Un povero ragazzo

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UN POVERO RAGAZZO

Commedia in tre atti

di PEPPINO DE FILIPPO

Rappresentata dalla Compagnia De Filippo

PERSONAGGI

EMILIA

Il barone PIETRO SOLBELLI

ANDREA D'AL­BINO

MARIA DI LAURO

LUISA

IL COMMENDA­TORE, marito di Luisa

AN­TONIO DERICCIO

Il mar­chese DI SANTO

L'avvo­cato CAPPA

ESPOSITO, segretario dell'avvocato Cap­pa

La signora BIANCHINI e sua figlia

La marchesa DI SANTO

La contessa FIORINI e le figliole

AL­BA, cameriera d'Emilia

GIOVANNI, cameriere di Ca­sa Solbelli

FRANCESCO, cameriere di Andrea

AS­SUNTA, cameriera

Un al­tro  invitato   -   Due  facchini.

Commedia formattata da

ATTO PRIMO

Un salotto elegan­te in casa del barone Solbelli. Divani, tavote, sedie. Arcata in fondo che fa ve­dere il passaggio di coloro che attraver­sano il corridoio che si suppone in fondo alla scena.

(Al levarsi del si­pario Alba è intenta a disporre delle rose in un vaso. Tele­fono. Alba corre a rispondere).

Alba                              -  Pronto... Casa Solbelli. Sì, la signora baronessa è in casa. La chiamo subito (poggia il ricevitore sul tavolo e fa per andare).

Emilia                            - (entrando, ha sentito l’ultima battuta di Alba) Chi è?

Alba                              -  La signora Cacciotti, signora baronessa...

Emilia                            -  Sempre puntuale, per gli auguri, ogni anno, al mio compleanno. (Al telefono) Buon giorno, mia cara. Grazie, sei molto gentile. Sì, sto benissimo... Felice, sì... Gli anni non contano... Del resto, anche tu porti bene i tuoi quarantun anno (fa un gesto di intenzione verso Alba). Ah, no?... Scusami... Io credevo che tu ne avessi quarantino. Sono solo trentotto... meglio per te... Grazie, grazie. Sì, ci vedremo domani. (Mette a posto il micro­fono. Ad Alba) Hai capito? Trentotto, dice... E, già gli anni passano solo per me...

Alba                              -  Ma la signora baronessa è fresca come una rosa.

Emilia                            -  Eh! Se potessi essere più tranquilla, cara mia. E' tutto in ordine per il ricevimento?

Alba                              -  Tutto, signora baronessa.

Emilia                            -  Che noia! Ma mio marito vuole così... per lui non c'è altro che ricevimenti, gite, riunioni, pranzi, circoli...

(Entra il cameriere Giovanni che porta dei fiori).

Giovanni                       -  Signora baronessa...

Emilia                            -  Ancora rose... (Stacca dai fiori un biglietto e la legge) Luisa... Molto gentile...

                                      - (Entra Luisa dalla comune).

Luisa                             -  Mia cara Emilia, auguri... (Giovanni ed Alba escono).

Emilia                            -  Arrivi proprio insieme con le tue rose. Grazie...

Luisa                             -  Ti piacciono?

Emilia                            -  Tanto...

Luisa                             - - E il barone? (Siede).

Emilia                            -  Sarà al circolo. Il circolo ormai è diventato la sua seconda famiglia... E davvero gli costa come una famiglia... Perde sempre, a tutti i giochi. (Siede).

Luisa                             -  E quando andate in crociera?

Emilia                            -  Ma che crociera... Non me ho proprio voglia. Ci sono tante altre cose assai più importanti che mio marito dovrebbe fare e delle quali non se ne cura.

Luisa                             -  Cose importanti?

Emilia                            -  Non ne parliamo. Mi capisco io. Tu resti a pranzo  con noi, naturalmente. (Accende una sigaretta).

Luisa                             -  Grazie. Chi hai invitato?

Emilia                            -  E' tutta gente che conosci, meno D'Albino, mi pare. Ma no, conosci anche lui. E' quel giovanotto che incontrasti qui la settimana scorsa...

Luisa                             - D'Albino? Non mi ricordo...

Emilia                            -  Come no? Quel giovanotto bruno. Ma come non ti ricordi? Io vi sorpresi qui in salotto, che parla­vate animatamente...

Luisa                             -  Ah, sì, ricordo. E' un giovanotto distinto, sim­patico. Ma perché dici: «Vi sorpresi...»? Noi parlavamo ingenuamente, della sua carriera diplomatica mi pare. Non v'è proprio niente da malignare.

Emilia                            -  Ma no, io ho scherzato. Quantunque... Sai, quando un uomo fa la conoscenza di una bella signora, gli viene subito il desiderio di farle la corte, quasi senza volerlo, per abitudine, per istinto. Se il terreno è fertile, adatto, per dire così, nasce subito quell'invisibile fiorel­lino rosso a forma di cuore che si chiama amore. Luisa mia, «redimi. Niente malignità... Ma gli uomini sono così...

Luisa                             -  Meno male!

Emilia                            -  E tuo marito ?

Luisa                             -  A momenti verrà. Naturalmente è anche lui al circolo. I mariti... tutti uguali...

Emilia                            -  Già, ma il tuo almeno non è egoista come il mio. Pietro è il campione dell'egoismo. Pensa solo a sé. Quando una cosa va bene a lui, può cadere tutto il mondo. Ma forse è meglio avere questo temperamento. Con l'e­goismo, uno finisce per infischiarsene di tutte le preoc­cupazioni... (una pausa)... e anche dei propri doveri.

Luisa                             -  Ma perché lo tratti tanto male? E' così buono, ti vuole tanto bene.

Emilia                            - (ironica) Sì, tanto!... (Campanello, interno). Ecco qui. E' lui.

Luisa                             - (ridendo) Finalmente. Così finisci di criti­carlo, povero barone.

Emilia                            -  Macché critica e critica! Lui lo sa come io la penso e come lo giudico.

                                      - (Entra il barone Pietro Solbelli).

Pietro                            -  Eccomi qua. (Si avvicina ad Emilia e la bacia sulla fronte) A mia moglie ancora tanti auguri. (Baciando la mano a Luisa) E l'altra metà?

Luisa                             -  Quale?

Pietro                            -  Vostro marito, il commendatore.

Luisa                             -  Verrà subito.

Pietro                            -  Bravo, bravo. Avete visto mia moglie come sta bene, oggi? Le si darebbero vent'anni.

Luisa                             -  Ma certo. Sta benissimo.

Emilia                            - (punta sul vivo, a Pietro) Che vuoi dire? Lo sai bene che non mi cambierei con una ragazza di vent'anni.

Pietro                            -  E nemmeno io ti cambierei con una ragazza... Tu lo sai.

                                      - (Frattanto è entrato Giovanni con un altro fascio di rose).

Pietro                            -  Ancora fiori...

Emilia                            -  Date a me. (Giovanni esegue e via).

Pietro                            -  Chi li manda?

Emilia                            - (legge il biglietto che li accompagna) D'Albino...

Pietro                            -  Il padre o il figlio?

Emilia                            - (disponendo le rose in un vaso) Il figlio.

Pietro                            -  Andrea?

Emilia                            -  Sì, Andrea.

Pietro                            -  Bravo. Che caro ragazzo! E che belle rose!

Luisa                             -  Veramente belle. A mio marito invece piac­ciono le ortensie. Ieri ne portò a casa un fascio magnifico.

Pietro                            -  Saranno belle, ma a me sono antipatiche, le ortensie. E poi sono di cattivo augurio.

Emilia                            -  E finiscila. Se sapessi queste tue superstizioni come ti diminuiscono!

Pietro                            -  Superstizioni? (A Luisa) Vi assicuro che le ortensie sono  di  cattivo  augurio. Lo  sanno tutti.

Emilia                            -  Un uomo serio come tu credi di essere!

Pietro                            -  Prima di risponderti, vorrei sapere una cosa : hai ancora i nervi?

Emilia                            -  Nervi? E da quando ho mostrato di avere i nervi, di essere nervosa, io?

Pietro                            -  Da parecchio, mi pare.

Emilia                            - (ironica) Sarà. Ma io credo che anche questo è uno dei tuoi soliti errori.

Pietro                            - (calmissimo) Soliti?... Vorresti forse far cre­dere che io sbagli spesso e molto?

Emilia                            -  Se sbagli, è affar tuo.

Pietro                            - (un po' infastidito) Emilia mia, perché vo­gliamo litigare senza ragione? Proprio oggi che sono ve­ramente di buon umore...

Luisa                             - (a Emilia) Il barone ha ragione, Emilia. (A Pietro, scherzosa) Suvvia, don Pietro, di che stavamo par­lando? Ah, di superstizione...

Emilia                            -  Bene. (Ironica) Veramente interessante!

Pietro                            -  Cara mia, io sono stato sempre superstizioso, da che sono nato. E tu prima ti divertivi pure...

Emilia                            -  E adesso non mi diverto più. (Forte) Mi dà ai nervi. Mi pare che basti, adesso. (A Luisa) Figurati che è diventata una vera esagerazione. Se per la strada incontra qualcuno che non gli va a genio, subito     - (rifa­cendolo) «Emilia, tocca ferro», «Emilia, fai le corna». Non ti dico poi se un amico lo complimenta per la sua buona cera. E' uno scongiuro immediato...

Pietro                            - (ridendo) Ma no...

Emilia                            -  Non lo negare. Ti ho sorpreso io, tante volte, a fare così con la mano (fa il segno delle corna).

Luisa                             - (ridendo) Ma è vero, don Pietro?

Pietro                            -  Non lo nego. Sono superstizioso...

Luisa                             -  Ma sono idee, pregiudizi, caro don Pietro.

Pietro                            - . Idee? Pregiudizi? Ognuno ha i suoi. Ma è meglio cambiare discorso. (A Emilia) Non ti voglio dare dispiaceri. Dunque... Chi hai invitato, per oggi?

Emilia                            - (indica Luisa) Lei, col marito, la Di Santo col marito...

Pietro                            -  Il marchese? (Con tono di sorpresa) Di Santo?

Emilia                            -  Per l'orza, mio caro. Ieri mi telefonò perso­nalmente. Si può dire che si è invitato da sé, con la moglie.

Pietro                            - (con rabbia) E' naturale, è chiaro... Quella civetta sarà contenta solo quando mi vedrà morto...

Luisa                             -  Quale civetta? Il marchese?...

Pietro                            -  Sì, il marchese Di Santo. E' una civetta, un uccello di cattivo augurio, un guaio. (Fa con le mani il segno delle corna. A Emilia che lo guarda) Sì, scusatemi, ma devo fare le corna per forza. Tanto più che non sono solo io a pensarla così. Tutti lo sanno... Perfino gli amici del circolo, appena arriva (ripete il gesto delle coma).

Luisa                             - (ridendo) Veramente?

Pietro                            -  Signora, mi dovete credere. E' una potenza. E’ iettatore con la patente. Il mese scorso fu capace...

Emilia                            -  Ma finiscila, non dire sciocchezze!

Pietro                            -  E va bene... sono sciocchezze. Anzi, è meglio che non ne parliamo più, se no chi sa mai cosa succederà. Dio ci scampi!  (A Emilia) E chi altri hai invitato?

Emilia                            -  Maria di Lauro.

Pietro                            -  Benissimo. E poi?

Emilia                            -  Antonio Dericcio e D'Albino.

Pietro                            -  Andrea?

Emilia                            -  Sì... Anzi, lo invitasti tu... Siete sempre assieme.

Pietro                            -  E come no? E' tanto un bravo amico. (A Luisa) Un giovanotto veramente simpatico. Ha un avve­nire di prim'ordine. (A Emilia) E che programma hai fatto?

Emilia                            -  Come? Che programma? Pranzeremo.

Pietro                            -  Si capisce che pranzeremo. Ma, dicevo, dopo il pranzo che si fa?

Luisa                             - (a Emilia) Tu ci reciterai delle poesie. No? E' il tuo forte, e ce ne farai ammirare anche qualcuna delle tue.

Pietro                            - (tra il serio e ironico) La mia poetessa...

Emilia                            - (con finta indifferenza) Lo sapete che non mi faccio pregare. Se mi sentirò in vena...

Pietro                            - (scherzoso) Sarai in vena certamente. Altri­menti sarò costretto io a dire «Pia de' Tolomei ».

Luisa                             -  Sarebbe veramente interessante.

Emilia                            -  E' tardi. Vado a prepararmi.

Luisa                             -  Ti tengo compagnia. (Si alza. A Pietro) Per­messo. (Si avvia con Emilia).

Pietro                            -  Prego. (Trattenendo Emilia, con tono affet­tuoso) Emilia...

Emilia                            -  Che vuoi?

Pietro                            -  Sei in collera con me?

Emilia                            - (seccata) No.

Pietro                            -  Bene. Pensa che l'anno venturo, se Dio vorrà, la festa del tuo compleanno avrà ben altro significato.

Luisa                             -  Perché? Di che si tratta? È  una sorpresa?

Emilia                            -  Non l'ascoltare, scherza. (A Pietro) Una volta ci tenevo. Adesso non più, mio caro. Non tengo più a niente. Ricordatene... A niente. (Via con Emilia).

                                      - (Giovanni attraversa la scena).

Pietro                            - (a Giovanni) Vieni qui.

Giovanni                       -  Comandi, signor barone.

Pietro                            -  Tutto pronto, di là?

Giovanni                       -  Tutto, signor barone.

Pietro                            -  Senti bene. Quando arriverà quello là...

