bedire a Zamore. D'altra parte ha proprio ragione, Zamore, è meglio ch'io pensi ad altro, (entra nell'al­bergo. ÀI rumore della lite, la musica si è fermata e tutti gli spettatori, musicante compreso, sono scom­parsi verso i platani per continuare ad osservare quel che succede. In quel momento la piazza è completa­mente vuota, tranne per la signora Angela che aspet­ta. Zamore e Carlo .Augusto tornano. Hanno lunghe barbe e i risvolti alzati).

Zamore                          - (alla signora Angela) Ebbene, che ne dite?

Carlo Augusto              - Avete inteso la lite?

Signora Angela             - E il colpo di rivoltella, e il grido, tutto! Mi batte ancora il cuore!

Carlo Augusto              - Ma non avete potuto apprez­zare le scene della nostra piccola commedia. La vit­tima... (indicando Zamore) ...che salta oltre il bordo della scarpata simulando la caduta nel burrone...

Zamore                          - L'assassino  (indica Carlo Augusto) ...che se ne fugge attraverso il bosco ceduo...

Carlo Augusto              - E, finalmente, ecco i due bar­buti mescolarsi innocentemente alla folla accorsa.

Zamore                          - E tornare in albergo.

Babylas                         - (ricomparendo) Si fa per finta e il gio­co è fatto. Vedete -che non è poi difficile?

Signora Angela             - Allora, siete contenti?

Zamore                          - Oh, sì, mi sento rinascere! Che gioia! Domani porterò un cero a Sant'Antonio! (fa goffa­mente qualche passo di danza).

Signora Angela             - Andiamo, siamo seri!

Zamore                          - Non posso, sono troppo contento!

Carlo Augusto              - E Clarissa? Signora Angela, do­ve è Clarissa?

Signora Angela             - Troppe emozioni! Ha dovuto rientrare in albergo.

Carlo Augusto              - Veramente l'avevo pregata...

Signora Angela             - Povera piccola, ve l'ho quasi tra­scinata a forza, ma non starà molto a tornare.

Carlo Augusto              - Oh. E, dopo tutto, (si accarezza la barba) che sia qui o là... È curioso come con una barba finta, uno se ne infischi un po' di tutto...

Zamore                          - (accarezzandosi la barba) Te l'avevo detto... Si accarezza la propria barba... vedi... così... e ci s'immagina di essere un altro.

Babylas                         - Angela, dammi la chiave della tua can­tina, che scelga io stesso le bottiglie.

Signora Angela             - Ecco, appunto, lasciamo i due barbuti per conto loro.

Babylas e Signora Angela       - (insieme) A presto, signori dalla barba! (la signora Angela e Babylas escono. Sulla piazza non ci sono altri che Zamore e Carlo Augusto).

Carlo Augusto              - In fondo, perché letichiamo?

Zamore                          - C'è da domandarselo. La vita è così bre­ve!'Toh! Visto che non c'è Clarissa, adesso mi riem­pio la pipa... (estraendo dalla tasca una pipa) ...e mi faccio una fumatina dì nascosto.

 Carlo Augusto             - Come? Ha proibito la pipa an­che a te? (a sua volta estrae di tasca una pipa).

Zamore                          - Anche a me!

Carlo Augusto              - Eppure tu sei il marito!

Zamore                          - Vedrai in seguito, (apre la borsa del ta­bacco e tutti e due ne riempiono le pipe, poi le ac­cendono, fumando in silenzio). È strano. Da quando ho la barba, amo la campagna! Mi vedo già, con un annaffiatoio in mano, tra due piante di carciofi, (ten­de l'orecchio). Senti, un'allodola!

Carlo Augusto              - Impossibile!

Zamore                          - Perché?

Carlo Augusto              - Le allodole, si sentono al mat­tino presto.

