ZIE E PICCIONI
Monologo
di ALDO NICOLAJ
PERSONAGGI
MARIA CLOTILDE
Commedia formattata da
Io non li ho mai degnati della minima attenzione. Perché non ho mai avuto simpatia per i piccioni… Li ho sempre trovati sgraziati, invadenti, pettoruti, avidi, senz’altro scopo che mangiare e riprodursi. Animali di nessunissima utilità. Una volta, si trovavano quasi soltanto a Venezia, come le gondole, e quella città era il loro habitat naturale. A piazza San Marco si facevano fotografare coi bambini o con gli sposi in viaggio di nozze, in cambio di un po’ di risone o di pane. Poi, curiosi ed invadenti come sono, hanno cercato altro spazio ed hanno cominciato ad emigrare invadendo città, campagne, colline. Ormai volano ovunque, sui tetti, sulle piazze, sulle cupole. Prediligono i monumenti perché , per il loro esibizionismo, si appollaiano sulle teste delle statue, sulle spalle degli eroi o tra i seni delle ninfe. Tubano e si agitano. Continuamente. I maschi non fanno che correre dietro alle femmine, ma mi sa tanto anche dietro ad altri maschi. Non c’è da scandalizzarsi, perché questa consuetudine è entrata a far parte del costume ed i piccioni, del resto, non hanno principi morali… Quello che mi dà fastidio è che si comportano come venissero da secoli di continuo digiuno. Mangiano tutto quello che trovano, senza ritegno e con morbosa avidità… Sono spazzini, ma poco rispettosi dell’igiene, sporcano dappertutto. Peggio dei topi, perché quelli se ne stanno nelle fogne, mentre loro volano mascherando la loro volgarità con ali che non si meritano. Belli non li trovo, con quegli occhietti tondi, rossastri, completamente privi di’espressione. Quando ti guardano non capisci cosa vogliano, ti accorgi subito che il cervello, non lo usano. Si reggono su quelle zampette di un rosso che fa impressione. Ce ne sono anche di quelli che hanno riflessi metallici sulle penne, ma i più con quelle piume di colori banali dimostrano di essere uccelli comuni… uccelli senza alcuna qualità… uccelli di bassa lega. Quasi meglio le galline che, per lo meno, fanno l’uovo. Chissà come sono arrivati ad avere le ali. Per me è persino improprio chiamarli uccelli… No, andiamo le colombe sono tutt’altra cosa, vuoi mettere la grazia e l’eleganza del volo, la leggerezza delle piume, il palpitare delle ali? Tanto è vero che lo Spirito Santo ha voluto essere rappresentato sotto forma di colomba, non certo di piccione… Il piccione va bene solo per farlo arrosto, è un antenato della colomba, come il gorilla lo è dell’uomo. Ma il gorilla è a suo modo intelligente ed umano, il piccione neanche un po’. Ma quando mia madre mi ha pregata di portare lei e le sue sorelle in piazza, perché si sarebbero divertite a dar da mangiare ai piccioni, potevo dire di no? Anche se io li detestavo, potevo rifiutare di fare un’opera buona? Per accontentare una persona cara, sono disposta a tutto. L’impresa, però, non era facile. Perché la mamma aveva quattro sorelle e, per un disgraziato male ereditario, tutte e quante paralitiche, come lei. Perciò non si muovevano che in carrozzella. E portarle fuori in cinque era un problema. Dovevo legare una carrozzella all’altra e formare una carovana, una specie di trenino con sopra cinque vecchie signore paralizzate, cinque vecchie signore, ben pettinate, truccate, sorridenti felici di andarsene in giro. Ognuna su di un mezzo di locomozione proprio, ma che si muoveva insieme a quelli delle compagne. Ed io ero la loro guida. Era uno spettacolo insolito vederci sfilare. I vigili, quando spuntavamo, fermavano il traffico per far passare il corteo e loro ne erano fiere, perché si sentivano trattate come personalità di riguardo. Nonostante la loro disgrazia, durante la loro passeggiata, erano sempre allegre, poverine, si chiamavano ad alta voce, scherzavano, ridevano, cantavano come ragazzine in vacanza. Arrivate in piazza, slegavo le carrozzelle, le mettevo in circolo e distribuivo il pane da sbriciolare. I piccioni, diffidenti, osservavano il nostro arrivo da lontano, poi si avvicinavano, prima un poco timorosi e timidi, poi sempre più coraggiosi ed intraprendenti, Infine, rassicurati, ci circondavano, sfiorando in volo le nostre teste, posandosi sulle spalle, in grembo, tra i capelli. Con me non osavano queste confidenze, credo sentissero la mia ostilità. Ma non risparmiavano le mie adorate vecchiette che, come ridiventate bambine, si divertivano un mondo a sentirsi l’oggetto delle loro attenzioni e li vezzeggiavano, ridevano, inventavano per loro nomignoli affettuosi… Zia Clementina dimostrava il suo entusiasmo battendo allegramente le mani e le altre si seccavano perché applausi risate argentine facevano vola via gli uccelli. Temevano che non ritornassero e lei restava un poco mortificata, ma, poi, ecco che un piccione meno pauroso si avvicinava e dopo quello un altro ed un altro ancora e lo stormo, poco