Giovanni                       -  Chi è quello là, signor barone?

Pietro                            -  Adesso te lo dico, ma fai prima le corna             (esegue).

Giovanni                       -  Le corna?

Pietro                            -  Sì, sì, altrimenti non lo posso nominare. Non le vuoi fare? Peggio per te. Senti, va in cucina e fatti dare un po' di sale... Non poco. Quando  (fa il segno) il marchese Di Santo entrerà in casa, lo spargerai in terra,sul suo cammino. Così (fa il gesto di spargere il sale).

Giovanni                       -  Il sale? Dietro al marchese?

Pietro                            -  Sì, dietro al marchese, senza perderlo di vista un momento.

Giovanni                       -  Per tutto il tempo che sta, qui?

Pietro                            -  Ma no. Solo quando arriva ed entra in casa. (Campanello interno). Anzi, fa un'altra cosa. Portami qui un po' di sale in una carta, che ci penso io, mentre sta qua (fa le corna) il marchese. Puoi andare.

Giovanni                       -  Come comanda il signor barone (via).

                                      - (Entrano Andrea d'Albino e Antonio Dericcio).

Andrea                          -  Caro don Pietro

Pietro                            -  Carissimo Andrea! Caro Dericcio!  (Scambio di saluti). Accomodatevi. Emilia sarà qui a momenti. (Seggono).

Andrea                          - (guardando le rose sul tavolo) Le mie rose al posto  d'onore...

Pietro                            -  Lo meritavano. (Offre delle sigarette. Antonio accende un cerino ed offre la fiamma al barone e ad An­drea. Poi fa per accendere la sua sigaretta).

Pietro                            - (spegnendo il cerino) No, in tre no. (Antonio sorride). Voi ridete. C'è chi non ci fa caso. Io sì.

Antonio                         -  Sempre le stesse idee.

Pietro                            -  Lo stesso uomo, quindi le stesse idee.

Andrea                          -  E la baronessa? Sta bene?

Pietro                            -  Benissimo...

Andrea                          -  Ho domandato perché, l'altra sera, mentre giocavamo a « poker », la baronessa disse dì non sen­tirsi bene. Infatti, era un po' pallida...

Pietro                            - (facendo le coma di nascosto) Sì. Ma ora sta bene.

Andrea                          -  E' contenta?

Pietro                            -  E perché no? E' contentissima. E vostro pa­dre? Mi dispiace che quest'anno non possa prendere parte alla nostra piccola festa. Salutatemelo tanto e ditegli che speriamo che per la prossima volta...

Andrea                          -    Grazie.  Povero   papà...  quanto  vi   vuole bene... Anche ieri parlavamo di voi e mi diceva: a Beato lui, quel Pietro. Sempre in gamba, sempre giovane, sem­pre sano come un pesce ».

Pietro                            - (preoccupato, facendo gli scongiuri) Già, già.  Gli  debbo  fare  una  visita...

Andrea                          -  Gli farete tanto piacere. Lui non lo sa, ma è grave. Il medico dice che non c'è rimedio...

Pietro                            -  Fate le corna, Andrea... fate le coma, (Giovanni entra dal fondo e si ferma presso l'uscio, mostrando a Pietro una carta). Questi medici sovente non sanno quello che si dicono. (A Giovanni che gli fa dei segni) Che vuoi?

Andrea                          -  Se sapeste che dolore provo nel pensare che tra un mese dovrò partire e lasciarlo in quello stato...

Pietro                            - (a Giovanni che fa sempre dei segni) Che vuoi? Avvicinati. (Ad Andrea) Scusatemi, Andrea.

Giovanni                       - (si avvicina e gli mostra la cartina. A bassa voce) Il sale, signor barone.

Pietro                            -  Ah, non mi ricordavo più. Hai fatto bene... (prende la cartina e l'intasca, senza che gli altri due se ne accorgano) Puoi andare. (Giovanni via).

                                      - (Entrano Luisa e Emilia).

Luisa                             -  Buon giorno.

Emilia                            -  Carissimi amici!  (Vedendo Andrea, il suo volto si illumina di gioia e gli tende la mano).

Andrea                          - (baciando la mano) Auguri infiniti.

Antonio                         -  Auguri' infiniti (e le bacia la mano).

Emilia                            - (ad Andrea) Grazie per le bellissime rose.

Andrea                          -  Mio dovere, baronessa. Mio stretto dovere. (Tutti seggono).

Emilia                            - (ad Andrea) Siete arrivato in anticipo. Questo mi lusinga molto.

Andrea                          -  Già... Cioè, non mi ricordavo se l'invito era per l'una o per l'una e mezzo. E allora, per non sba­gliare... (Antonio gli dà un piccolo colpo col gomito).

Pietro                            - (con ironia) Questa, caro mio, non è una risposta da futuro diplomatico, perché avete detto la verità commettendo così una « gaffe » enorme, nei ri­guardi di una signora...

Andrea                          -  Già, è vero... Vi domando scusa.

Pietro                            -  Ma che scuse; queste sono « gaffes » imper­donabili soprattutto per un giovanotto. Facciamo un'ipo­tesi, un'ipotesi soltanto... Supponiamo che mia moglie fosse stata segretamente innamorata di voi...

Andrea                          -  Ma, caro barone, cosa dite mai?

Pietro                            -  Ho detto: supponiamo. E' un'ipotesi. Dun­que, questa signora vi dice: «Siete in anticipo. Ciò mi lusinga molto». Allora i casi sono due: o non siete anche voi innamorato di lei, e allora dovete rispondere, da perfetto diplomatico : « Desideravo, «ignora, porgervi per primo il mio saluto ». L'altro caso: anche voi siete innamorato, e allora dovete dire: «Ero convinto, cara, che anticipando la mia presenza qui, il vostro cuore ne avrebbe gioito ». Ma siccome Emilia non è la signora che ho messo in questione, e voi tanto meno il giovanotto di cui parlavo, mia moglie vi perdonerà la mancanza di diplomazia, apprezzando la vostra sincerità.

Andrea                          - (ridendo) Accetto la lezione.

Luisa                             -  Lezione meritata.

Andrea                          -  Meritatissima. (A Emilia) Mi avete per­donato?

Emilia                            -  Ma certamente.

Pietro                            -  Non è Una lezione, Andrea. Ho scherzato. Intanto, nell'attesa, propongo un vermut, un aperitivo. (A Luisa) Venite, signora?

Luisa                             -  Volentieri. (Si alza) Emilia, vieni?

Emilia                            - (ad Andrea) Un vermut? (Esce con Pietro e Luisa).

Antonio                         - (trattenendo Andrea) Hai visto? Non è come ti dicevo?

Andrea                          -  Che cosa?

Antonio                         -  Ma come? Sei cieco? La baronessa...

Andrea                          -  Antonio, ti prego, non scherzare. Ogni tanto fai una scoperta.

 

(Mentre i due continuano a parlare sottovoce, non si avvedono che il marchese Di Santo attraversa la scena, da destra a sinistra, seguito dal cameriere Giovanni che sparge sale dietro i suoi passi).

Antonio                         -  Ma come, non ti sei accorto come ti guarda? Con tenerezza, con amore. Non ti sei accorto che quando ti parla diventa pallida?

Andrea                          - (ingenuo) Veramente? Ma tu stai costruendo un vero romanzo.

Antonio                         -  Ma che romanzo! Sei cieco, cieco ti dico.

Andrea                          -  Ma no, Antonio, tu ti sbagli. La baronessa è una donna onestissima. Ed io non mi sono accorto di niente, di niente, mai. Poi tra un mese devo partire e non voglio complicazioni.

                                      - (Attraversano la scena, in fondo, tal signora Bianchini con la figlia, la contessa Fiorini e un altro invitato. Scam­biano saluti, attraversando la scena, con Andrea e An­tonio).

Antonio                         - (continuando il discorso) Già, non ti sei accorto di niente; ma mi dici perché le hai mandato le rose?

Andrea                          -  Per cortesia. E poi (indicando gli altri fiori) non sono stato il solo.

                                      - (Entra Maria di Lauro).

Maria                             -  Buongiorno. Si può prendere parte ai vostri discorsi ?

Antonio                         -  Oh, signorina Maria. Voi siete sempre la benvenuta.

Maria                             -  Arrivo in ritardo, perché ho dovuto aspettare che rientrasse mia zia. (Ad Andrea) E voi? Ve ne state lì, senza parlare?

Andrea                          - (complimentoso) Vi ammiravo in silenzio, signorina Maria.

Maria                             - (ridendo) Strano... Pare invece che non v'in­teressiate mai di niente...

Andrea                          -  Pare, signorina Maria, pare. Io...

Maria                             -  Voi?

Andrea                          -  Io che...?  (Timidamente) Niente...

Maria                             -  Sempre lo stesso, voi. Sempre timido. Sapete che vi ho dato un soprannome?

Andrea                          -  Un soprannome? A me?

Maria                             -  Sì; ma spero che non vi offenderete...

Andrea                          -  Che soprannome?

Maria                             -  La mammoletta.

Antonio                         - (ridendo) La mammoletta... Ah, che...

Maria                             - (ad Andrea) Vi siete offeso? Io scherzo...

Andrea                          -  Scherzate, scherzate pure

Maria                             -  Ma intanto non vi siete accorto di una cosa.

Andrea                          -  Che cosa?

Maria                             - (con disappunto) Siete proprio debole di me­moria. Non vi siete accorto che ho messo lo stesso vestito di sabato scorso?

Andrea                          -  Sabato scorso?

Maria                             -  Sì, quando siamo andati a Ischia, con Emilia e don Pietro. Non vi ricordate?

Andrea                          -  Sì, mi ricordo. (Candidamente) E allora?

Maria                             - (sconcertata) Ma come? Non mi diceste: «Siete adorabile, con questo vestito»?

Andrea                          -  Ah, sì, sicuro. Ricordo. (Impacciato) E lo avete indossato  oggi, per me?

Maria                             - (civettuola) Sicuro.

Andrea                          - (sempre più impacciato) Ma brava... grazie...

Maria                             - (irritata) Ho scherzato. Sì, ho messo questo perché la sarta non ha fatto in tempo a consegnarmi un nuovo vestito. Ecco perché...

Andrea                          -  E allora perché non cambiate sarta?

 Maria                            -  Lo farò, cambierò sarta. (Ironica) Gambiere sarta... e tutto.

                                      - (Vengono dal fondo Luisa, Emilia e gli altri invitati).

Luisa                             - (ad Emilia) Ecco…Andrea è qua. (A Maria) Cara Maria...

Emilia                            - (a Maria) Mia cara. (A Luisa) Ma io non cercavo Andrea. Volevo sapere dove si trova Pietro.

Andrea                          -  Non saprei, baronessa!

                                      - (Rumore interno di un oggetto che va in frantumi).

Emilia                            -  Dio mio, che succede?

                                      - (Dal fondo, a sinistra, Pietro, seguito dal marchese Di Santo).

Pietro                            - (al marchese) Ve lo avevo detto, io, caro marchese? (A Emilia) E l'avevo detto anche a te. Sei contenta, ora? Si è rotto il più bel piatto' della colle­zione... un vecchio Capodimonte...

Di Santo                        -  Che peccato!

Pietro                            - (acceso) Peccato un corno, caro marchese. Il vostro è vandalismo, vandalismo malvagio.

Di Santo                        - (guardandosi intorno, con calma) Lo ve­dete? Adesso se la piglia con me. Che c'entro, io?

Pietro                            -  Sono stato io, forse? (Prende il marchese per il bavero della giacca) Io?

Di Santo                        -  E che c'è? Che vi prende? Per vostra regola, il piatto era appoggiato su quella specie di mensoletta. Signori miei, una mensoletta piccola così, per un piatto così grande. Voi, poi, passando, l'avete urtato con il braccio.

Pietro                            -  Ma quand'è che l'ho urtato con il braccio? Proprio mentre voi dicevate: «State attento, quel piatto potrebbe cadere... ».

Di Santo                        - (agli altri) Lo vedete com'è?

Pietro                            -  Ma com'è, chi? Che cosa? Siete il solito... invadente. E poi vi rammaricate che tutti si tengano lon­tani da voi...

Dì Santo                        -  Barone, vi rendete conto di quello che dite?

Pietro                            -  Perfettamente, caro marchese. Perfettamente. Querelatemi, sfidatemi a duello. Lo potete mettere in dubbio che siete iettatore?

Di Santo                        - (meravigliato, ridendo) Iettatore, io? Io?

Emilia                            - (intervenendo) Luisa, marchese, non date retta, è uno scherzo.

Pietro                            -  Macché scherzo! Queste sono cose serie.

Emilia                            -  Pietro, il piatto si aggiusterà: finiamola.

Dì Santo                        -  Ecco, si aggiusterà. Del resto, se volete, ve lo pago.

Pietro                            -  E' facile a dirsi. Come se costasse un soldo!

Dì Santo                        -  Si può incollare:.se volete, me ne interesso io stesso.

Pietro                            -  Per l'amor di Dio. Non v'incomodate...

Maria                             -  Barone, non vi voglio vedere in collera. Ve­nite con me (gli prende il braccio). Quanto siete ner­voso, non mi siete affatto simpatico!

Pietro                            - (calmo) Cara Maria, bisogna scusarmi. Era un piatto di' valore -  ed era anche un ricordo di famiglia... (Maria e Pietro si avviano verso il fondo).

Dì Santo                        - (« Pietro) Dove andate?