Zamore                          - La mattina... allora sarà... un'allodola ad annunciarmi, domani, che Zamore è ancora vivo!... (tira una boccata) Vecchio Zamore! Eppure ci tengo, a lui!

Carlo Augusto              - E a questo vecchio Carlo Au­gusto, credi proprio che non ci tenga, io? (fumano. Ad un tratto).

Zamore                   - Tu credi che se ne sia andato?

Carlo Augusto              - Chi?

Zamore                          - L'Avvenimento.

Carlo Augusto              - Non ci penso neanche più. Con questa barba!...

Zamore                          - Ma certo, con questa barba... (carezza la sua barba).

Carlo Augusto              - Lo vedi? Dal momento in cui si decide di recitare gli avvenimenti, invece di viverli, tutto diventa facile, (pausa).

Zamore                          - Sarà... però... non sono completamente tranquillo.

Carlo Augusto              - Non sei tranquillo? Ma perché?

Zamore                          - Tutto fila troppo bene. Ho l'impressione che ci sia sotto una trappola.

Carlo Augusto              - Una trappola? Ma scusa, hai pur visto il falso mendicante! Ti ha spiegato tutto! Andiamo, dovresti sentirti rassicurato!

Zamore                          - Rassicurato... rassicurato... Guarda, la mia pipa si è spenta. Non è un buon segno!

Carlo Augusto              - Se ti hanno detto anzi che due, nel paese, sono riusciti a fare quel trucco : quello che hai visto e un altro!..,

Zamore                          - Allora vorrei vedere l'altro... vorrei ac­certarmi che esiste anche lui. Due assicurazioni val­gono più di una sola, (chiamando con voce debole) Signora Angela, signora Angela (un uomo, appena uscito dall'albergo, li ascolta).

L'uomo                          - Zitto! Non gridate! L'altro? Certo che esiste! La prova è che sono qui. Sì, io vengo qualche volta al cadere della notte, a bermi un bicchiere al banco, senza che nessuno mi veda. Sì, sono io. Clodion, il falso morto. E voi avete la fortuna di es­ser forestieri, altrimenti non potrei raccontarvi la mia storia. Io avrei dovuto essere investito da una macchina e ucciso sul colpo. Era previsto. Allora quella notte, sono scomparso. Ho lasciato correre la voce che ero morto. Hanno persino redatto il certifi­cato di disperso. Siccome avevo delle noie con i do­ganieri   (era il mio mestiere, allora, avere delle noie con i doganieri) avevo tutto l'interesse a scomparire. Vivo lassù, sulla montagna, in fondo a una vecchia ca­sa abbandonata. Naturalmente, circolo per lo più di notte. Ma io amo la notte. I miei uccelli sono l'usi-gnolo e la civetta! (si volta bruscamente) Chi va là? Ah, sei tu, Babylas? (infatti Babylas è tornato, su­bito seguito dalla signora Angela).

Babylas                         - Buonasera, compare, (a Zamore e Car­lo Augusto) Conosco la sua storia ed egli conosce la mia. (a Clodion) Ma non ci incontriamo di sovente, vero, Clodion?

Clodion                         - Sto spiegando loro che si può inganna­re la morte, e che, alla fine, anche lei non ci capisce più niente!

Babylas                         - La sola seccatura, nel caso tuo, è che tu non puoi più fare il contrabbandiere!

Clodion                         - Eh, no!

Babylas                         - Ma come vivi, allora?

Clodion                         - Ho scoperto un grosso malloppo. Il te­soro dei faraoni. La caverna d'Aladino in piena foresta. (Babylas ride) Non mi credi? E allora, questo che cos'è?    - (gli mostra una catena d'oro).

Babylas                         - (con voce strozzata) Questa catena d'oro, dove l'hai presa? Rispondi! (lo prende per le spalle e lo scuote) In una cassa di ferro, vero? Un vecchio baule da marinai?

Clodion                         - Ma come lo conosci questo baule, Ba­bylas?

