Un uomo d’oro

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UN UOMO D’ORO

Commedia in tre atti

Di ROGER FERDINAND

PERSONAGGI

ERNESTO PAPON

MOINEAU

ROLAND HARDI

JANETTE

BERTA

MARCELLA

ROGER FERDINAND

Roger Ferdinand è nato il 6 ottobre 1898 a Saint-Lo: (è sempre bello incominciare una biografia, sia pur breve, secondo il modo dei nostri classici). Quando si legge « Roger Ferdi­nand » vien voglia di cercare, dopo questi due nomi, un cognome che sembra mancare di pro­posito: invece il cognome è precisamente Fer­dinand. Esser nato il 6 ottobre 1898 a Saint-Lo (cercate questa località sulle carte geografiche: è un passatempo invernale) significa avere at­tualmente meno di trent’anni. Roger Ferdinand, a non ancora treni'anni è professore e comme­diografo celebre; ma il primo attributo, per quanto doloroso, non offusca per nulla il se­condo veramente invidiabile. Ciascuno di noi ha qualcosa che può turbare la sua gioia per le sue affermazioni spirituali: Paganini, che era un Dio del violino, soffriva di un male alle gen­give che comprometteva seriamente il sapore dei suoi baci alle molte belle donne che gli si con­cedevano. Trascuriamo dunque il professore e presentiamo - quasi ce ne fosse bisogno - il commediografo. I suoi ultimi tre strepitosi suc­cessi sono: La macchina dei ricordi, Irma, Via Paroisse, 7 e Un uomo d'oro. Quest'ultima commedia, rappresentata recentemente, e leggibile nel presente numero del « Dramma », ha defi­nitivamente affermato le origini e sorprendenti qualità del suo ingegno. Qualcuno ha detto che Ferdinand è uno scrittore che seduce le si­gnore: indubbiamente la sua arte è fra quelle che più attraggono la simpatia delle donne, in­sieme con quella degli uomini. Piacere alle donne, oggi, sul palcoscenico come in privato, è forse il massimo segreto del successo. E que­sto autore possiede il segreto come pochi. In­ somma, è nato sotto una buona stella, e appro­fitta con sagacia della sua felice origine. Coi suoi mezzi, con la sua fortuna e col suo ascendente sul bel sesso, si può indubbiamente andare molto lontano. Napoleone - ma sì, abbondiamo nelle citazioni culturali - è stato l'unico uomo che abbia fatto una certa carriera pur mancando di questo indispensabile ascendente, ma è anche vero che visse in un secolo molto di­ verso dal nostro. Roseo, gioviale, sentimentale, ironico, ricco di spirito e di risorse: ecco Roger Ferdinando. Il suo ritratto, che potete ammi­rare gratuitamente sopra queste righe, è quello di un uomo felice.  

ATTO PRIMO

In casa di Ernesto Papon, a Parigi. Un grande sforzo è stato compiuto per dare al mobilio di vecchio stile un aspetto moderno. Cuscini, pierrots, bambole. La camera sarebbe l'entrata-salotto-studio dell'alloggio di un funzionario di Stato. All'alzarsi del sipario, Ernesto, seduto, guar­iti l'ora all'orologio, esamina la camera con aria puerile e allegra. Si crederebbe in visita, mentre invece è in casa sua. Si alza, indossa il soprabito goffamente, il colletto è troppo alto e non sta ben chiuso; si crederebbe che si sia sbagliato di soprabito, invece è il suo. Si mette il cappello che porta con noncuranza, ma che lo rende ancora più ridicolo. La sua espressione è imbarazzante, timida, goffa.

SCENA PRIMA

Ernesto solo

Ernesto                          - (dolcemente) Janette... Sai che ora è, cara?... Sono le tre!

Janette                           - (nella camera vicina) Impossibile!

Ernesto                          - (gentilmente) Ti domando perdono, cara.

Janette                           - (brusca) No.

Ernesto                          - Non arrabbiarti.

Janette                           - Sì.

Ernesto                          - E' colpa mia se sono le tre?

Janette                           - Sì.

Ernesto                          - (levandosi) Devo andare. Quel si­gnore non verrà più.

Janette                           - Sono certa che verrà.

Ernesto                          - E poi io finirò di farmi rimprovera­re dal capo ufficio.

Janette                           - Ti starebbe bene!

Ernesto                          - (timido) Allora vado.

Janette                           - Attendi ancora cinque minuti.

Ernesto                          - E' assolutamente impossibile.

Janette                           - Te Io ordino,

Ernesto                          - No.

Janette                           - (stizzita) Eh?!

Ernesto                          - (tornando a sedersi) Sì!

Janette                           - Indossa il tuo soprabito. Occuperai il tempo.

Ernesto                          - L'ho già indossato!

Janette                           - Mettiti il cappello, allora.

Ernesto                          - L'ho già messo.

Janette                           - Levateli, che vuoi che ti dica?

Ernesto                          - (rassegnato) No, non lo farò mai!

Janette                           - (severa) E parlami un po' più gen­tilmente, sai.

Ernesto                          - (spaventato) Li ho tolti, piccola. (pausa).

SCENA SECONDA

Ernesto - Janette

Janette                           - (entrando) Il tuo ufficio! II tuo ufficio! Non mi farai credere che il tuo ufficio sia il centro dell'universo! I tuoi scartafacci? Li getterai tutti sul fuoco!

Ernesto                          - Non ci mancherebbe altro.

Janette                           - Vuoi tacere?

Ernesto                          - (bonariamente) Ma no, non averla a male, io dico « non ci mancherebbe altro » perché pensa, rifletti un poco... sarebbe un disastro se si gettassero sul fuoco.

Janette                           - I tuoi colleghi! Dei perfetti cre­tini. Ingoffiti nei loro abiti rattoppati... Vuoi che te lo dica: sono degli « acchiappanuvole! ». Se fossi ministro li licenzierei tutti, in blocco!...

Ernesto                          - (bonariamente) Che cosa ti hanno fatto?

Janette                           - Tu mi annoi... E poi non parlarmi malamente, sai! Non voglio che mi « dia sulla voce, capisci? Come sei poco delicato! Mi fai stare sempre zitta... mi contraddici... non rispondi quando ti parlo... o, se rispondi, mi parli con termini così volgari e con tale tono!...

Ernesto                          - (avvicinandosi) Ti domando per­dono, piccola. Permetti solo che ti spieghi. Devo essere al Ministero alle due. Passi che io arrivi alle tre, perché, come al solito, non c'è ancora nessuno; ma alle quattro è troppo tardi. Bisognerebbe attendere le quattro e mezzo, quando tutti siano già siano andati via... così non è più il caso di disturbarsi... (pausa) Ti prego di scusarmi se sono stato un po' brusco, nervoso. Me ne pento. Mi hai perdonato ?

Janette                           - (spingendolo) Vedremo. In ogni modo, devi farmi il piacere di lasciare questo vecchio soprabito, che ti rende ridicolo, di farti la cravatta un po' meglio e di metterti un cappello che doni al tuo viso invece di questo straccio che ti rende goffo. D'altra parte mi sbarazzerò delle tue cianfrusaglie. E le tue scarpe?... Fammi un po' vedere. Su, via, levatele!

Ernesto                          - (eseguendo l'ordine) Ti ripeto, cara, che non ne ho il tempo!

Janette                           - (severa) Ernesto! (una pausa) Non essere brutale!

(Silenzio. Ernesto, intimorito, getta sulla mo­glie uno sguardo di can battuto).

Ernesto                          - (intento a svestirsi) Sai che cosa penso, mentre mi slaccio le scarpe?

Janette                           - A che cosa?

Ernesto                          - Penso che oggi è martedì,

Janette                           - Come sei originale.

Ernesto                          - No: che oggi è soltanto martedì ed io sono vestito a festa.

Janette                           - Molto spiritoso!

Ernesto                          - Ma sì di martedì non si usa vestirsi a festa.

Janette                           - E con ciò?

Ernesto                          - Lascia che ti spieghi: il mio collega Pipeau vedendomi sbellicherà dalle risa, si di­vertirà un mondo. Lo conosco; mi prenderà in giro.

Janette                           - Un perfetto imbecille, questo tuo Pipeau.

Ernesto                          - (difendendo il collega) Non dire così: è un burlone. Senza contare che vince tutti i concorsi delle parole incrociate... E' un genialoide, un ragazzo pieno di risorse... Ha perfino installato da solo un posto di tele­grafia senza fili. Ed è anche pittore; sì, pit­tore dilettante... Ti basta?

Janette                           - Scherza un po' meno e sbrigati di più... Se quel signore che noi aspettiamo arrivasse... pensa un po' che bella figura fa­resti,., su, in fretta...

Ernesto                          - Ma quale signore? Il signore dell'annunzio ?

Janette                           - Proprio lui.

Ernesto                          - Non verrà.

Janette                           - E perché?... Anzitutto non soste­nere che mancherà, quando io desidero e voglio che venga.

Ernesto                          - Aveva annunziata la sua visita per stato   ieri nel pomeriggio.

Janette                           - E con ciò?

Ernesto                          - Non è venuto...

Janette                           - Negli affari, ci sono contrattempi.  

Ernesto                          - E' possibile; ma io non conto più , su di lui. E poi ti confesso che non me ne rincresce. Ciò che io guadagno è poco, ma sicuro...

Janette                           - Sicuro per vegetare...

Ernesto                          - E' già qualche cosa!...

Janette                           - (alzando le spalle) Chi non rischia (non avrà mai nulla, cara,     

Ernesto                          - Me ne infischio io dei proverbi: chi rischia sempre e tutto finisce col non aver più nulla.

Janette                           - Sei mila franchi al mese, Ernesto... tu realizzeresti sei mila franchi il mese.

Ernesto                          - Senza dubbio, ma devo cominciare collo sborsarne venti mila: tutto ciò che noi possediamo...

Janette                           - (con disprezzo) Della carta...

Ernesto                          - Carta filogranata: si può sempre fare qualche cosa...

Janette                           - Venti miserabili biglietti da mille!

Ernesto                          - Mio padre per accumularli ha lavorato quarant'anni.

Janette                           - Uno spiantato!

Ernesto                          - (religiosamente) Pace alla sua anima...

Janette                           - Ma sì. scusami, (pausa) Infine, se  ti proponessero di cambiare la tua situazione?

Ernesto                          - (che ha finito per mettersi le scarpe) Ci penserò... A proposito, la prossima volta, compreremo delle scarpe coi bottoni... Le preferisco.

Janette                           - Coi bottoni? come per il passato!

Ernesto                          - Passato! passato! E poi?... Anche noi, un giorno, saremo del passato.

Janette                           - Ma attendendo, siamo al presente.

Ernesto                          - Si capisce.

Janette                           - A vederti e sentirti, non lo si direb­be... tanto sei goffo e pauroso...

Ernesto                          - Non posso cambiare!

Janette                           - Nessuna distinzione nel gesto, nes­suna presenza, niente chic.

Ernesto                          - Anche quando sono vestito a festa?

Janette                           - Sei un po' meno ridicolo, ecco tut­to... Non si direbbe mai che tu hai fatta la guerra...

Ernesto                          - Me ne sono tuttavia ricordato poco fa, chinandomi...

Janette                           - La tua scheggia?

Ernesto                          - Oh! non è niente, (pausa).

Janette                           - Vorrei essere ascoltata, quando ti consiglio di modernizzarti.

Ernesto                          - In avvenire, ci penserò.

Janette                           - Posso star tranquilla!... Sia detto tra noi, la generazione che ci segue, mi sembra assai più interessante. Sa cavarsela sempre. Si diverte... Vive... Non si adagia nelle pic­cole situazioni stabili e ridicole, come voi altri...

Ernesto                          - Forse noi sappiamo ancora essere saggi...

Janette                           - Ha dei nervi, dei muscoli, dell'ini­ziativa. E' nuova.

Ernesto                          - Non ha avuto occasione di consu­marsi. Tanto meglio per lei. Ha ragione ad approfittarne.

Janette                           - Non scherzare! Sai cosa sei tu, lo sai?...

Ernesto                          - Tuo marito, che ti ama molto.

Janette                           - Sì, ma socialmente?... « Una mezza manica »

Ernesto                          - Non ne arrossisco.

Janette                           - E' il caso di arrossire, invece. Ma pensa un po': siamo nel 1927, il secolo del­l'aviazione, della telefonia senza fili, della elettricità, delle novità; si passa di audacia in audacia, «i crea ogni giorno...

Ernesto                          - Ti confesso che tutto questo è inte­ressante...

Janette                           - Ma tu ti tieni risolutamente in di­sparte...

Ernesto                          - Mi riposa...

Janette                           - Ma in fin dei conti pensa, Ernesto, che hai trentasei anni, cinque anni di fronte, tre ferite, la croce... (entusiasmandosi) La croce... Sei stato un eroe... è vero?

Ernesto                          - Cosa vuoi? Ho fatto come tutti gli altri e non l'abbiamo fatto apposta...

Janette                           - Hai dovuto vedere delle cose im­pressionanti, che scuotono...

Ernesto                          - Abbastanza!

Janette                           - Credevo saresti ritornato un altro, nuovo, rigenerato, armato per la lotta... E invece...

Ernesto                          - Invece, sono soltanto Ernesto... il povero Ernesto... un po'... ridicolo, è vero... (pausa) Ma non per questo il tempo corre meno in fretta. Me ne varo, cara.

Janette                           - (esasperata) Sei cocciuto! Attendi, forse verrà.

Ernesto                          - Scherzi?... No, no, me ne vado. (si siede).