Pietro                            - (inciampa, sta per cadere, e allora dice subito con rabbia) Vado di là con la signorina. Fatemi il favore, caro marchese, non parlate. (Esce con Maria).

Di Santo                        - (agli altri) Mio Dio, che caratteraccio. Si rompe un piatto e se la piglia con me. (Via, chiacchie­rando con gli altri. Restano soli in scena Emilia e Andrea).

Emilia                            -  Andrea, volevo domandarvi...

Andrea                          -  Dite, baronessa.

Andrea                          - (in tono malizioso) Le prove? Con chi? Con voi?

Emilia                            -  Con me? E che c'entro io? (Ride). Con un tipo che vi possa interessare. Come faccio a sapere se v'interesso  o no?

Andrea                          -  Voi? Ma voi siete tutt'altra  cosa.

Emilia                            -  Che volete dire? (Con apprensione). Non vi piaccio  forse?

Andrea                          -  Tutt'altro...  Voi...

Emilia                            - (con ansia) Io?

Andrea                          -  Nessuna  donna è più interessante  di voi.

Emilia                            - (soddisfatta e commossa) Non mi avete mai fatto  un  complimento  così  grazioso.

Andrea                          - (confuso) Già. (Poi, per cambiare discorso, come chi non voglia continuare sull’argomento, prende dal tavolo un libro e lo mostra ad Emilia) Poesie...

Emilia                            -  E' il libro che mi donaste voi... C'è anche la dedica.

Andrea                          -  Già. Ve lo donai perché amate tanto le poesie...

Emilia                            -  ... e perché mi diceste che ve n'è una che vi piace tanto: «Rose di marzo».

Andrea                          -  Già... Rose di marzo...

Emilia                            -     ... ed   io  l'ho   imparata   a   memoria,  pen­sando  a voi. Ascoltatela:   «Ricordate?  Moriva  nel  cre­puscolo  - freddo, un  po' triste  di  marzo.  Sulle  cose era un velo  sottil   come   di  lacrime   -   ma  fiorivan  le rose! - Parlavamo d'amor. Beffardi e scettici, - dicendo amare cose, crudelmente, - ed io sentivo in voi l'estre­mo  fingere,   -   voi pensavate:   ei  mente! Parlavamo d'amor. Ma  il riso  cinico - si spense  in noi,  quasi da un soffio tocchi; - voi vi stringeste a me, presa da un brivido;  - io  vi baciai  sugli occhi! Ricordate?  Era intorno alto il silenzio - e una nebbia pesava sulle cose   come  un  velario  che  scendesse  placido   -   su  quelle morte  rose!... ».

Andrea                          -   Siete  adorabile.

Emilia                            -  Avete detto: adorabile. Grazie. Voglio re­galarvi una rosa... una delle vostre rose... (fa per to­gliere una rosa dal fascio).

Andrea                          - (trattenendola con galanteria) Faccio io, vi prego (fa per staccare una rosa dallo stelo, ma si punge)   Ahi!...

Emilia                            - (premurosa) - Vi siete fatto male?

Andrea                          -   No.

Emilia                            - (con dolcezza, poeticamente) Dono che punge, amore ti  giunge.

Andrea                          -   Già. (Cerca di staccare la rosa dallo stelo, Emilia lo aiuta. Ora le loro mani si toccano, mentre Emilia fissa il suo sguardo appassionato in quello di Andrea. Questi stacca la rosa e la porga ad Emilia).

Emilia                            - (prende  il fiore, lo porta alle labbra e dice quasi con un fil di voce) Che dolce profumo!  (Poi dà il fiore ad Andrea). Per mio ricordo, Andrea.

Andrea                          -   Grazie,  baronessa   (prende  la  rosa),

Emilia                            - (che tiene ancora stretta fra  le sue la mano di Andrea, che mal sopporta il dolore causatogli dalla spina della rosa, gli dice piano con effusione) Chia­matemi 

Emilia, Andrea. Andrea         - (sconcertato) Va  bene... (Vocio  interno,  dalla  sinistra).

Emilia                            - (staccandosi da Andrea e cercando di assumere un atteggiamento naturale e indifferente) Vi prego...

Di Santo                        - (dal fondo) Eccola qua, la nostra baro­nessa. (Lo seguono Luisa, Maria, Pietro, Antonio e gli altri invitati).

Emilia                            -  Quando partirete?

Andrea                          -   Tra un mese, spero.

Emilia                            -  «Spero »? Cioè, non siete sicuro? E allora la vostra innamorata, se l'avete, può ancora nutrire qual­che speranza...

Andrea                          -   No. Prima di tutto perché non ho innamo­rata. E poi la mia partenza è sicurissima.

Emilia                            -  Come lo dite! Siete proprie così felice di partire?   Tanto  ci  tenete  a  lasciarci?

Andrea                          -   Lasciarvi? Che dite mai? Ma si tratta del mio avvenire...

Emilia                            - (con civetteria) Ma tome? Non avete niente, proprio niente che vi trattenga qui, che vi fac­cia  desiderare  di  non partire?

Andrea                          -   Niente, finora. Niente.

Emilia                            - (c. s.) Solo finora? Meno male.

                                      - (Pausa. Si sentono dall'interno rumori di conversa­zioni e risate).

Andrea                          -   Si  divertono. (Passa a sinistra di Emilia con fare  impacciato).

Emilia                            -  Al contrario di noi, credo.

Andrea                          -   E perché?  Vi annoiate, forse?

Emilia                            - (con un'occhiata languida) Io no, anzi! Preferisco la solitudine alla compagnia di tanta gente. Tutti bravi amici, ma io preferisco la solitudine. E poi non sono sola.

Andrea                          - (impacciato) Già.

Emilia                            -   E  voi?

Andrea                          - Io? Ah, sì, ho capito. Ecco: io quando sono  in  compagnia preferisco la  compagnia...

Emilia                            - (ridendo) ...e quando siete solo preferite la solitudine   (ride).

Andrea                          -   Mi sono confuso. Veramente io non ho preferenze.

                                      - (Una pausa).

Emilia                            -  Perché non  sedete?

Andrea                          -   Subito. (Siede).

Emilia                            -  O preferite andare di là, con gli altri? (An­drea si alza). Volete andare di là?

Andrea                          - (siede) No. Qui sto' benissimo, in vostra compagnia.

Emilia                            -  Ah, non avete paura?

Andrea                          -   Paura di che? Di voi? Non è la volta che siamo soli, insieme.

Emilia                            -  Già... Dicevo: paura del marito o mante, supposto che io ne abbia uno.

Andrea                          -   In questo  caso dovrei aver paura di don Pietro.

Emilia                            -  Ma Pietre non è geloso.

Andrea                          -   E' troppo sicuro di voi, del vostro affetto.

Emilia                            -    Già,   del   mio   affetto  (lo guarda  tenera­mente).

Andrea                          - (confuso da quello sguardo, dopo una pausa) Mi  guardate in un certo modo...

Emilia                            - (c. s.) Io?

Andrea                          -   Non se, mi mettete quasi soggezione. E' strano.

Emilia                            - (c. s.) Io? E perché? Siete voi che, non so, mi sembrate tanto timido... ed  oggi più che mai.

Andrea                          -   Timido, è vero, lo sono... Chissà che pen­sate  di me...

Emilia                            -  E  che  devo  pensare?   Proprio  questo.

Andrea                          -   Mi  giudicate  proprio  tanto  timido?

Emilia                            -  Per quello che mi consta... io... non saprei... occorrerebbero  delle prove...  (ride maliziosamente).

Andrea                          - (impacciatissimo, con la mano dolorante, tenta di assumere un atteggiamento disinvolto, nascondendo la rosa in tasca) La baronessa mi faceva gustare una sua deliziosa poesia...

Pietro                            -  Ve lo avevo detto, io... Emilia certamente sta declamando versi, e il povero Andrea...

Andrea                          -   Ma per me è stato un onore, un piacere...

Emilia                            - (ad Andrea, con un sorriso) Grazie. (A Pietro) Tu, poi, sei sempre   gentile...

Di Santo                        - (od! Andrea) Quale poesia vi ha fatto sentire?

Andrea                          - (sempre più impacciato, non risponde).

Maria                             -  Dopo pranzo, la ripeterai per noi...

Emilia                            -  Certamente. (Via con Luisa e Antonio, pel fondo a sinistra).

Maria                             - (ad Andrea, ironica) E voi sarete costretto a riascoltarla. (Via pel fondo a sinistra).

Andrea                          -   Sarò ben lieto.

Di Santo                        -  Giustissimo. Non vi sentirete male per questo... (Via per il fondo, a sinistra).

Pietro                            - (ad Andrea) Andrea, avete sentito? Fate le corna (fa il gesto con la mano, come per invitare a imi­tarlo). Fate le corna.

Andrea                          - (distratto, equivocando sulle parole di Pie­tro) Io?

Pietro                            -  Sì, voi, sì. Non lo avete sentito? Fate le corna.

Andrea                          - (c. s.) Io? Le corna?... Le debbo fare?

Pietro                            -  Vi consiglio di sì. Sono proprio necessarie.

 (Mentre Pietro si allontana per il fondo a sinistra e Andrea rimane solo, sempre più sconcertato, cala la tela).

Fine del primo atto

ATTO SECONDO

QUADRO    PRIMO

Un elegante salotto nell'appartamentino da scapolo di Andrea. Tendaggi, divano, poltrone. Telefono sul tavolo.

 (All'alzarsi del sipario, Andrea è in scena, solo).

Francesco                      - (cameriere, entrando dal fondo a sinistra) Tutto è pronto.

Andrea                          -   Avete chiuso tutto?

Francesco                      -  Ho lasciato fuori solo quello che può essere necessario al signore per due giorni.

Andrea                          -   Stasera farete partire tutto. Per questi due giorni che ancora sarò a Napoli, basterà un pigiama, un po' di biancheria. Fate una valigia e portatela a casa di mio padre. Dormirò lì, questi ultimi due giorni.

Francesco                      -  Benissimo, signore (fa per andare) Ah, dimenticavo. Ha telefonato la signorina Di Lauro, l'amica della signora baronessa Solbelli...

Andrea                          -   Quando?

Francesco                      -  Circa un'ora fa. Anzi, ha telefonato due volte. Voleva parlarvi. Ha detto che ritelefonerà.

Andrea                          -   Va bene, andate. (Francesco via per il fondo. Squillo di telefono).

Andrea                          -   Pronto. Oh, buongiorno, signorina Maria. Dove? A Sorrento?  Tra  un'ora non è possibile. Non posso, proprio non posso. Sono già la undici, quasi, e ho un appuntamento... D'affari, sì, d'affari... vi giuro. Ecco... facciamo così... Verso l'una... vi raggiungerò a Sorrento. Sì... sì... Arrivederci (riattacca il ricevitore).

                                      - (Entra Antonio Dericcio).

Antonio                         -  Caro don Giovanni!

Andrea                          - (ridendo) Mio caro Casanova. Come va?

Antonio                         - (siede) Non c'è male, non c'è male...

Andrea                          -   Mi devi dire qualche «osa?

Antonio                         -  No, cioè sì. (Guardandosi intorno) Fiori… profumi... Vuoi o non vuoi, io ti debbo dire una cosa... Tronca subito.

Andrea                          -   Tronca subito? E che vuoi dire?

Antonio                         -  Tu mi capisci. Tronca subito, ti ripeto. Ormai la cosa comincia a essere pericolosa. Con le donne a quella età non si può mai sapere. Sono gli ultimi ba­gliori...

Andrea                          -   Tra due giorni tutto sarà finito. (Prende una lettera dal tavolo) Ecco la comunicazione del Mini­stero. E' arrivata stamane. Dopodomani, partenza per l'Australia. Già sono pronti i bagagli.

Antonio                         -  Ah! E con lei, come fai?

Andrea                          -   Come? Come faccio? Ho fatto tanto per riuscire: adesso devo pensare solo a me. Ho un piano meraviglioso. (Guarda l’orologio). Anzi, fammi il favore, vattene.

Antonio                         - (ridendo) Mi metti alla porta? Se sono qui da cinque minuti appena!

Andrea                          -   Già. Ma ecco... Sai, quella signora deve venire alle undici... Ed è puntuale. Non voglia Dio che ti trovi qui. Perché quella non bussa nemmeno. Si è fatta pure la chiave.

Antonio                         -  E allora ti lascio libero... Adorabile Romeo... E buon divertimento. M'informerai, spero?

Andrea                          -   Certo... Ci vedremo stasera... (Antonio via).

                                      - (Andrea, rimasto solo, suona un campanello. Entra Francesco).

Francesco                      -  Comandi.

Andrea                          -   L'ora esatta.

Francesco                      -  Le undici meno due minuti, signore.

Andrea                          -   Potete andare. Siete libero fino a stasera.

                                      - (Francesco via. Andrea cammina un po' agitato per Ut scena, siede, si rialza, accende una sigaretta. Un orologio interno comincia a suonare chiaramente le ore. All'undi­cesima colpo, appare Emilia).

Emilia                            -  Eccomi a te, amore mio.

Andrea                          - (baciandole la mano) Puntualissima, come sempre. (Si baciano).

Emilia                            - (lo attira verso un divano) Siedi vicino a me, tesoro mio caro. Bravo, così, vicino vicino. Come ti amo, come sono sempre ansiosa di vederti. Ansiosa come il primo giorno. Dammi una sigaretta. (Dopo che Andrea ha acceso la sigaretta). Eccomi qui da te, per la ventesima volta.

Andrea                          -   Le hai contate?