Babylas                         - È il mio! Allora l'hai trovato? Dissot­terrato? Dove l'hai trasportato? Rispondi! Ma rispon­di, dove? (Clodion tace) Ah, tu non mi farai questo, Clodion! A me rto! Noi siamo compari, dal momento che siamo riusciti a fare il colpo contro la sorte... noi dobbiamo aiutarci, Clodion... o allora prendi le parti del destino, contro di me? Ma se tu fai questo, sta attento!

Clodion                         - Ascolta, sto per proporti qualcosa. Ren­derti tutto? Non è più possibile, ho preso certe abi­tudini, adesso. Tenermi tutto? Hai ragione, non sa­rebbe onesto, fra compari. Allora, se vuoi, si divi­derà. Vieni a trovarmi, domani...

Babylas                         - Non .domani, oggi, subito!

Clodion                         - Va bene. Vado ad arrampicarmi al mio nascondiglio. E questa notte rimetterò il baule dove era. Ci ritroverai tutti i gioielli e metà del denaro. Non mi domandare di più e lascia che me ne vada. (si svincola ed esce, dopo aver gridato a Babylas) E ti consiglio di non seguirmi!

Babylas                         - Mezzo rovinato, sono! Angela, credi che manterrà la parola? (A questo punto si sente il rumore di una frenata. Un grido, poi rumore). Ma che cosa c'è? Che è successo?

Ragazzino                     - (passa correndo) È un camion!

Babylas                         - E allora?

Ragazzino                     - C'è andato sotto un uomo!

Babylas                         - Quello che veniva di qua?

Ragazzino                     - Sì.

Babylas                         - È ferito?

Ragazzino                     - No. È morto, (il ragazzino scompare).

Babylas                         - (urlando) Allora tutto è andato in ma­lora. Clodion è un morto vero, adesso! Ed io sono un vero mendicante! (esce seguitando ad urlare) Un vero mendicante... un vero mendicante...

Zamore                   - Vedete? Non si può proprio far finta. Si ha un bel nascondersi sotto false parole e sotto barbe finte... Ci si ritrova sempre. Io ci rinuncio. Mi tolgo la barba.

Carlo Augusto              - Io pure         - (eseguono).

Signora Angela             - No, niente ancora è perduto. Poco fa vi ho intesi proporre di giocarvi la sorte ai dadi. Tenete, ecco i dadi... (ti dispone sulla tavola). Sedetevi uno di fronte all'altro e giocate. Giocate, dunque! (essi esitano) Non perdete tempo. Prima pe­rò giurate che alla fine della partita chi perde accet­terà la sua sconfitta. Che volete vi succeda se siete pienamente d'accordo? Allora, giurate?

Carlo Augusto              - Io sì. E tu, Zamore?

Zamore                          - Anch'io, (siedono) .

Carlo Augusto         - Due mani e la bella?

Zamore                   - Due mani e la bella.

Carlo Augusto              - Sta a te cominciare. Perché esiti?

Zamore                          - Carlo Augusto, se perdessi, temo che non saprei mantenere la mia parola!

Signora Angela             - Però dovrà farlo!

Zamore                          - (pieno di buona volontà) Sicuro, dovrò. (giocano).

Carlo Augusto              - Guarda, hai la prima mano. (mentre sono occupati a giuocare, Rodolfo esce dall'albergo, in punta di piedi, parla all'orecchio della signora Angela; poi va a prendere le due valigie di Clarissa e torna nell'albergo. Tutto questo senza che né Zamore né Carlo Augusto l'abbiano visto né in­teso) .

 Zamore                         - (con voce atona) Guarda, la seconda mano è tua!

Carlo Augusto              - Allora... la bella! (si mettono a giocare di nuovo in silenzio. Mentre giocano, gli spet­tatori sono tornati nel fondo della piazza. Le fine­stre si sono nuovamente illuminate. Tutto il paese li osserva di nuovo. E ogni tanto il suonatore sottoli­nea l'azione con tratti di musica).