a poco, si riuniva attorno a loro che ne erano felici. I passanti si fermavano per osservare la scena. Una volta un signore piazzò anche la sua piccola telecamera per fare una ripresa e mia madre e le zie si sentirono protagoniste di quel filmato. A me, seduta su di uno sgabello pieghevole, tutte quelle loro smancerie davano un po’ noia. Ma le guardavo con tenerezza, mentre sbriciolavano chili e chili di pane, che i piccioni facevano subito sparire. E mi riposavo. Così passavano le nostre belle mattinate di sole, poi legavo nuovamente le carrozzelle e tornavamo a casa in gran fretta perché , data l’età, ce n’era sempre una che sentiva l’urgenza di un bisogno corporale. I piccioni ci guardavano andarcene completamente indifferenti perché altri ci avrebbero dato il cambio. Spesso mi accorgevo che, con ingratitudine e maleducazione, avevano lasciato cadere i loro escrementi sugli abiti o sulla testa di una delle mie vecchiette, che ridendo, dicevano che portava fortuna. Non a me, che avevo l’ingrato compito di far sparire le loro porcherie. La prima ad andarsene fu zia Clementina, che era la più ingenua, la più simpatica e quella che cercava di essere più autonoma. Sospetto se ne sia andata per aver preso una dose di medicina maggiore del dovuto. Si addormentò tranquillamente nel suo letto, serena, senza immaginare che non si sarebbe svegliata più… Invidiabile come morte… Ma è difficile sapere il motivo della morte, perché i medici quando si tratta della scomparsa di persone di età, non si compromettono e dichiarano che si è trattato di un arresto cardiaco. Certo, visto che la persona è morta, vuol dire che il cuore si è fermato. Ma i medici non si prendono la pena di indagare, non vogliono sentir parlare di autopsia. E così in piazza non si sentirono più gli allegri battimani di zia Clementina ed i piccioni non furono più turbati dalla sua vivacità. La mamma, che le era particolarmente legata, ne sentì molto la mancanza e non volle più andare dai piccioni perché le faceva male ricordare quando ci andava in sua compagnia. Appena un paio di mesi dopo, ci lasciò per un arresto cardiaco anche lei, per cui mi restarono soltanto più tre zie da portare in giro, ma, oramai, si erano immalinconite anche loro e preferivano starsene in casa. È proprio vero che le vecchie zie sono come le ciliegie, spariscono in fretta perché l’una tira l’altra. Nel giro di un anno, gli arresti cardiaci seguirono a catena, se ne andarono tutte e tre e sulle mensole non restarono che tante confezioni di medicinali. La solitudine mi dava un po’ di tristezza ed anch’io non avevo più voglia di uscire. Preferivo starmene sul terrazzo ad occuparmi delle mie piante grasse. Tornare da sola sulla piazza, non me la sentivo. Prima di tutto, perché non amavo i piccioni. E poi perché rivedendomi sul mio sgabello pieghevole in mezzo alle carrozzelle, mi avrebbe fatto male rievocare le risate ed i gridolini delle zie, le loro mosse, i loro festosi battimani. Ma, poi, un giorno mi accorsi che se Maometto non andava alla montagna, la montagna veniva da Maometto. Infatti sul terrazzo cominciarono ad arrivare frotte di piccioni. Forse erano quelli della piazza che venivano a reclamare il cibo, che non gli portavamo più? Erano anche insolenti, danneggiavano le mie piante, sporcavano ovunque e parevano seccati con me che non davo loro più cibo Pensai allora a tutti quei medicinali rimasti dopo la scomparsa delle mie adorate zie. Decisi di pestarli tutti assieme, unirli a croste di pane sbriciolato e dare questo miscuglio a quei dannati piccioni che lo reclamavano con tanta insistenza… Le medicine delle zie, potevano prendersele anche i piccioni… Riempii alcuni barattoli di queste medicine polverizzate, unendo pane secco. E quando ne sparsi un po’ sul terrazzo, per i piccioni fu veramente una festa grande. Evidentemente, con il loro speciale tam-tam, gli uni avvertirono gli altri e dopo neanche venti minuti il terrazzo era pieno di stormi di piccioni che si disputavano il cibo. Non ne avevo mai visti tanti. Nuvole di piccioni. Quando se ne volarono via, sul pavimento del terrazzo non era rimasto più nulla. Il mattino dopo ripetei l’operazione, ma stranamente la partecipazione dei piccioni fu minore. E minore ancora quella del terzo giorno… Quindi la loro presenza è diminuita sempre di più, di giorno in giorno. Infatti ieri ne è arrivato soltanto uno ed oggi, poi, ho avuto un bel guardare il cielo, da una parte e dall’altra: non ne è apparso nemmeno uno per sbaglio… Forse è successo ai piccioni come alle mie adorate zie alle quali somministravo con altrettanta dedizione i medicinali che erano in casa e che se ne sono andate in silenzio, l’ una dopo l’altra. Lasciando questa valle di lacrime senza soffrire. E senza neppure rendersene conto. Crisi cardiaca, hanno sentenziato i medici… Sarà stato così anche per piccioni?!
FINE