Emilia                            -  E come no? Non sono questi i momenti più belli della mia vita... anzi della nostra vita? Mi sembra di avere un'altra volta quindici anni. Amavo la vita allora, come adesso amo te. Amore vuol dire felicità. Perciò sono oggi felice come allora. E tu? Non sei felice?

Andrea                          - (esitante) E ne puoi dubitare? Felicissimo!

Emilia                            -  E vuoi bene solo a me, solo a me, no? Già, perché vorresti ingannarmi? Non mi hai baciato, la prima volta,  con la stessa mia febbre, con la mia stessa passione?

Andrea                          -   Ma certo, ma certo. (Come per cambiar di­scorso) E il barone?

Emilia                            -  Che c'entra mio marito, adesso? Perché me ne parli? Io cerco sempre di scacciarlo dal mio pen­siero, perché non lo contamini con la sua presenza. Cerco sempre di «cacciare il suo ricordo dal mio cuore, perché non macchi la purezza del nostro amore, circon­dato da un'aureola di poesia. Andrea, Andrea... tu mi conosci. Sono troppo sensibile... non sono una donna superficiale. Sono tutta tua, tutta, tutta...

Andrea                          -   E' vero. (Con falso trasporto di passione) Mia, mia!  (Con aria tristo) Ma la felicità, ahimè, è inafferrabile... (si commuove e gira la testa come per nascon­dere una lagrima).

Emilia                            -  Inafferrabile? Ti sbagli... Io sono qui, tutta tua. E tu mi ami, mi adori. Non è vero? Guardami, Andrea. Ma perché ti volgi di là? Perché non mi guardi?

Andrea                          - (che si è bagnato gli occhi con un po' di sa­liva) Ma no... lasciami Emilia... Lasciami. Ah, come sono infelice!

Emilia                            -  Ma tu piangi!  Anima!  Andrea mio!

Andrea                          -   Come sono infelice, Emilia!  (scoppia in singhiozzi).

Emilia                            -  Tu mi spaventi! Che accade, Andrea mio?

Andrea                          -   Che momento terribile! Ti amo, ti adoro... Eppure, pensando al nostro amore, mi si spezza il cuore. Sono un vile, non devo piangere... (Più forte) Che mi si lasci piangere, per pietà.

Emilia                            -  Anima mia, dimmi...

Andrea                          -   Che devo dirti? Guarda che terribile destino     - (le dà la lettera). Guarda. E' la comunicazione del Mi­nistero. E' il risultato del concorso. Dopodomani devo partire.

Emilia                            -  Per dove?

Andrea                          - (drammatico) Per terre lontane... Per l'Au­stralia.

Emilia                            - (dopo una breve pausa, con tono tragico) L'Australia!... Dopodomani!...

Andrea                          -   Già... E' fatale...

Emilia                            -  E che farai? Che hai deciso?

Andrea                          - (fingendo una grande commozione) E me lo domandi? Devo andare. Se io rinunciassi alla mia car­riera, mio padre ne morirebbe. Ma come farò a vivere lontano da te? Solo la sicurezza del tuo amore, la spe­ranza del ritorno possono essermi di sollievo. Che tri­stezza, che tristezza. Io ne morirò! (piange).

Emilia                            - (carezzandolo e parlandogli piano, come a un bambino) No, non così, non così, Andrea. Non ti ho mai visto piangere e non voglio che tu pianga. Coraggio. Per il tuo bene è necessario che tu parta.

Andrea                          - (con falso tono di dolore, ma felice in se) E poi consigliarmelo tu, Emilia? Tu vuoi strapparmi il cuore. No, non partirò.

Emilia                            - (decisa) Tu partirai.

Andrea                          -   No, non posso, è impossibile.

Emilia                            -  Tu partirai! (Decisa) E' necessario che tu parta. (Andrea ostenta un atteggiamento di vittima). Devi, lo devi. (Passeggia per la scena, nervosa, eccitata, mentre Andrea appare accasciato sul divano). E' necessaria una grande risoluzione, Andrea. Parti. (Piccola pausa). Io ti seguirò...

Andrea                          - (balzando dal divano) Eh? Che hai detto?

Emilia                            -  Ti seguirò...

Andrea                          - (risiede siti divano) Dove? Dove vuoi se­guirmi?

 

Emilia                            -  In Australia. Ho deciso. Abbandonerò tutto e tutti, per la nostra felicità. Parto con te, amore mio.

Andrea                          -   Emilia! Ma tu vaneggi. Non pensi allo scan­dalo!..

Emilia                            -  Può mai uno scandalo valere quanto una felicità?

Andrea                          -   Già, certo. (E' assai impacciato) Ma rifletti, ragiona. E5 necessario salvare le apparenze, per te, per il tuo nome...

Emilia                            -  Non pensare a me. Posso agire così. Ho de­ciso. Ti amo tanto, tu mi ami... Perché soffrire?

Andrea                          - (deciso) Questa è follia... E io non posso permetterti di essere folle fino a questo punto. Che scioc­chezze...

Emilia                            - (delusa, lo guarda. Poi in tono severo) Non sono sciocchezze. Sono le conseguenze di un grande amore. Sono le gioie e le speranze di chi ha tutto donato», di chi senza timore è venuta da te, ogni volta più inna­morata, più ardente...

Andrea                          - (confuso) Già, è vero, ma devi pensare che io...

Emilia                            - (fredda) Che tu? (lo scruta con lo sguardo).

Andrea                          - (dopo breve pausa, con decisione) Che io non voglio. Ecco (e la fissa).

Emilia                            -  Non vuoi? Dio, quell'espressione, quel tono... (Il suo volto si contrae, ha un'espressione di muto dolore) Bene!

Andrea                          -   Certo. Tu non comprendi...

Emilia                            -  Temo purtroppo di aver compreso. Ed è per­ciò inutile che io ti spieghi tante cose. (Siede, quasi pian­gendo) E io che credevo di poter essere, un giorno felice, tua... tutta tua...

Andrea                          -   Ma verrà, verrà quel giorno...

Emilia                            -  Non lo dire. H nostro amore è stato tanto breve e poteva durare tutta la vita. Peccato!

Andrea                          -   Ma no, Emilia, non dire così. Tu sai... (la accarezza). Io sono...

Emilia                            -  Un vile!

Andrea                          - (offeso) Emilia!

Emilia                            - (alzandosi e passando all'altro lato della scena) ... un vigliacco... che seduce una povera donna e poi la dimentica, l'abbandona, passato il capriccio. Ecco quel­lo che sei. (Cade su di una poltrona).

Andrea                          - (tentando di calmarla) Emilia mia, il tuo Andrea non; merita queste parole (l'abbraccia). Compren­dimi... (la tiene abbracciata).

                                      - (Dal fondo della scena entra Pietro. E' freddo, calmis­simo, ha in mano una chiave).

Pietro                            -  Buongiorno. (Al suono della sua voce, An­drea ed Emilia si sciolgono dall'abbraccio atterrai). Buon­giorno. Quel fabbro è stato un ottimo maestro... ha co­piato (a Emilia) la vostra doppia chiave a perfezione. (Butta la chiave sul tavolo) Tenete... Non mi serve più. A voi può essere utile. (Guardandosi intorno) Graziosissima, questa «garsonnière ». ('Fa per sedere) Permet­tete?

Andrea                          - (impacciatissimo) Prego, vi pare.

Pietro                            -  Grazie. Ah, com'è soffice! Adattissimo per la circostanza. (Pausa. Ad Andrea) Vorrei sapere da voi una sola cosa. Da quanto tempo siete l'amante di questa si­gnora? (Andrea tace). Rispondetemi, vi prego.

Andrea                          -   Da un mese, mi pare. Trentadue, trentatrè giorni.

Pietro                            -  Trentaquattro!

 

Andrea                          - (sincero) Con oggi? (Pietro non gli rispon­de). Già, con oggi trentaquattro.

Pietro                            -  Proprio come mi hanno riferito. Poco più di un mese. Ma era necessario un sopraluogo... senza aver troppa fiducia nelle chiacchiere degli amici. E' proprio vero... Non erano chiacchiere. Erano fatti.

Andrea                          -   Ma...

Pietro                            - (serio e severo) Tacete!  (Ironico) Avete sa­puto scegliere. Non c'è che dire. Una donna di classe, di gusti raffinati, poetessa anche. Siete stato fortunato. Forse trentaquattro o trentacinque giorni fa, uscendo di casa, vi siete imbattuto in un gobbo o in un cavallo bianco, col soldato a venti passi da voi. Certo dev'essere stato così. Io, invece, che ho avuto il dolore di perdere il suo affetto (indica Emilia) evidentemente devo questo dispia­cere all'incontro che feci, qualche tempo fa, con un fa­moso iettatore. Ma, ormai, non c'è niente da fare. Tra­gedie niente. Sarebbe assurdo. Una donna come lei è osti­nata e irremovibile... Voi, povero diavolo... (Andrea fa per rispondere). Vi ho già detto di tacere, giovanotto. Tacete. Non valete lo scandalo che ne seguirebbe. Quindi devo limitarmi a non valutare l'accaduto più di quello che valete tutti e due. Lei può fare a meno di consigli. La esperienza della sua età le consente di farne a meno. Il fatto mi dimostra che non mi è appartenuta mai, che non ha mai voluto appartenermi...

Emilia                            - (scattando) Come osi dire questo?

Pietro                            - (deciso) Non ti permetto di aggiungere altro, in mia presenza, perché, ora come ora, potrei uccidervi tutti e due  (mostra una rivoltella). Taci!  (Ad Andrea) A voi poi credo di poter dire, con esattezza approssimativa, quanto questa relazione potrà durare. Non molto, a conti fatti. (Cava un taccuino) Finanziariamente state maluccio. Vostro padre vi dà mille lire al mese, vi paga questa casa, e basta. Sei mesi or sono ereditaste da vostra zia circa trentamila lire. Ve ne restano, press'a poco, oggi, venti­mila. Non vi piace lavorare, perciò non c'è speranza che possiate guadagnare del danaro. Non vi resta che aspet­tare la morte di vostro padre... fra cento anni... spero. Quindi, poche risorse, le vostre. Lei  (indica Emilia) non ha niente, all'infuori dei gioielli che ha indosso... di un valore relativo... E poi, come si vende adesso! Conclu­dendo: al massimo vi restano quattro mesi, mettiamo cinque, di vita comoda, passati i quali comincerà il mio divertimento. E credo che il mio gusto sarà tanto da ripa­garmi a usura della malignità dei conoscenti che ora mi considerano un povero cornuto, incapace di farsi ragione, cavallerescamente o volgarmente. Niente, niente di tutto questo. La mia vendetta sarà assai più sottile, più raffi­nata. Assisterò, giorno per giorno, serenamente, alla vo­stra rovina, mio caro. Perché, non lo dimenticate, per tutti voi siete l'amante della baronessa Solbelli e non di una donna qualunque. Si può abbandonare una donna qualunque, sia maritata o no, senza troppo preoccuparsi se essa resti priva del marito e dell'amante... Ma la baro­nessa Solbelli no. Il 6uo nome deve essere per voi un continuo pensiero di responsabilità. Del suo nome, più che della sua persona. Ripeto: più che della sua persona. (Ad Emilia) Non è vero, Emilia? (Emilia tace). Il suo silenzio vale come una risposta. (Ad Andrea) Vedete? E' tanto d'accordo con me, da non avere nemmeno la forza di rispondere. Vi ama molto... siatene contento. Quanto a me, partirò domani stesso per un lungo viaggio. Eh sì. Mi debbo distrarre un poco...

Andrea                          -   Io...

 Pietro                           -  Voi...?

Andrea                          -   Io sono un galantuomo... e...

Pietro                            - (continuando) ...e sapete i doveri che s'im­pongono a un galantuomo verso una donna come Emilia. Molto bene, molto bene. Vi auguro di non pentirvi mai del passo che avete fatto, di volerle bene. E sempre per amore, mai per rimorso. Mi spiego? E ricordate, giova­notto: tra dieci anni, voi ne avrete trentacinque e la signora toccherà i cinquantuno... Arrivederci.

                                      - (Pietro esce. Andrea, avvilito, va a sedere su di un divano. Emilia, sconvolta, ma soddisfatta e felice, gli siede vicino e gli poggia il capo  sulla spalla, come per cercarvi rifugio e protezione).

QUADRO     SECONDO

Un salotto stile 900, non lussuoso, ma lindo e pulito. Alla parete di fronte, visibilissimo, un telefono a muro.

(Maria di Lauro è seduta accanto a un tavolino, a de­stra della scena. Entra Assunta, cameriera, in abito nero e grembiule bianco).

Assunta                         -  La signora viene subito. (Via a destra).

                                      - (Entra Emilia, dalla destra).

Emilia                            -  Finalmente, Maria cara, ti sei fatta viva! Che piacere di rivederti, dopo tanti giorni...

Maria                             -  Scusami, Emilia cara, ho avuto tanto da fare, in questi giorni. Non te ne avere a male. Tu sai quanto ti voglio bene. (Una pausa). E Andrea?...

Emilia                            -  E' uscito subito dopo pranzo, ma credo che torni presto. Speriamo bene. Che brutto periodo, Maria mia ! Andrea quasi mai mi parla delle sue cose, ma credo che ancora non possa risolvere niente. Forse tace per non darmi dispiaceri. Ma è tanto nervoso™ Da tre mesi non si vede una via d'uscita. Tutti contro di noi.

Maria                             -  Che vuoi farci? Del resto, dovevate aspettar-velo. Uno scandalo simile, per un giovane che aspira a una carriera tanto delicata come quella diplomatica...