Zamore                   - (gridando tutt'a un tratto) Ho vinto! Non potrai più impedirmi di vedere Clarissa! Ho vin­to io! Signora Angela, potete vederlo voi stessa, ho vinto! Carlo Augusto, perché non dici niente? Non vorrai discutere la partita, i dadi sono qui in vista!

Carlo Augusto         - (con voce spenta) Sì, i dadi sono qui.

Zamore                          - Sì, questa volta non abbiamo barato. Ab­biamo interrogato la sorte faccia a faccia, e le ab­biamo obbedito onestamente. E non potrà più voler­ci del male, vero, signora Angela? Non potrà più!...

Carlo Augusto              - Tu dimentichi una cosa. Che poco fa, prima di cominciare, tu m'hai detto : « Se perdo, ho paura di non poter mantenere la mia pa­rola». L'hai detto, sì o no?

Signora Angela             - Certo che l'ha detto. Ma ciò non impedisce che voi abbiate accettato di giocare e che lui abbia vinto.

Carlo Augusto              - Ma c'era una riserva mentale da parte tua, Zamore.

Zamore                          - Dove vuoi arrivare?

Carlo Augusto              - A questo : che la partita è nul­la, e che voglio ricominciarla.

Zamore                          - Nemmeno per sogno!

Signora Angela             - Ha ragione. Quel ch'è stato è stato. Non ci si può tornare su.

Zamore                   - Guardatelo, non vi ascolta nemmeno più. L'Avvenimento è ritornato, è qui, in mezzo a noi.

Signora Angela             - Allora, ascoltatemi tutti e due. Ora sto per darvi una notizia che vi riconcilierà. Una notizia che avevo promesso di tacervi ancora un po'. Ma vedo che siete in pericolo. Signor Zamore, vostra moglie è in procinto di lasciare l'albergo. Sì, col pit­tore. Se ella parte, è soprattutto perché la lite ab­bia fine, perché l'Avvenimento non abbia luogo. Par­te per salvarvi, signor Zamore.

Carlo Augusto              - Ah, sgualdrina! Vado a cercar­la e a portarla qui a forza, e vedrete la bella danza che le farò fare!

Zamore                          - No, Carlo Augusto!

Carlo Augusto              - Deve essere già sul ciglio della strada in vedetta per trovare una macchina, e tu ci fai perdere del tempo. Lasciami passare!

Zamore                          - No.

Carlo Augusto              - Imbecille, non capisci che i no­stri interessi sono legati, adesso? e che lei se ne va per davvero e per sempre?

Zamore                          - Con un altro, e spetta a me andarla a ritrovare, non per condurla qui, ma per dirle che ha ragione e per seguirla ancora, se è necessario, e pro­teggerla contro di te.

Carlo Augusto              - Lasciami passare, cornuto!

Zamore                          - Scusa, adesso il cornuto sei tu! (Carlo Augusto, che ha ripreso la sua rivoltella, tira. Zamo­re cade. Gli astanti si precipitano, gli uni su Carlo Augusto, per impadronirsi di lui, gli altri su Zamore per soccorrerlo. Clarissa appare. Ha in mano una valigia che posa a terra. Guarda alternativamente Carlo Augusto e Zamore, esita un secondo, poi, di slancio, scegliendo Zamore, va ad inginocchiarsi vicino a lui. A gesti egli le chiede di non rimanere lì e di partire. Lei rifiuta. Egli si fa supplichevole. Nuovo rifiuto di lei. Zamore è tanto supplichevole ch'ella finisce per accettare. Ella si rialza. Zamore, sempre più debo­le, tira fuori di tasca il foulard rosso e glielo porge. Clarissa lo prende, lo passa attorno al collo. I due si sorridono. Egli le fa ancora segno di partire. Ella prende la sua valigia e se ne va. Zamore muore).

 

FINE