Janette                           - (dolcemente) Dimmi, Ernesto: se non hai portato di laggiù il desiderio di vi­vere bene, che cosa hai portato, allora?

Ernesto                          - Dei dolori... e abbastanza filosofia per sopportarli senza lamentarmi... E' già molto.

Janette                           - Ed è tutto?

Ernesto                          - Un po' di rimpianto e dei tristi ricordi... (si intenerisce).

Janette                           - Cosa hai?

Ernesto                          - (emozionato) Penso al mio compa­gno che si è fatto uccidere per salvarmi... (una pausa) Tu non mi ami molto; vi è di­pinta sul tuo viso una fierezza, una energia che io non ho... Sì, sì. Vedi, alcune volte, quando esco con te, mi sento umile come uno di quei cani spelacchiati che seguono i pa­droni. Sotto la mia goffaggine sento tutto que­sto. E credi che non m'accorga di tutto ciò che fai qui, del gusto che hai nel rendere il nostro alloggio sempre più bello? Bisogna perdonarmi. Non si può cambiarsi, come tu dici, (pausa) Oppure abbandonami, se sei in­felice... Ma tu non lo farai, vero?... Io ho bisogno di te1... (avvicinandosi) Non mi ab­bandonerai, vero?

Janette                           - Sei disposto ad accettare l'offerta che ti è stata fatta?

Ernesto                          - Vedremo.

Janette                           - Abbi fiducia: tutto andrà bene... Si guadagnerà del denaro, si vivrà... Ci ripa­gheremo di tutto anche noi... Passeremo le nostre vacanze al mare, come tutti          

Ernesto                          - Pipeau non ci va al mare.

Janette                           - Forse avremo anche un'automobi­le... io guiderò; saremo uguali a tutti coloro che si vedono, dalla seconda galleria, nelle prime fila di poltrone, a teatro, o a quei signori che si vedono nelle terrazze dei caffè eleganti.

Ernesto                          - (meravigliato) Sì?!

Janette                           - Non sono più furbi di te.

Ernesto                          - (modesto) Ma, non so.

Janette                           - Io seguirò la moda, visiteremo le esposizioni, viaggeremo in prima classe sul mètro... Andremo a ballare...

Ernesto                          - E i miei colleghi?

Janette                           - Li vedremo di tanto in tanto.

Ernesto                          - Li lasceremo perdere? Poverini! Cesseremo del tutto di frequentare le loro fa­miglie?

Janette                           - Ma no. Io sarò fiera di te; sei con­tento ?

Ernesto                          - Sì.

Janette                           - Ebbene, allora?

Ernesto                          - Non mi resta più che diventare qualche cosa; proponimi tu qualche inven­zione...

Janette                           - Se io fossi un uomo, sarei banchiere, industriale, commerciante all'ingrosso, avvo­cato celebre, medico con una clientela ricca...

Ernesto                          - Ragioniamo: mettiamo il caso che io sia industriale, anche un grande indu­striale. Vedi che non ho paura. Ebbene, quando sarò diventato un grande industriale? E se i miei affari pericolassero in questi tem­pi di crisi? E poi non è con questi venti mila franchi che abbiamo ereditato che posso met­termi alla testa di una grande industria. Oggi, con ventimila franchi si vive bene per un anno; ed è già troppo!

Janette                           - Non esigo che diventi milionario da oggi a domani...

Ernesto                          - (spaventato) Ma, cara, non lo po­trei nemmeno.

Janette                           - Ti supplico solamente di accettare i sei mila franchi al mese, dal momento che te li offrono...

Ernesto                          - Vedi: non è venuto...

Janette                           - E' questo che ti secca?

Ernesto                          - (placido) Sì, sì, mi secca...

Janette                           - Hai paura di perdere i venti mila franchi!

Ernesto                          - (inquieto) No, affatto!

Janette                           - Allora, accetti? Sì? Per me? Vero? Sì?...

Ernesto                          - (incamminandosi verso la porta) Vuoi lasciarmi andare?...

Janette                           - E poi, giacché ci penso, puoi fare a meno di conversare col portinaio come fai tutte le sere.

Ernesto                          - E' un brav'uomo.

Janette                           - Se dobbiamo mutare situazione, è necessario comportarsi diversamente.

Ernesto                          - Proverò.

Janette                           - E non dire più «grazie » al fattorino dell'autobus, quando ti dà il biglietto.

Ernesto                          - Perché?

Janette                           - Quando si è bene educati non si dice «grazie ».

Ernesto                          - (perplesso) Procurerò di rimediare!

(Suonano alla porta).

Janette                           - E' lui.

Ernesto                          - Chi?

Janette                           - Il signore dell'annunzio. Scommetto che è lui,

Ernesto                          - Credi ?

Janette                           - (sospingendolo e levandogli il cappello e il soprabito) Su, sbrigati.

Ernesto                          - Fa attenzione alla mia schiena! (suonano senza tregua) E' un uomo tenace!

Janette                           - Siediti. Parla poco. Sta diritto. Prendi quel libro. Accendi una sigaretta. Im­mergiti nella lettura. Incrocia le gambe. E sii calmo. Fa vedere il tuo brillante... senza averne l'aria... Uno, due (lo bacia). Apro? (Ernesto fa dei lodevoli sforzi per eseguire tutti gli ordini. Janette apre. Appare un uo­mo giovanissimo, molto elegante. Ernesto si alza, si inchina).

SCENA TERZA

Detti e Hardi

Hardi                             - Buon giorno, signore.

Ernesto                          - (dandogli la mano) Buongiorno.

Hardi                             - Il signor Ernesto Papon ?

Ernesto                          - (energico) Perfettamente.

Hardi                             - Permettete che mi presenti: Rolando Hardi, direttore generale del cioccolato “Sweet”.

Ernesto                          - Lusingato!

Hardi                             - Volete autorizzarmi a sedere?

Ernesto                          - Naturalmente. Le sedie sono fatte per questo.

Hardi                             - Non vi siete per caso trattenuto per aspettarmi ?

Ernesto                          - Affatto! Stavo per uscire. Vedete sono in abito da passeggio, (si riprende) Al­meno lo ero. Dimenticavo: mia moglie.

Hardi                             - I miei omaggi, signora.

Janette                           - Il signore desidera restar solo con mio marito?

Hardi                             - No, per carità, signora.

Ernesto                          - (semplice) Sta in voi a giudicare...

Hardi                             - (secco) Non perdiamo tempo in formalità. Come vedete signore, sono venuto da voi come mi avete pregato!

Ernesto                          - Me ne rendo conto e vi ringrazio.

Hardi                             - (osservandolo) Sapete bene di che si tratta?

Ernesto                          - Intendevo appunto intrattenervi al riguardo.

Hardi                             - Che età avete?

Ernesto                          - Trentasei anni.

Hardi                             - Fatta la guerra?

Ernesto                          - Sì.

Janette                           - Brillantemente, signore. Ha la cro­ce della Legion l'onore.

Hardi                             - Ferito?

Ernesto                          - Una scheggia.

Janette                           - Una grossa scheggia nella schiena.

Hardi                             - Benissimo.

Ernesto                          - Male, ciò, per adesso è doloroso.

Hardi                             - Ah! Non siete molto robusto?

Ernesto                          - Come tutti gli invalidi, se ne ri­sente sempre.

Janette                           - Sì, ma infine tu sei robusto... più che robusto...

Hardi                             - Attivo

Ernesto                          - Di regola, sì!

Janette                           - (categorica) Sì!

Hardi                             - Allenato agli affari?

Janette                           - Enormemente.

Hardi                             - II lavoro non vi fa paura?

Janette                           - Non Io spaventa mai.

Ernesto                          - Di che lavoro si tratta, per favore?

Hardi                             - Per esempio... telefonare in tre luo­ghi diversi nello stesso tempo, scrivendo pure una lettera e dettandone un'altra...

Janette                           - (negligentemente) Puoi farlo benis­simo!

Ernesto                          - (sconcertato) Perché no?

Hardi                             - Preferirei che voi foste affermativo.

Ernesto                          - (ad un cenno di Janette) Posso farlo!

Hardi                             - Siete impiegato in un ministero?

Ernesto                          - Applicato all'Istruzione Pubblica,. seconda divisione.

Janette                           - Ha la licenza liceale... signore.

Hardi                             - (secco) Non ha importanza. Sarete pagato male?

Ernesto                          - Mille franchi al mese, tutto com­preso, con le ritenute, novecento settantadue franchi,

Hardi                             - Stipendio ridicolo.

Ernesto                          - Non lo nego.

Hardi                             - In breve, volete guadagnare?

Janette                           - (ardente) Mio marito è un valore, astuto, con molto amor proprio, orgoglioso, è fatto per gli affari, ha bisogno di trafficare, di dar prova di iniziativa. Rode il freno, come voi potete benissimo vedere. (Ernesto è molto calmo e sorride beatamente) E' un nervoso che si domina, non è vero, caro? Soffre se­gretamente di dover vivere una esistenza la cui monotonia l'accora. Non è vero, Ernesto? E' intrepido, ha un bisogno imperioso di attività, di responsabilità, di rischi. Sì, signore, di rischi...

Hardi                             - Avete una bella calligrafia?

Ernesto                          - Passabile?

Janette                           - E' un calligrafo, signore.

Hardi                             - (traendo un foglio di carta) Abbiate la cortesia di scrivere qui il vostro nome. (Ernesto eseguisce).

Hardi                             - (riprendendo il foglio) Va bene. Vi ringrazio. E picchiate?

Ernesto                          - (riservato) Se picchio? Dio mio...

Janette                           - (interrompendolo) Sì, signore, scri­ve a macchina benissimo.

Hardi                             - Ebbene, signore, vi ringrazio. Ho buona speranza che potremo metterci d'ac­cordo. Io vi darò seimila lire al mese e voi mi verserete una cauzione di ventimila franchi. D'altra parte ho già la vostra firma.

Ernesto                          - Come?

Janette                           - Ma sì, hai firmato.

Ernesto                          - Per nulla al mondo. Ho scritto il mio nome.

Hardi                             - (categorico) Avete firmato, (astuto) Ve ne rincresce?... (mettendo il foglio in ta­sca) Sono disposto a lasciarvi libero da ogni impegno.

Ernesto                          - Voglio dire soltanto che avrei pre­ferito studiare prima la questione... Secondo la mia intenzione ciò che ho firmato non equi­vale affatto ad un contratto...

Hardi                             - (categorico) Ripeto, sono pronto... a calmare le vostre inquietudini...

Janette                           - Ma no. Egli è molto contento. Vero, Ernesto, che sei contento?

Hardi                             - Sì o no? Sono abituato agli affari, non temete di offendermi...

Ernesto                          - (molto perplesso) Sono contento. Ma, permettetemi una domanda: di che cosa si tratta?

Hardi                             - Ecco: io sono direttore generale é nello stesso tempo amministratore di una grande casa di cioccolato che ha la sede in svizzera, a Berna. Capitale: due milioni e cinquecentomila franchi svizzeri. E' il caso di dirlo? Cioccolato di lusso, si intende: preferiti, cremini, caramelle, ecc. La casa madre che dirigo ha innumerevoli succursali.

Ernesto                          - (meravigliato) E' un'impresa mon­diale!

Hardi                             - Mondiale, signore! Vi abbiamo affit­tato; perché, s'intende, voi siete padrone, un ufficio in via dell'Opera. Sarete in casa vostra; l'affitto sarà a vostro nome. Vedete che metto le carte in tavola. Così, posto al centro del mondo, in questa magnifica arte­ria il cui battito è quello stesso della vita, voi, centralizzerete i comandi, solleciterete la clientela, riceverete i nostri più grandi clien­ti. In breve, sarete il legame fra Berna e Pa­rigi. Voi avrete così una magnifica occasione di dispensare l'esuberante attività che vi anima, di soddisfare quel gusto del rischio che è la qualità essenziale dell'uomo moderno. Spero che voi sarete lusingato della fiducia di cui vi dò prova in nome della società del cioccolato di cui ecco l'atto di costituzione.

Ernesto                          - (esaminando nervosamente l'atto) Sì, ma...

Hardi                             - (levandosi) Mi ritiro. I miei affari mi chiamano...

Ernesto                          - Rifletterò, signore...

Hardi                             - Prenderete servizio lunedì prossimo, verso le nove, a meno che voi di qui ad al­lora non decidiate di non accettare. Siete li­bero...

Ernesto                          - Io non dico che...

Hardi                             - Al più presto possibile dal mio procu­ratore, signor Michel-Michel...

Ernesto                          - (prendendo nota) Michel due volte?

Hardi                             - Che si trova, ogni giorno, dalle nove alle dieci, in quell'ufficio che vi abbiamo af­fittato: 22, via dell'Opera, quarto piano. Ar­rivederci, signore. I miei omaggi, signora... (Esce. Una pausa. Ernesto, sconcertato, guar­da la moglie con un certo sbalordimento).

SCENA QUARTA

Ernesto - Janette

Janette                           - Ebbene? Sembri un po' sconvolto? Sei nervoso? Ti senti disorientato dagli avve­nimenti? Ernesto, non sei felice? La prospet­tiva di una vita attiva ed agitata non ti sor­ride? L'idea che tu stai per lasciare Pipeau e compagni non ti conforta?

Ernesto                          - No. Per prima cosa io amo molto Pipeau; e quanto a quel signore, che è uscito poco fa, lo trovo un po' pesante.

Janette                           - Perché non hai l'abitudine degli af­fari.

Ernesto                          - Forse.

Janette                           - Perché tu preferisci la tranquil­lità...

Ernesto                          - Precisamente.

Janette                           - Perché preferisci al i-ischio di arric­chirti la sicurezza di vegetare...