Emilia                            -  Non hanno avuto nessuna pietà. Per una settimana hanno tempestato il Ministero di lettere ano­nime, tanto che quando Andrea, un giorno prima della partenza per l'Australia, aveva deciso di condurmi con sé, ricevette l'ordine di non muoversi, di aspettare ordini, in attesa di chiarimenti sul suo conto, sulla sua vita, sulle sue relazioni. E si aspetta ancora, ma senza speranza, or­mai. Solo qualche raccomandazione fortissima potrebbe salvarci. Ma... (Cambiando discorso) E tu? Come stai? Perché non ti sei fatta più viva? Ci abbandoni anche tu?

Maria                             -  Io?... No... ma... senti, voglio essere sincera. Io non lo vedo volentieri, Andrea.

Emilia                            -  E perché?

Maria                             -  Perché ti voglio bene. E se tu oggi sei lon­tana dalla tua casa, fuori dal tuo mondo, è per colpa sua. E poi (guardandosi intorno) anche il pensiero che tu viva così, senza le comodità cui eri avvezza-.

Emilia                            -  Ma io ne sono felice. Te lo giuro, non rim­piango niente, niente. Vorrei solo che Andrea trovasse una sistemazione... Non per me, no, ma per non vedere lui così preoccupato. E' solo per lui che mi vedi in ansia... Per me, no. Io sono felice. Ma lui?...

Maria                             -  E che tu temi di lui? Se è con te, se ti ha sacrificato tutto, quale prova migliore del suo amore?

Emilia                            -  Andrea è un galantuomo, un galantuomo vero. Per lui chi sono, io? L'ex moglie del barone Solbelli. E allora non può considerarmi come una donna qualunque: sacrifica tutto per salvare il suo onore, la sua dignità, il suo nome.

Maria                             -  Povera Emilia! Nemmeno del suo amore sei sicura. E allora?

Emilia                            -  Ma ne sono sicura del suo amore, e questo per me è tutto. Questo mi dà la forza di aspettare, di spe­rare almeno!

                                      - (Campanello interno).

Maria                             -  Come vorrei vederti veramente felice...

                                      - (Entra Assunta dal fondo).

Assunta                         -  Signora, c'è il signor Cuomo.

Maria                             -  Cuomo? Il gioielliere?

Emilia                            -  Sì. Poi ti dirò. (Ad Assunta) Fallo passare nel salottino. Vengo subito. (Assunta via) Sì, è il gioiel­liere. (A Maria) Gli ho dato incarico di vendere un anel­lo, quello col solitario. Mi occorre un po' di denaro, e non voglio essere di peso ad Andrea.

Maria                             -  Peccato. (Si alza). Ti lascio, Emilia. Verrò a vederti tra qualche giorno,

Emilia                            -  Verrai, non è vero? Non mi abbandonerai anche tu.

Maria                             - (freddissima) Appena avrò tempo. Arrive­derci.

Emilia                            -  Addio, Maria, Io vado di là. (Esce a destra).

                                      - (Maria si avvia verso il fondo. Poi si ferma, cava dalla borsetta un « nécessaire » di tartaruga, lo apre, si guarda, nello specchietto, dà un'aggiustatina al cappello. Mentre si avvia versa l’uscita, si incontra con Antonio).

Antonio                         -  Oh, signorina Maria...

Maria                             -  Voi?

Antonio                         -  Sì. Ho accompagnato Andrea. (Ad Andrea che entra) Andrea, vedi chi c'è qui? C'è la signorina Maria.

Andrea                          -   Buona sera, signorina. Finalmente! Da tanto tempo non vi vedo!

Maria                             -  Veramente v'interessa vedermi? Non me ne ero mai accorta.

Andrea                          -   Ma sicuro! Non siamo dei buoni amici?

Maria                             -  Altro che!  (Ironica) Sempre buoni amici.

Antonio                         - (galante) E i vostri amori come vanno, si­gnorina Maria?

Maria                             -  I miei amori? Io non ho amori, per vostra regola. Non posso averne facilmente. Non ho dote, sono orfana... Non ho che una vecchia zia che pensa a me. Chi volete che possa interessarsi di me? (Ironica) Non sono nemmeno maritata... Come vedete, non posso inte­ressare nessuno, neanche da questo lato.

Andrea                          - (fingendo di non aver capito) Già... (Siede, mortificato, poco lontano).

Antonio                         -  Nessuno? Io, per esempio, non la penso cosi. Forse siete voi che avete troppe pretese, che siete di gusto difficile...

Maria                             - Vi sbagliate. Io cerco solo un po' di affetto e niente altro. A rivederci, Antonio.

Antonio                         - Già ve ne andate?

Maria                             -  A rivederci  (gli tende la mano).

Antonio                         -  A rivederci.

Maria                             - (va verso Andrea) Buonasera. (Andrea, di­stratto e preoccupato, non risponde). A rivederci, Andrea.

Antonio                         -  Andrea, la signorina ti sta salutando.

Andrea                          - (si leva con premura, tende la mano a Maria) Scusatemi, ero distratto. A rivederci (le tende la mano).

Maria                             - (lo guarda, non gli dà la mano) Addio. (Esce per il fondo).

Antonio                         - (seguendola con lo sguardo) Che bella ragazza!(Andrea   non   risponde).   Andrea,   svegliati,   sto parlando con te. E finiscila... con la malinconia non si ottiene niente. Su col morale, se no è peggio.

Andrea                          -   Peggio? Peggio di così? Ma tu capisci che se nemmeno con quest'ultima raccomandazione mi fanno partire, è finita per me. Mio padre, dopo quello che è successo, non vuol più sentire parlare di me. Dice che non mi vuol vedere, che sono uno scapestrato, che ho rinunziato a un avvenire splendido. E ha ragione. Po­tevo veramente essere felice... (Esaltandosi a questo pensiero) Bella, buona, senza famiglia. Se avessi voluto...

Antonio                         -  Ah, te ne sei accorto? Ha fatto di tutto per fartelo capire...

Andrea                          -   E non ho voluto capire. E ormai non c'è più speranza. E' perduta per me. Sono legato mani e piedi, segregato dal mondo, a Posillipo, in questa casa malinconica. Colpa mia. E non posso nemmeno la­gnarmi con qualcuno, nemmeno sfogare un po' del mio dolore. Appena parlo, tutti gli amici, e tu per il primo: « E avresti il coraggio di lasciarla... E potresti abban­donarla... Non lo pensare nemmeno... Non è bello! ». Legato, legato mani e piedi...

                                      - (Entra Emilia dalla destra).

Emilia                            - (ad Andrea) Sei rientrato da molto? (Ad Antonio) Buona sera, caro amico fedele.»

Antonio                         -  Buona  sera, signora (le bacia la mano).

Andrea                          -   No, sono rientrato da poco.

Emilia                            - (conte per scusarsi) Io stavo scrivendo, ili là. (Ad Antonio) Volete un liquore? Un tè?

Antonio                         - . Preferisco il tè. Grazie.

Emilia                            -  Lo prenderemo tutti. (Suono un campa­nello) E' vero, Andrea?

Andrea                          -   Sì, grazie. (Cammina agitato per la scena).

                                      - (Entra Assunta).

Assunta                         - (a Emilia) Comandi, signora.

Emilia                            -  Preparate il tè. (Assunta via). E così? (Ad Andrea) Buone notizie?

Andrea                          -   Niente, né buone né cattive. Speriamo che il commendatore Vacchetti faccia qualche cosa. (Ad An­tonio) Sono tre giorni che è a Roma... Mi promise di darmi subito notizie.

Emilia                            -  E vedrai che lo farà... E saranno buone nuove.

Andrea                          -   E' l'ultimo tentativo...

Emilia                            -  E poi?

Andrea                          - (ad Emilia) - E poi che?-.

Emilia                            -  E poi saremo felici lo stesso. Io ho buone speranze. Lo so, lo so che tu non pensi che a me, non ti preoccupi che per me... Ma non essere inquieto, ti scongiuro. Qualunque sarà il nostro destino, il mio af­fetto per te non muterà, non potrà mutare... Mai...

Andrea                          -   Lo so. Lo so bene. Lo so fin troppo bene.

Emilia                            -  Perché non ti metti in libertà? Ormai An­tonio è come di famiglia.

Antonio                         - Ma certo...

Emilia                            - (premurosa) Ti ho preparato un pigiama, in camera da letto. L'ho stirato io stessa, con le mie mani. Per te sono diventata anche stiratrice. E che sti­ratrice perfetta! La nostra cameriera non sa far niente... Vuoi andare di là?...

Andrea                          -   Dopo, dopo. Adesso voglio telefonare a casa del commendatore Vacchetti, per sapere se è tornato da Roma. Vado a telefonare dal dottore, di fronte...

Antonio                         -  E perché? (Indica il telefono) Non puoi telefonare da  qua?

Andrea  --------------- -   E' guasto  (fa segno che è stato tagliato). E' guasto. E’ una settimana che è guasto...

 Antonio                        - (che ha capito) Ah...

                                      - (Andrea si avvia verso il fondo. Emilia lo chiama in tono amorevole).

Emilia                            -  Andrea... (Andrea si gira). Che hai, Andrea?

Andrea                          -   Che debbo avere? Niente            -  niente... (Via dal fondo a destra).

                                      - (Entra Assunta dal fondo a sinistra, che reca due let­tere).

Emilia                            -  E' pronto il tè?

Assunta                         -  A'momenti, signora. Il portiere ha portato questa carta e questa lettera (consegno e Dia).

Emilia                            - (apre il foglio e legge) L'anno niillenovecentotrentotto, addì... ad istanza del signor... (Porgendo la carta ad Antonio) Che cos'è questo?...

Antonio                         - (dopo un rapido sguardo alla carta) E' un protesto di cambiale per lire duemilacinquecento... Bisogna pagare...  Altrimenti...  il  sequestro...

Emilia                            -  Il sequestro?...

Antonio                         -  Già, del mobilio. E' il mobiliere  che...

Emilia                            -  Non  capisco. Andrea  deve  aver pagato...

Antonio                         -  Certo lui saprà dì che si tratta. Adesso che torna...

Emilia                            - - No. (Prendendo il foglio) Date a me, per il momento. Poi gliene parlerò io. Ci penso io... paghe­remo. Possiamo pagare. Vi prego, non gli dite niente. Oggi è già fin troppo' nervoso.

                                      - (Rientra Andrea dal fondo).

Andrea                          -   Niente, non è ancora tornato da Roma. (Vedendo la lettera in mano ad Emilia) Chi è, chi ha scritto?

Emilia                            -  Non so, è arrivata in questo momento  (gli da la lettera).

Andrea                          -   Viene da Roma. (Con gioia) E’ Vacchetti. (Apre la busta febbrilmente).

Emilia e Antonio           -  Leggi, leggi.

Andrea                          - (siede al tavolo, gli altri gli seggono vicino. Andrea legge) « Mio caro Andrea, con grande pia­cere ti comunico che sarà fatto, e presto, tutto quello che desideri ».

Antonio                         -  Benissimo.

Andrea                          -   Ti prego. (Leggendo) « Mi sono interessato del tuo caso come di cosa mia, e ciò per l'affetto che ho per te e l'amicizia che mi lega a tuo padre. Sono certo che sarai accontentato. Sì, l'ordine del Ministero verrà prestissimo, forse è imminente. Tienti pronto. Sento però il dovere di farti sapere, come semplice portavoce, che faresti bene a sbarazzarti... »   (si ferma).

Antonio                         -  A sbarazzarti?...

Andrea                          - (impacciato)  « A  sbarazzarti... di... ».

Emilia                            - (ad Andrea) A sbarazzarti di che cosa? (Andrea non risponde). Dà a me. (Prende la lettera e legge): «Faresti bene a sbarazzarti di quella donna, altri­menti non ti resterà più niente da sperare. Ascolta il mio paterno consiglio. Io non ho fatto altro che riferirti quello che credo di aver chiaramente compreso. Domani sera sarò a Napoli: vieni a casa mia e ti spiegherò tutto. Pensa al tuo avvenire, caro Andrea. La tua dignità di uomo vale molto più dell'amore illecito che oggi travaglia la tua esistenza e intralcia il tuo avvenire. Quella egoista sarà la tua rovina, se in tempo,non reagisci con forza ed energia. Ti abbraccio. Tuo... ». (Porge la lettera ad An­drea. Una pausa).

Assunta                         - (entra spingendo un piccolo tavolo da tè e lo avvicina ad Emilia) Ecco servita.

 

Emilia                            -  Andate. (Assunta via. Ad Antonio) Col li­mone?

Antonio                         -  Grazie. Col latte.

Emilia                            - (ad Andrea) E tu?

Andrea                          -   Grazie. Non ne ho voglia.

Emilia                            - (dopo aver versato il tè nelle tazze) Mi pare che la tua preoccupazione sia esagerata. Sei tu che devi decidere. Io non debbo fare altro che accettare. Una donna che ama veramente, che non è egoista, sa bene come deve agire.

Andrea                          -   Perché parli così?

Emilia                            -  Perché è così. (Ad Antonio) Avete detto col cognac?...

Antonio                         -  No, latte. Preferisco col latte.

Emilia                            - (ad Andrea, come continuando il discorso in­terrotto) La mia situazione morale non è più quella di una volta. Sei tu che devi decidere.

Andrea                          - (scattando) Io? (Contenendosi) Decidere io?

Emilia                            -  Quando si ama veramente, non è difficile.

Andrea                          -   Già, ma diventa difficile quando si parla come parli tu. Insomma, qui il dilemma è questo: o io debbo riprendere la mia carriera...

Emilia                            -  E allora io debbo lasciarti...

Andrea                          -   Già... E' una situazione penosissima.

Emilia                            -  Avvilente, addirittura. Sono contenta che lo riconosci. Resterò sola, senza casa, senza stato sociale, ab­bandonata al mio destino e col dolore della tua lonta­nanza, sperduta come una donna qualunque. Parlami senza scrupoli, Andrea. Sii sincero, dimmi la verità. Se ti senti di poter agire così, non sarò certo io che ti tratterrò. Affidati a quello che ti suggerisce la tua coscienza di uomo e di galantuomo», di galantuomo soprattutto. Io mi sento tranquilla e serena, perché ti conosco, perché sono sicura dei tuoi sentimenti. Qualunque cosa tu possa decidere, non l'avrai mai decisa per farmi del male. Sii sincero. E' la verità, questa?

Andrea                          - (contenendosi) Sì, è la verità. (Ad Antonio) E' vero?

Antonio                         - (distratto)  Sì, col latte. (Correggendosi) Cioè... Sì, è vero.

Andrea                          - (togliendosi la giacca e ponendola sul divano) Qui tutti diciamo la verità, nessuno escluso. (Emilia suona). Caro Antonio, nella vita è necessario saper agire.

Assunta                         - (dal fondo) Comandi.

Emilia                            -  Il pigiama del signore. (Assunta via).

Andrea                          - (a Emilia) La verità. Solamente penso che è stato perfettamente inutile incomodare un uomo auto­revole come il commendatore Vacchetti...

Emilia                            -  Fosti tu. Non dicesti: «E' un galantuomo, è molto influente»? Che potevo fare io? Dirti di no, di non farlo?

Andrea                          - (sempre contenendosi) Già, è giusto...

                                      - (Rientra Assunta col pigiama).

Emilia                            - (ad Assunta) Date a me. (Prende il pigiama) Potete andare. (Assunta via).

Andrea                          - (ad Emilia che l'ha aiutato ad indossare il pigiama) Grazie.

Emilia                            - (prende la giacca, e si avvia verso destra) Permesso. (Esce). (Una pausa).

Andrea                          - (va a chiudere la porta per dove è uscita Emi­lia. Poi, ad Antonio) Capisci? Noi siamo sull'orlo della rovina, della miseria, della fame: tra un mese, forse anche meno, saremo costretti a chiedere l'elemosina, lei e io. (Gesti di Antonio). Esagero? No, non esagero. E' proprio così. E debbo tacere, devo fingere, devo fare il di­sinvolto, il bene educato. Lo devo fare, perché sono un galantuomo. Perché se al galantuomo pestano un callo, egli non può protestare, non può dire, come sarebbe suo diritto: «Idiota, cretino!». No. Perché se chi gli pesta un callo domanda scusa, dice « pardon », il galantuomo deve fare un sorriso di circostanza, deve dire : « Ma vi prego, anzi, scusate voi ». Se non risponde così, passa per un maleducato, per un uomo che non sa vivere nel consorzio umano. (Si accalora, nel parlare, sempre più) Se un galantuomo, in un salotto, è costretto a sorbirsi la romanza di una signora che stona, che ti dilania le bu­della, egli non può protestare: anzi, dopo, deve fare i complimenti. E, se no, che galantuomo sarebbe? E tutto questo perché? Perché esiste una civiltà, che vuol dire cortesia, buona educazione. E non significa invece che finzione, ipocrisia, falsità. Perciò devo camminare con disinvoltura anche quando sono stanco, soffiarmi il naso senza far rumore anche se ho il raffreddore, dire grazie quando vorrei dire: crepa! Devo carezzare quello che vorrei graffiare, ingoiare quello che vorrei sputare. Ci­viltà, mio caro, civiltà. Devo sacrificarmi, devo rinun­ziare a tutto, perché c'è di mezzo l'onore, l'orgoglio della baronessa Solbelli. Non si pensa che a lei. E io? Io non conto: io ho solo il dovere di fare il galantuomo. Sono un debole, un imbecille, io. Un debole, sì, perché quando quella sciagurata mi parla con la sua aria di vittima pronta al sacrificio, io mi sento fuori di me, disorientato, disarmato. E' tanto umile, paziente, mai uno scatto, mai una parola dura, sempre pronta a nuove rinunzie, per me, solo per me. Così finisce coll'aver sempre ragione. E io non discuto più, mi arrendo, mi condanno a restare chiuso, soffocato, prigioniero in una situazione senza uscita, senza scampo, una situazione in cui lei è padrona, atteggiandosi a vittima. Non mi dirai che non ha rag­giunto il suo scopo, la signora: l'ha avuto l'amore puro, poetico, romantico; l'ha avuto l'amore ideale, l'amore senza una lira (indica il telefono e fa il segno del taglio).

                                      - (Si apre la porta di destra. Andrea tace).

Emilia                            - (uscendo) Prendi, ti ho portato un fazzo­letto e le sigarette.

Andrea                          - (vorrebbe scattare, urlarle in volto tutta la sua esasperazione, ma si contiene. Prende le sigarette e il fazzoletto) Grazie. (Va a sedere presso il tavolo, a si­nistra della scena).

Emilia                            - (calma) Non ti senti bene?

Andrea                          -   Sto benissimo.

Emilia                            - (ad Antonio) Ma che è successo?

Antonio                         - (impacciato) Niente.

Andrea                          -   Niente. Non succede mai niente.

Emilia                            - (notando che Antonio si è servito da sé il tè) Già, avevo dimenticato il tè. Scusatemi, Antonio. Lo avete già preso?

Antonio                         - - Ne prendo volentieri un'altra tazza. Col latte...

Emilu                            - (gli porge una tazza di tè) Col latte. (Riem­pie un'altra tazza e la porge ad Andrea) Prendi, caro, ti farà bene. (Andrea prende la tazza e ne sorseggia il con­tenuto nervosamente, mentre Emilia riempie una tazza di tè e la beve. Una pausa. 1 tre si scambiano delle occhiate imbarazzate  e  interrogative.  Cala  la  tela).

Fine del secondo atto

ATTO TERZO

QUADRO     PRIMO

La stessa scena del secondo quadro del secondo atto, ma assolutamente vuota. Vi saranno soltanto tre sedie. Niente quadri alle pareti.

(Al levarsi del sipario, Andrea attraversa nervoso la scena; poco dopo campanello interno. Andrea va ad aprire e rientra con Antonio).

Antonio                         -  Eccomi qua. E la signora?

Andrea                          -   E' uscita.

Antonio                         - (guardandosi intorno) E i mobili?

Andrea                          - (sedendo) Sono usciti.

Antonio                         - (sedendo anche lui) Non hai potuto evi­tare...?

Andrea                          -   I becchini hanno compiuto il loro dovere. E' stato un'ora fa. E' inutile che io ti racconti. Emilia è avvilitissima. Che figura brutta, anche per le conoscenze che avevamo nel palazzo. Non ne parliamo. Dimmi, in­vece, hai saputo niente di Maria?

Antonio                         -  Di Maria?

Andrea                          -   Sicuro!

Antonio                         -  Non è più a Napoli... Si è arruolato vo­lontario nelle truppe coloniali.

Andrea                          -   Ma cosa dici? (Con grande stupore). E' im­possibile.

Antonio                         -  Ti dico di sì

Andrea                          -   Ma tu sei pazzo!  La signorina Maria...

Antonio                         -  Cosa c'entra Maria?

Andrea                          -   C'entra! Ti ho domandato di Maria, della signorina Maria, che ne è successo... dov'è...

Antonio                         - (sorpreso) Ah, la signorina Maria!... Tu hai detto: di Maria, io ho creduto che si trattasse del Di Maria... il figlio dell'avvocato... lo ricordi?

Andrea                          -   Ma cosa m'interessa di lui?

Antonio                         -  Della signorina Maria non so... ho cercato di sapere...

Andrea                          -   Capisco!  La cercherò io!

Antonio                         -  Come mai quella ragazza ti interessa tanto?

Andrea                          -   M'interessa!

Antonio                         -  Ne sei innamorato?  Confessalo!

Andrea                          -   Quasi!

Antonio                         - (scherzoso) Volubile!... Nella tua situa­zione attuale non manca che Maria!

Andrea                          -   Stupido... la mia situazione... non è più quella di una volta... per ora ho trovato un impiego... ed è già molto! Non è cosa fatta, ma quasi. Dipende da me, soprattutto.

Antonio                         -  E' un buon impiego?

Andrea                          -   Ottimo. Vice direttore di una grande azienda. Petrolio, mio caro: azienda ricca. Milleottocento lire di stipendio, per ora. Percentuali, trasferte. Ottimo posto. Ma ti scongiuro, Antonio mio, acqua in bocca. Emilia non sa niente.

Antonio                         -  E perché?

Andrea                          -   Ho un mio piano. Voglio uscire da questa stupida avventura pulito pulito, da galantuomo. Final­mente ho potuto parlare con mio padre... E' inutile che io ti racconti... Pianti... lacrime... svenimenti... Final­mente si è convinto. Ci siamo messi d'accordo1: mi ha scritto questa lettera e me l'ha data.

 

 Antonio                        - (indicando la ietterà) Di che cosa si tratta?

Andrea                          -  Si tratta di... (poi come a chi viene in mente un pensiero). Antonio, ti prego, non una parola ad Emi­lia... Emilia deve, per il momento, ignorare la pace av­venuta tra me e mio padre! Antonio        -  Perché?

Andrea                          -   E' parte principale del mio a piano». Mo­strerò questa lettera ad Emilia... non appena il barone farà ritorno a Napoli.

Antonio                         - (come ricordandosi, dice forte) Perbacco, è già ritornato!

Andrea                          -   Solbelli?

Antonio                         - (affermativamente) Solbelli è a Napoli da ieri mattina... appunto stamane un mio amico m'ha detto che l'ha incontrato ieri sera al «Gambrinus », che quasi non lo riconosceresti tanto è cambiato d'aspetto...

Andrea                          -   In male?

Antonio                         -  In bene! Contento, allegro... ringiovanito...

Andrea                          -   Davvero?!

-(Entra Emilia, che porta dei piccoli involti e ha  in mano una rosa rossa).

-

Antonio                         -  Baronessa...

Emilia                            -  Caro Antonio, amico fedele. (Ad Andrea) Ho comperato della roba, giù. Per fortuna gli utensili della cucina ce li hanno lasciati. (Infila la rosa in una bottiglia che si trova in scena su di una sedia assieme ad altri oggetti). Questo è il resto delle venti lire (gli dà dei soldi) Prendi. (Ad Antonio)  Avete saputo...?

Antonio                         -   Ho visto signora... si vede...  (si  guarda intorno).

Emilia                            -  Hanno portato via tutto.

Andrea                          -   Perché non ci fai su una poesia? Ne fai tante...

Emilia                            -  Meno male che lui ci scherza...

Antonio                         -  Proprio tutto hanno sequestrato?

Andrea                          -   Ci hanno lasciato le casseruole e il letto, che è insequestrabile...

Emilia                            -  Per la misera somma di duemilacinquecento lire...

Andrea                          -   Bisogna ricominciare da capo...

Emilia                            -  Ho  tanta  fede, il  cielo  è misericordioso. Chiude una porta...

Andrea                          -   ...e apre quella degli uscieri.

Emilia                            -  Ma no, chiude una porta e ne apre un'altra più grande. Vedrai... Fede, ci vuole.

Andrea                          -   Fede, fede...  E' una parola. Io  finora le porte le ho trovate tutte chiuse, compresa quella di mio padre.

Antonio                         -  (distratto) Come? Non mi stavi dicendo...

Andrea                          - (interrompendolo   subito)   Che   cosa?   Lo sai che mio padre è inflessibile, contro di me. (A Emilia) Io scendo...   Ho   un  appuntamento   per   quel   tale   im­piego...

Emilia                            -  Torni per l'ora del pranzo?

Andrea                          -   Ci sarà, il pranzo?

Emilia                            -  Ma certo. Ho comprato un magnifico pezzo di carne per bollito...  e...  (con tono  quasi vergognoso per la presenza di Antonio... ma sorridendo) e. basta!

Andrea                          -   Verranno giorni migliori!  (Prende il cap­pello  sospeso  ad  un  chiodo   sulla  parete  di  fondo  a destra) Permetti?  Andiamo, Antonio. (Si avvia  per  il fondo verso l’uscita).

Emilia                            - (richiamandolo) Andrea...

Andrea                          - Che c'è?

Emilia                            - (gli apre le braccia) Andrea...

Andrea                          - (con aria rassegnata) Scusami  (la bacia in fretta e via).

Emilia                            - (ad Antonio) Perdonatemi: non ho potuto offrirvi nemmeno un caffè... E’una cosa terribile non avere una cameriera. Venite oggi... vi offrirò un tè. In casa mia, anche in questi momenti, un tè c'è sempre, per i buoni amici...

Antonio                         -   Grazie. (Via).

                                      - (Emilia prende gli involti che stanno sulla sedia ed entra a destra, poi ritorna, va alla finestra, saluta con la mano, rientra a destra. Campanello interno. Emilia esce, entra per il fondo e ritorna seguita dall'avvocato Cappa e dal signor Esposito).

Emilia                            -  Si accomodino. Andrea non c'è

Cappa                            -  Non importa. E' a voi personalmente che devo parlare. Non mi riconoscete? Sono l'avvocato Cappa.»