Ernesto                          - Probabilmente.

Janette                           - O sarà perché non hai cuore, né amor proprio?

Ernesto                          - Credi ?

Janette                           - O perché non mi ami?O perché non hai desiderio di vedermi felice, e preferisci che io sia sequestrata qui, privata di ogni gioia e di ogni conforto...

Ernesto                          - Forse, al contrario, sarà la sola ra­gione per cui mi deciderò...

Janette                           - Fa questo per me, Ernesto. Per me che ti voglio vedere potente, ricco, rispettato. Personalmente, non ho altra ambizione che di condividere con te la tua sorte soprattutto se è brillante. Vedi bene che non sono egoista. Quando si ama una donna, si deve renderla felice. Ascolta ciò che ti dico: sai tu in quale momento della vita ti ho amato di più? Lo sai tu? Avvicinati: quando tu eri laggiù al fronte... al fuoco, coperto di fango, esposto alla morte...

Ernesto                          - Ah!

Janette                           - Quando ti battevi; allora io sentivo dal mio letto le pallottole fischiare alle tue orecchie; ti immaginavo balzare fuori dal pa­rapetto della trincea e gettarti coraggiosamen­te all'assalto... Allora, io vibravo, vedi... sen­tivo un po' della tua gloria riflettersi su di me... Condividevo le tue sofferenze... con il pensiero...

Ernesto                          - (sorridendo dolorosamente) E' stato in quei momenti che mi hai amato di più ?

Janette                           - Era il periodo in cui mi addormen­tavo con il pensiero rivolto a te... Tu eri grande... tu eri bello... Tu mi difendevi... Io tutto ciò io trovavo sublime...

Ernesto                          - Questo era magnifico.

Janette                           - E ho pianto sovente. Avevo anche paura... Si ha un bell'essere forti... si ha il cuore... e si soffre, (lo guarda lungamente) Oh! quando ti rivedo al tuo arrivo in licenza, barbuto, sporco, pieno di fango e di pidocchi, e lo sguardo calmo ed acceso nello stesso tempo, mi sento trasportata d'amore... (lo bacia) Mi sento piena di riconoscenza... (si stringe a lui) Mi sento piccola, fragile e meschina, ma difesa, protetta dia te... Ernesto... Tu eri bello, sai... E ti amavo molto... e poi... (esita),

Ernesto                          - E poi?

Janette                           - Naturalmente ciò non poteva durare per sempre..,

Ernesto                          - E' durato fin troppo.

Janette                           - Tutto ha fine, e tu sei ritornato...

Ernesto                          - E', forse, un rimprovero?

Janette                           - Come sei cattivo...

Ernesto                          - Sai bene che io non penso così...

Janette                           - Io avevo pensato sovente al tuo ri­torno. Dicevo fra me stessa: ce Che cosa non farà mai dopo avere fatto tutto quello? ». Con quale fuoco, con quale ardore affronterà la vita... Se mette tanto eroismo in pace come ne ha messo in guerra dove mai si arresterà? Tanto più che non ci sarà più il pericolo della morte?...

Ernesto                          - E' già qualche cosa...

Janette                           - Mi ricordo del tuo ritorno: hai preso un bagno, ti sei sbarbato, hai messo gli abiti civili, e dopo averli spazzolati ti sei seduto su questa poltrona. Sembravi dire: « Auf! La pace finalmente e le pantofole! ». E in meno di ventiquattro ore, sei ritornato l'uo­mo di prima. Due giorni dopo, riprendevi il lavoro all'ufficio e poi... Invece di avere consi­derata la guerra come un preludio alla lotta per la vita, hai commesso l'errore di consi­derarla come la fine...

Ernesto                          - Non è colpa mia.

Janette                           - Non sei offeso con me, caro?

Ernesto                          - Affatto, piccola.

Janette                           - Mi ami lo stesso?

Ernesto                          - E' naturale; altrimenti non avrei avuto la pazienza di ascoltarti.

Janette                           - Cosa vuoi dire?

Ernesto                          - Nulla.

Janette                           - Vedi, noi donne, ciò che preferiamo è che qualcuno si sacrifichi per noi... che si... mi spiego male! Ecco: che voi altri uomini vi imponiate a noi con la vostra forza, con il vostro ardire, con i vostri successi... che voi siate qualcuno... E tu sarai qualcuno, sia pure nel cioccolato, ma qualcuno, (carezzevole) Io ti amo molto, Ernesto, ma io voglio amarti ancora di pi... Io non potrei continuare ad amare una « mezza manica ». Io sono troppo coquette, troppo fiera, cosa vuoi? ho troppi difetti. Io sono franca, vedi... Baciami!...

Ernesto                          - (liberandosi) Ah... Me ne devo an­dare... Se ne saranno andati tutti... Sono le tre e mezzo,..

Janette                           - Allora, accetti? Dì, amor mio, fallo per me dal momento che ti amo.

Ernesto                          - Lo farò... per te... perché io ti amo.

Janette                           - Saremo felici.

Ernesto                          - (dirigendosi verso la porta) Arri­vederci...

Janette                           - E' promesso?

Ernesto                          - E' promesso. Fra poco... (esce). (Janette, esuberante, va e viene nell’apparta­mento, bacia una fotografia di Ernesto che è su di un tavolinetto e si ritira mentre la porta si riapre. Riappare Ernesto in compagnia di Moineau, trentacinque anni, corretto, severo, austero. Lo si vede in preda a una nervosità contenuta, a una emozione che nasconde sotto una certa caparbietà e dignità).

SCENA QUINTA

Ernesto - Moineau

Moineau                        - (molto severo e con tono di rimpro­vero) Sì, io venivo da te. Permetti? (si siede). Per l'ultima volta, verosimilmente... Venivo per dirti che mia moglie ed io non verremo a cena stasera... mettendo così in pratica una decisione irremovibile. Io venivo per dirti egualmente a che cosa si è ridotta la nostra amicizia; venivo per dirti che noi siamo, mia moglie ed io, nella crudele necessità di cessare ogni relazione con te...

Ernesto                          - Ma, amico mio, spiegati.

Moineau                        - (scandendo le parole) Ho il dovere di spiegartelo... Ecco... Ieri siamo usciti, mia moglie ed io, con l'intenzione di fare alcuni acquisti alle Gallerie Lafayette; aspettiamo un bebé nell'anno, e pensiamo già al corre­dino. Quando, d'un tratto, io vidi una cop­pia: tua moglie passeggiava a braccio di un uomo, molto distinto, d'altronde, slanciato, sbarbato, con gli occhiali...

Ernesto                          - Non è vero.

Moineau                        - Allegra, sembrava, ridente e con­tenta e lui, anche...

Ernesto                          - Ti sei sbagliato, è impossibile...

Moineau                        - (indignato) Il colpo fu terribile puoi ben pensarlo; vi frequentiamo da al­cuni anni e fa pena vedere degli amici cadere così in basso. Che faccio?... Proseguii la mia strada scandalizzato, e bisogna dirtelo, umi­liato e anche ferito nella mia amicizia, perché, non credevo che tu ci riservassi, un giorno, una sorpresa di questo genere; che nella tua casa, noi dovessimo vedere l'esempio del vizio e del tradimento. Oso credere che tu non fossi informato della cosa.

Ernesto                          - Sei molto gentile: grazie.

 Moineau                       - Berta si è rivoltata e indignata; noi ci sentiamo un po' colpiti da questo scandalo. Ne abbiamo onta. Apparteniamo l'uno e l'al­tra a famiglie poco abituate a questo genere di sregolatezze..

Ernesto                          - Ti domando scusa, vecchio mio.

Moineau                        - Berta faceva pena a vedersi. Era straziante... Non osiamo più guardarci. Quando pronunzio il tuo nome davanti a lei, ella arrossisce... il mio cuore si serra...

Ernesto                          - Povero vecchio...

Moineau                        - Da te non ci aspettavamo questo... non pensavamo che tu avresti sottomesso, un giorno, la nostra amicizia a una così rude e dolorosa prova.

Ernesto                          - Devi perdonarmi, Moineau.

Moineau                        - (scandalizzato) Giammai   Non comprendo come tu abbia il coraggio di do­mandarmi questo. Per chi ci prendi tu? Dì un po'?... Per dei testimoni compiacenti? Per delle comparse? Per dei depravati, che un tanfo di vizio rallegra? O per dei cinici che la tua disgrazia soddisfa? Spiegati un po', Ernesto: ci disprezzi a tal punto? Vorresti che continuassimo a vederci come se nulla fosse successo? E il senso morale? Che cosa hai fat­to tu del senso morale?

Ernesto                          - Comprendo le ragioni della tua in­dignazione!

Moineau                        - Ma naturalmente. Abbrutito ed umiliato. Credimi, è atroce dover dire: mi sono sbagliato sul conto di un amico.

Ernesto                          - E' esatto...

Moineau                        - Abbiamo passalo delle ore estrema­mente dolorose... Avevo in te una fiducia com­pleta. Elogiavo a tutto spiano la tua probità. In casa dei nostri suoceri parlavamo di te. Che cosa dire loro adesso? Vedi in quale situazio­ne ci hai gettati? E le fotografie di voialtri due che abbiamo sul caminetto? Dove met­terle?

Ernesto                          - Bruciale! Di' che io sono morto... tanto io mi rifiuto di credere che Janette...

Moineau                        - Fa come credi!

Ernesto                          - L'hai vista accompagnata?

Moineau                        - Ma, ingenuo, li abbiamo seguiti...

Ernesto                          - Come era lui?

Moineau                        - Alto.

Ernesto                          - (attento) Ah!

Moineau                        - Distinto.

Ernesto                          - Ah!

Moineau                        - Svelto. Guantato. Rasato, con un soprabito perfetto. In breve un uomo molto moderno.

Ernesto                          - Moderno?

Moineau                        - Simpaticissimo. Non dispiaceva. Sembrava alla mano, semplice, ma chic... Da questo punto di vista non c'è nulla da ridire... Secondo la mia impressione egli sarebbe un uomo d'affari, un commerciante; ma potrebbe anche essere un attore, o avvocato o che io...

Ernesto                          - Non certo uno come me?

Moineau                        - (negligentemente) Meno apatico, più nervoso.

(Una pausa. Moineau osserva duramente Er­nesto, un po' offeso).

Moineau                        - (alzandosi) Cosa fari? La ucciderai; ti ucciderai? Divorzierai?

Ernesto                          - Ci penserò.

Moineau                        - Oso sperare che sarai energico.

Ernesto                          - Vedrò.

Moineau                        - Non avrai, spero, la viltà di chiu­dere gli occhi? Che la tua debolezza non sia di esempio agli altri, un premio alla cattiva condotta. In ogni modo non verremo stasera a cena da te. E' elementare, (si dirige verso la porta). Ne questa sera, ne mai.

Ernesto                          - (accompagnandolo) Non dirai nulla?

Moineau                        - Non so fino a. quale punto io ho il dovere di tacere.

Ernesto                          - Me lo vuoi promettere? Mi aiuterai affinché ella non sappia nulla?

Moineau                        - Lei?

Ernesto                          - (emozionato) Sì, lei. Ti spiegherò più tardi...

Ioineau                          - (duro) Soffri?

Ernesto                          - Ne ho il diritto; e soffrirò da solo: soffrire è l'unico sentimento che non si divide. (Moineau esce. Ernesto, inebetito, addolorato, torna a sedersi. E' annientato: cerca di trattenere le lacrime, si prende la lesta fra le mani: Un silenzio molto lungo. Entra la­nette).

SCENA SESTA

Ernesto - Janette

Janette                           - Chi era?

Ernesto                          - Moineau.

Janette                           - Che cosa ti ha detto?

Ernesto                          - Che non viene a cena da noi questa sera.

Janette                           - Perché?

Ernesto                          - Perché ha dei dispiaceri.

Janette                           - Coniugali?

Ernesto                          - Non so... forse.

Janette                           - Ma che hai?

Ernesto                          - Nulla, cara.

Janette                           - Non è possibile: sembri preoccu­pato... Perché vuoi accorarti per gli altri? Ognuno ha i suoi grattacapi...

Ernesto                          - Sì, ognuno ha i suoi. Io sono scioc­co, vero?... Io lo so che sono sciocco... Avvi­cinati... Guardami... (silenzio) E se io guada­gnassi molto denaro, saresti felice?

Janette                           - Oh! Sì

Ernesto                          - (forte) Veramente felice? Felice... con me?

Janette                           - Certamente.

Ernesto                          - Tenterò... purché tu sia felice... (Ernesto contiene la sua emozione con sforzi sovrumani, fissa Janette dolorosamente, le prende le mani, gliele bacia).

Janette                           - Ebbene, Ernesto, a cosa pensi?

Ernesto                          - (dolorosamente) A te, piccola, come sempre, solo a te!

Fine del primo tempo

ATTO SECONDO

Ufficio commerciale in via dell'Opera. Ai muri cartelli reclame del cioccolato Sweet. Tele­fono. Mobilio sobrio, nuovo. In un canto un tavolino e, sopra il tavolino, una macchina da scrivere. Marcella, dattilografa, scrive una let­tera. La rilegge attentamente, la mette nella bu­sta e va a deporta sulla scrivania. In un vaso depone dei fiori. Li mette vicino alla lettera e torna a sedersi. La porta si apre. Appare Er­nesto completamente cambiato: elegante, con i baffi tagliati. Il portamento è quello di prima, piuttosto goffo, ma esteticamente moderno.

SCENA PRIMA

Ernesto - Marcella.

Ernesto                          - Buon giorno, signorina Marcella.

Marcella                        - (gettando un piccolo grido) Oh!