Emilia                            -  Cappa? (Ricordandosi) Ah... l'avvocato di... del barone...

Cappa                            -  Proprio così. E vengo appunto da parte del barone Solbelli...  come suo legale. Mi scuserete...

Emilia                            -  Di che si tratta?

Cappa                            - (indicando Esposito) Il mio segretario, Espo­sito... (Si guarda intorno) Dobbiamo parlarvi un po' a lungo...

Emilia                            -  Accomodatevi... Siamo in procinto di cam­biare casa... (Seggono) Che cosa vuole il barone Solbelli da me?

Cappa                            -  Ecco... il barone m'incarica di dirvi... mi dovete scusare, ma io non compio che il mio dovere di avvocato...

Emilia                            -  Insomma?  Che dovete dirmi?

Cappa                            -  Il barone m'incarica di dirvi... Non faccio che ripetere le sue parole... Egli è tornato da un lungo viaggio, l'altra sera... Che cosa sia accaduto durante questo tempo a lui e a voi, non interessa a lui per voi, ne a voi per lui... In ogni modo egli, riconoscendo qualche suo torto...

Emilia                            -  Qualche?

Cappa                            -  Dunque, ha voluto regolarsi nel modo che vi dirò. Questo... (Ad Esposito) Esposito, datemi. (Espo­sito prende dalla borsa un foglietto e glielo dà). Questo è un assegno circolare, di lire centomila, e costituisce l'ammontare del premio di assicurazione contratta a vostro nome dieci anni fa, cioè due mesi dopo la vostra unione. Eravate a conoscenza di questa assicurazione?

Emilia                            -  Sì.

Cappa                            -  Volete ritirare questo assegno? Badate che io ho l'ordine di lasciarlo qui, anche se lo rifiutate. (A Esposito) E' vero, Esposito? (Esposito fa segno di sì). Potete farne quello che volete... spenderlo, regalarlo, bruciarlo...

Esposito                        -  Signora, accettatelo. (Emilia prende ras­segno).

Cappa                            -  Vi prego di firmarmi questo documento. Esposito... (Esposito prende dalla borsa una carta e gliela porge, con una stilografica). Leggetelo. (Emilia legge e poi firma la carta e la rende ad Esposito), il ba­rone mi ha incaricato inoltre di leggervi questo elenco degli indumenti che vi appartengono e che vi invia a mezzo nostro. Esposito... (Esposito dà la carta a Cappa, che legge) Cinque pellicce, una di visone, due di ca­storo...

Emilia                            -  Date a me!  (prende la carta e legge).

Cappa                            -  Tutto in regola?

Emilia                            -  Sì, credo...

Cappa                            -  Ve ne faccio la consegna, con l'ordine di lasciar qui anche «e rifiutate... facendovi firmare questo documento. (Esposito glielo dà, Emilia firma).

Emilia                            -  E' inutile portare qui questa roba, perché non la ritiro.

Cappa                            - . La roba è già qui. (Esposito si alza, va verso il fondo). Avanti. (Un facchino porta in scena una grossa valigia).

Emilia                            -  Il resto lasciatelo fuori. E' inutile portarlo qui dentro... (Esposito paga il facchino, che esce).

Cappa                            -  Non siete obbligata a prenderla per forza: questa roba la regalerete, ne farete opera di carità.

Emilia                            -  Farò così...

Cappa                            - (porgendo a Emilia una piccola cassettina) Questi sono gli oggetti che durante dieci anni avete avuti in dono dal barone. Egli ve li manda. Se non li volete, io...

Emilia                            - (rifacendogli il verso) ...ho l'ordine di lasciarli qui, anche se li rifiutate. (Cambiando tono, ironica). Quanta signorilità, quanta cavalleria!  (Prende la cassettina e firma un altro documento che Cappa le porge).

Cappa                            -  Gli oggetti sono elencati in questa carta. E ora il mio compito è finito. (Si alza; Esposito lo imita) Ossequi.

Emilia                            - (freddissima) Buongiorno. (Li accompagna e rientra immediatamente. Apre la valigia, dopo averla collocata su di una sedia; ne toglie qualche vestaglia, qualche camicia, poi richiude. Poi apre la cassettina, ne cava qualche Oggetto, lo guarda, lo rimette a posto).

                                      - (Entra Andrea).

Andrea                          -   Eccomi qua... (ha in mano una lettera).

Emilia                            -  Sei tu? Già di ritorno? Buone notizie?

Andrea                          -   Niente ancora. Sempre speranze senza mai una  certezza.

Emilia                            -  Coraggio, Andrea mio, coraggio. Io ho qualche cosa da dirti... senti...

Andrea                          - (in tono studiatamente tragico) Che devo sentire, ormai? Che puoi dirmi? Lasciami solo. Abban­donami come un cane. Me lo merito. Sono un disgra­ziato condannato a soffrire, e tu non devi soffrire con me. Senti che uomo tremendo, feroce, implacabile... (Osservando la valigia) Ma cos'è questa valigia?... Fuori ve ne sono delle altre...

Emilia                            -  Poi ti dirò... Leggi!

Andrea                          -   Senti... (Legge) «Disgraziato». (Una pau­sa). Mi chiama « disgraziato ». (Continuando a leggere) « Disgraziato, solo per salvare la dignità e l'onore del nostro nome, ti propongo un'ultima definitiva via di uscita. Giacche non puoi abbandonare quella donna, abbi almeno la forza di fingere di fronte all'occhio del mondo. Ritorna in casa mia, dove io penserò a te e al tuo avvenire, donandoti una parte di quanto potrà spet­tarti dopo la mia morte. Ma è necessario che la tua amante sia lontana da te: tutti dovranno essere con­vinti che fra voi due tutto è finito. Questo fino al giorno in cui lei non avrà regolarizzato la sua equivoca posi­zione, chiedendo al marito la separazione legale. Solo allora tu e lei sarete liberi di vivere come vorrete e solo allora forse io potrò accogliervi in casa. In caso contrario, non ho altro da proporti: non mi vedrai mai più, neanche sul letto di morte. E' inutile aggiungere che farò in modo da non farti avere la minima parte del mio patrimonio, diseredandoti completamente. Sappi, inoltre, un'altra cosa: quando un padre non riesce ad evitare al figlio la rovina, può ricorrere a tutti* i mezzi, anche cioè all'autorità del magistrato, il quale provve­dere come meglio crederà. E lo farò, se tu non mi ubbidirai. Esigo la tua decisione al più presto, entro le ventiquattro ore. Pensa bene a quello che fai. Tuo padre ». (A Emilia) Capisci? Desidera nelle ventiquattro ore...

Emilia                            -  Ma infine tuo padre non farebbe che quello che sta facendo da un pezzo. Denaro non te ne ha mai dato, da che sei con me...

Andrea                          -    Già,  ma  ora  minaccia  di  diseredarmi.

Emilia                            - (continuando) Quanto all'allontanarti dalla famiglia, egli lo aveva già fatto.

Andrea                          -   E' vero, ma giammai aveva minacciato di farmi richiamare all'ordine dal magistrato. Dal magi­strato, capisci? Ci pensi allo scandalo? Se io potessi almeno disporre di un impiego... eh... allora sarebbe un'altra cosa. Potrei dire: «Caro padre, me ne infi­schio ». Ma già, al magistrato che gli direi?

Emilia                            -  Ma che ti può fare il magistrato?

Andrea                          - (scattando) Ma santo Iddio, a te non spa­venta niente... Ma cos'altro occorre scrivere in una lettera... io non lo so!

Emilia                            -  Ma caro... tu non hai ammazzato nessuno alla fine!

Andrea                          -   Ma cosa dici? Che mi può fare il magi­strato? Tu scherzi... Mi può perfino far internare per pazzo in una casa di salute... credendo a quello che dice mio padre.

Emilia                            -  E allora?  Che decidi?

Andrea                          -   Cara mia, non è facile, con una sentenza a così breve scadenza. Entro ventiquattro ore, capisci? Ma bisogna farlo. E non per me, per te. Io non posso vederti così sacrificata, per colpa mia, priva di tutto, senza un conforto. Che devo fare? Mi sacrifico... Vado da mio padre... per forza. Mi farò dare un po' di da­naro, per sistemarti alla meglio... e nel frattempo... e nel frattempo aspetteremo che tu ti divida legalmente da tuo marito. Saranno cinque, sei, dieci mesi al mas­simo di lontananza: non «o come farò a sopportarli, forse ne morirò, ma in compenso tu sarai salva... E in avvenire saremo felici per sempre-. E potremo guar­dare  il mondo in faccia,  senza  arrossire...

Emilia                            -  E' questa la tua decisione?

Andrea                          -   Sì, Emilia. Non ne vedo altre. Ho pensato, ho ponderato bene tutto... E' mio dovere di uomo onesto verso la donna che amo. Devo sacrificarmi, devo pen­sare solo a te, al tuo nome, alla tua dignità, al tuo avvenire. Dopo, dopo penserò a me.

Emilia                            - (commossa) Andrea, tu mi parli oggi come non mi hai mai parlato..., che grande, suprema felicità! Se fossi stata libera, tu mi avresti sposata, così come sono? Ebbene, Andrea mio, ora te lo posso dire': quell'uomo non è stato mai mio marito.

Andrea                          - Che?

Emilia                            -  Sì, è la verità. Io sono libera. Il tuo sogno di felicità può essere raggiunto subito...

Andrea                          - (allibito) Ma come? Libera?

Emilia                            -  Sì. Dodici anni fa a Torino... il mio povero papà ebbe un forte rovescio finanziario... Pietro, il ba­rone, gli fu di grande aiuto... Era anche innamorato di me, capirai... così quando mio padre morì, Pietro mi condusse a Napoli, mi presentò a tutti come sua mo­glie... sempre con la promessa di sposarmi... ma non lo fece mai... Adesso ha voluto mandarmi tutto quanto era mio (indica la valigia): abiti, gioielli, più questo assegno di centomila lire, frutto di un'assicurazione che lui sottoscrisse per me dieci anni fa, credendo così di regolarizzare onestamente tutto un triste passato  (dà rassegno ad Andrea).

Andrea                          -   Centomila lire? Te l'ha mandate lui?...

Emilia                            -  A mezzo del suo avvocato. Tutto.

Andrea                          -    Non  sei  sua moglie. E me  lo  dici  solo adesso. Dopo sette mesi... (Quasi fuori di sé) Perché?... Rispondi... Perché?...

Emilia                            - (subito) Avevo paura di perderti... Ecco perché ho taciuto. Volevo dirtelo, ma rimandavo, ri­mandavo di ora in ora, di minuto in minuto, di attimo in attimo... sempre aspettando una tua decisione. Ma adesso che sono sicura di te, adesso che proprio tu mi hai confessato un desiderio che mai finora mi avevi espresso, adesso che veramente mi dai la grande prova del tuo amore.» ho parlato. Andrea... siamo felici... il nostro sogno diventa realtà...

Andrea                          - (deciso)  Eh - no... no... Io devo parlarti chiaro. (Una piccola pausa, poi dice con tono sincero) Emilia, io non ho più la forza di andare avanti così...

Emilia                            - (disillusa e quindi con tono quasi di rimpro­vero) Ma come? Se tu stesso poco prima...

Andrea                          -   Poco prima era un'altra cosa. Adesso è il momento di prendere una risoluzione definitiva. Sono un vile, un debole... dimmi quello che vuoi... ma... io non posso farti soffrire più, io non posso farti vivere una vita di inferno. Io non te lo posso promettere, tu non lo puoi...

Emilia                            - (risoluta, ma quasi come se le parole le si fer­massero in gola)  No... sei tu che non puoi, perché non ami... non ami... e questa è la verità!

Andrea                          - (contenendosi) No!...

Emilia                            - (c. s.)  E' così, invece! Ebbene... fanne di me ciò che vuoi: uccidimi... calpestami, dimmi che ti faccio pena, pietà... io non mi staccherò da te perché il mio amore per te è immenso... e infinito!  (Quasi singhioz­zando) Andrea, credimi... io non posso lasciarti!

Andrea                          - (la fissa per un istante, il suo volto si accende di rabbia, non riesce a decidere... i suoi nervi si contrag­gono, vorrebbe annientare, distruggere col suo sguardo quella donna... ma poi contenendosi e facendo appello a tutte le sue energie, decide) Sta bene... Emilia, ascolta! Questa volta sarò io a decidere. Il tuo dovere, Emilia, è quello di' ritornare dall'uomo che ti ha dato un nome, se non nella sostanza, per lo meno in apparenza».

Emilia                            - (che si è seduta singhiozzando) Non l'ho mai amato.

Andrea                          -   E che vuol dire? Se non amore, per lo meno riconoscenza devi sentire verso quell'uomo che ti aveva elevata a un alto grado sociale. Chi ti dice che egli non avrebbe finito per sposarti?

Emilia                            - (subito e concisa) Il mio primo amore sei tu.

Andrea                          -   Ti prego…. Vedi che ti ha mandato tutto quanto ti apparteneva. Perché lo ha fatto? E' chiaro: per intavolare discussioni, per rivederti, per venire a un incontro, a una pace. Ne sono sicuro. E se è così, dovrà essere così. Egli ti sposerà. Deve sposarti luì... non io... Io sono un estraneo... Questo dovere è suo... Deve ripren­dere in casa la donna che si era scelta per la vita. Ti deve sposare. Così voglio... Mi sacrificherò, non importa... mi toglierò di mezzo, ma lui deve riparare. Gli parlerò io™ Andrò io da luì. Egli è a Napoli, lo so! Adesso, subito. Vita per vita... (Mostrando rassegno) Ha creduto di pagare con questo. No, mio egregio signore, non è col danaro che si paga, c'è la coscienza.»  (fa per andare).