Ernesto                          - Cosa c'è?

Marcella                        - Mi avete fatto paura.

Ernesto                          - Io?

Marcella                        - Non vi riconoscevo più.

Ernesto                          - Sono così cambiato, senza baffi?

Marcella                        - Siete trasfigurato. Vi ho creduto un ladro internazionale,

Ernesto                          - Vedo che ci guadagno.

Marcella                        - Piuttosto... - (sospira lungamente)

                                      - Oh! come batte il mio cuore. Toccate...

Ernesto                          - (mettendole dolcemente la mano sul cuore) Effettivamente, batte.

Marcella                        - Mi sento male. Aiutatemi.

Ernesto                          - (ritirando la mano) Non posso.

Marcella                        - Non divertitevi così con i miei nervi... Mi accorgo che si legano...

Ernesto                          - (inquieto; con la fanciulla fra le braccia Si legano?

Marcella                        - Sì!

Ernesto                          - Tanto meglio, Dio mio, tanto meglio... Mi domando cosa avrei fatto, se foste restata nelle mie braccia?

Marcella                        - Mi avreste dati dei piccoli schiaffettini per rianimarmi.

Ernesto                          - Non ne avrei avuto il coraggio, signorina.

Marcella                        - (civettuola) Davvero?

Ernesto                          - (corretto) Sì, signorina.

                                      - (Marcella guarda Ernesto a più riprese con un sorriso malizioso. Ernesto, un po' confuso, evita il suo sguardo e va a sedersi).

Ernesto                          - Nulla di nuovo?

Marcella                        - Nulla.

Ernesto                          - Niente posta?

Marcella                        - Nemmeno una lettera...

Ernesto                          - (con finta autorità) Bisogna, che cammini! Ad ogni costo. E' importante e necessario!,.. Capirete che ho abbandonato un impiego, poco rimunerato senza dubbio, ma stabile, per lanciarmi negli affari e guada­gnare denaro. Per conseguenza ci tengo che tutto vada bene...

Marcella                        - Ma, signore, non desidero altro...

Ernesto                          - Lo so, signorina, non vi rivolgo alcun rimprovero. Non posso spiegarvi la mia situazione... Ma ne conosco gli svantaggi...

Marcella                        - Quante cose siete riuscito a cam­biare dopo il vostro arrivo qui.

Ernesto                          - Mi studio, lentamente, di evolvermi.

Marcella                        - La vostra aria di una volta non dispiaceva.

Ernesto                          - Ero più alla buona, lo confesso. Personalmente, io mi preferivo.

Marcella                        - Allora, perché cambiare?

Ernesto                          - (con spavalderia d'uomo timido) Mi adatto ai tempi. Che volete? Non siamo più ai tempi in cui era possibile riscaldarsi da­vanti a un bel fuoco di legna, digerire lenta­mente, fumando un sigaro... L'attività ci prende, ci afferra, bisogna ben decidersi a seguire la corrente, a subirne il risucchio, a tenersi alla sbarra e sfidare le intemperie... O altrimenti accontentarsi di isolarsi e di ve­getare... (con alquanta timidezza) Preferisco l'alto mare, malgrado i suoi pericoli, all'ac­qua dolce che invita al sogno e all'ozio. Ho incominciato a assumere un aspetto esteriore un po' più moderno, poiché l'abito, si dice, fa il monaco, benché io non ami molto i proverbi... E' certo però che i baffi tolgono al viso la sua nettezza e il suo carattere. E poi è la moda e... poi ciò ringiovanisce... Noi sia­mo in un'epoca in cui il successo fugge la barba...

Marcella                        - State benissimo!

Ernesto                          - Faccio quel che posso. Sono un po' come una vecchia casa in rovina; il tetto mi­naccia di sprofondare... ma infine con qualche puntello...

Marcella                        - Da quanto tempo è che vi moder­nizzate ?

Ernesto                          - Da poco!

Marcella                        - Mi ricordo la prima volta che vi ho veduto. Apparivate sconvolto. Quando sie­te entrato siete scivolato. Sembravate così confuso quando vi siete rimesso! Facevate pena.

Ernesto                          - Quando un uomo fa pena a vedersi, in generale è simpatico!

Marcella                        - Non dimenticherò mai quel primo giorno.

Ernesto                          - Vi ringrazio, signorina.

Marcella                        - Avevate un profumo di bontà e di semplicità... Io vi amo molto.

Ernesto                          - Scherzate!

Marcella                        - No. Nutro per voi un sentimento molto spontaneo, sincero, di... amicizia, di grande amicizia, di tenerezza... di vera tene­rezza... di...

Ernesto                          - Via!....

Marcella                        - Spesso mi viene voglia di saltarvi al collo.

Ernesto                          - (dignitoso) Per carità!

Marcella                        -... di dirvi la gioia che mi procura la vostra presenza, la felicità che mi date, senza dubitarne.

Ernesto                          - (protestando) Lasciamo andare, via!

Marcella                        - Ho un bel ragionare, condannare, nel fondo alla mia anima, una condotta che, so, non è corretta; ma sono sempre vinta dal mio amore.

Ernesto                          - Lottate, signorina, ve ne prego!

Marcella                        - Ho sempre adorato gli uomini buoni.

Ernesto                          - E' un sentimento degno di lode, non ne dubito.

Marcella                        - Vi spiegherò: vedendovi la prima volta vi ho trovato comico.

Ernesto                          - Comico?

Marcella                        - Sì! Avevo una folle voglia di ri­dere. Quell'aria impacciata che avevate mi rendeva allegra... Eravate divertente. Poi, a poco a poco...

Ernesto                          - Diavolo!

Marcella                        -... mi sono sentita attirata, tra­sportata, in preda a un sentimento confuso di tenerezza, di ammirazione...

Ernesto                          - Avete avuto un gran torto, signo­rina.

Marcella                        - Mi son detta: perché il mio cuore batte così?

Ernesto                          - Non siete, per caso, soggetta ad at­tacchi cardiaci?

Marcella                        - (con trasporto) Affatto. Sapete ciò che mi ha attirata a voi? E' quella evoluzione lenta, metodica, quella serie di sforzi quotidiani, che avete compiuto per alzarvi lino a me, quella lenta e dolce metamorfosi elle ho osservata nei minimi particolari... La de­licatezza con cui vi siete sforzato di attirare il mio sguardo... un nulla che va dal nodo della cravatta all'emozione interiore che vi dava il sapere che io mi ero accorta di tutto ciò. Quella scusa muta che il vostro sguardo im­plorava, quei tic impercettibili causati da una nervosità comprensibile... quella finta disin­voltura con cui voi affrontate i miei sorrisi, quella certa asprezza anche nel parlare, quel­la indifferenza, quel modo di evitarmi, quel gioco a mosca cieca in cui voi siete stato maestro.. Giammai cuor di fanciulla è stato assediato con maggior arte... E' da una quin­dicina di giorni che noi siamo qui, insieme, ed è una lunga e interminabile carezza, un balsamo che si espande, si infiltra e agisce su di me, come la droga che dà l'incanto... Oli! Io vorrei potervi parlare ancora meglio... ancora meglio...

Ernesto                          - Siete meravigliosamente eloquente, signorina.

Marcella                        - Non sono una civetta... Non so farmi amare... Tengo tutto per me, qui, in fondo, qui...

Ernesto                          - (inquieto) Calmiamoci, vi supplico.

Marcella                        - (calorosamente) Non esco mai... non vedo mai a ballare... né ai concerti, né alle esposizioni... Sono ridotta a divorare ro­manzi. Ne ho un baule pieno. Io prendo agli eroi dei miei libri le loro parole d'amore: im­paro a memoria dei versi. Quando un cantastorie si lamenta sotto le mie finestre, io pian­go e gli getto dei fiori. Forse, egli preferi­rebbe dei soldi, ma io non ne ho...

Ernesto                          - (desolato) Vi confesso che questo è molto delicato, ma io mi sento personalmen­te incapace di rispondere a questo lirismo. Io ne sono molto toccato, mollo emozionato… solamente...

Marcella                        - Avete indovinato ciò che volevo dirvi?

Ernesto                          - Abbastanza chiaramente.

Marcella                        - Volete che termini?

Ernesto                          - Come! Non avete ancora terminato?

Marcella                        - Sedetevi qui vicino a me, un po' più vicino, volete? Oh! (Ernesto, mollo ti­mido, acconsente. Marcella gli prende la ninno e l'accarezza. Un silenzio. La coppia, si trova a disagio, dà l'impressione di bal­bettare).

Marcella                        - Mi avete perdonato? So che è molto male quel che ho fatto e anche molto scorretto.

Ernesto                          - No. Un po' imbarazzante per me.

Marcella                        - Non ho avuto la pazienza di aspet­tare che vi dichiaraste voi.

Ernesto                          - Forse sarebbe stato un po' saggio, effettivamente...

Marcella                        - Vedete, io non ho vergogna di confessarvi il mio amore.

Ernesto                          - Non è un delitto, capisco, sola­mente...

Marcella                        - Ho voluto evitarvi la confessione...

Ernesto                          - Sì.

Marcella                        - E poi anche, maman mi ha detto che ero una stupida ad attendere. Lasciatemi spiegare. Ecco come è andata: A mammà ho parlato di voi, potrete capire in quali termi­ni... Le ho detto che rassomigliate a papà. Allora mammà ha detto: « Prendilo, ne farai ciò che vorrai! ». Faccio rilevare che non è per ciò che io vi prendo... Poi mammà ha soggiunto: « nelle tue condizioni mi sarei già sposata dieci volte. Parla tu, se lui non osa... Tuo padre era come costui! Sono io che l'ho domandato in matrimonio ». Così io ho fatto come mammà. Vi domando perdono. Se non fosse stato per la mamma non vi avrei mai detto nulla. Vi avevo scritto una lettera... E' sulla vostra scrivania, vicino ai fiori. Non siete felice?

Ernesto                          - Sì, ma sono seccato.

Marcella                        - Credo di avere compreso.

Ernesto                          - Se avete già compreso, meglio, tanto meglio, Dio mio, è incredibile! Come que­sta faccenda va tutta da se...

Marcella                        - (con un sospiro) Parlate...

Ernesto                          - (imbarazzato) Ah! (silenzio) Per prima cosa, bambina mia, devo in verità dirvi che io rimango tranquillo... E' evidente che sono un uomo che non ha l'abitudine di sentirsi dichiarare un sentimento come quello lì, e, soprattutto, su quel tono...

Marcella                        - Vi ripeto, è mammà che l'ha vo­luto.

Ernesto                          - Questo non dice nulla... E poi, io «ilio un uomo un po' fuori di moda, un nomo all'antica. Non protestate! Non sono nè bello né eloquente. Non sono nulla io... Non sono che il prolungamento di un essere che non era gran cosa. Infine, sono un nomo che si lascia camminare sui piedi senza protestare; lo urlano, e lui domanda scusa! [

Marcella                        - Oh! Come è bello, come questo è bello!

Onesto                          - Ma no... E' doloroso, tutt'al più! E poi penso: io ho trentasei anni e voi venti (appena.

Marcella                        - Ho letto molto, so ri ettere...

Ernesto                          - Ci resta, nondimeno, mia cara bam­bina, una differenza considerevole...

Marcella                        - Papà ha venti anni più della mamma.

Ernesto                          - Ah!... L'argomentazione è fonda­la... Vediamo un po' come poterne uscire... 6enza farvi troppo soffrire, perché sono sensi­bile al vostro dolore. Supponiamo, che io fossi sposato!

Marcella                        - Non lo crederei. Non portate l'anello...

Ernesto                          - L'ho tolto provvisoriamente.

Marcella                        - E' una bugia!

Ernesto                          - (molto sincero) No. Sono sposato: ive lo giuro sul mio onore...

Marcella                        - (categorica) Non sapete mentire. Sì vede, si capisce quando un uomo è sposato. Non date l'impressione di essere circon­dato di tenerezze, vezzeggiato, viziato, di essere il capo di una famiglia, di avere al vo­stro fianco qualcuno che si china su di voi. No, mai! Date invece la sensazione molto precisa di essere solo, abbandonato, isolato dalle donne... Vedovo, forse, non dico di mo, ma sposato!... E poi perché questa vostra ele­ganza improvvisa?... Non si fanno più queste cose quando si è sposati... Non si pensa a « ripulire la facciata » come avete detto e fatto voi!... Dite che non mi amate, ma non cercate un pretesto simile... Lo so. Non mi perdonerete mai di avervi parlato a cuore aperto.

Ernesto                          - Ma sì.

Marcella                        - Volete mettermi alla prova. Mi crederete viziosa. E allora volete che vi baci?

Ernesto                          - (allontanandosi) Una volta per sem­pre, cessiamo questo gioco pericoloso... (Marcella va a sedersi al suo tavolino e sin­ghiozza. Ernesto, addolorato di vederla in lacrime, le prende le mani, poi il braccio... poi il viso. E la bacia).

Marcella                        - (singhiozzando) Ancora!

Ernesto                          - Guai a noi!

Marcella                        - (supplicando) Parlate, signore...

Ernesto                          - Non sentite che scivoliamo...

Marcella                        - Tanto peggio.

Ernesto                          - Ciò che facciamo adesso è molto grave. E' insensato...

Marcella                        - (estatica) Non tanto... Sento che il mio cuore sale al viso... vedo che i miei so­gni ti fanno rilucere gli occhi.

Ernesto                          - (scandalizzato) Cosa avete detto?... Ho capito bene? La vostra ultima parola. E'... « tu »? Tu, cioè io? Io che sono « tu »? Rendetevi conto della enormità della cosa. Oh! no! Finiamola, state a posto, dominatevi, per favore... Lasciate stare per carità il... tu... Non sono un puritano, ma tuttavia...

SCENA SECONDA

Detti - Moineau

(Suonano. Marcella getta uno sguardo da pazza e Ernesto, indietreggiando, sconvolto, va verso la porta ed apre. Appare Moineau, rigido, serio e minaccioso).

Moineau                        - (dalla soglia) Allora, divorzi?

Ernesto                          - (molto agitato) Entra, ti spieghe­rò... Sono felice di potermi spiegare... di spiegarti... di spiegarvi... Siediti, amico mio. (breve silenzio. Marcella rimarrà immobile).

Moineau                        - Come vanno gli affari?

Ernesto                          - Benissimo.

Moineau                        - Non rimpiangi di aver lasciato la amministrazione ?

Ernesto                          - No.

Moineau                        - Tu, ora, ci disprezzi?

Ernesto                          - Affatto, amico mio.

Moineau                        - Siamo dei « travet » noi altri!

Ernesto                          - Ma no!

Moineau                        Sei nervoso! Si sente che qui non sei a tuo agio.

Ernesto                          - Sbagli!... Sbagli...

Moineau                        - Perché lo dici due volte?

Ernesto                          - Perché tu lo comprenda meglio.

Moineau                        - Finirai per fare delle bestialità.

Ernesto                          - Anche!

Moineau                        - Sono affari tuoi!

Ernesto                          - Lo credo bene.

Moineau                        - (a Marcella che vede appena adesso) Buongiorno, signorina.

Marcella                        - Buon giorno.

Ernesto                          - Tu mi fai l'impressione di un uomo che per distrarsi, usi dei balocchi di bambini. Hai il tamburo, la trombetta, fai i mucchi sulla sabbia... Ciò non ti diverte più, forza­tamente, per il lungo tempo ti è diventato monotono. Ti guardi attorno con occhio stu­pito! Sei lì allampanato... come un fantasma. Ti rendi conto di questo stato catalettico in cui sei? Ti crèdi furbo, perché tu l'accetti, perché tu soffri di ciò che non hai. E' af-far tuo!

Moineau                        - Non lo si direbbe!

Ernesto                          - Cammini dunque con gli occhi chiusi?... Non hai mai guardato i boulevards, i caffè, una piattaforma di autobus, una sala da ballo, non hai mai sentito un motore di aviazione, un alto-parlante? Un jazz?... non hai mai notato il volto di una donna, il taglio del suo mantello, il suo modo di camminare?

Moineau                        - (reprimendo il riso) Oh!

Ernesto                          - Ma ridi pure liberamente, non averne paura.

Moineau                        - Le donne non mi interessano... ac­cetto mia moglie. Disprezzo tutte le altre... (a Marcella) Vi domando perdono, signorina, ma è un fatto. Troppo leggere! Troppo esu­beranti. E impudiche...

Ernesto                          - Cosa vuoi?... Esse camminano sul ritmo dei tempi... sanno ballare l'ultimo pas­so di danza, perché questo passo, armonioso o no, l'hanno in loro stesse... Esse lo atten­devano. Esprime ciò che esse sentono.

Moineau                        - E' vero!

Ernesto                          - Noi non siamo dei giudici, ma parte in causa... Bisogna ballare o abbandonare il ballo.

Moineau                        - Ma io ballo, Ernesto, io ballo.

Ernesto                          - A tempo?

Moineau                        - Ma sì, a tempo, perché no?

Ernesto                          - Ebbene, io imparo a ballare.

Moineau                        - E' molto tardi.

Ernesto                          - Ne ho maggior merito. Imparo, perché la mia dama sia contenta del suo ca­valiere, perché non abbia a vergognarsi Ai ballare con lui, perché non abbia bisogno di cercarne un altro, o di conservarlo, se già l'ha trovato. Io imparo a ballare.

Moineau                        - Dove?

Ernesto                          - Qui, in avenue dell'Opera, al quarto piano, in questo ufficio commerciale!

Moineau                        - (che non è sicuro di avere capito bene) Ricapitoliamo!

Ernesto                          - Non hai capito?

Moineau                        - E' con la signorina che tu impari a ballare?

Ernesto                          - Ma no!

Moineau                        - Con tua moglie?

Ernesto                          - Perfettamente.

Moineau                        - (che non capisce ancora) Vivi sem­pre sotto il tetto coniugale?

Ernesto                          - Sì, vecchio mio.

Moineau                        - (a voce bassa) A dispetto del tra­dimento, che ti ho svelato, in tutta amicizia?

Ernesto                          - Ma sì, amico mio.

Moineau                        - Dunque, tu non credi?

Ernesto                          - Ma sì, vecchio mio. E con ciò?

Moineau                        - Sei magnifico!

Ernesto                          - Ma no. Non indovini? Vuoi che sia esplicito? Ti spiegherò chiaramente, quésta volta, perché non ci siano più equivoci. Tu ri­cordi di quel ballerino, di quell'elegante ca­valiere che ha sedotto mia moglie?

Moineau                        - Ebbene?

Ernesto                          - Non gli rassomiglio?

Moineau                        - Vuoi copiarlo?

Ernesto                          - In apparenza almeno. Non gli ras­somiglio di più adesso di un mese fa, per esempio? Dì, Moineau? Tu che l'hai veduto, rispondimi...

Moineau                        - Mi metti nell'imbarazzo!

Ernesto                          - Perché? Si tratta che io desidero una donna e che questa donna è mia moglie; che, in secondo luogo, io ho la fortuna di po­tere avvicinarla, di studiarla, di conoscerne i minimi desideri, forse di conquistarne il cuore, di farmi amare da lei, capisci? Ho la fortuna di passare ogni giorno delle ore al suo fianco, di sentirla parlare, di ve­derla addormentarsi. Sarebbe troppo stupido, in verità non approfittarne!

Moineau                        - Tu lavori inutilmente. Ordinando a tua moglie di amarti, non eserciti che un tuo diritto. Un diritto legale: sei ridicolo, Ernesto. Tu compi una fatica improba per fare la conquista di una donna che suo padre ti ha accordata, che il sindaco ti ha pubbli­camente data. La tua argomentazione non si regge in piedi. Tu neghi la virtù del matri­monio. E' chiaro, commetti un sacrilegio...

Ernesto                          - Voglio che ella mi ami. Faccio ap­pello alla tua franchezza e alla tua amicizia che ho esperimentato. Sono io diverso da quello che ero una volta?... Tendo io forse a confondermi con lui? A diventare a suoi oc­chi agli occhi di lei, una immagine suscetti­bile di rivaleggiare con quella che lui le of­fre? A cancellare un po' la sua presenza? A confondere in lei i sentimenti in modo che ella non sappia più se è lui... o se sono io? A portargliela via? Ma piuttosto lealmente, onestamente a riconquistarla, non perché ella abbia di me paura o pietà, ma perché ella mi sentirà più vicino a lei, più degno di lei... perché il suo cuore e il suo desiderio non (avranno più bisogno di darsi a altri. Vedi, vedi, vorrei che ella si dicesse: « A che scopo? Perché un altro invece di lui?». Lasciami parlare... « Perché non lui semplicemente? ». Io? E' la sola felicità che desidero... Questo, vedi, mi esalta. Tu dirai: «Che imbecille! E' un semplicione, un allocco, è poco fiero ». Poco fiero!... Ma, caro mio, non so che far­ne della fierezza... Sono un terribile egoista, come tutti, un egoista che vuole la vera feli­cità... Se veramente io riuscissi a conquistar­la senza lacrime, senza minacce, con i miei propri i mezzi, quell'idiota, che io sono, sa­rebbe felice... Così, io porto ghette grigio-perla! Guarda un po' questa cravatta di seta? Questa faccia di uomo d'affari moderno... E' il mio aspetto?... Che ne dici, tu?... Non va? r E il mio portamento?... Non sono grandi

                                      cose, ma ho capito tutto questo! Sì, caro Moineau, ho capito tutto questo... E soprattutto, capisci, non dirle nulla, che essa non sappianulla, che nessuno le dica nulla... Voglio vederla tornare a me da sola, spontaneamente... Voglio che ella non abbia l'aria di dimenticarlo, ma che lo dimentichi realmente senza avvedersene.

Moineau                        - E tu credi che una donna sia capace di un ritorno simile?

Ernesto                          - Sì.

Moineau                        - Non saresti d'avviso che sarebbe, meglio per te cancellarla dai tuoi pensieri?

Ernesto                          - Ma, caro mio, credi che io possa  farlo? Dimentichi, dunque, che ogni sera io (rientro in casa entusiasta al pensiero che sto per ritrovarla? Che la sua presenza è, mal­grado tutto, per me una gioia indicibile? Che una sua parola, un suo sorriso, un suo sguar­do un po' tenero sono per me altrettanti ono­ri che ella mi accorda?... Che io l'amo trop­po per sentirmi stanco di ammirarla ancora... E poi ella è bella, tu lo sai, è fine, è...

Moineau                        - Ernesto, ma via, Ernesto!...

Ernesto                          - Lo so, sono un cretino, ma non importa. Io la ricerco, la voglio di nuovo... io.

Moineau                        - Al tuo posto, io l'avrei uccisa...

Ernesto                          - Per soddisfare il mio amor proprio. E' abbastanza stupido...

Moineau                        - O mi sarei ucciso, io...

Ernesto                          - Per non vederla più, mentre io vo­glio vederla...

Moineau                        - Avrei divorziato... In ogni caso, siamo dignitosi!...

Ernesto                          - Sentimi: non è molto più bello tentare di salvarla e di salvarmi nello stesso tempo? Anche se ciò è ridicolo, non è però più bello? Anche se l'opinione pubblica gri­derà allo scandalo e dirà che sono un asino calzato e vestito, o un pazzo, non è però più bello? Posso io forse darle una più bella prova d'amore? e poi vedi, non si riconquista una donna con la forza... Non si ripesca un cuore con l'amo... lo so bene... Forse non riuscirò! Forse tutti i miei sforzi saranno vani... ma io non ho altro mezzo per ripren­derla...

Moineau                        - In altre parole, tu scusi il suo tradimento.

Ernesto                          - No, caro! Soltanto mi dico: se ella fosse stata felice come me, se io fossi stato il suo ideale, ella non avrebbe pensato a di­vertirsi diversamente... Forse che per amore del denaro tu non vedi ogni giorno degli uo­mini rinunziare ad ogni amor proprio, a su­perare ogni scrupolo? E l'amore forse non vale i sacrifici che si fanno per il denaro?...

Moineau                        - La mia impressione è che tu avrai scacco matto!

Ernesto                          - Sarà possibile... In questo caso, avrò perduto, avrò perduto tutto... Non ci sarà più alcun ricorso... Attualmente, io sono in appello... Mi difenderò fino alla fine, fino alla morte, se è necessario... Tu credevi che io sia venuto qui per ambizione, per amore del danaro, del prestigio, degli affari?... No.. No, no! Seno qui per lei... per elevarmi fino a lei... per rendermi degno di lei, perché ri­torni a me... difendo la mia pelle. Tutto serve anche la vigliaccheria...

Moineau                        - (che da quando è entrato guarda Mar­cella ad intervalli regolari) E voi, signori­na, che ne dite di tutto questo?

Marcella                        - (asciugandosi una lacrima) Io ascolto, signore...

Moineau                        - Ne capite qualche cosa?

Marcella                        - (a bassa voce) Sì, signore.

Moineau                        - Mi fai trasecolare, Ernesto! Mi fai trasecolare!... Sei cambiato... E pertanto non sei uno stravagante... Non so che cosa tu  sei... So solamente che io sono in ritardo e che mo ne vado... (si alza). Così, amico mio, arrivederci... E calmati... ritorna in te...

Ernesto                          - E tu mi prometti di non dire nulla di tutto questo? Me lo giuri? Perché non bi­sogna che lei lo sappia, ma che ella capisca da sé; altrimenti sono perduto... (riprenden­dosi) Scusami, caro... Non ci penso più... Ho detto delle bestialità. Nemmeno una pa­rola? A nessuno?

Moineau                        - Sta tranquillo. Del resto, sono an­ch'io preoccupato in questo momento. Non avrei il tempo da pensarci... Ho dei valori che ribassano... Sto per perdere due o tre mila franchi... E' atroce!...

Ernesto                          - Buona fortuna! Arrivederci!

Moineau                        - Arrivederci, povero amico mio... Vi saluto, signorina (esce).

(Ernesto chiude la porta, guarda Marcella, che a prezzo di grandi sforzi è riuscita a ces­sare di piangere. Ella china la testa, confusa, triste e scrive una lettera. Ernesto va a se­dersi alla scrivania, vuole parlarle, ma esita e tace. Marcella si alza, va a prendere la lettera che aveva deposta sulla scrivania).

Ernesto                          - Riprendete la lettera?

Marcella                        - Se permettete, signore.

Ernesto                          - Di che trattava ?

Marcella                        - Oh! signore, è da rifare...

SCENA TERZA

Ernesto - Marcella - Janette

(Entra, come un colpo di vento, la signora Papon. Marcella torna a sedersi. Ernesto si alza per riceverò la moglie e la guarda con ammirazione, la saluta con rispetto, le prende la mano con emozione).

Janette                           - Buon giorno, caro.

Ernesto                          - Non si bacia il proprio maritino? Siediti... Come stai?... Come trovi il mio ufficio?...

Janette                           - E' bello! E' chiaro!

Ernesto                          - (indifferente) Abbastanza!

Janette                           - Sei contento?

Ernesto                          - Abbastanza... Va pianino la fac­cenda, ma tutto lancia prevedere che andrà...