Emilia                            -  Andrea... non andare dal barone... ti sup­plico!

Andrea                          - (senza ascoltarla) Eh, no, caro barone... Ba­sta, adesso. Adesso si abusa del galantuomo... (sta per andarsene).

Emilia                            -  Andrea... ascolta. (Andrea si gira e la guar­da). Sei pazzo?...

Andrea                          - (fuori di se) Sì, sono pazzo. Che c'è di stra­no? Ci sono tanti pazzi, nel mondo: non posso esserci anch'io? Sono pazzo! Pazzo!  (Sempre più forte ed ecci­tato) Pazzo!

Emilia                            -  Non andare, non andare da Pietro. Andrea, ti scongiuro... (lo afferra).

Andrea                          - (svincolandosi con forza) - Lasciami. Basta, capisci, basta!  (Infila l’uscio seguito da Emilia).

QUADRO     SECONDO

In casa del barone Solbelli. Lo stesso salotto del primo atto, ma tutto in esso è più gaio, più fresco, più lumi­noso, più giovane. Vasi di maiolica e di cristallo colmi di orchidee.

(Al levarsi del sipario, il barone Solbelli è in fondo, presso la veranda, e dispone alcune orchidee in un vaso. Campanello interno. Dalla sinistra Giovanni, cameriere).

Pietro                            - (a Giovanni) Che c'è?

Giovanni                       -  Suonano, signor barone.

Pietro                            -  Si è svegliata?

Giovanni                       -  Sì, signor barone. Permesso, vado ad aprire. (Via).

                                      - (Si sente dall’interno la voce di Andrea).

Andrea                          -   Insomma, il barone c'è... (venendo sulla scena)... o non c'è?

Giovanni                       -  Sì, c'è, ma...

Andrea                          -   Annunziatemi subito.

Pietro                            - (viene dalla veranda verso il centro della sce­na. Dice) Che c'è? (Vedendo Andrea ha un attimo d'indecisione, ma riacquista subito il dominio di sé stes­so. Depone i fiori sul tavolo. Poi, ad Andrea) Siete voi? Beato chi vi vede».

Andrea                          - (serio e risoluto) Buongiorno.

Pietro                            - (al cameriere) Puoi andare. (Giovanni via. Poi ad Andrea, stendendogli la mano) Io non so serbare rancori. E poi specialmente con voi. Anzi.» devo esservi molto riconoscente.

Andrea                          -   Non saprei perché...

Pietro                            -  Il perché lo saprete presto. Come va la vita?

Andrea                          - (fremendo) Abbastanza bene...

Pietro                            -  Mi compiaccio. Anche la mia vita si svolge con serenità... Vedete? Stavo disponendo i fiori nei vasi. Avete notato che in casa mia non ci sono più rose? Sol­tanto orchidee, ora.

Andrea                          - ' E' questione di gusti. A chi piacciono le rose, a chi le orchidee...

Pietro                            - (ad Andrea che fa roteare su di un piede la sedia che aveva preso per sedersi) No, no, state fermo con quella sedia. Porta male farla girare in quel modo.

Andrea                          -   Ah, dimenticavo le vostre superstizioni».

Pietro                            -  Io non dicevo per me... ma per voi. Se non lo sapete ve lo dico io: porta male a colui che la fa girare.

Andrea                          -   Non vi preoccupate per me. M'insegnaste proprio voi uno scongiuro.» e lo metto subito in pratica  (con le dita della destra fa le corna). Vi ricordate? Fu proprio lì  (indica il punto della scena). Fu proprio lì che un giorno mi diceste: «Andrea, fate le corna».

Pietro                            - - Già... e voi le faceste, seguendo scrupolosamente il mio consiglio. Mi fa piacere che ve ne ricor­diate ancora. E credo che ve ne ricorderete per un pezzo.

Andrea                          -   Può darsi. Ma io non sono venuto qui per questo. Devo parlarvi seriamente.

Pietro                            - (siede, fumando) Parlate pure.

Andrea                          - (vedendo che Pietro non l'invita a sedere, pren­de una sedia, dicendo) Seggo. Devo dirvi...

Pietro                            - (interrompendolo) A proposito: come mi tro­vate d'aspetto? Tutti mi dicono che sono cambiato... e in meglio. A voi come sembra?

Andrea                          -   Già. Siete cambiato. Si direbbe che il viag­gio vi abbia giovato.

Pietro                            -  Non è solamente il viaggio... Ma veniamo a noi. Dunque. Che dovete dirmi? Solo vi prego di sbri­garvi, perché ho da fare.

Andrea                          - (intimidito) Ecco. Cercherò di essere breve e conciso. Barone, sono costretto a parlarvi con franchez­za, lealtà e chiarezza...

Pietro                            - Benissimo... Avete imparato da me...

Andrea                          -   No, l'ho imparato dalla ragione che mi ha spinto a venire qui, oggi. Prima di ora, forse, potevo non essere franco, sincero, diciamo pure brutalmente chiaro, per un dovere di civiltà, di saper vivere. Ma posso esserlo adesso... devo esserlo. Vi dichiaro subito che di quanto è accaduto io sono responsabile solo in minima parte; solo per quella cioè che si riferisce alla nostra passata amicizia. E vi giuro che non saprete mai quanto grande sia stato il mio dolore. Ma di tutto il resto, la responsa­bilità è vostra, solo vostra, tutta vostra. L'avrei assunta per intero «e Emilia fosse stata vostra moglie legittima. Ma non lo  è. Me lo ha confessato  (si ferma e resta a guardare Pietro, fissamente).

Pietro                            - Benissimo. C'è altro?

Andrea                          - (sconcertato dalla freddezza di Pietro) Sì... Ecco. Mi permetto di dirvi che il vostro agire verso quella donna non è stato né onesto né leale.

Pietro                            - (deciso, ma sempre calmo) Giovanotto, prima d'ogni altro, devo avvertirvi che non permetto a voi di giudicare la mia condotta. Vi dico, poi...

Andrea                          - (scattando, a voce alta) Sì che me lo per­metto...

Pietro                            - (c. s.) Non alzate la voce...

Andrea                          - (continuando a parlare a voce bassa) Me lo permetto, perché Emilia  viveva  con voi una vita umi­liante, che ha molto influito sul suo modo di agire verso di voi.  Voglio  astenermi  dall'andare  oltre  su  questo: solo vi dico che io, per quanto abbia tentato, non ho potuto in  nessun  modo  risolvere la  mia  situazione  e quella di Emilia. Ho tentato tutto, inutilmente. Mio padre è contro di me, come voi e forse più di voi, e minaccia di diseredarmi. Quel poco che avevo di mio l'ho speso. Non mi resta più niente. Quasi non ho più casa. (Mostra il suo abbigliamento) Lo vedete come sono ridotto? Ba­rone, ho le scarpe rotte... Pensate... Sono un giovane. Posso rifare la mia vita. Sono sulla via di trovare un impiego decorosissimo. Solo da poco mi sono accorto di amare una ragazza che mi amava e spero mi ami ancora. Basta che io la ritrovi, che le scriva, che la riveda, che le parli. Può essere tutto per me. Sarò felice con lei, come voi potete  ancora  essere felice con la  vostra  Emilia. Non avrete così nessun rimorso. (Mostrando l'assegno banca­rio) Avete anche voluto offendermi mandandomi questo denaro...

Pietro                            - Un momento. Io questo denaro l'ho mandato ad Emilia...

Andrea                          - Già, ma fino a questo momento Emilia è con me...

Pietro                            -  Questo lo so. Che volete? Che non lo sappia? Certamente, e tenetevela... Eh, sì... Tutto quello che avete detto finora non mi riguarda... Mi ha commosso... sol­tanto commosso, ma non mi riguarda, ripeto. Del resto, lo prevedevo...

Andrea                          -   Come?

Pietro                            -  Caro mio, siete ancora troppo giovane. La mia coscienza è tranquilla. E' inutile parlarmi di rimorsi, perché non ne ho. Ho regolato la mia situazione verso Emilia molto largamente... diremo signorilmente. Le vo­levo bene e certo avrei finito per sposarla. Lei non ha voluto: ha preferito voi. E voi, o per debolezza di ca­rattere o per vanità, ci credeste. Che cercate, adesso? Te­netevela in santa pace...

Andrea                          -   Ma io credevo...

Pietro                            -  Lo so che cosa credevate: che essa fosse mia moglie. E invece no, mio caro. Lo so, lo so quello che pensate. Voi pensate :  « E perché non me lo diceste su­bito, quando ci sorprendeste assieme? ». Ve lo spiego: per vendicarmi, o, per essere più preciso, per farvi fa­talmente  precipitare  nella  situazione  in   cui  siete.   «E perché?  direte ancora -  non fu lei a gridarmelo in faccia? ». Vi spiego anche questo, perché Emilia, povera donna, era  innamorata  di voi pazzamente, e perciò le convenne tacere per legarvi ancora  di più, rendendovi responsabile verso la baronessa  Solbelli e non soltanto presso l'amante del barone Solbelli. Emilia ha inscenato così il suo grande amore, che vi è stato fatale. Franca­mente, non mi posso lamentare. Tutto  è andato come avevo previsto. Sono  stato  un  ottimo  profeta. Adesso, caro mio, che ci posso fare? E poi, anche se volessi, non potrei... Mi sono sposato, e in piena regola, questa volta.

Andrea                          -   Sposato? Voi?

Pietro                            -  Io, sì. Sposato. E che c'è di strano? Non sono vecchio, sono simpatico, godo ottima salute, sono ricco...

Andrea                          -   Sposato? E quando?

Pietro                            -  Da quindici giorni. Luna di miele, amico mio. Un matrimonio senza fasto, in piena intimità, nel paesello del Piemonte che ha dato i natali alla mia cara sposa. Una signorina, di ottima famiglia, orfana... Tra qualche giorno darò una gran festa e presenterò ai miei amici la vera, la autentica baronessa Solbelli...

                                      - (Dalla sinistra entra Maria di Lauro, in abito da pas­seggio, senza cappello).

Andrea                          - (appena la vede, ha un sussulto di gioia) Maria...

Maria                             - (resta per un attimo perplessa, poi assume subito un atteggiamento disinvolto) Buongiorno...

Pietro                            -  Eccola, la mia cara mogliettina.

Andrea                          -   Lei? Maria?

Pietro                            - (a Maria) Lui trova strano il nostro ma­trimonio.»

Maria                             -  Non ne vedo la ragione. Ho sposato un uomo libero...

Pietro                            -  Liberissimo. Ma sai? Forse egli pensa che tu, noi... l'età mia...

Maria                             -  E perché? La differenza di età è compensata dal tuo affetto per me.

Andrea                          - (quasi fra sé) Giusto...

Pietro                            - (che ha notato l’atteggiamento di Maria) Ma che è successo? Ah, capisco... (A Maria) Tu certo sei meravigliata di vedere lui qui...

Maria                             -  Ecco, mi pare strano...

Pietro                            - E’ venuto per affari... ma puoi essere sicura che qui non metterà più piede. (Ad Andrea) E’ vero? (A Maria) Vedo che tu «ei quasi pronta.

Maria                             -  Vado a mettere il cappello... (Ad Andrea) Permesso. (Via).

Pietro                            - (invitandolo col gesto ad andare) Abbiamo degli amici che ci attendono (Andrea, quasi incantato, si avvia verso l'uscita) ma prima di dirvi addio, voglio che sappiate come io sia veramente addolorato per quanto è successo... E perciò voglio darvi un consiglio. Se vera­mente volete agire da galantuomo, dimenticate la ragazza di cui mi parlavate, che io non so chi sia... Dimenticatela. Sposate Emilia. Tutto si riaggiusterà. Anche vostro padre finirà per perdonare. E poi, danaro ne avete...

Andrea                          - (scattando) Danaro? Questo? (mostra ras­segno). Non so che farne del vostro danaro (lacera ras­segno). Ecco... così... (In tono lirico, ma sincero) Sì, se­guirò il vostro consiglio, sposerò Emilia. Vi dò la mia parola d'onore che la sposerò, quella donna. (Commo­vendosi) Perché no? E' una donna che mi ama, che mi ama come poche donne sanno amare. Forse era questo il mio destino. Sono giovane... Tenterò... riuscirò a rifare la mia vita. (Si avvia per uscire) Ma prima di andarmene voglio, se me lo permettete, darvi anche io un consiglio, un saggio consiglio. Adesso che avete sposato quella bella ragazza -  perché essa è veramente bella -  andatevene a vivere con lei in cima a un monte, lontano da tutti, ioli... Così  (non sarete costretto, sia pure senza farlo ap­posta, a invitare qualche buon amico a far le corna con­tro il malocchio; le l'amico non sarà costretto a equivo­care sul vostro invito, in buona o in mala fede. E so­prattutto ricordatevi che fra dieci anni lei ne avrà ventotto e voi sessantaquattro!

 (Pietro gli si avvicina minaccioso, lo scrolla per il ba­vero della giacca, sta per schiaffeggiarlo. Poi si ricom­pone. Suona il campanello che è sul tavolo. Il cameriere Giovanni entra immediatamente).

Giovanni                       -  Comandi...

Pietro                            - Accompagnate questo povero ragazzo...

                                      - (Pietro esce a sinistra. Voci allegre vengono dall'interno. Andrea, preceduto dal cameriere, sì avvia verso l’uscita).

FINE