Marcella                        - (batte sulla macchina come una for­sennata. Ernesto ammucchia davanti a sé delle lettere e delle cartelle: vuol dare la impressione di essere un commerciante sovraccarico di lavoro).

Janette                           - Hai molto lavoro?

Ernesto                          - Abbastanza.

Janette                           - Andrà bene?

Ernesto                          - Credo.

Janette                           - Ti stanca?

Ernesto                          - No.

Janette                           - Non hai rimpianti?

Ernesto                          - Affatto... E tu sei contenta?

Janette                           - Sì, molto contenta... Sai clic sto per fissare un appartamento? Sei camere e gabinetto da bagno. Quartiere delle Ternes.

Ernesto                          - Ti piace?

Janette                           - Sì. Seimila d'affitto.

Ernesto                          - Ah!

Janette                           - Lo fissiamo?

Ernesto                          - Se ti piace...

(Janette per la prima volta lo guarda con meraviglia. C’è nel suo atteggiamento del ri­spetto e un po' di ammirazione).

Janette                           - A che ora sarai di ritorno, stasera?

Ernesto                          - Se hai pazienza di aspettarmi, sbri­go alcuni affari rapidamente ed esco. (Ernesto si alza e dà per alcuni minuti l'im­pressione studiata di un intenso lavoro. Tele­fono).

Ernesto                          - Pronto, pronto, Gutenberg 16-39... Pronto... Sì... parla la casa Sweet. E' il diret­tore che vi parla a proposito di quella ordi­nazione.... Sì. Inteso, trasmetto i vostri or­dini..... (aggancia il ricevitore) Signorina, scri­vete, (si alza e passeggia). Pi-ego di evadere al più presto l'ordinazione Schmidt. Paga­bile al 30 corrente, (riprende il ricevitore). Pronto, pronto... Eliseo 17-31. E' la casa Francis... Sì... Sono il signor Papon...Ah! No. No. Passate domani da me dalle tre alle tre e mezzo... E' inteso, (rimette il ricevitore) Signorina, prendete nota del mio appunta» mento, per favore... (chiama al telefono). Pronto, pronto, datemi Wagram 16-36... (scrive una lettera, mentre sta ascoltando al telefono) Sì, perfettamente, sono io, è la casa Sweet... non interrompetemi, per favo­re... Bene, va bene. Inteso... (si alza, prende il soprabito, il cappello se li mette, conti­nuando a dare ordini). Favorite di sbrigare la posta, prima di andarvene... Avete preso nota di tutto? Scrivete tutte le lettere di sta­sera... Ne avrete una ventina, stasera... Non dimenticate nulla... mi affido a voi.

Marcella                        - Sì, signore.

Ernesto                          - (con autorità) Rileggete attentamente, badare alla punteggiatura, soprattutto alla punteggiatura.

Marcella                        - Bene, signore.

Ernesto                          - Sono da te, cara... Su, andiamo... Janette, sedotta, sorride ad Ernesto amorosamente, ed esce. Quando ella è uscita, Ernesto ne approfitta per tornate fino a Mar­cella, le prende la mano)

Ernesto                          - Scusatemi... e grazie... grazie... (esce).

(Marcella, triste, batte qualche tasto della macchina, si arresta, sta immobile, gli occhi pieni di lacrime).

 

Fine del secondo tempo

ATTO TERZO

Un magnifico appartamento nel quartiere delle Ternes. All'alzarsi del sipario, Janette, distesa su di usi divano, fuma leggendo. Ha l'aspetto di una grande dama un po' viziata, ma siccome non ha ancora avuto il tempo di acclimatarsi, non ha nessuna affettazione nello atteggiamento e nei gesto. Suonano. Ella si alza, chiama due volte- Maria, che non viene, e va ad aprire. Ritorna accompagnata da una giovane donna dallo sguardo torbido, la signora Berta Moineau.

SCENA PRIMA

Janette - Berta Moineau

Janette                           - Come stai?

Berta                             - Secondo... Sei sola?

Janette                           - Sì!

Berta                             - Allora va male, malissimo.

Janette                           - Cosa ti succede?

Berta                             - Sono molto disgraziata...

Janette                           - Affari di cuore?

Berta                             - Se vuoi... Ma non parliamo di me, Ernesto sta bene?

Janette                           - Molto bene. Sai che La cambialo posizione. Ha lasciato il cioccolato che ci è costato le nostre economie... Per più giorni è stato orribilmente oppresso... Era rovinato, deluso, vinto. Poi, con un ritorno magnifico di energia, si è ripreso: un suo compagno, ricco industriale, che aveva conosciuto al fronte, gli ha offerto una situazione inspera­ta... Ha pianto di gioia... Ed ora, eccolo di­rettore di una grande casa di esportazione.  Siamo raggianti... Ma che hai tu?... piangi?

Berta                             - (piangendo) No!

Janette                           - Come no? Sì. Cosa ti succede?

Berta                             - Nulla!

Janette                           - Allora spiegami...

Berta                             - (funebre) Credo di dover morire!

Janette                           - Scherzi!

Berta                             - (singhiozzando) Io così giovane, così vivace, così gaia... E' triste andarsene alla mia età... mentre ho diritto di vivere! Non so decidermi a dare l'addio a tutti, a tutto... Ho un bel ragionare! Amo troppo il ballo, le toìlettes, i negozi, Parigi... il jazz, i negri... tutto... (cambiando tono) Come è tutto chic in casa tua. E' adorabile... Puoi favorirmi l'indirizzo del tuo tappezziere... E questo Pier-rot, come è bello! (cambiando fono) No, non voglio morire. In ogni caso, se muoio, posso dire che avrò dei rimpianti... Se fossi amma­lata, ancora, comprenderci... Sarebbe logico correre il rischio... Ma io non sono affatto ammalata... (cambiando tono) Sei tu che hai messo questi rideaux?... Molto ben messi... graziosi... Fra poco quando avremo l'alloggetto, che ho in vista nei pressi del Trocadero, ti copierò il modello... (cambiando tono) E ho un nodo qui, che va, che viene, che sale, che scende. E un peso lì che mi opprime e mi schiaccia e una sbarra alla fronte che mi serra... Dio mio, quanto sono disgrazia­ta!... Mi accorgo di avere ereditato da mia madre una sensibilità folle... E poi io ho sempre creduto all'atavismo, (negligentemente) E tu, no?

Janette                           - Sì!

Berta                             - Mi trattengo di piangere più che posso... E' strano?

Janette                           - Sì!

Berta                             - Come sei fortunata, mia cara, di po-terti sdraiare sul tuo divano... Non mi do­mandi nemmeno cosa ho?

Janette                           - Cos'hai?

Berta                             - No, non interrogarmi, preferisco... (trae una lettera di tasca) Ti ho portata una mia fotografia perché tu conservi il mio ri­cordo. Avrò così l'impressione di non morire del tutto... Ma tu non sei inquieta di vedermi così sconvolta?

Janette                           - Sono molta inquieta.

Berta                             - Non devi esserlo! Tenterò di essere calma. Che avventura! Quanto la vita può es­sere capricciosa e il destino ingiusto!(esaltandosi) Sentire che si vivono le proprie ultime ore, che si dorme l'ultima notte, che una rivoltella, nascosta sotto il cuscino, at­tende traditrice, e che sarà puntata su di voi, che non ci saranno più fiori, ne primavera, ne sole, ne... (singhiozza) né... ne... ne... mai più... Lasciami piangere... Tanto peg­gio... Mi calmerò, (si ricompone e diventa, in un istante, quasi normale. Freddamente) Ti spiegherò... Moineau è pazzo! Sì! Quel­l'imbecille è pazzo... Mi ama e ciò lo ha reso pazzo... Molto calmo, molto freddo, as­soluto padrone di se... ma pazzo, completa­mente pazzo... Non manifesta alcuna nervo­sità... Parla poco, come è sua abitudine, risolve sempre i giuochi delle parole incrociate, mangia bene, ma è pazzo. Credimi è terribile , vivere con un pazzo in buona salute... E Ernesto? Come sta tuo marito?

Janette                           - Molto bene.      

Berta                             - Che uomo! Un eroe!

Janette                           - Un uomo...

Berta                             - Capisce la vita!

Janette                           - E' normale.

Berta                             - Hai ragione. E' normale, niente di.! più. L'ho visto l'altro giorno. Ma si modernizza: l'ho ritrovato bello... ringiovanito, ele­gante, severo, lo amo molto gli uomini severi... Credo di avere un'anima di schiava, io. (cambiando tono) Così, figurati, mio marito si..; è messo in testa  nella sua testa di bretone,; nella sua zucca di testardo - che io abbiaun amante! Quest'idea è calata fra le paretidel suo cranio, e non c'è nulla da fare... Nontrovi che tutto questo sia seccante? E allora egli non esce più di casa senza il revolver... Sospetta di tutti... Mi ha avvisata che quando avrà la prova, mi ucciderà come una cagna... Ho un bel dimostrargli, come dopo A e B viene C, che sono innocente, si intesta a volere che sia colpevole... E' spaventevole di ingiustizia e... anche pericoloso.

Janette                           - Ma tu ne hai degli amanti?

Berta                             - Sì, ma ascolta... Per prima cosa egli non ha alcuna prova... Per conseguenza, le­galmente non ha il diritto di sospettarmi... e, a più forte ragione, di uccidermi... In se­guito, io conosco Camillo da cinque anni e mio marito non si è mai lamentato... Dunque, è impossibile che tutto ad un tratto, oggi, si metta in testa che io abbia un amante. Perché non se lo è messo in testa l'anno scor­so? Sono forse più colpevole dì prima?... No, non è così? Non ho alcun demerito, perché nulla è cambiato nella mia vita da cinque anni a questa parte... E poi, infine, Camillo non ha verso di lui alcun rancore... Perché deve averlo lui? Ci capisci tu qualche cosa?... Vallo a spiegare a un testardo, a un maniaco, che ragiona a sangue freddo, che non sente lo sfumature, che è tutto di un pezzo... Non si può! E poi non si potrebbe forzare una donna a fare violenza al suo sentimento. E' psicologico tutto questo!... (una pausa e poi con convinzione) E poi, infine, io non sono colpevole; quindi non ho d;i difendermi... Tu non mi approvi?

Janette                           - Ma, vediamo, come mai egli si è messo a dubitare, tutto d'un tratto, di te?

Berta                             - E' molto semplice... E' per te, per voi, per una frase disgraziata che ho detta per difendervi...

Janette                           - Per difenderci?.,.

Berta                             - Ma sì.... E' così semplice, che fu mi capirai subito... Ricordi bene che ti abbiamo incontrata, un giorno, sono due o tre mesi, alle Gallerie Lafayette accompagnata     

Janette                           - Io?...

Beuta                            - Sì, tu... è naturale.

Janette                           - Io?

Beuta                            - (negligentemente) Vedi... Io avevo tentato di nasconderti ai suoi occhi, ma lui ti ha veduta lo stesso. E' diventato rosso, ti ha trattata con tutti i nomi, con i peggiori nomi... E' un mascalzone! Ha detto che Er­nesto è un idiota... E' grottesco, perché tutto questo non ha niente a che vedere con l'intel­ligenza. In breve, vi ha giudicati severamen­te... Mi ha proibito di frequentarti dicendomi che tu non eri degna di me. Io invece dico il contrario. Non siamo venuti a cena da te quella sera per questo. In conclusione ha ri­velato ad Ernesto la sua scoperta...

Janette                           - No! No! Cosa vai inventando? Sei pazza?... Hai finito di fare delle elucubra­zioni? No! No!... Non ha detto nulla ad Er­nesto, non ha detto nulla...

Berta                             - (candida) Ma sì!... te lo giuro... Gli ha detto tutte... Anzi Ernesto si è scusato... Come, non lo sapevi?...

Janette                           - Non glielo ha detto! Giuro che non glielo ha detto. Lo so... Ne sono certa... Perché ti diverti a farmi paura?

Berta                             - Credimi, cara. Glielo ha detto!... anzi io ho preso la vostra difesa... Gli ho detto che farebbe meglio a guardare i suoi interessi... Di qui è venuto tutto il male. Egli si è senti­ta colpito perché io ero troppo spontanea, e dopo gli sono venuti i dubbi... (Janette si alza, è in preda ad una viva inquietudine, prende Berta per le mani).

Janette                           - Finiamola di scherzare, di dire delle sciocchezze... Hai mentito? Hai mentito? Confessami che hai mentito... Confessami che lui non sa niente, che non sa niente... Via, spiegami, perché io non scherzo... non rido... Ilo bisogno di sapere... Tu parli con una leg­gerezza e con una incoscienza incredibili... Tu ti rallegri di sciocchezze senza nome... Hai mentito? E' sì... E' sì...

Berta                             - Per una volta tanto, non ho mentito.

Janette                           - (seria) Me lo giuri? Senza ridere?

Berta                             - Rido, ma te lo assicuro, posso giu­rartelo.

Janette                           - Ma vuoi spiegarmi, perché Ernesto non ha detto una parola su questa faccenda?

BÈRTA                         -. Un uomo, sai bene, è furbo.

Janette                           - Allora perché si comporta come il più fedele degli uomini? Perché spende per colmarmi di gioielli, di regali?

Berta                             - Ha paura dì essere trattato male.

Janette                           - Perché ha taciuto? Perché tace? Spiegami questo?

Berta                             - Orgoglio, convenienza, desiderio di pace.

Janette                           - Un marito offeso rivela l'insulto, si difende...

Berta                             - Forse non ha amor proprio!

Janette                           - Accusa... Parla... Si vendica...

Berta                             - O ha timore forse di recarti dolore... se ha del cuore.

Janette                           - La sua gelosia lo fa agire...

Berta                             - E se non ti ama?

Janette                           - Sì, mi ama.

Berta                             - Sarà!

Berta                             - In generale queste cose li fanno sal­tar su... hai ragione.

Janette                           - Allora?

Berta                             - Senza dubbio ti ama.

Janette                           - No.

Berta                             - Perché no?

Janette                           - (duramente) No.

Berta                             - Tu mi farai piangere... Non maltrat­tarmi così! Sii buona... Cosa vuoi? Vediamo. Tutto è possibile. Forse avrà interesse a non parlare, dal momento che tu lo lasci in pace e lui ama la pace... Io, per esempio, non fac­cio mai scenate a Moineau... E forse...

Janette                           - Forse, che cosa? Cosa vuoi insinua­re? Esprimi chiaro il tuo pensiero.

Berta                             - Chissà che non abbia anche lui... E' difficile a sapersi!

Janette                           - Io sono sicura di lui, capisci, sicura di lui...

Berta                             - Anche Moineau diceva così prima di cambiare opinione. Non hai notato che tuo marito diventa più elegante, piacente, che si modernizza, che fa degli sforzi per piacere? E' questo un indizio, credo. Per conto mio, egli si è lasciato sedurre da qualche civetta. Vi sono donne terribili, che non hanno né scrupoli, nè delicatezza, che portano via alle altre i mariti senza farsene accorgere... E' atroce... Ti assicuro che ci sono delle don­ne completamente immorali, che non indie­treggiano davanti a nessun ostacolo...

Janette                           - Così, tu credi che Ernesto abbia ta­ciuto, perché aveva interesse a tacere?

Berta                             - Sono degli egoisti gli uomini!

Janette                           - E che la sua eleganza, la sua evolu­zione siano altrettanti sintomi di tradimento?

Berta                             - E' elementare!

Janette                           - Lo credi?

Berta                             - Ne sono convinta!

Janette                           - Mostro!

Berta                             - E' classico! Sono tutti mostri.

Janette                           - Ma, allora, lui rappresenta la sua parte...

Berta                             - Con arte perfetta... E bisogna che io, che sono innocente, estranea a tutte queste manovre, paghi per lui... viva sotto la per­petua minaccia della rivoltella. Non me la levo più!... Io, che ci terrei tanto a vivere... e poi a ritrovare la mia indipendenza...

Janette                           - Mostro!

Berta                             - (che segue il suo pensiero) Se tu lo vedessi... Camillo...

Janette                           - Vigliacco!!

Berta                             - (con adorazione) Abita in un atelier di Montparnasse. Ha dei grandi occhi neri, brucianti di febbre... dei lunghi capelli neri, onduleggianti... Un grande cappello... un mantello... la pipa...

Janette                           - (con dolcezza) Credi tu che mi tra­disca?

Berta                             - (estasiata) Dipinge quadri che gli ispiro io, dei miei nudi, i miei occhi, le mie mani... A me deve la sua arte... Me lo ha ancora ripetuto questa mattina per telefono...

Janette                           - Perché mi porta quei fiori? Perché mi accarezza, se non mi ama?

Berta                             - Siamo dei balocchi nelle loro mani!... E la nostra sola difesa, per noi donne, contro la loro doppiezza, è di prenderli di fronte: occhio per occhio...

(Janette si prende la testa fra le mani e sin­ghiozza. Berta fa altrettanto. Silenzio).

Berta                             - Sei umiliata? Confesso che è una cosa penosa. Si ha un bel non amare, ma si hanno sempre dei diritti. E poi, una donna non si sente veramente forte che alla condizione di tradire senza essere tradita. O altrimenti, è vinta. E tu l'ami?

Janette                           - Sì.

Berta                             - No?!

Janette                           - Sì.

Berta                             - Da quando?

Janette                           - Vedi... Nella mia ingenuità, ho creduto che lui si trasformasse per me, per pia­cermi... che si battesse per me, che tentasse di lusingare la mia ammirazione e il mio amore. Allora, lui mi è apparso d'un tratto sotto una luce nuova... bello, energico, forte, » temerario... Sono diventata fiera di lui.   

Berta                             - (indignata) Noi diamo loro troppe , prove della nostra buona volontà! Ma essi l sono senza pietà! Quando siamo nelle loro mani , noi, fragili, inermi, sottomesse, ci maltrattano, ci uccidono... Vigliacchi!       

(Entra Ernesto, preoccupato, ma che si sforza di essere amabile e gioviale).

SCENA SECONDA

Dette e Ernesto

Ernesto                          - (disinvolto) Buon giorno, signora, - state bene?  

Berta                             - Benino.

Ernesto                          - E Moineau?

Berta                             - Molto bene, dal momento che io sto e benino.

Ernesto                          - (a Janette, prendendole le mani) E tu, cara, come stai? (le porge dei fiori. A Berta) Scusatemi, signora, se avessi previsto che voi eravate qui, ne avrei portato anche per voi. Ma vostro marito mi avrà prece­duto...

Berta                             - (crolla le testa, tristemente) No.

Ernesto                          - Dispiaceri?

Berta                             - Sì.

Ernesto                          - Gravi ?

Berta                             - Sì.

Ernesto                          - Chi ha torto?

Berta                             - Lui, naturalmente.

Ernesto                          - (osservando la moglie) Si aggiuste­ranno, si aggiusteranno!

Berta                             - Quando sarò morta!

Ernesto                          - Scherzate.

Berta                             - D'altronde, per me è uguale morire. (Silenzio):.

Ernesto                          - Inezie!

Berta                             - Facile a dirsi.

Ernesto                          - Conosco Moineau.

Berta                             - Ed io ne divido il letto.

Ernesto                          - Lui ne è lusingato.

Berta                             - Non lo si direbbe.

Ernesto                          - E' un ragazzo dolcissimo, molto sensibile, che non farebbe male a una mosca.

Berta                             - A una mosca, forse.

Ernesto                          - E che sotto un carattere un po' freddo e rude, nasconde una sensibilità e un cuore d'oro. Mi fa un po' il broncio in questi momenti. Ditegli di venirmi a trovare un po' più di sovente.

Berta                             - Voglio morire, ma non firmerò io la mia condanna a morte.

Ernesto                          - Cosa volete dire?

Berta                             - Non vi rivedrò mai più. Vi ho por­tata la mia fotografia.

Ernesto                          - Non capisco.

Berta :                           - Ha una rivoltella sotto il cuscino.

Ernesto                          - Diavolo!

Berta                             - Le sei pallottole sono per me.

Ernesto                          - Ma perché tutto questo?

Berta                             - E' geloso. Crede che io lo tradisca. E mi sopprime.

Ernesto                          - Ma questo è bestiale!

Berta -                           - Ed io voglio vivere. Ne ho il diritto!

Ernesto                          - Logico, (a sua moglie) E tu che ne dici, cara?

Berta                             - Ha pietà di me.

Ernesto                          - Aggiusterò tutto, vedrò Moineau.

Berta                             - (contenta) Davvero? Sarò felicissima di vedere aggiustata questa faccenda. Pensate: di notte ho dei fantasmi; vedo cento cannoni puntati su di me. Ciò è molto strano, quando non se ne ha l'abitudine. Aggiustate voi! Aggiustate tutto! Mille grazie! Capirete: io sono buona, calma, ho la coscienza tranquilla, ma ho paura lo stesso... Sto per andarmene... Ho la perfetta impressione di camminare di­ritta al supplizio... con la speranza tuttavia di sfuggirlo... Grazie, signor Papon! (si avvi­cina a Janette, per baciarla. Janette le tende solamente la mano) Arrivederci. (Ernesto ritorna; si siede vicino alla moglie, la guarda lungamente. Ella si sforza di non piangere).

SCENA TERZA

Janette -Ernesto

Ernesto                          - Sei stanca?...

Janette                           - Un poco!

Ernesto                          - E' vero quel che ci racconta?

Janette                           - Non so!

Ernesto                          - La credi seria?

Janette                           - E tu?

Ernesto                          - Chissà...

Janette                           - Perché dici così?

Ernesto                          - Così, senza alcuna intenzione.

Janette                           - Tu adunque potresti metterci della intenzione?

Ernesto                          - No. (pausa) Ma no, cara. D'altron­de, ammettendo che ella lo tradisca, non vedo come un dramma possa aggiustale la cosa. Ho sempre avuto l'impressione che gli amanti che si uccidono a vicenda non si amino... sono degli orgogliosi che si lasciano vincere dallo sdegno e non altro... E' vero però che io non sono pratico in materia... Che ne pensi, tu?...

Janette                           - Ascolto, caro.

Ernesto                          - Al contrario io ho sempre pensato che un essere, che ama veramente, perdona, anche suo malgrado... E' un poveraccio che sfida il ridicolo, e sacrifica il suo amor pro­prio al suo desiderio di felicità!... Il vero amore non deve fare nascere che della bontà. E dico questo...

Janette                           - Perché lo dici?

Ernesto                          - Così macchinalmente.

Janette                           - Davvero?

Ernesto                          - Ma sì, cara.

Janette                           - Che faresti tu, se fossi al posto di Moineau ?

Ernesto                          - Liti la ama?

Janette                           - Perché fai questa domanda?

Ernesto                          - L'ama?

Janette                           - E supponendo che l'ami?

Ernesto                          - Se io fossi Moineau? Non sono af­fatto capace di mettermi nei panni altrui, e, a più forte ragione, di giudicare i loro senti­menti, la loro condotta... Capisci? Io tento, così bonariamente, di vegliare su di me, su di te, su noi due. E ciò che occorre, è di fare in modo che la baracca cammini, che noi due camminiamo con lo stesso passo. E poi, avere il coraggio, in casi di incidente, di rendersi conto freddamente del guasto, di vedere ciò che manca. Io credo che in amore non ci siano né vincitori, né vinti... Non si devono cer­care le responsabilità, indirizzarsi rimprove­ri... o adirarsi... in breve, se si vuole amare, bisogna sapere farsi amare... Non potete rim­proverare a un altro di non amarvi... E' come rimproverare ad un miope di portare gli oc­chiali... Sarebbe ridicolo... Un uomo così di­venta becco. Becco? E' con ciò? Si tratta di accorgersi di essere becco e di guarirne... non è un male ignominioso... Si può curarlo. E poi, vedi... Ma che cosa hai? (le prende la mano) Perché mi guardi con quest'aria di rimprovero? Non sei felice? Non sono chic? Ho l'impressione, quando mi guardo in uno specchio, di avere affittato una maschera e un costume... Vedi, mi succede alle volte di cre­dere di essere di martedì grasso, e di fare il pazzo... A dire il vero, ci vogliono poche cose per cambiare un povero diavolo... Un colpo di ferro ai pantaloni, la cravatta fatta con eleganza, le sopracciglia leggermente aggrot­tate, lo sguardo un po' sperduto... Su, guar­dami un po'... Ho del portamento? Della di­stinzione? Non sono di buona razza? (ride) Sai dove tengo adesso gli spiccioli? Non ho più il portamonete, li metto nella tasca... così alla rinfusa... con i biglietti... (trae di tasca dei denari) Ah! Ho una proposta da farti... Vuoi che andiamo al ballo?

Janette                           - Non ti riconosco più.

Ernesto                          - Ne sono lusingato.

Janette                           - Sei cambiato in un modo incredi­bile!

Ernesto                          - Mi lusinghi.

Janette                           - Eccoti quasi un uomo di mondo.

Ernesto                          - Quasi!

Janette                           - Mi fai paura. Sei così diverso da quello che eri!  

Ernesto                          - Tanto meglio per me.

Janette                           - Le gioie del focolare non ti bastano dunque più?

Ernesto                          - (malizioso) Appena.

Janette                           - Cerchi di stordirti ?

Ernesto                          - Non dico di no... Infine, ho un po' il desiderio di vivere bene, di gettarmi nel vortice della vita, è naturale!

Janette                           - Ma perché?

Ernesto                          - Perché non sono nemico del pro­gresso...

Janette                           - Non stai dunque volentieri qui?

Ernesto                          - Ma sì, mia piccola.

Janette                           - La mia presenza non ti basta a darti | la felicità che desideri?

Ernesto                          - Anzi al contrario, cara.

Janette                           - Come mi apparivi gaio, disinvolto e confidente.

Ernesto                          - Perché no?

Janette                           - (nervosa) Non camminare così per la casa... (Ernesto si ferma subito) Mi piace quando tu sei seduto vicino a me e mi guardi.

Ernesto                          - (eseguendo) Eccomi vicino a te, ecco che ti guardo.

Janette                           - Non mi piace vederti ridere!

Ernesto                          - (aggrottando le sopracciglia) Ecco.

Janette                           - (infastidita) Non mi piace vederti scherzare.

Ernesto                          - Ai vostri ordini, signora.

Janette                           - (sureccitata) Hai finito di scher­zale?

Ernesto                          - Sì.

Janette                           - Ernesto!

Ernesto                          - Eccomi, cara.

Janette                           - Tu sei cambiato è vero: ma temo. che tu lo sia soprattutto con me. Mi hai ab­bandonata.

Ernesto                          - No!

Janette                           - Sì! Non mentire! Tu mi amavi, forse, al tempo in cui io ti vivevo miseramente a fianco. Oggi non mi ami più. Prima ero la i sola tua cura. Tu soffrivi per la paura di vedermi infelice e pagavi con tenera affezione li la mediocrità della nostra vita. La tua bontà compensava la nostra povertà. Ti sentivo completamente vicino a me, unito a me: ora tu mi togli in affezione ciò che mi dai in denaro. Mi fai sentire che sei divenuto il padrone, col pretesto che mi paghi di più. Mi sembra di non avere più alcun diritto, perché, denaro alla mano, soddisfi ogni mio capriccio. E' una bella cosa! Ma non è l'amore!     

Ernesto                          - (sorpreso) Ti assicuro, mia cara,  che tu sbagli, che io mai...      

Janette                           - Non recitare la commedia! E' inutile! E' troppo tardi!

Ernesto                          - Troppo tardi! Troppo tardi! Ah, e mai     

Janette                           - Credi dunque che io non sappia che non sei più mio? Lo capisco da mille particolari... Tu disprezzi le gioie del foco­lare... Esse al presente ti sembrano banali... Prima, quando eri al ministero, ci accadeva (di passare molte ore insieme.

Ernesto                          - Allora sbadigliavi, ricordati.

Janette                           - Ma tu, mi guardavi con amore. Non uscivi mai senza chiedermi: devo prendere il parapioggia? Quale cappello devo mettere? E così di seguito. Eri gentile e delicato.

Ernesto                          - Lo dici adesso, ma allora mi trova­vi idiota. Ammettilo!

Janette                           - Forse, ma era gentile lo stesso... Il fatto che non ti vergognavi di apparire idiota pur di piacermi, era per me l'omaggio mi­gliore. Credimi, Ernesto... Oggi, non ti curi dei miei consigli: io sono un piccola donnetta che baci con negligenza, quando ti capita, che accarezzi, così, pensando ad altre cose, ai tuoi affari alla tua amante forse... Mi offri dei fiori, ma hanno tutta l'aria di servire come scuse per calmare i miei timori!... La felicità, la felicità non è così.

Ernesto                          - (beffardo) Lo credo!

Janette                           - (indispettita) Veramente?

Ernesto                          - (ingenuamente) Che cosa è la feli­cità? Vuoi dirmelo?

Lanette                          - E' la gioia di sentirsi amata, è un po' il piacere feroce che si ha al pensiero di non avere rivali, che si è la più forte, che si è sola, che si è ciò che le altre non sono, tutte insieme... E' la gioia di possedere, di essere padrona, di essere egli occhi di qualcu­no più bella di tutte le altre...

Ernesto                          - Ciò che vorrei sapere da te è quale sarebbe la tua felicità.

Janette                           - (sincera) Qui, vicino a te, per la tua presenza, per le tue carezze... nel tuo sor­riso... e quando posi il tuo sguardo sul mio e mi fai credere che io sono la sola al mondo...

Ernesto                          - Davvero?

Janette                           - Davvero... Vedi, quando tu sei ri­masto rovinato per il cioccolato, e io ti ho ve­duto angosciato, abbattuto, e poi d'un tratto energico deciso a vincere malgrado tutto, a essere forte a trionfare... per me     - perché credevo che fosse per me - allora tu mi sei apparso d'un tratto come un gigante adora­bile, un colosso ai cui piedi io volevo gettarmi e fare atto di umiltà...

Ernesto                          - (lusingato, ma modesto) Non ho fat­to che una cosa naturalissima.

Janette                           - (leziosa) Sì, ma l'hai fatta per me?

Ernesto                          - (semplicemente) E per chi altri vuoi che io potessi farlo?

Janette                           - (stringendosi a lui) Tutto questo, allora?... il tuo lavoro, i tuoi sforzi, le tue speranze, tutto era per me? Ernesto? Rispon­dimi... Cosa c'è?... Non sai rispondere?... Non osi? Non puoi rispondere?... Tu piangi? Ma perché piangi?

Ernesto                          - Perché io non so dirti che ti amo... E allora, io te lo dico a mio modo, stupida­mente, fra noi. (la guarda) Così! (silenzio). Scusami, non è niente... è finito... (Ella lo guarda lungamente, esita, poi rivolgendosi a lui dolcemente).

Janette                           - Io ho bisogno ora di sapere una cosa.

Ernesto                          - Quel che vuoi.

Janette                           - (leggermente preoccupata) Non li hanno detto niente?... Nessuno li ha detto niente?

Ernesto                          - No!

Janette                           - Moineau non ti ha detto niente?

Ernesto                          - (timido) Sì!

Janette                           - E tu non me ne hai mai parlato?

Ernesto                          - No!

Janette                           - E perché?

Ernesto                          - Perché io avevo paura di perderti del tutto... Perché io ho pensato che ero colpevole quanto lo eri tu... e che dovevo tentare di riparare al male che noi ci avevamo fatto insieme... Perché quando un incidente ac­cade lungo la strada se si tiene a continuare il cammino, si deve tentare di riparare. Ho tentato di rimettere in marcia... la macchina, ecco, semplicemente, mia piccola...

Janette                           - Ma tu hai creduto che fosse vero?

Ernesto -                       - Non sapevo... Non cercavo di sa­pere... ma a salvarci tutti e due; te lo assi­curo, nient'altro.

Janette                           - E tu mi avresti perdonato?

Ernesto                          - Naturalmente!...

Janette                           - E non lo credi più?

Ernesto                          - Non lo credo più.

Janette                           - Davvero?

Enesto                           - (persuasivo) Non ho alcun motivo di crederci... se tu hai il desiderio che non ci creda.

Janette                           - E' gentile ciò che mi dici. Così vorrei spiegarti a mia volta ciò che c'è stato, perché oramai nessun malinteso più ci se­pari...

Ernesto                          - A che scopo? Non abbiamo più bi­sogno di saperlo al presente.

Janette                           - Si, lasciamelo dire... Io ho bisogno di dirtelo... due parole solamente... Avevo incontrato un signore, capisci, un signore che non avevo mai veduto, capisci, no?... Allora, egli mi ha detto io non so che cosa... Gli ho risposto di no, che non volevo. E poi lui mi ha accompagnato al magazzino... E' tutto! Vorrei convincerti che è la verità.

Ernesto                          - E quand'anche tu mentissi, io sarei lusingato che tu ti prenda la cura di farlo con un simile ardore. Baciamoci e non ne par­liamo più.... Su, su, Janette... Non voglio che tu pianga e sopratutto che tu pianga per causa mia. (Suonano, ella si scioglie dall’abbraccio).

Ernesto                          - Va via, piccola; hai gli occhi rossi... potrebbero credere che io ti abbia fatto del male; va, io vado ad aprire. (Ella esce stordita, un po' confusa. Ernesto va ad aprire. Entra Moineau, trafelato, ner­voso).

SCENA QUARTA

Ernesto - Moineau

Moineau                        - Buon giorno, Ernesto.

Ernesto                          - Buon giorno, caro.

(Silenzio).

Moineau                        - (molto nervoso) Sei tu sempre il mio vecchio amico?... Il mio grande amico?

Ernesto                          - Ma certamente!

Moineau                        - Ti ringrazio... (pausa) non sai niente?

Ernesto                          - Non so niente.

Moineau                        - Passo delle ore crudeli... Le ultime d'altronde.

Ernesto                          - Spiegati!

Moineau                        - Ecco la genesi: immagina una pe­siate sbarra di ferro che vi cada sul cranio  vi stordisca...

Ernesto                          - Deve far male!

Moineau                        - E non basta! Una sbarra di ferro non è niente. Una morsa le cui branchie vi serrano e vi attanagliano.

Ernesto                          - Diavolo!

Moineau                        - Non una morsa... ma una idea che  pianamente si insinui in voi, corra con il vostro sangue, si cacci qui e... non ne voglia più uscire.

Ernesto                          - Insomma?

Moineau                        - Conosci Berta?

Ernesto                          - Si!

Moineau                        - No, non la conosci!

Ernesto                          - Va bene.

Moineau                        - Sai che cosa ho fatto per lei.

Ernesto                          - Si... si...

Moineau                        - No! Non lo puoi supporre: L'ho raccolta quando è uscita dal convento e l'ho docilmente risvegliata all'amore... Candida, fragile e bianca...

 Ernesto                         - Passiamoci sopra!

Moineau                        - Ed ecco che io non le basto più...(Trae di tasca una rivoltella). Ella mi scappa.  Mi scappa non so dove... Mi gira attorno, si nasconde dietro la maschera del riso... delle lacrime e del silenzio... E' spaventevole Ed io, io sono come un poveraccio che ha girato venti volte di seguito su se stesso.

Ernesto                          - In breve, tu sei stordito, ecco tutto!

Moineau                        - (con sfida) Solamente io devo es­sere coraggioso, quando occorre: io so sacri­ficarmi.   .

Ernesto                          - Cosa farai?

Moineau                        - (con convinzione) La uccido.

Ernesto                          - No, mai!

Moineau                        - (freddamente) E' fatto.

Ernesto                          - Cosa?

Moineau                        - E' deciso, voglio dire...

Ernesto                          - Ah!... Hai delle prove?

Moineau                        - Non ci inanellerebbe più altro... Le supposizioni mi bastano!

Ernesto                          - Non so quale valore hanno; ma io so che ti sbagli.

Moineau                        - No!

Ernesto                          - Tua moglie è stata qui.

Moineau                        - Ah!

Ernesto                          - Inquieta e piangente.

Moineau                        - Era piangente?...

Ernesto                          - Ella mi ha confidata la sua dispe­razione... Era una cosa dolorosa...

Moineau                        - Dolorosa?

Ernesto                          - Mi ha confidato questo odioso so­spetto che tu fai pesare su di lei; ella è cru­delmente offesa nel suo onore... si, caro mio.

Moineau                        - Io l'ho offesa?... Ella ha sempre avuto molto amor proprio.

Ernesto                          - E anche del cuore.

Moineau                        - (intenerendosi) Forse è esatto!

Ernesto                          - Dell'amore...

Moineau                        - Non dico di no...

Ernesto                          - Mi ha confidata la sua decisione di finirla con questa situazione intollerabile, che tu le fai vivere.

Moineau                        - Povera Berta!

Ernesto                          - In breve ella mi ha affermato la sua innocenza.

Moineau                        - (rallegrato) No?!...

Ernesto                          - (con autorità) Credimi: Ella non è colpevole. Ella vuole che tu comprenda senza che abbia bisogno di scolparsi. Ella ha il desiderio di liberarsi a forza di tenerezza e di sincerità...

Moineau                        - E' delicato...

Ernesto                          - Le è in fondo dolce di soffrire per te...

Moineau                        - La sua condotta non manca di gran­dezza...

Ernesto                          - Ella vagheggia di poter conquistare il tuo cuore con la sola forza del suo amore. Elia combatte una battaglia in cui, come po­sta, c'è il tuo amore.

Moineau                        - (lusingato) Davvero?

Ernesto                          - Cosa vuoi... è una donna come le altre! E' giovane, vivace, allegra, imprudente forse nel parlare...

Moineau                        - (entusiasta) Graziosa... In campa­gna corre, salta, si arrampica sugli alberi...

Ernesto                          - E' un piccolo animale pieno di vita.

Moineau                        - (con rispetto) Sii corretto, Ernesto.

Ernesto                          - Senza dubbio non è infallibile.

Moineau                        - (affermativo) Si, lo è.

Ernesto                          - Voglio dire che ella è lusingata di sentirsi guardata.

Moineau                        - No, affatto!

Ernesto                          - Un sorriso la lusinga.

Moineau                        - Il mio sì, ma non quello di altri! Potrei citarti molti esempi del suo attacca­mento.

Ernesto                          - Li conosco!

Moineau                        - (del tutto rassicurato) Capisco be­nissimo... Povera Berta... Tu mi rassicuri... ma naturalmente non ho alcuna ragione di essere inquieto... ancora ultimamente, per il mio onomastico, ella mi offriva un parapiog­gia... e queste iniziali intrecciate che ho qui... E' la tua faccenda che mi ha sconvolto.

Ernesto                          - Ah! si?

Moineau                        - Scusami, Ernesto...

Ernesto                          - Ma si, vecchio mio.

Moineau                        - Non ne parliamo più... (Guarda la rivoltella). E tu?... No?... Se tu ne hai biso­gno, te la lascio... Hai riflettuto? E' si?

Ernesto                          - No, grazie.

Moineau                        - Affari tuoi.

Ernesto                          - Credo bene, amico mio.

Moineau                        - Mio povero Ernesto!

Ernesto                          - (con il medesimo gesto) Povero amico mio.

Moineau                        - (sorridendo) Ella ama i fiori; vado subito a comperarle alcune rose.

Ernesto                          - Arrivederci, caro.

Moineau                        - (con orgoglio) La vita è una lotte­ria... Io ho la fortuna di avere tirato un buon numero.

Ernesto                          - (sospingendolo gentilmente fuori) Tanto meglio. E addio, caro. (Sorridendo, Ernesto torna a sedersi. Entra Jannette che si siede spontaneamente sui suoi ginocchi).

Janette                           - Cosa ti ha detto?

Ernesto                          - Delle sciocchezze.

Janette                           - E tu?

Ernesto                          - Io? Io l'ho consolato. Cosa vuoi, che facessi?

Jannette                         - (stringendosi a lui) Sei un uomo d'oro.

Ernesto                          - D'oro... Lo credi?... Io sono un po­veraccio come tutti gli altri..

Janette                           - Stringimi bene a voglio sentire la tua voce?

Ernesto                          - Ti sembra che io parli bene? Pic­cola mia, sei tu che mi hai insegnato a par­lare bene così! (Ella si allaccia a lui). E ora guardandomi, fammi credere che tu non pen­si ad altro... (Si stringono lungamente poi si guardano timidamente come due innamorati che si sono scambiati il loro primo bacio). Io non domando di più... Credo che nessuno potrebbe desiderare di più...

FINE